A che punto è la discussione della giunta sul caso Gregoretti

I 23 senatori stanno studiando il dossier che coinvolge l'ex ministro dell'Interno. Il timing per il 20 gennaio dovrebbe essere rispettato. Ma potrebbe esserci un rinvio per non influenzare il voto del 26 in Emilia e Calabria.

La Giunta delle immunità del Senato è entrata nel vivo del caso Gregoretti per decidere sull’autorizzazione a procedere, chiesta dal tribunale dei ministri di Catania nei confronti di Matteo Salvini quand’era alla guida del Viminale. Sul tavolo dei 23 senatori nel complesso barocco di Sant’Ivo alla Sapienza, c’è la memoria scritta presentata dal leader della Lega. Nove pagine per difendersi dall’accusa di sequestro di persona contestata dal tribunale ma su cui la procura catanese ha chiesto l’archiviazione.

SUL TAVOLO UN POSSIBILE RINVIO DEL VOTO

Nel dubbio, il diretto interessato ha insistito: «Se vogliono mandarmi in galera, non trovano un uomo preoccupato ma orgoglioso di aver difeso i confini. Io al governo rifarei lo stesso», ha ammonito a Radio 24. Ma in attesa del verdetto della Giunta, previsto il 20 gennaio, nei corridoi parlamentari corre voce di un rinvio del voto a dopo le regionali del 26 gennaio. Del resto i 30 giorni a disposizione della Giunta, e che scadono attorno al 20 gennaio, non sono un termine perentorio, mentre sono rilevanti i 60 giorni entro i quali deve esprimersi l’aula del Senato per il voto definitivo.

I DUBBI SUL POSSIBILE IMPATTO SUL VOTO IN EMILIA

Il rischio – secondo alcuni – è che la ‘condanna’ della Giunta possa creare un effetto ‘martire’ attorno al ‘capitano’, con un boom di consensi a una settimana dal voto cruciale in Emilia-Romagna e in parte in Calabria. Troppo rischioso, insomma. In ogni caso, perché il voto slitti deve esserci una richiesta motivata da parte dei senatori della Giunta. Poi deciderà l’ufficio di presidenza. Niente di concreto, al momento, per il presidente della Giunta, il senatore Maurizio Gasparri che ha continuato a lavorare sul caso e in particolare sulla proposta che dovrà fare in quanto relatore. Quindi ha tagliato corto e assicurato che i tempi per una discussione approfondita ci sono.

I TEMI DI LAVORO DELLA GIUNTA

Il calendario fissato a dicembre conta cinque riunioni, compresa quella finale e due sono di lunedì, quando in genere non si riunisce l’Aula. Considerando che ogni senatore ha 10 minuti per intervenire, non è il tempo a mancare. In ogni caso, nel pomeriggio la Giunta potrebbe ‘limitarsi’ a prendere atto della memoria di Salvini con qualche commento e far partire la discussione direttamente sulla proposta del relatore, che potrebbe esser pronta entro fine settimana. Sulla carta comunque i numeri sembrano chiari e più orientati a mandare a processo il leghista.

LA GIUNTA PROPENDE PER IL VIA LIBERA

Sarebbero infatti 13 i “sì” (M5s, Pd, Iv e probabilmente i tre senatori del Misto) e 10 i contrari, tutti del centrodestra. Parecchi però tacciono in attesa di leggere tutte le carte. I 5Stelle si riuniranno per fare il punto sulla questione. A far pendere la bilancia da una parte all’altra è la somiglianza o meno con il caso Diciotti che portò Salvini davanti alla Giunta un anno fa. Anche allora la sua versione fu che il mancato sbarco dei migranti era stata un’azione collegiale del governo. Stavolta però nella sua difesa manca l’endorsement scritto del premier e dell’allora vicepremier Di Maio. Ci sono invece le mail dei dirigenti di vari ministeri che dimostrano – secondo Salvini – che tutto il governo sapeva, Conte compreso.

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All’America non piace la guerra di Trump contro l’Iran

Manifestazioni in 80 città degli Stati Uniti dopo l’omicidio mirato di Soleimani. Si teme una nuova palude in Medio Oriente. Mentre i dem alla Camera annunciano una risoluzione per limitare il presidente.

In più di 80 città degli Usa si manifesta contro lo strike al generale iraniano Qassem Soleimani. Davanti alla Casa Bianca un migliaio di pacifisti ha condannato il gigantesco azzardo di Donald Trump, e tra loro come sempre da tempo è spiccata un’infervorata Jane Fonda.

DE NIRO CONTRO I PIANI DEL «GANGSTER»

L’attrice e attivista americana che negli Anni 70 si mobilitò contro la palude del Vietnam protesta per scongiurare il «nuovo Vietnam in Medio Oriente». Che milioni di americani temono e che Teheran promette giurando vendetta. Robert De Niro, che a Trump non le manda a dire, è convinto iniziare una guerra sia «l’unico modo» per il «gangster» di «farsi rieleggere».

ALTRI ATTI PER INTERDIRE THE DONALD

Guarda caso con il 2020 si è aperto al Senato il processo per l’impeachment, dove a sorpresa il falco repubblicano John Bolton si è fatto avanti per testimoniare come chiesto dai dem. Se non altro il finimondo scatenato in Medio Oriente oscura la campagna mediatica internazionale sulla messa in stato di accusa di Trump. Eppure proprio l’omicidio mirato di Soleimani in Iraq innesca altri atti per interdire il presidente.

STRIKE LEGITTIMO? DUBBI ANCHE OLTREOCEANO

Diversi esperti di diritti umani e strateghi contestano alla Casa Bianca la «liceità» dell’uccisione di un alto comandante militare, in un Paese terzo, come nel caso di Soleimani. Un «atto di guerra (non la reazione «di difesa» rivendicata dalla segreteria di Stato Usa) anche per l’ex consigliere del presidente Jimmy Carter durante la crisi degli ostaggi all’ambasciata Usa di Teheran Gary Sick, tra i massimi conoscitori americani dell’Iran. L’argomentazione di un «attacco terroristico imminente» pianificato da Soleimani contro gli Stati Uniti – dossier dichiarato coperto da segreto di Stato – lascia perplessi anche Oltreoceano. Tecnicamente gli omicidi mirati, anche di figure statali del calibro del comandante delle forze all’estero al Quds dei Guardiani della rivoluzione, sono ammessi dall’articolo 2 della Costituzione Usa sulla legittima difesa – ma in circostanze limitatissime. A patto che sia pressoché certa la minaccia imminente.

Iran Soleimani Trump caos Usa
Americani contro la guerra all’Iran di Trump, Usa. (Getty).

NANCY PELOSI TORNA ALLA CARICA

L’incaricata dell’Onu sulle esecuzioni extragiudiziali Agnes Callamard, che ha appena guidato l’inchiesta sull’omicidio di Jamal Khashoggi, chiede «trasparenza» dalla Casa Bianca, su un atto estremo – anche per conseguenze – sul quale l’Amministrazione è tenuta a rendicontare. Anche per l’esperta di intelligence, ed ex advisor dell’Onu, Hina Shamsi quanto finora affermato da Trump e dal suo accondiscendente segretario di Stato Mike Pompeo non è convincente come giustificazione: «Se ci sono più informazioni il presidente deve prendersi la responsabilità di diramarle. Non possiamo tirare a indovinare». Per i dem lo strike a Soleimani è «dinamite in una polveriera», ha esclamato l’ex vicepresidente Joe Biden. Mentre la presidente della Camera Nancy Pelosi – già promotrice dell’impeachment – ha annunciato al voto dell’assemblea a maggioranza democratica una risoluzione «sui poteri di guerra per limitare le azioni militari del presidente».

