L’eclissi degli intellettuali e l’urgenza di una rivoluzione culturale

“Lavoro zero reddito intero. Tutto il lavoro all’automazione”. Slogan attualissimo, peccato però che sia apparso sui muri di Bologna nel 1977 nei giorni della rivolta degli studenti universitari che mise sottosopra l’intera città. Erano molto più avanti e spiritosi gli indiani metropolitani di allora degli intellettuali e politici di oggi. Lo ricorda Franco Bifo Berardi, storico attivista e saggista, in una conversazione con il sottoscritto che si riassume in una parola: diserzione. Dei giovani soprattutto (dal lavoro e dal desiderio di fare figli), ma più colpevolmente degli uomini di cultura, dell’intellighenzia.

La classe intellettuale ha fatto la fine della classe operaia: è scomparsa

I tempi velocissimi e distruttivi che stiamo vivendo richiederebbero infatti pensieri nuovi e la mobilitazione quasi fisica di scrittori, artisti, scienziati, cineasti. Il problema però è che la classe intellettuale ha fatto la fine della classe operaia: è sparita come l’idea che compito dei filosofi, per dirla con Karl Marx, sia non di interpretare il mondo ma di cambiarlo. Per trovare una forte tensione di rinnovamento e contestazione dell’esistente, che dovrebbe essere il lievito di una cultura militante, bisogna andare indietro nel tempo. Al movimento del ‘77, appunto, ma ancor più a quello del ‘68, che pure con tutte le degenerazioni e agli eccessi – infantilismo e velleitarismo – è stato un momento di contestazione globale del sistema. “Chiedete l’impossibile”, “una risata vi seppellirà”, ”contro i baroni rossi, neri e a pois” erano slogan che manifestavano un sense of humor oggi completamente scomparso dalle piazze della protesta. Non mancavano i cattivi maestri, ora però sono scomparsi i maestri. Tant’è che se volessimo indicare intellettuali di riferimento per le diverse aree politico-cuturali oggi non sapremmo chi nominare. All’ombra della scomparsa dei maître à penser si scorge la sagoma del critico d’arte e sottosegretario Vittorio Sgarbi.

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Indiani metropolitani a Milano (giallinovagabondo).

L’esperienza del Gruppo 63 e l’Olivetti

Ma se vogliamo considerare caratteristiche più interne e specialistiche in materia di lavoro culturale, nonché di opposizione alle gerarchie tradizionali, per trovare in Italia un movimento che ha prodotto un rinnovamento radicale dobbiamo risalire al Gruppo 63, da cui scaturì anche la neo avanguardia. Il gruppo di letterati e critici schierati sul fronte dei nuovi linguaggi mediali (la tv, la pubblicità, la pop art), i vari Umberto Eco, Alberto Arbasino, Angelo Guglielmi, Nanni Balestrini poi protagonisti di una stagione culturale nuova che rompeva con la tradizione del neo-realismo, e si sintonizzava con il clima e il sentimento più generale dell’Italia del boom economico. La Rai in bianco e nero era la prima industria culturale del Paese, luogo di sperimentazione, ma anche di fedeltà alla missione di servizio pubblico. Ma da ricordare, perché unica, era anche la circolazione di saperi e intellettuali fra i mondi della cultura e dell’industria. L’Olivetti e il suo profeta Adriano era il porto sicuro di scrittori e poeti (Paolo Volponi, Giovanni Giudici) che diedero vita a una cultura d’impresa capace di creare innovativi prodotti tecnologici (che competevano con IBM), ma anche imprese editoriali (Edizioni di Comunità), fabbriche avveniristiche e insediamenti abitativi modello. Della Rai come di Olivetti restano solo i marchi.

L'eclissi degli intellettuali e l'urgenza di una rivoluzione culturale
Umberto Eco (Getty Images).

L’intellò da Festival

Se la tv pubblica oggi non ha praticamente trasmissioni culturali, la tv commerciale è ovviamente peggio. Anche nella costruzione del “personaggio televisivo”, che attualmente è il prototipo, nel comune sentire, dell’uomo di cultura. Sedersi sulla poltrona di un talk è la condizione indispensabile perché uno psicologo o un filosofo diventi un personaggio da festival. Ovvero nella condizione di monetizzare la propria popolarità televisiva. Con i festival si toccano due tasti dolenti. L’imporsi di una cultura di mezzo – per citare D. MacDonald, autore del celebre e classico Masscult e Midcult – che è una parodia dell’alta cultura.
. E la formazione di compagnie di giro che vanno da un festival della filosofia o della letteratura a quello del mare o della creatività a proporre più o meno la stessa minestra. Servita però con i nomi altisonanti di lectio magistralis o master class. A pagare robusti compensi ai vari Galimberti, Cacciari, Recalcati, per fare tre nomi che sono forse fra i migliori blablatori da festival, sono le fondazioni bancarie. In questo ambito, che è perlopiù turistico, di innovazione culturale, di offerta di modelli alternativi o sperimentali nemmeno si parla. Anche perché essendo i personaggi televisivi l’ingrediente essenziale di una manifestazione che riempia le piazze o i teatri è un pubblico anziano, che come tale guarda la tv, quello che corre ad applaudire. Nei talk da piazza di giovani se ne vedono pochi, di giovanissimi nemmeno l’ombra. Ovviamente ci si dovrebbe chiedere: ma i giovani dove vanno? Nel 1968 e nel 1977 in piazza, volendo colpire al cuore del sistema. Ora invece visto che gli intellettuali vanno in tv e non più a infiammare le aule universitarie, anche i giovani sono renitenti a essere mobilitati e a mobilitarsi. Se non quando le questioni sono molto concrete. E ci sta. Però sia chiaro che se è legittima la protesta contro il caro affitti, piantando le tende in piazze, è allarmante che le questioni ideali non scaldino più menti e cuori giovanili.

