La Lazio sogna lo Stadio Flaminio, Lotito: «Servono 50 mila posti»

Milan, Inter, Roma e adesso anche la Lazio. Il presidente dei biancocelesti Claudio Lotito ha parlato della possibile futura casa del club, pronto a giocare lontano dall’Olimpico. Il patron laziale ha parlato del progetto per ripristinare lo Stadio Flaminio, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Un sogno per i tifosi della Lazio, che attenderebbero la nuova struttura al pari degli avversari romani, e dei supporter di Milan e Inter, alle prese con la costruzione dei rispettivi stadi privati. Ma non mancano i problemi, secondo Lotito, che si è concentrato soprattutto sul tema della capienza.

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La Lazio sogna lo Stadio Flaminio, Lotito «Servono 50 mila posti»
Claudio Lotito (Getty Images).

Lotito: «Ci servono 50 mila posti»

Il presidente della Lazio ha spiegato: «Fa comodo a tante persone parlare del Flaminio, soprattutto ad alcuni rappresentanti delle istituzioni, perché avete visto tutti in che condizioni versa l’impianto. Risolvere il problema sarebbe cosa buona e giusta. Oggi viene a vederci tanta gente. Avere 26 mila spettatori, che è la capienza attuale del Flaminio, mi sembra riduttivo. A noi ne servono 50 mila. Poi c’è il problema dei parcheggi, altra questione sulla quale ci sono ancora lavori in corso. Ho delegato un rappresentante istituzionale affinché si occupasse del tutto e ha cominciato una serie di consultazioni. Stiamo valutando per capire quello che effettivamente si può fare. Prendere il Flaminio è semplice. Il problema è poi capire cosa farci e come trasformarlo secondo le norme e renderlo funzionale».

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Oggi è Giulia Cecchettin, ieri Giulia Tramontano: con le solite ricette e le promesse non si cambia

Ormai è diventato una specie di sacrificio rituale collettivo: ogni tot mesi la nazione tutta condivide trepidazione, commozione e sdegno per l’uccisione efferata di una giovane donna da parte di un uomo, in genere il compagno, mentre un assortimento di ierofanti da tastiera e da talk show recita formule sempre uguali («ci vuole una cultura del rispetto», «donne, dovete cogliere i segnali», «è colpa delle mamme», «è colpa dei padri», eccetera). Poi, stanchi ma infelici ma anche, in certo modo, saziati di lutto virtuale, ce ne torniamo alla nostra vita, finché la cronaca non ci propone un’altra vittima degna di mobilitare di nuovo tutto l’apparato. Che non si dispiega per tutti i femminicidi: non per quelli – tantissimi – di donne mature o anziane, madri o nonne uccise da mariti o ex mariti, e nemmeno per quelle troppo derelitte, o per le single ammazzate dall’ex partner di una storia breve.

La commozione popolare si pasce dell’uccisione di vittime giovanissime e fiduciose per mano di esecutori piacioni o figli modello

In Italia la commozione popolare, come nei melodrammi di Verdi e Puccini, si pasce della mala morte di donne giovanissime, graziose, fiduciose come Giulia Tramontano, tradita e incinta, o Giulia Cecchettin, un tesoro di ragazza a due passi dalla laurea. Del resto i sacrifici di esseri viventi, umani o animali, richiedono vittime perfette e senza macchia, perché soltanto ciò che di più bello possiede la comunità è degno di essere sacrificato agli dei per esserne certi di ottenerne il favore o placarne l’ira. Solo che in questi casi a uccidere non è un apposito esecutore-sacerdote, ma un altro ragazzo, anche lui apparentemente perfetto e senza difetti, come il piacione Alessandro Impagnatiello o il “figlio modello” Filippo Turetta, uno con un buon lavoro in un ambiente figo, l’altro alle ultime battute di una laurea in ingegneria, il presunto magico talismano contro la disoccupazione. Bravi ragazzi che, messi alle strette, ammazzano brave ragazze, seguiti spasmodicamente dal pubblico dell’arena mediatica, come i tributi degli Hunger Games.

Oggi è Giulia Cecchettin, ieri Giulia Tramontano: con le solite ricette e le promesse non si cambia
Giulia Cecchettin (Ansa).

Ogni volta si ripetono le inutili ricette: dalle pene più severe alla promessa di prevenzione nelle scuole

Tanto è sinistro e inafferrabile il compiaciuto teatro dell’orrore che mettiamo su per questo tipo e solo per questo tipo di femminicidi, quanto sono ridicoli, nella loro inutilità e ripetitività, i tentativi di contrastare la violenza di genere con le solite ricette: le immancabili pene più severe e la promessa di prevenzione fin dalle scuole con corsi di educazione all’affettività. In un Paese governato da una signora che si è tenuta per anni un partner sessista e molestatore, e che all’opposizione vede un’altra signora che si è fidanzata con una donna (combinazione meno pericolosa per l’incolumità fisica), adulti infelici, poco pagati e spesso alle prese loro stessi con problemi relazionali, pretenderanno di insegnare agli adolescenti come costruire una relazione eterosessuale rispettosa. Platonica, naturalmente, visto che sono più di 40 anni che si chiede invano di fare educazione sessuale nelle scuole. Quarant’anni fa la ministra Roccella era ancora femminista e abortista e Pillon al collo portava solo il fiocco del grembiule, quindi non è proprio il caso di dare la colpa a loro.