LA LETTERA SUL RITIRO AMERICANO DALL’IRAQ DIFFUSA PER ERRORE

Un testo per riaffermare la «responsabilità di supervisione del Congresso. Rendendo obbligatoria, in assenza di ulteriori azioni parlamentari, la fine entro 30 giorni delle ostilità militari contro l’Iran», ha anticipato Pelosi. Tenuto conto dell’«attacco «provocatorio e sproporzionato» che «ha messo in serio pericolo i nostri militari, i nostri diplomatici e altri, rischiando una grave escalation di tensione con l’Iran». Il riferimento è alle migliaia di rinforzi mandate dagli Usa con ponti aerei a inizio 2020, in aggiunta alle migliaia di unità già presenti in Medio Oriente. Quando ancora alla fine dell’anno la Casa Bianca premeva per smantellare questi contingenti, dopo il repentino disimpegno dalla Siria. Un clima schizofrenico: dopo lo strike di Soleimani, circola in Rete una misteriosa lettera per la Difesa irachena del Comando generale Usa sul «riposizionamento delle unità» per un «ritiro sicuro», nel «rispetto della sovranità irachena». «Diffusa per errore», ha ammesso il Pentagono, «ma esistente».

Iran Soleimani Trump caos Usa
In Times Square, a New York, contro le guerre di Trump in Medio Oriente. GETTY.

DAL PENTAGONO ALT ALLA MINACCIA VERSO I SITI CULTURALI

La Germania e altri Paesi europei hanno iniziato a «snellire» i contingenti in Iraq, l’Italia a «riposizionare» le sue unità fuori dalle basi Usa attaccate a colpi di mortaio. La Nato in sé si è distaccata pubblicamente dall’operazione contro Soleimani «decisa solo dagli Usa». Mentre anche Oltreoceano il Pentagono ha smentito platealmente la minaccia di rappresaglia, diffusa e rilanciata via Twitter dal presidente americano, di «colpire i siti culturali», contraria alle leggi internazionali sui conflitti armati. Tutto il mondo si è levato contro i raid su Persepoli e sulla ventina di siti persiani patrimonio dell’umanità dell’Unesco: un crimine di guerra in base alla Convenzione dell’Aia del 1954. Ma le migliaia di americani in piazza chiedono di più per le Presidenziali del 2020: «Stop alle bombe in Iraq» e «militari fuori da tutto il Medio Oriente», prima che l’Iran e le sue milizie sciite alleate li caccino col sangue. Il 2 gennaio negli Usa era in programma una trentina di cortei nel weekend, per l’impeachment di Trump.

IMPEACHMENT E IRAN: PROTESTE A CATENA

I razzi del 3 gennaio contro Soleimani e il leader degli Hezbollah iracheni Abu Mahdi al Muhandis hanno moltiplicato le contestazioni. Numeri che in America non si vedevano dalla guerra in Iraq del 2003. A Times Square a New York, davanti alla Trump Tower a Chicago, a Memphis, Miami, San Francisco: contro il flagello di Trump il popolo dei pacifisti – e non solo – è in moto come ai tempi del Vietnam. Un caos anche Oltreoceano, dove lo choc mondiale provocato da Trump sull’Iran si somma alle acque agitate per l’impeachment. È doppio combustibile per le sessioni infuocate del Congresso. Non casuale, in proposito, è il sì di Bolton a parlare per la messa in stato di accusa del presidente: i dem considerano un loro trionfo il passo dell’ex advisor (silurato) di Trump alla Sicurezza nazionale. E nessuno, anche tra i repubblicani, converrebbe come la Casa Bianca che con la morte di Soleimani gli americani «sono più sicuri». Tranne probabilmente Bolton, ma neanche la guerra all’Iran di Trump lo ha placato.

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Una ‘sorella’ della Terra distante 100 anni luce

Si chiama TOI 700 d, ed è stata individuata dal nuovo cacciatore di pianeti della Nasa. Una scoperta che parla anche italiano.

A circa 100 anni luce di distanza c’è una ‘sorella’ della Terra, che si trova nella cosiddetta zona abitabile, ossia alla distanza ideale dalla sua stella per avere acqua liquida in superficie. Si chiama TOI 700 d ed è stata individuata dal nuovo cacciatore di pianeti Tess, della Nasa. Il risultato è stato annunciato al convegno della Società astronomica americana, dal gruppo guidato da Emily Gilbert, dell’università di Chicago. Vi partecipano anche gli italiani Giovanni Covone, astrofisico dell’università Federico II di Napoli e associato dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), e lo studente Luca Cacciapuoti della Federico II.

IN CERCA DI OSSIGENO E ACQUA

«Questo risultato è molto importante per Tess perché è il primo pianeta simile alla Terra scoperto dal telescopio spaziale», dice Covone. Il prossimo passo, aggiunge, sarà verificare se il pianeta ha un’atmosfera e quale è la sua composizione chimica. «Cercheremo soprattutto tracce di ossigeno e acqua che» – spiega l’esperto – «sono le prime indicazioni importanti dell’eventuale presenza di forme di vita». Lanciato nel 2018, Tess cerca i pianeti osservando eventuali cali nella luminosità della stella causati dal loro passaggio. Così ha trovato tre pianeti intorno alla stella TOI 700, che è una nana rossa, la cui massa è circa la metà di quella del Sole. Dei tre mondi, il più affascinante è TOI 700 d, il pianeta più esterno, che è roccioso e poco più grande della Terra (del 20%). Il pianeta ha un anno lungo 37 giorni e ha temperature miti in superficie perché riceve dalla sua stella l’86% dell’energia che la Terra riceve dal Sole. Altra caratteristica che lo rende simile alla Terra è la tranquillità della sua stella che in 11 mesi di osservazioni non ha mostrato segni di eruzioni.

INCOGNITE SULLA NASCITA DELLA VITA

Il pianeta rivolge sempre la stessa faccia alla sua stella, come fa la Luna con la Terra, perché impiega lo stesso tempo sia per ruotare su se stesso che per girare intorno alla stella, ma questo potrebbe non essere un limite per la nascita della vita. Tuttavia, rileva Covone «bisogna vedere che tipo di vita si potrebbe formare su un pianeta senza l’alternanza di giorno e notte, per questo TOI 700 d sarà un bel laboratorio per l’astrobiologia». La scoperta è stata confermata dal gruppo coordinato da Joseph Rodriguez, del Centro americano Harvard-Smithsonian, grazie alle osservazioni del telescopio spaziale Spitzer della Nasa, mentre il gruppo di Gabrielle Englemann-Suissa, dell’americana Universities Space Research Association, ha tracciato l’identikit del pianeta con delle simulazioni. In una di esse TOI 700 d è un mondo coperto di acqua con un’atmosfera dominata dalla CO2, mentre in un’altra è secco e senza nuvole. “Sono due ipotesi alternative su cui è difficile scommettere ma – conclude Covone – simulazioni come queste sono utili per capire cosa dobbiamo aspettarci quando andremo a osservare il pianeta in modo diretto”.

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Le mosse diplomatiche di Ue e Italia sulla crisi libica

L'Alto rappresentante Borrell e i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Regno Unito e Germania sono rimasti bloccata a Bruxelles senza sbocchi. E il vertice di pace a Berlino resta un miraggio.

Naufragata la missione diplomatica dell’Unione europea che avrebbe voluto tentare di convincere le due fazioni libiche a deporre le armi, l’Alto rappresentante Josep Borrell e i quattro ministri degli Esteri di Italia, Francia, Regno Unito e Germania hanno dovuto ripiegare su una riunione a Bruxelles. Per ragioni di sicurezza dopo gli ultimi attacchi, è stata la motivazione ufficiale, anche se a pesare sulla decisione con ogni probabilità è stata anche la contrarietà all’iniziativa lasciata trapelare nei giorni scorsi dal governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj, forte ora del sostegno militare garantito dalla Turchia.

