Haiku, i poeti del Giappone sono preoccupati dalla crisi climatica

«Il candore più bianco, delle pietre di Stone Mountain, il vento dell’autunno». Così scriveva nel settembre 1689 Matsuo Basho, uno dei massimi autori di haiku in Giappone. Poesie brevi di appena tre versi, racchiudono in poche parole l’essenza delle stagioni, il loro alternarsi costante e gli effetti sull’anima e la mente di un soggetto. Quasi 350 anni dopo, però, il quadro è drasticamente cambiato per colpa della crisi climatica. Tokyo e le città del Sol Levante affrontano sempre più spesso autunni afosi e caldi, con zanzare anche nei mesi di ottobre e novembre, ed estati piovose e fresche. Un mutamento che rende sempre più fuori luogo le tradizionali 17 sillabe nipponiche, che per generazioni hanno evocato sentimenti e ispirato la popolazione durante l’anno. Preoccupati soprattutto i poeti più puristi, che temono di vedere sparire un fattore che ha fatto la storia del Paese.

La crisi climatica mette a rischio anche la cultura del Giappone. Preoccupati i poeti haiku, tradizionali versi molto legati alle stagioni.
La fioritura dei ciliegi a Tokyo (Getty Images).

La crisi climatica condiziona la composizione e la lettura degli haiku

Ciascun haiku, per rispettare la tradizione inaugurata da Basho, deve contenere tre versi, rispettivamente di cinque, sette e nuovamente cinque sillabe per un totale di 17. Al suo interno, non deve mancare un kireji, la «parola tagliente» che contiene il significato stesso del componimento, e soprattutto un kigo, il riferimento esplicito a una delle quattro stagioni. Proprio in questo contesto si inserisce la crisi climatica che starebbe devastando il Saijiki, l’almanacco annuale dei termini che i poeti possono usare negli haiku per raccontare il caldo estivo, il pungente freddo dell’inverno o la fioritura dei ciliegi di marzo-aprile. Si tratta, come ha spiegato il Guardian, di particolari piante o animali, condizioni meteo, feste o colori del cielo che, se letti nel preciso giorno dell’anno, suscitano una serie di emozioni uniche. Con il surriscaldamento globale, ciò sta divenendo sempre più complesso.

«Il kigo comprime tre o quattro mesi in una sola parola», ha raccontato David McMurray, che ha curato una rubrica haiku per l’Asahi Shinbun. «Basti pensare alla zanzara, chiaro rimando al caldo dell’estate, oppure ai primi germogli dei sakura (ciliegi, ndr.) della primavera o l’arrivo dei tifoni autunnali». La crisi climatica però ha mutato tali elementi secolari, portando le tempeste in estate e le zanzare in autunno sia nel Nord che nel Sud dell’isola. «Rischiamo di perdere il ruolo centrale delle quattro stagioni nell’haiku», ha sottolineato McMurray. «Le parole del Saijiki non riflettono più la realtà». Altri autori nipponici, tra cui Toshio Kimura che dirige l’Associazione internazionale Haiku, hanno presupposto un adattamento da parte dei poeti, che però andrebbe a intaccare l’elemento cardine della tradizione. «Lo scopo non è lodare le stagioni stesse», ha ribadito l’autore. «Cerca di vedere l’essenza umana attraverso la natura».

Attivismo e adattamento potrebbero caratterizzare le nuove composizioni

Andrew Fitzsimons, professore di lingua e cultura inglese a Tokyo, ha ipotizzato che l’attivismo ambientale potrebbe presto prendere il sopravvento negli haiku. «Aumenta la sensazione di non essere al passo con i tempi», ha spiegato al Guardian. Sebbene descrivere la crisi climatica non rappresenti lo scopo principe dei celebri componimenti del Giappone, lo stesso Basho ne aveva involontariamente parlato nelle sue opere. «Rosso su rosso su rosso, il sole ancora implacabile, il vento dell’autunno», aveva scritto alla fine del XVII secolo. Lamentando la calura di settembre, il poeta aveva già narrato un fenomeno allora inusuale che però oggi rappresenta la normalità. «L’haiku riflette la quotidianità», ha concluso speranzoso Fitzsimons. «Il surriscaldamento globale e gli effetti che avrà sul nostro mondo ci saranno sempre».