Nemmeno la parità di genere riesce a contrastare la violenza sulle donne

Ma anche se l’educazione sessuale venisse finalmente introdotta nelle scuole, se i corsi di affettività non fossero una barzelletta, se (esageriamo) tutta la società italiana facesse passi da gigante sul piano delle pari opportunità, del pay-gap, dell’accesso delle donne a posizioni apicali, insomma, se l’Italia diventasse come la Finlandia, patria del modello scolastico ammirato in tutto il mondo, stroncheremmo la violenza contro le donne? I numeri dell’European Institute for Gender Equality dicono di no. L’uguaglianza di genere non contrasta la violenza di genere, o almeno non abbastanza. In Finlandia il 61 per cento degli omicidi con vittime donne sono perpetrati da partner o familiari, e il 47 per cento delle finlandesi afferma di avere subito molestie e violenze. La legge finlandese non contempla neppure il femminicidio o la violenza di genere come crimini specifici. Il luogo più pericoloso per le donne in Europa è l’Irlanda del Nord, che ha un tasso di violenza domestica triplo rispetto a Inghilterra e Galles. La sessista Italia è quartultima nella classifica europea dei femminicidi, dominata da Lituania e Lettonia, cui seguono Germania, Francia e Paesi Bassi. Che la civilissima Svezia sia penultima sorprende meno del fatto che il Paese europeo con meno femminicidi sia la Grecia, anche se negli ultimi anni si è registrato un clamoroso aumento. Non parliamo degli Stati Uniti, la terra del #MeToo e del politically correct, che marcia al ritmo di tre femminicidi al giorno, il triplo della Turchia di Erdogan.

Oggi è Giulia Cecchettin, ieri Giulia Tramontano: con le solite ricette e le promesse non si cambia
Scarpe rosse, simbolo della lotta alla violenza contro le donne, in Francia (Getty Images).

In Iran la violenza si fa scudo della religione, in Occidente dell’amore passionale: la stessa fetida minestra chiamata patriarcato

L’Occidente cristiano è pieno di cripto-ayatollah in versione domestica che se la loro partner rivendica libertà di uscire, di laurearsi, di viaggiare, e di vestirsi come le pare, o anche di lasciarli, le fanno quello che la polizia morale iraniana ha fatto a Mahsa Amini o ad Armita Geravand. In Iran la violenza di genere si fa scudo della religione, da noi dell’amore passionale, ma è la stessa fetida minestra secolare chiamata patriarcato. Allevati e allevate da millenni con questa minestra, ora dobbiamo inventarcene una nuova e abituarci tutti, e non è cosa né facile né breve. Nel frattempo l’unica soluzione ragionevole per limitare la strage di donne, più che insegnare l’affettività ai maschi (chi ha visto le reazioni degli adolescenti medi durante gli incontri scolastici sulla violenza di genere sa che la partita è difficile, se non persa in partenza) sembrerebbe insegnare l’anaffettività alle femmine.

Usa 2024, Trump avanti di 39 punti su DeSantis in Florida

L’ex presidente Donald Trump è avanti di 39 punti percentuali rispetto al suo rivale repubblicano Ron DeSantis in Florida. Lo rivela un sondaggio dell’University of North Florida. Secondo la proiezione, il tycoon ha ottenuto il 60 per cento dei consensi tra i repubblicani registrati, mentre il suo rivale più accreditato solo il 21 per cento. Si tratta di una sonora batosta per DeSantis, che è l’attuale governatore della Florida. Nikki Haley, ex ambasciatrice all’Onu, è terza con il 6 per cento mentre l’ex governatore del New Jersey Chris Christie ha raccolto appena il 2 per cento dei consensi.

Usa 2024, Trump avanti di 39 punti su DeSantis in Florida in vista delle primaerie del partito repubblicano.
Ron DeSantis (Getty Images).

DeSantis alla Cnn: «Non si può sconfiggere il tempo che passa, nemmeno Trump può farlo»

Il 19 novembre DeSantis, nel corso di un intervento sulla Cnn, ha affermato che la presidenza «non è un lavoro per qualcuno che si avvicina agli 80 anni», chiaro riferimento innanzitutto al 77enne Trump, dato ampiamente per favorito nelle primarie dell’Elefantino, e poi all’attuale inquilino della Casa Bianca Joe Biden, che proprio il 20 novembre ha compiuto 81 anni. «Non si può sconfiggere il tempo che passa, nemmeno Trump può farlo», ha detto al giornalista Jake Tapper durante il programma State of the Union. Il governatore della Florida ha affermato di essere «nel fiore degli anni», sottolineando che il tycoon, se dovesse entrare in carica nel 2025, comincerebbe il suo secondo mandato a un’età più avanzata rispetto a quella di “Sleepy Joe” all’inizio del suo.

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