L’INCOGNITA TURCA A BENGASI

Nell’incontro, fatto traslocare in fretta e furia nella capitale europea, non si è potuto dunque fare altro che ribadire una serie di appelli di principio già espressi nei giorni scorsi dagli stessi attori che hanno partecipato alla riunione: la necessità del dialogo, l’invito a interrompere le interferenze esterne, la de-escalation. Mentre sul campo la realtà procede a passi spediti in tutt’altra direzione, con il generale Khalifa Haftar che sfrutta ogni secondo utile per cercare di guadagnare terreno con le sue truppe, con i soldati turchi che hanno già iniziato a dispiegarsi nel Paese per aiutare Sarraj, con la possibile presenza di mercenari e mezzi russi a fianco delle forze di Bengasi.

IL TOUR DE FORCE DIPLOMATICO DI DI MAIO

L’Europa pensa che sia ancora possibile riuscire a fermare con le parole questo marchingegno sempre più veloce e complicato. In Libia «bisogna parlare con tutti e convincerli a un cessate il fuoco», ha insistito il ministro Luigi Di Maio prima di volare alla volta della Turchia per mettere subito in pratica il proposito, incontrando il ministro degli Esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu. Il titolare della Farnesina si sposterà poi nel giro di qualche giorno prima in Egitto, Paese vicino invece ad Haftar, e quindi in Algeria e in Tunisia. Una maratona diplomatica che dimostra la volontà italiana di garantirsi un ruolo di mediazione mantenendosi su una posizione equidistante dalle fazioni in lotta. «Ma l’Ue deve parlare con una voce sola», ha ammonito Di Maio a Bruxelles, dicendosi sicuro che le iniziative europee «vedranno un cambio di passo» nei prossimi giorni.

IL MIRAGGIO DEL VERTICE DI BERLINO

Un invito che affonda il coltello in quella che storicamente è una delle debolezze dell’Ue nella sua proiezione sulla politica estera e che fa il paio con l’appello del commissario europeo italiano Paolo Gentiloni, secondo il quale l’Unione europea deve ora «evitare di trovarsi di fronte a fatti compiuti» e farsi superare da una situazione geopolitica che va «più veloce della nostra ambizione». Per ora l’unica iniziativa concreta a livello europeo sembra essere la conferenza sulla Libia di cui si parla da mesi e che a Berlino dovrebbe far sedere intorno a un tavolo tutti gli attori regionali coinvolti in qualche modo nel conflitto. Anche l’Algeria, che era finora stata tenuta fuori, è stata invitata da Angela Merkel a partecipare all’incontro, per il quale tuttavia non è stata fissata ancora nemmeno una data e che continua a slittare.

IL PESO DELLA CRISI IRANIANA SULLA LIBIA

Intanto, mentre tutti osservano gli sviluppi sul terreno, i valzer dei colloqui e delle telefonate incrociate proseguono. Tra i protagonisti c’è naturalmente anche la Russia, con Putin che vedrà prima Erdogan e poi nel fine settimana la cancelliera tedesca. Anche se l’attenzione e la preoccupazione del mondo, probabilmente anche quella dell’Unione europea, in questo momento sembra essere maggiormente concentrata sulla crisi dell’Iran. E tra i corridoi delle istituzioni europee circolano voci, non confermate, sulla possibilità di un vertice a livello di capi di Stato e di governo sulla complessa situazione mediorientale.

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Perché in Spagna il governo Sanchez è nato già sotto scacco

Coalizione con otto partiti. Più o meno di sinistra. E due soli voti di margine in parlamento. L'esecutivo preannuncia turbolenze. Con la spina della questione catalana. E difficilmente avrà la forza di proporre riforme strutturali.

Con molta fatica e un margine risicatissimo, il parlamento spagnolo ha partorito un nuovo governo, il primo di coalizione nella storia del Paese. Ma la via crucis di Pedro Sánchez, diventato presidente dopo vari tentativi falliti, potrebbe essere solo all’inizio.

CATALOGNA SPINA NEL FIANCO

Una coalizione dalle molteplici posizioni (otto partiti in tutto, più o meno di sinistra) e la risposta all’interminabile questione catalana saranno spine nel fianco di una legislatura che si annuncia parecchio turbolenta. E il presidente dell’esecutivo deve fare attenzione a ogni sua mossa.

ACROBAZIE ALLA RICERCA DEI VOTI

Con i risultati delle elezioni del 10 novembre 2019 era chiaro che l’investitura di Sánchez non sarebbe stata una passeggiata, ma dopo l’accordo-lampo con Unidas Podemos (per fare il governo) e quello più complicato con gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya (per assicurarsene l’astensione nel voto) la strada sembrava in discesa. Nel secondo dibattito di investitura, infatti, al numero uno dei socialisti non serviva più la maggioranza dei voti della Camera, ma soltanto un numero di “sì” superiore ai “no” fra i 350 seggi.

PRESENTE ANCHE UNA PARLAMENTARE COL CANCRO

L’aritmetica parlamentare della coalizione faticosamente cesellata in settimane di negoziati ha però rischiato seriamente di saltare per aria al momento della verità. La deputata di Coalición Canaria, Ana Oramas, aveva disatteso le indicazioni del suo partito e annunciato il voto contrario al governo, riducendo il margine di vantaggio a sole due lunghezze. Le sorti dell’investitura dipendevano quindi da ogni singola presenza, compresa quella di Aina Vidal, parlamentare catalana di Podemos malata di cancro che stoicamente si è presentata in Aula ricevendo l’applauso dell’emiciclo.

LO SPETTRO DEI FRANCHI TIRATORI

Nella Camera del Congresso, però, aleggiava comunque lo spettro del “tamayazo”, il termine usato in Spagna per connotare l’azione dei franchi tiratori, dal nome di Eduardo Tamayo, un socialista madrileno che nel 2003 regalò la presidenza regionale agli avversari. L’opposizione, sfaccettata tanto quanto la coalizione di governo, ha cercato fino all’ultimo di recuperare il singolo voto che avrebbe potuto bloccare l’investitura, che in Spagna avviene per voto palese a chiamata in ordine alfabetico. La leader di Ciudadanos, Inés Arrimadas, ha chiesto a viso aperto e con un discorso accorato l’intervento di franco-tiratori nel Psoe: «Non c’è nemmeno uno, un solo coraggioso in questa tribuna?».

DA DESTRA SI URLA AL «TRADIMENTO» DELLA SPAGNA

Da destra Pablo Casado e Santiago Abascal, a capo di Partido popular e Vox, hanno battuto sul ritornello del «tradimento alla Spagna» per l’intesa di Sánchez con i separatisti, nella speranza remota di convincere qualcuno a modificare il voto e in quella meglio riposta di aizzare l’elettorato. È finita 167 a 165, con 18 astensioni: tra citazioni di Manuel Azaña, Che Guevara e Groucho Marx, è risultata decisiva la fermezza di Tomás Guitarte, deputato del micro-partito provinciale Teruel Existe che ha ricevuto quasi 9 mila mail (alcune con contenuto intimidatorio) per cambiare lato della barricata e ha dovuto passare la notte prima del dibattito in un luogo segreto.

