Stellantis snobba l’Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco

Comandano i francesi. Il dato può essere urticante nella nuova stagione del potere sedicente sovranista, ma quando parliamo di Stellantis bisogna fare i conti con l’amara realtà. Il gruppo nato due anni fa dalla fusione di Fca con Peugeot vede la Exor della famiglia Agnelli quale socio di maggioranza con il 14,4 per cento. I transalpini possono vantare il 7,2 per cento in mano alla famiglia Peugeot, ma poi c’è il 6,2 per cento alla banca pubblica BpiFrance, che fa capo al governo di Parigi. Dunque, l’Eliseo può far valere tutto il suo peso in un’azienda che ingloba la vecchia Fiat, ma ha testa e cuore in Francia, mentre il forziere è saldamente in Olanda.

La vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, il polo del lusso voluto da Marchionne

La presenza in Italia intanto arretra. Suscita sconforto e mestizia la notizia della vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, nel Torinese, ex gioiello di quello che 11 anni fa l’allora ad Fiat, Sergio Marchionne, definiva il polo del lusso. A inizio novembre l’annuncio è apparso su Immobiliare.it, come se lo storico impianto ex Bertone fosse una mansarda o un box qualunque. Addio ai sogni di rilancio basati sul valore dei marchi, sulla qualità, sull’eccellenza delle quattro ruote che hanno fatto sognare gli appassionati di tutto il mondo. Niente da fare, troppo costoso per Carlos Tavares, Ceo di Stellantis voluto dai francesi. Mister Peugeot, evidentemente, non subisce il fascino della casa del Tridente e così le Maserati verranno assemblate a Mirafiori.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Sciopero dei lavoratori a Grugliasco (Ansa).

La produzione di auto in Italia è ferma a 400 mila vetture e appena sette modelli contro il milione francese

La crisi è globale, si dirà. Intanto però in Francia l’azienda produce un milione di auto l’anno con 15 modelli. In Italia 400 mila e appena sette modelli. Ma soprattutto, in vista della grande transizione che cambierà tutto, la componentistica per l’elettrico e l’ibrido viene realizzata Oltralpe al 90 per cento, in Italia soltanto il 10 per cento nell’unico stabilimento piemontese di Rivalta. Da ciò deriva un rischio di 7.500 esuberi, tutti concentrati sulla Penisola. D’altronde i numeri parlano chiaro: Stellantis in Italia ha oggi il 28 per cento della quota di mercato e Fiat, come marchio, è ridotta all’11. Nel 1989 il solo brand torinese valeva il 41 per cento. Sempre nel 1989 si raggiunse il picco dei 2 milioni di veicoli prodotti nel Bel Paese, 10 anni dopo eravamo a 1,4 milioni, ma già nel 2018 il valore si era ridotto a 670 mila e oggi Stellantis galleggia appunto attorno alle 400 mila unità. Tavares ha preso l’impegno con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, di tornare a un milione di veicoli l’anno, obiettivo che a oggi sembra una chimera. A Mirafiori si fa la 500 elettrica, ma la produzione arranca intorno alle 80 mila unità contro le 120 mila promesse. A Cassino si è crollati da 135 mila vetture del 2017 a 55 mila nel 2022. In Basilicata, a Melfi, vengono sfornate 142 mila auto, con 59 mila unità perse dal 2019. Mentre Pomigliano si difende ed è oggi il primo stabilimento di assemblaggio in Italia: 165 mila vetture nel 2022, con un +34 per cento sul 2021, ma comunque con un’emorragia del 17 per cento rispetto al periodo pre-Covid. Certo, sono dati su cui pesa la crisi esogena, anzi globale, dei chip. Ma la questione semiconduttori non può trasformarsi nel paravento di un tracollo più profondo e strutturale.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Catena di montaggio nello stabilimento di Pomigliano (Imagoeconomica).

L’indotto, il caso Magneti Marelli e la battaglia di Calenda

Oggi l’automotive dà occupazione, con l’indotto, a 270 mila persone e fa il 5,2 per cento del Pil italiano. Ma soprattutto, oltre a rappresentare uno dei settori su cui si è fondata la rinascita del Paese nel secondo Dopoguerra, intercetta e amplifica tutti i processi di innovazione e le sfide tecnologiche che cambieranno il nostro futuro: energia, intelligenza artificiale, big data, smart city. Starci dentro è dunque un’esigenza vitale per l’Italia. La crisi delle imprese dell’indotto è, in questo senso, una cartina di tornasole di ciò che sta accadendo: Lear, Martur e soprattutto Magneti Marelli, con il rischio chiusura per la sede di Crevalcore, nel Bolognese. La vicenda va a braccetto con quella di Stellantis, visto che Marelli era tra l’altro una divisione dell’ex Fiat. Tra i leader politici, sul dossier si è mosso subito Carlo Calenda che a fine settembre ha tentato di portare solidarietà ai lavoratori dell’azienda di componentistica, recandosi personalmente nella fabbrica in pericolo. La Fiom gli ha riservato un’accoglienza tutt’altro che festosa e a stretto giro il leader di Azione si è sfogato al Corriere della sera, prendendo di mira il segretario della Cgil ed ex leader dei metalmeccanici del sindacato, Maurizio Landini: «Faceva la guerra totale a Marchionne quando in Italia si produceva un milione di veicoli commerciali e auto, oggi che ne produciamo 650 mila sta zitto perché John Elkann ha fatto la mossa di comprarsi il maggior quotidiano nazionale della sinistra italiana». Il velenoso riferimento è a Repubblica, che fa capo ad Exor, e in particolare a una recente intervista rilasciata al quotidiano dal sindacalista, in cui ne dice di ogni sulla crisi del settore auto senza mai nominare Stellantis.

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Maurizio Landini, segretario generale della Cgil (Imagoeconomica).

Ancora l’8 ottobre Calenda twittava: «Gli imprenditori sono le persone più felici del mondo con questo sindacato. Gli stipendi reali negli ultimi 30 anni sono scesi del 2 per cento contro il +30 per cento di Francia e Germania. Il tutto tramite contrattazione collettiva. Direi che sono pronti a fare un monumento a Landini. Se poi quegli stessi imprenditori possiedono un giornale, si possono anche pagare un dividendo a spese dello Stato in Olanda e diminuire la produzione del 30 per cento nel silenzio sindacale. Meglio di così». Calenda si riferisce al prestito a Fca da 6,3 miliardi di euro garantiti da Sace, risalente al 2020, durante la pandemia. Soldi poi rimborsati da Stellantis.

Landini corregge la rotta su Stellantis

Landini, dal canto suo, ha minacciato querela all’ex ministro dello Sviluppo economico. Il leader del primo sindacato italiano, in un certo senso, ha iniziato la propria scalata alla Cgil grazie allo scontro con Marchionne, sin dai tempi del referendum sull’accordo separato di Fiat Mirafiori. Ora non può certo accettare l’accusa di essere “collaterale” o morbido nei confronti dei nuovi padroni franco-italiani. Ma il suo nervosismo è apparso palese, a dimostrazione che comunque Calenda lo aveva punto nel vivo. Proprio l’altro giorno il leader cigiellino ha provato a correggere la rotta: «Stellantis sta discutendo con tutti in giro per il mondo, fuorché in Italia» e così rischiamo di «perdere interi settori manifatturieri su cui siamo capaci di lavorare». Bene, chissà se Elkann ha iniziato a tremare.