L'eclissi degli intellettuali e l'urgenza di una rivoluzione culturale
Massimo Cacciari (Imagoeconomica).

La crisi dell’editoria rappresentata dal successo di Vannacci

Forse il nome Ultima generazione è un chiaro indizio di ritirata ideale e di pessimismo che non riesce più a essere dissacrante ma anche un po’ allegro. Cioè a essere giovani nello spirito. Ma ben poco allegro, per citare anche l’ultimo ma fondamentale caposaldo della cultura, è il mondo dell’editoria, dei libri e anche dei giornali. Del disastro dei giornali di carta parlano i dati diffusionali e la chiusura accelerata delle edicole. Della crisi del libro invece la crescente diffusione del self publising. Dell’auto pubblicazione che ha in Amazon il principale killer dell’industria libraria tradizionale. Il clamoroso successo del Mondo al contrario del generale Roberto Vannacci, unico best seller nazionale dell’anno, suona il de profundis per editori, editor e curatori. Tutti evidentemente incapaci in un periodo di sommovimento epocale di trasformare radicalmente il modo di produrre e vendere libri. È in un simile contesto che forse più che invocare il ritorno degli indiani metropolitani vien da rimpiangere la furia iconoclasta nei confronti di accademie e retaggi culturali che fu del futurismo e dei futuristi capitanati da Filippo Tommaso Marinetti. Ma consapevoli che stiamo parlando di più di un secolo fa. Giusto per ribadire quanto sia polverosa, vecchia e ormai insopportabile tutta la cultura nazionale.

Blinken: «Basta violenza estremista sui palestinesi in Cisgiordania»

Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha chiesto di fermare la «violenza estremista» contro i palestinesi in Cisgiordania, durante l’incontro con il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah. Quest’ultimo, da parte sua, ha detto che l’Autorità nazionale palestinese «si assumerà tutte le sue responsabilità» per Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza nel quadro «di una soluzione politica globale», chiedendo «la sospensione immediata della guerra devastante e l’accelerazione della fornitura di aiuti umanitari, compresi medicinali, cibo, acqua, elettricità e carburante, a Gaza». L’appello rimane per il momento inascoltato, visto che continuano gli scontri (con vittime) in Cisgiordania. Così come al confine con il Libano, mentre non si fermano i raid israeliani sulla Striscia. In tutto questo il ministro della Difesa iraniano ha avvertito che gli Stati Uniti saranno «colpiti duramente» se a Gaza non ci sarà un cessate il fuoco, prontamente escluso da Benyamin Netanyahu fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa.

Oltre 9.700 vittime nella Striscia. Blinken: «Basta violenza estremista sui palestinesi». Gli aggiornamenti sulla guerra.
Sfollati palestinesi (Getty Images).

Sale a 9.770 il bilancio delle vittime a Gaza

Sale a 9.770 il bilancio delle vittime a Gaza da quando Israele ha iniziato a colpire la Striscia in rappresaglia agli attacchi del 7 ottobre. Lo riferisce il ministero della Sanità di Hamas, secondo cui di questi almeno 4.800 sono minori. Per quanto riguarda il Libano, in base a un conteggio dell’Afp sono morte 76 persone, tra cui 58 combattenti di Hezbollah. Secondo le autorità sei soldati e un civile sono stati invece uccisi da parte israeliana lungo la Linea Blu di demarcazione.

Oltre 9.700 vittime nella Striscia. Blinken: «Basta violenza estremista sui palestinesi». Gli aggiornamenti sulla guerra.
Tank israeliano (Getty Images).

Il video dell’Idf: lanciarazzi di Hamas in un parco giochi

Le forze di terra israeliane che operano nel nord della Striscia di Gaza hanno localizzato lanciarazzi di Hamas in prossimità di una piscina e di un parco giochi. «Questa è un’ulteriore prova del costante utilizzo da parte dell’organizzazione terroristica Hamas della popolazione civile come scudo umano per scopi terroristici», afferma l’Idf in una nota.

Netanyahu sospende il ministro che ha parlato di bomba atomica su Gaza

Netanyahu ha sospeso da tutte le sedute del governo Amihai Eliyahu, ministro degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme che durante un’intervista radiofonica non ha escluso l’uso della bomba atomica sulla Striscia di Gaza, anche se ne andasse della vita dei 240 ostaggi israeliani. «Le nostre forze operano sulla base del diritto internazionale, per non colpire innocenti», ha detto il premier. Eliyahu è un dirigente del partito di estrema destra Potere Ebraico: il suo leader Itamar Ben Gvir ha commentato che «è comunque chiaro a tutti che occorre distruggere Hamas».

Khamenei e Haniyeh, incontro a Teheran

La Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha incontrato a Teheran il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, assieme ad una delegazione. «La politica permanente della Repubblica islamica dell’Iran è di sostenere le forze della resistenza palestinese contro i sionisti occupanti. I crimini del regime sionista a Gaza sono direttamente sostenuto dagli Usa e da alcuni governi occidentali», ha affermato Khamenei.

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