DIFFICILE FARE RIFORME SULL’ECONOMIA

Per arrivare alla Moncloa, Sánchez ha dovuto negoziare l’astensione di due partiti regionali con largo seguito, Eh Bildu (formazione di estrema sinistra basca, con ex sostenitori di Eta fra le sue fila) ed Esquerra Republicana de Catalunya, la voce più forte dell’indipendentismo catalano. Come spiegato da Ignacio Molina, senior analyst del Real Instituto Elcano, in una situazione del genere è molto difficile intraprendere riforme strutturali in ambito economico, dove i due soci maggioritari di governo potrebbero non essere d’accordo, mentre sarà relativamente più semplice lavorare sul welfare o sulla politica estera e di sicurezza.

NESSUNA ALTERNATIVA POSSIBILE

Al contrario di quanto succede in Italia, secondo Molina in Spagna un governo eletto con un margine ristretto non è una condizione particolarmente grave perché non c’è nessuna alternativa possibile, vista anche l’attuale polarizzazione del parlamento. «Ci sono due casi in cui l’esecutivo potrebbe cadere: la rottura fra Psoe e Unidas Podemos, che porterebbe Sánchez alle dimissioni e il Paese alle elezioni, oppure il blocco di leggi importanti come quella di bilancio da parte di Erc e Eh Bildu».

Con la nostra gente in carcere non mi importa nulla della governabilità del Paese


Montserrat Bassa di Esquerra Republicana de Catalunya

In particolare è l’accordo fra Psoe ed Erc a destare preoccupazione, visto che i primi vorrebbero pacificare la Catalogna e i secondi ottenere l’indipendenza dalla Spagna. Montserrat Bassa di Erc, nel caso qualcuno nutrisse dubbi, durante il suo intervento ha detto: «Con la nostra gente in carcere non mi importa nulla della governabilità del Paese. Ma il dialogo è l’unica via per raggiungere una Repubblica catalana cordialmente con gli spagnoli».

CAOS NEL GOVERNO CATALANO

A questa naturale differenza di intenti si aggiunge il caos nel governo catalano, visto che l’attuale presidente della Generalitat, Quim Torra, separatista radicale, ha subìto dalla Junta electoral central un’inabilitazione come parlamentare per disobbedienza e se non vince il ricorso dovrà lasciare la presidenza: provvedimento che è subito (e alquanto paradossalmente, almeno dal punto di vista linguistico) stato definito «colpo di Stato» dagli indipendentisti. Nell’accordo scritto si conviene soltanto «il riconoscimento di un conflitto politico in Catalogna» e «la creazione di un tavolo di dialogo per risolverlo». Parole ricche di buoni propositi, ma di difficile traduzione in misure concrete.

SANCHEZ NON ACCETTERÀ UN REFERENDUM SULL’INDIPENDENZA

Ignacio Molina ha affermato: «Questi concetti hanno un forte impatto simbolico, ma vogliono dire molto poco dal punto di vista pratico. Il governo non farà nulla che alteri la Costituzione, e anche volendo non potrebbe perché gli mancano i numeri necessari. Sicuramente non accetterà un referendum sull’indipendenza catalana. Il tavolo di dialogo servirà per raffreddare il conflitto in atto e parlare di possibili riforme minori sull’autonomia, al massimo per risolvere la questione dei politici catalani in carcere».

I POPOLARI ASSUMONO POSIZIONI PIÙ RADICALI

Il dibattito di investitura ha anche mostrato un’accesa lotta per accreditarsi come leader dell’opposizione fra Casado e Abascal. Casado, che abitualmente viaggia in ambo i sensi di marcia tra il centro e la destra a seconda della convenienza, sembra avere assunto posizioni più radicali e puntare dritto a recuperare per il Pp i voti di Vox. Abascal, invece, non aveva certo bisogno di rinsaldare la sua immagine di uomo forte e intransigente difensore della nazione. Tuttavia non ha rinunciato a definire il nuovo governo come «un golpe istituzionale, matrimonio tra la bugia e il tradimento» e a concludere il suo intervento con un doppio «Viva España» e «Viva el rey» da capo ultrà, ricevendo per tutta risposta il coro dei suoi.

CIUDADANOS LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

Molto di questa sfida intestina alla destra dipende per Molina dalla sinistra, cioè da cosa farà il governo: «Se nella legislatura dominano temi economici e sociali ne trarrà vantaggio Casado. Ma più il dibattito si polarizza, peggio è per lui: il leader del Pp deve allo stesso tempo trattenere i suoi elettori più nazionalisti dalle lusinghe di Vox ed evitare le “guerre culturali” che il partito di Abascal potrebbe mettere in agenda». Lotterà invece per la sopravvivenza Inés Arrimadas, erede di Albert Rivera alla guida di Ciudadanos, che aveva proposto a Sánchez un patto di governo di costituzionalisti moderati. Nella Spagna profondamente divisa di oggi, una pura utopia.

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L’Antitrust mette nel mirino nove squadre di Serie A

Avviati procedimenti nei confronti di Inter, Milan, Roma, Lazio, Juventus, Cagliari, Genoa, Udinese e Atalanta. I club utilizzerebbero «clausole vessatorie nei contratti di acquisto di abbonamenti e biglietti per le partite».

Inter , Milan, Roma, Lazio, Juventus, Cagliari, Genoa, Udinese e Atalanta sono le nove società di Serie A nel mirino dell’Antitrust che ha avviato nove procedimenti istruttori per «clausole vessatorie nei contratti di acquisto di abbonamenti e biglietti per le partite». Si tratta, in particolare, di clausole che non riconoscerebbero il diritto a ottenere il rimborso di tutto o parte dell’ abbonamento o del singolo biglietto, in caso di chiusura dello stadio o rinvio di partita, e a ottenere risarcimenti per fatto della società.

ARCHIVIATA LA POSIZIONE DI BOLOGNA E PARMA

L’attività istruttoria in corso fa seguito – si legge in una nota dell’Antitrust – al mancato accoglimento dell’invito rivolto dall’Autorità alle nove società lo scorso 8 maggio 2019, tramite una comunicazione di moral suasion con la quale era stato richiesto ai club di adottare iniziative dirette a rimuovere le evidenze appena richiamate. A queste richieste hanno risposto positivamente solo Bologna e Parma. Queste ultime – sottolinea l’Antitrust – hanno «effettivamente modificato le loro condizioni generali di contratto, con la rimozione dei profili di possibile vessatorietà ivi rilevati nelle rispettive lettere. Per queste due ultime società sono stati archiviate le rispettive procedure.

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Le mosse della Russia alla luce della crisi tra Usa e Iran

Putin è volato a sorpresa in Siria per incontrare Assad. Un vertice di sicurezza prima dell'incontro ad Ankara con Erdogan. Così Mosca tenta di puntellare il Medio Oriente dopo la morte di Soleimani.

Nel pieno della crisi che ha investito il Medio Oriente dopo l’eliminazione da parte degli Usa del generale Qassem Soleimani, il presidente russo Vladimir Putin, a sorpresa, si produce in una sortita in Siria, dove ha incontrato il rais Bashar al-Assad. Un fuori programma che si è saldato con la visita prevista per l’8 gennaio a Istanbul – in agenda invece da tempo per tenere a battesimo il gasdotto TurkStream insieme al collega turco Recep Tayyip Erdogan – e che andrà ad aumentare il profilo di mediatore costruito sapientemente dallo zar nel corso dell’ultimo anno.

SUL TAVOLO LIBIA, SIRIA E QUESTIONE ENERGETICA

Il tema del gas, infatti, a questo punto resterà sullo sfondo e per forza di cose la geopolitica prenderà il sopravvento (benché lo scatto in avanti d’Israele, Cipro e Grecia per realizzare il condotto Eastmed, inviso alla Turchia e di certo non gradito da Mosca, va ad aggiungersi al delicato gioco di alleanze in corso nel Mediterraneo orientale). Putin ed Erdogan faranno così il punto della situazione e il Cremlino ha fatto sapere che a Istanbul «si discuterà dell’ulteriore sviluppo della cooperazione russo-turca e di temi internazionali rilevanti, inclusa la situazione in Siria e in Libia».

ANKARA E MOSCA SUI DUE FRONTI LIBICI

La Libia d’altra parte sembra essere il nodo più spinoso sul tavolo, dato che Mosca – pur sostenendo di aver sempre mantenuto rapporti equidistanti fra le parti – ha sostenuto Haftar, c’è chi dice con uomini e mezzi, mentre Ankara si appresta a inviare truppe per spalleggiare il governo di Tripoli. Insomma, se in Siria Putin ed Erdogan hanno trovato un accordo, in Libia rischiano di trovarsi su fronti contrapposti. La crisi siriana, poi, è tutt’altro che faccenda conclusa.

I RISCHI DEL CAOS IRANIANO SULLA SIRIA

L’Iran, terzo puntello della triplice alleanza per tenere in sella Assad (e suo alleato più convinto), ora si ritrova sotto tiro e una sua reazione scomposta potrebbe far saltare i difficili equilibri sperimentati sul campo. Putin, che in Siria visiterà non solo Damasco ma anche “altri siti” non meglio precisati, ha voluto sottolineare come nella capitale siriana «si possano notare, ad occhio nudo, segni di vita pacifica in ripresa». Traduzione: non si metta a rischio l’exit-strategy stilata sin qui per rimettere in piedi la Siria.

UN TOUR PER SONDARE GLI ANIMI

Ecco allora che la sortita dello zar appare come un tour a tappe forzate per sondare gli animi da vicino. Dopo Assad ed Erdogan, infatti, Putin vedrà anche Angela Merkel a Mosca l’11 gennaio appositamente invitata per parlare di «Siria, Libia e Ucraina». Altra mossa per mettere il colbacco sulla crisi mediorientale e mostrarsi come leader responsabile che tenta di risolvere i problemi invece di crearli.

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Dalla rovente Italia un altro allarme sul riscaldamento globale

Il 2019 è stato il quarto anno più cocente dal 1800. Dopo 2014, 2015 e 2018. Il decennio che si è chiuso risulta dunque il peggiore di sempre per il nostro Paese. Gli effetti dei cambiamenti climatici nei dati del Cnr.

E adesso i negazionisti del riscaldamento globale saranno ancora un filo più imbarazzati. Perché dall’Italia è arrivata un’ulteriore conferma dei cambiamenti climatici che stanno interessando il Pianeta. Con il secondo dicembre più caldo dal 1800 a oggi, infatti, il 2019 ha chiuso con un’anomalia di +0,96 gradi sopra la media, risultando il quarto anno più caldo per il nostro Paese dopo il 2014, 2015 e 2018.

DATI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

È finito così il decennio più rovente di sempre in Italia, secondo quanto ha rilevato Michele Brunetti, responsabile della Banca dati di climatologia storica dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Bologna. Con buona pace dei giornali di destra che provano a smontare l’attivismo di Greta Thunberg, ogni volta che la temperatura cala, a suon di “Ma se fa freddo”.

TEMPERATURA IN CONTINUA CRESCITA

Analogamente a quanto è accaduto su scala globale, ha spiegato l’esperto del Cnr in una nota, anche nel nostro Paese ciascuno degli ultimi quattro decenni è risultato più caldo del precedente: dal 1980 a oggi la temperatura è cresciuta in media di 0,45 gradi ogni 10 anni. I dati relativi al 2019 non fanno che confermare questo trend in continua crescita.

NEL 2019 OTTO MESI SU 12 DA RECORD

Con dicembre (+1,9°C di anomalia rispetto alla media del periodo di riferimento 1981-2010), sono otto i mesi dell’anno rientrati nella top 10 delle rispettive classifiche mensili: marzo (nono più caldo, +1,48°C), giugno (secondo più caldo, +2,57), luglio (settimo più caldo, +1,29°C), agosto (sesto più caldo, +1,42°C), settembre (decimo più caldo, +1,27°C), ottobre (quarto più caldo, +1,56°C), novembre (decimo più caldo, +1,33°C).

NEL 2014 E 2015 ANOMALIA DI OLTRE UN GRADO

Peggio del 2019 sono risultati solo il 2014 e il 2015 (+1°C sopra media) e il 2018 (l’anno più caldo con un’anomalia di +1,17°C rispetto alla media del periodo di riferimento 1981-2010). Nonostante tutto, il mondo non riesce a mettersi d’accordo per cercare di arginare il fenomeno, come dimostra il fallimento della Cop25 di Madrid, la conferenza dell’Onu sul clima. Non ci resta che l’ironia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump – ora impegnato su un altro fronte altrettanto “caldo”, con l’Iran – : «Il riscaldamento globale? Usiamolo contro il freddo».

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Mandato d’arresto per la moglie di Carlos Ghosn

Carole, che ha raggiunto il marito a Beirut dopo la fuga da Tokyo, è accusata dai pm giapponesi di falsa testimonianza.

Guai per la moglie di Carlos Ghosn. Il pubblico ministero di Tokyo ha infatti spiccato un mandato di arresto per Carole, la 53enne con cittadinanza libanese che si è a lungo battuta per la liberazione del marito criticando duramente il sistema giudiziario giapponese.

L’ACCUSA DI FALSA TESTIMONIANZA DURANTE UN’UDIENZA

La signora che ha raggiunto l’ex numero uno di Renault-Nissan a Beirut dopo la sua rocambolesca fuga da Tokyo dove si trovava in libertà vigilata in attesa di processo per frode industriale e fiscale, è accusata di falsa testimonianza.

LA BATTAGLIA PER IL MARITO

All’ex tycoon 65enne era stato vietato di vedere la propria consorte nel periodo di detenzione, e aveva un accesso limitato alle conversazioni tramite videoconferenza durante la libertà su cauzione. Al suo arrivo in Libano, la scorsa settimana, Ghosn ha escluso che la moglie avesse orchestrato il piano di fuga, insistendo che il progetto era stato ideato da lui personalmente. Carole, che ha anche cittadinanza statunitense, aveva lasciato il Giappone lo scorso aprile dopo il quarto mandato di arresto a carico di Ghosn, ma aveva continuato a battersi per garantirgli un equo processo e la liberazione.

NISSAN HA CALCOLATO PERDITE PER 290 MILIONI DI EURO

Intanto Nissan ha definito la fuga del manager «un atto di sfida contro il sistema giudiziario giapponese». Nel primo comunicato ufficiale la casa automobilistica ha giudicato l’atto «estremamente spiacevole», spiegando che le azioni dell’ex top manager quando era alla guida dell’azienda, rilevate nel corso di un’inchiesta interna, sono giudicate estremamente gravi. Nissan ha aggiunto che continuerà a cooperare con le autorità preposte, e il fatto che Ghosn non si trovi più in Giappone non significa che le accuse nei suoi confronti cadranno. L’indagine interna ha calcolato che le perdite frutto delle malversazioni finanziarie dell’ex tycoon assieme all’ex direttore finanziario statunitense Greg Kelly ammontano a oltre 35 miliardi di yen, quasi 290 milioni di euro.

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La Rai fa dietrofront: Rula Jebreal sarà a Sanremo

Retromarcia di Viale Mazzini: la giornalista salirà sul palco dell'Ariston con un monologo dedicato alla violenza contro le donne. Si chiude il caso legati ai presunti veti alla sua partecipazione.

Ennesimo dietrofront a Viale Mazzini. Rula Jebreal sarà al Festival di Sanremo. La notizia, riportata da Repubblica, è arrivata al termine di un vertice con l’amministratore delegato Fabrizio Salini, la direttrice di RaiUno Teresa De Santis e il conduttore Amadeus. La giornalista salirà sul palco dell’Ariston con un suo monologo dedicato alla violenza contro le donne. Si chiude così il caso dell’esclusione che la stessa Jebreal aveva attribuito a un veto di Matteo Salvini o ai vertici Rai di area sovranista. In difesa della giornalista si era schierata in particolare Italia viva con interrogazioni parlamentari e denunce.

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I soldati italiani lasciano Baghdad ma restano in Iraq

I nostri uomini sono stati trasferiti in una zona più sicura. La Germania invece è pronta al ritiro. La Nato sospende temporaneamente l'attività di addestramento sul campo.

La Nato ha confermato il proprio impegno in Iraq anche se le attività di addestramento sono «temporaneamente sospese». Lo ha detto il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg al premier iracheno Adil Abdul Mahdi. «Gli alleati Nato», ha sottolineato Stoltenberg, «rimangono fortemente impegnati nella missione in Iraq che sta contribuendo a rafforzare le forze irachene e impedire il ritorno dell’Isis».

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La discussione, è la precisazione, si è incentrata sulla «situazione della sicurezza nella regione e sulle implicazioni per la missione di addestramento non combattente della Nato in Iraq». Il segretario generale ha quindi ricordato che «l’addestramento delle forze locali è uno strumento prezioso per la stabilità e la lotta al terrorismo internazionale» e ha assicurato che l’attività di addestramento sul campo è «temporaneamente sospesa, ma è pronta a continuare quando la situazione lo permetterà». Riguardo alla situazione regionale Stoltenberg ha riferito che gli «alleati hanno chiesto moderazione e una de-escalation e che l’Iran si astenga da ulteriori provocazioni».

LA GERMANIA VERSO IL RITIRO DELLE TRUPPE

Intanto sul campo è cominciato il riposizionamento. La Germania ritirerà alcune delle sue truppe schierate in Iraq nell’ambito della della coalizione anti-Isis. Circa 30 soldati di stanza a Baghdad e Taji saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait, ha detto un portavoce del ministero della Difesa alla Afp, aggiungendo che il ritiro «inizierà presto».

L’ITALIA STA PIANIFICANDO UNA PARZIALE RIDISLOCAZIONE

«Nessuna ipotesi di ritiro dei militari italiani», ha dichiarato invece il ministero della Difesa italiano. Come scritto da La Stampa, i nostri soldati hanno lasciato la base americana a Baghdad, da due giorni sotto il tiro dei mortai per essere trasferiti in un luogo più sicuro. Il quartier generale della Coalizione internazionale che opera in Iraq «al momento sta pianificando una parziale ridislocazione degli assetti al di fuori di Baghdad», ha confermato lo Stato Maggiore della Difesa precisando che ciò «non rappresenta un’interruzione della missione e degli impegni presi» dall’Italia con i partner internazionali e che la decisione è stata presa a «livello di coalizione internazionale». La pausa delle attività di addestramento e l’eventuale ridislocazione dei militari italiani dalle zone di operazione irachene, sottolinea infatti lo Stato Maggiore della Difesa, «rientra nei piani di contingenza per la salvaguardia del personale impiegato» e dipendono «solo dalle misure di sicurezza adottate»: dunque «non rappresentano una interruzione della missione e degli impegni presi con la coalizione». Lo Stato Maggiore ricorda inoltre che «gli stati di allertamento e le misure di sicurezza sono decise a livello di coalizione internazionale in coordinamento con le varie nazioni partner».

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In Spagna via libera al nuovo governo di coalizione di Pedro Sanchez

Alla seconda votazione il premier ottiene il voto favorevole da parte del parlamento con una maggioranza risicatissima: 167 favorevoli e 165 contrari.

Per la prima volta dalla fine del franchismo anche la Spagna avrà il suo governo di coalizione. Il leader del Psoe e presidente uscente Pedro Sanchez è stato rieletto il 7 gennaio con una risicatissima maggioranza relativa, dopo che la prima votazione a maggioranza assoluta aveva segnato una sconfitta nel voto di fiducia al premier spagnolo. Sanchez ha ottenuto 167 voti a favore e 165 contrari: 18 gli astenuti.

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

(notizia in aggiornamento)

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

(notizia in aggiornamento)

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

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L’altoforno 2 dell’Ilva non deve essere spento

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell'acciaieria di Taranto.

Il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso degli amministratori straordinari dell’Ilva: l’altoforno 2 non deve essere spento. Le trattative tra il governo e ArcelorMittal possono quindi ripartire, alla luce di questo nuovo elemento che arriva dalla magistratura.

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Australia: 180 persone arrestate per gli incendi

La maggior parte degli accusati sono giovani. Duemila case bruciate e 7 milioni di ettari di boschi in fumo. I numeri.

La polizia australiana ha fatto sapere di avere arrestato oltre 180 persone sospettate di avere appiccato incendi nel Nuovo Galles del Sud, tre solo nell’ultimo fine settimana, mentre proseguono i devastanti roghi nonostante le piogge degli ultimi giorni in alcune aree del Paese. Lo riporta la stampa australiana. Oltre 7 milioni di ettari di boschi sono bruciati da settembre ad oggi, e nella maggior parte dei casi si è trattato, secondo le autorità, di incendi provocati dall’uomo.

TRA I FERMATI 40 MINORENNI

Tra i fermati, anche 40 minorenni, che saranno giudicati dai tribunali nei prossimi mesi. In tutto sono stati contestati a 183 persone 205 reati connessi agli incendi boschivi; 24 di questi sono accusati di incendio doloso e rischiano una pena massima fino a 21 anni di reclusione. Altri avrebbero provocato i roghi per incuria e disattenzione, accendendo fuochi per cucinare o bruciare rifiuti, incappando comunque nei severissimi divieti in atto dall’inizio dell’emergenza incendi. Solo sabato scorso almeno 60 case sono state distrutte dal fuoco nel Nuovo Galles del Sud.

DUEMILA CASE DISTRUTTE

Almeno 2 mila case sono state distrutte in Australia negli incendi in atto dal settembre scorso, in cui sono morte almeno 25 persone e milioni di animali, mentre i soccorritori si apprestano a far fronte ad un ulteriore peggioramento delle condizioni meteo. Il caldo ha concesso nelle ultime ore una breve tregua, e i vigili del fuoco ne stanno approfittando per ampliare le linee di contenimento intorno ai focolai. È probabile che le temperature saliranno di nuovo verso la fine della settimana, e vi è il timore che i due incendi maggiori in atto nel Nuovo Galles del Sud possano finire per confluire in un unico, gigantesco, fronte di fuoco.

DANNI PER ALMENO 430 MILIONI DI EURO

Il Consiglio delle assicurazioni australiano ha fornito una stima parziale dei danni che ha raggiunto i 700 milioni di dollari australiani (430 milioni di euro), ma si prevede che saranno molto più ingenti.

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Rita Pavone a Sanremo 2020: i social all’attacco

L'annuncio dato da Amadeus ha infiammato Twitter, ancora caldo dopo il no di Viale Mazzini alla partecipazione di Rula Jebreal.

Rita Pavone sul palco del Festival di Sanremo. E no, non è un frammento di Techetechete. Com’era prevedibile, l’annuncio dato in diretta dal direttore artistico della kermesse Amadeus durante I soliti ignoti – Speciale Lotteria Italia ha riscaldato i soliti social ancora bollenti dopo le porte chiuse da Viale Mazzini a Rula Jebreal.

LA TEMPESTA SUI SOCIAL

Già pronto il jingle per il ritorno all’Ariston dopo 48 anni della Gianburrasca della tivù italiana ormai giunta alle 74 primavere: «Viva la pa-pa-patria col po-po-po-po-po-pulismo», c’è chi scherza in Twitter.

Per qualche utente il bilancio è pronto: più che il reddito di cittadinanza, poté la fede sovranista.

I TWEET FILO-SOVRANISTI

In effetti alcune uscite social di Rita Pavone hanno fatto parecchio discutere. A partire dalla polemica innescata contro i Pearl Jam che nel loro ultimo live in Italia, il 26 giugno 2018, cantando Imagine di John Lennon avevano chiesto con tanto di hashtag di aprire i porti. Pavone non ci ha più visto e condividendo il servizio dedicato alla loro performance se ne era uscita con un: «Ma farsi gli affari loro no?».

LEGGI ANCHE: La grana del regolamento di Sanremo 2020 agita la Rai

«E il mio: “Ma farsi gli affari loro, no ?”, era inteso come: “Con tutte le rogne che hanno a casa loro negli USA, vengono a fare le pulci a noi?», aveva cinguettato. «Puoi essere il più grande artista del mondo, ma ciò non toglie che sei un ospite e come tale dovresti comportarti. Amen».

Una presa di posizione che fece guadagnare alla signora del Geghegè il plauso dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini in persona. «Onore a Rita Pavone, che non si inchina al pensiero unico!».

Per questo ora c’è chi consiglia ad Amadeus di invitare come super ospiti proprio i Pearl jam.

LA GAFFE CON GRETA THUNBERG E LE SCUSE

Più recentemente Pavone, che retwitta Salvini e Lorenzo Fontana, se l’era presa pure con Greta Thunberg. «Quella ‘bimba’ con le treccine che lotta per il cambio climatico, non so perché ma mi mette a disagio. Sembra un personaggio da film horror…», aveva twittato la cantante. Salvo poi fare retromarcia. «Ho fatto una gaffe enorme perché non sapevo che avesse la sindrome di Asperger, nessuno l’ha mai detto in televisione». Detto questo aveva risposto agli attacchi con un: «Cosa vogliono? Che mi impicchi o che mi che mi tagli le vene? Non pensavo di creare questo scompiglio, se qualcuno ha detto una battuta in più non l’ho detta io. È diventato un mondo di lupi».

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Torino ferma anche i diesel euro 5 per le polveri sottili

Dall'8 gennaio non potranno circolare: è la prima volta. Superati per dieci giorni consecutivi i 50 microgrammi al metro cubo.

Dopo dieci giorni consecutivi in cui le polveri sottili hanno superato i 50 microgrammi al metro cubo, a Torino scatta il blocco anche per i veicoli diesel euro 5. Dall’8 gennaio non potranno circolare ed è la prima volta che succede da quando sono entrati in vigore i provvedimenti di contenimento della qualità dell’aria previsti dall’accordo di Bacino padano.

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Con Tolo Tolo Checco fa dimenticare Zalone

Il film già campione di incassi più che risate a cuor leggero offre la possibilità di riflettere su noi stessi. E la nuova versione della star della commedia italiana convince.

Con Tolo Tolo Checco Zalone, già campione di incassi (34 milioni fino al weekend dell’Epifania), spiazza chi si aspettava delle risate facili e si è ritrovato davanti a una sferzante critica sociale. Al centro della trama c’è Checco che vive a Spinazzola, in Puglia, e rifiuta il reddito di cittadinanza per aprire un sushi restaurant.

Checco Zalone in una scena di Tolo Tolo.

Dopo il fallimento della sua impresa decide di fuggire dai creditori riparando in Africa dove lavora come cameriere in un resort di lusso e stringe amicizia con Oumar, che sogna di diventare regista e ama il cinema italiano. Quando scoppia la guerra civile i due sono però costretti a emigrare insieme alla bella Idjaba e al piccolo Doudou, intraprendendo un viaggio da clandestini.

GUARDA ANCHE: Ora Salvini vuole Zalone senatore a vita

La sceneggiatura scritta insieme a Paolo Virzì non risparmia politica, governo, il fascismo strisciante e l’ipocrisia di una certa stampa. Il tutto lasciando spazio a momenti musicali e onirici che spiazzano ma convincono. Tante, forse troppe, le tematiche che affronta Tolo Tolo. Tuttavia il film scorre veloce verso un finale a sorpresa che obbliga a riflettere su se stessi senza offrire risposte preconfezionate.

Regia: Checco Zalone; genere: commedia (Italia, 2019); attori: Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Berya, Nicola Nocella, Alexis Michalik, Antonella Attili, Maurizio Bousso, Gianni D’Addario, Barbara Bouchet.

TOLO TOLO IN PILLOLE

TI PIACERÀ SE: ami i film che fanno riflettere con momenti musicali e onirici.

DEVI EVITARLO SE: cerchi un momento di puro svago e sei un fan di Zalone “prima maniera”.

Con Tolo Tolo Zalone ha battuto i suoi precedenti record di incassi.

CON CHI VEDERLO: anche da soli, per poter farsi un’idea su un film che ha fatto discutere già prima dell’arrivo nelle sale.

PERCHÉ VEDERLO: Per scoprire una nuova versione di Checco Zalone.

LA SCENA MEMORABILE: Il finale a sopresa (niente spoiler!).

LA FRASE CULT: «Non chiedete cosa possa fare il mio Paese per voi: un cazzo, non può fare un cazzo».

Il film è stato scritto con Paolo Virzì.

1. UNA LAVORAZIONE DURATA UN ANNO E MEZZO

La realizzazione del film ha richiesto una lavorazione di circa un anno e mezzo, dalla fase di scrittura a quella delle riprese. Nel film gli eventi si svolgono nel villaggio di Saint-Jacques, luogo immaginario tra Kenia e Senegal, dove prende il via il viaggio dei migranti.

2. UN INCONTRO INASPETTATO SUL SET

Il regista ha scelto uno dei giovanissimi interpreti dopo averlo incontrato in un villaggio. Il ragazzino si era avvicinato alla troupe chiedendo delle caramelle e Zalone lo ha notato per la sua esuberanza. Dopo un provino organizzato su due piedi lo ha scritturato.

3. COSA C’È DIETRO IL BALLO DEI NAUFRAGHI

Commentando la scena del balletto in mare con i naufraghi, la star della comicità italiana ha spiegato di aver preferito abbandonare il realismo per adottare una dimensione onirica in grado di trasmettere un’idea di fratellanza e speranza.

Nel film Zalone è costretto a intraprendere un viaggio della speranza con altri migranti.

4. LA COLLABORAZIONE CON VIRZÌ

Paolo Virzì, co-sceneggiatore, voleva raccontare la storia di un italiano che è costretto a compiere il viaggio insieme ai migranti, vivendo in prima persona una odissea di cui troppo spesso si parla senza comprendere davvero cosa comporti.

5. DA SORDI A BENIGNI: I PUNTI DI RIFERIMENTO DI ZALONE

 Tra le fonti di ispirazione del regista e attore ci sono Alberto Sordi e Roberto Benigni, senza dimenticare Totò. Un altro mito di Zalone è Adriano Celentano, del quale il regista ha visto tutti i film.

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Non è col proibizionismo che riporteremo i giovani in carreggiata

Dallo schianto di Corso Francia al coma etilico del 17enne modenese: le cronache sono piene di ragazzi che si bevono l'età della spensieratezza. Ma attenzione all'approccio che decidiamo di adottare.

Cronache di ordinarie sbronze. Che hanno come protagonisti giovani che “si bevono la vita”. Nello schianto di Corso Francia a Roma o nel coma etilico del 17enne modenese, ripreso dagli amici e postato su Whatsapp la notte di Natale. Immagini desolate di un tempo che si fuma anche l’età della spensieratezza. Vista la ripresa in questi ultimi anni del consumo di sigarette e il costante aumento dell’uso di droghe e sostanze variamente psico-attive fra giovani e giovanisssimi. Mala tempora: tuonano i difensori della pubblica morale, facendo d’ogni vizio un fascio da colpevolizzare e colpire. Con piglio proibizionista d’altri tempi.

L’ANATEMA CONTRO LA “TRIADE GODURIOSA”

“Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere!”. Si perde nei secoli l’anatema contro la “triade goduriosa”. Quasi sempre dimentico però che i generi voluttuari infiacchiscono i corpi e gli animi, ma danno sapore alla vita. È per questo che la lotta contro l’alcol, il fumo e il sesso, ha quasi sempre assunto una piega morale e moralistica. Senza però che ci sia mai stata politica repressiva capace di controllare e contenere il loro consumo. Al contrario negli ultimi 300 anni, tutte le proibizioni di Stato e messe al bando di bevitori, fumatori, frequentatori di bordelli e di bische, hanno regolarmente fallito. Dopo più o meno lunghi periodi di relativo successo, il risultato di politiche proibizioniste è stato l’aumento dei consumi e dei consumatori. Nonché, come danno aggiuntivo, il proliferare di pratiche illegali, la crescita di organizzazioni criminali, lo sfruttamento della prostituzione e crescenti danni alla salute pubblica e individuale.

A un certo punto lo Stato trova più conveniente, dal punto di vista economico ma anche sanitario e della legalità, regolamentare e tassare il consumo che non reprimerlo e perseguitarlo

Wolfgang Schivelbusch

«A un certo punto lo Stato trova più conveniente, dal punto di vista economico ma anche sanitario e della legalità, regolamentare e tassare il consumo che non reprimerlo e perseguitarlo» ha scritto Wolfgang Schivelbusch in una saggio di qualche decennio fa, ma sempre attuale, che i nostri politici e decisori pubblici farebbero bene a leggere. Storia dei generi voluttuari. Spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe ( Bruno Mondadori, 2000) spiega infatti bene come la comparsa e il successo di determinate sostanze sia in relazione con le sensibilità profonde di un’epoca. Per fare un esempio e un parallelo: se il caffè e la caffeina, perché eccitante e stimolante dell’attenzione dunque della laboriosità, hanno accompagnato l’ascesa ottocentesca della borghesia, la grande diffusione attuale della cocaina, in quanto droga prestazionale, ha a che fare con il diffuso senso di inadeguatezza avvertito un po’ da tutti.

PICCHI DI CONSUMO NEI PERIODI DI MAGGIOR DISAGIO

Nondimeno se consideriamo l’intero spettro dei vizi e piaceri (alcol, tabacco, sesso, giochi d’azzardo, droghe) è storicamente confermato che i picchi di consumo coincidono con i periodi di maggiore disagio economico e sociale e di povertà culturale e ideale. Di ripiegamento esistenziale. Crisi e passaggi epocali difficili, infatti, sono da sempre un buon viatico e pretesto per tuffarsi nel divertimento eccessivo e cercare stordimenti e compensazioni aleatorie. Ma anche per scatenare ondate di panico morale e richieste intransigenti di ritorno all’ordine e alla normalità. Prova è che la sessuofobia del periodo vittoriano, in Inghilterra, che arrivò a coprire anche le gambe dei pianoforti, coincideva con un periodo di grande progresso, ma anche di puritanesimo intransigente. Altrettanto significativo è il rapporto stretto fra forti idealità politiche e disinteresse per i “divertimenti stupidi”. Nel ’68 e nel decennio successivo, a sinistra come a destra, la parola d’ordine dei giovani era partecipare e impegnarsi. Il movimento femminista era un forte argine alla prostituzione e giocare alla rivoluzione era molto più interessante delle lotterie. Che poi questo fervore ideale abbia prodotto anche mostri (come il terrorismo) è un dato di fatto. Ma è pure un fatto acquisito che la Grande Depressione dell’ultimo decennio abbia fatto schizzare in alto tutti i consumi voluttuari. Con effetti particolarmente pesanti sulle giovani generazioni, perché le più esposte alla crisi, anche di futuro, e le più indifese.

L’ALLARME DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Secondo l’ultima Relazione annuale al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, aumentano i consumi e le morti per droghe ( la cannabis è la più usata: da un quarto degli studenti superiori e quasi sempre in modo esclusivo). Il report su “Italiani e fumo”, diffuso in occasione del World No Tobacco Day (Wntd) organizzato ogni anno il 31 maggio dall’Oms, dice che dopo un’efficace opera di contrasto e riduzione nei due decenni a cavallo di fine e inizio secolo, il consumo di tabacco è tornato a crescere. Soprattutto fra i giovani, dove la metà dei 15-24enni fuma già più di 10 sigarette al giorno. Il ministero della Salute nella Relazione del 2018 sugli interventi realizzati in materia di alcol e una recente ricerca dell’Ircss e Università Cattolica di Roma, sugli studenti delle superiori a Roma, segnalano un dato e un fenomeno allarmanti: gli 8,6 milioni di italiani a rischio alcolismo (di cui 800 mila addirittura minorenni) e la rapidissima diffusione del binge drinking, cioà il bere eccessivo, in breve tempo e fuori dai pasti.

IL BOOM DELL’INDUSTRIA DELLA “FORTUNA”

Ora, aggiunto che anche l’industria della “fortuna” (lotterie, scommesse e giochi d’azzardo) ha toccato nel 2018 il fatturato più alto della storia (18.9 miliardi, elaborazioni Agimeg su dati del Monopolio Italia) al pari di quello del sesso, che si è giovato enormemente della diffusione dei servizi web, concluderemo con una triplice sottolineatura. Lanciare allarmi e chiedere repressione dura e pene esemplari sono le ultime cose che servono. Perchè eliminare i fenomeni è praticamente impossibile: si può solo cercare di mitigarne gli effetti e ridurre i danni collaterali più pesanti. Ma non meno dannosi sono tutti gli approcci semplificatori, che di fronte a problemi complessi, quali sono tutti quelli connessi alle dipendenze, propongono soluzioni facili, immediate e radicali. Quasi sempre ridicole a dispetto della serietà con la quale vengono evocate. Dalla richiesta di riaprire le case chiuse all’urgenza di ripristinare l’Autorità, imponendo agli scolari, sin dalla prima elementare, di indossare grembiule o divisa e alzarsi in piedi quanto entra l’insegnante.

Se fa molti più danni il proibizionismo, anche il permissivismo non aiuta il formarsi delle consapevolezze necessarie per efficaci azioni di contrasto

Da ultimo va detto che se fa molti più danni il proibizionismo, anche il permissivismo non aiuta il formarsi delle consapevolezze necessarie per efficaci azioni di contrasto dei fenomeni di abuso qui considerati. Perché, per fare due esempi, non si può liquidare il binge drinking come un rito di passaggio, visti i danni salutari che causa. Né sostenere che un po’ di marjiuana in qualche occasione non fa male. Non tanto perché nell’ultimo decennio è aumentata da tre a cinque volte la potenza dei cannabinoidi (il Thc e Cbd), quanto perché se mai fosse vero che una canna fa bene non potrebbe mai esserlo per un 20enne. Ma solo per un baby boomer stagionato, che si brucerebbe qualche neurone e sinapsi ma con grande giovamento sulla salute, l’umore e il piacere di partecipare alla vita sino alla fine. L’aumento considerevole del consumo di marijuana negli stati Usa dove è stata legalizzata per usi ricreativi lo mostra bene. «Nonne con le canne. Per una vecchiaia stupefacente»: è una battuta molto felice per avviare un dibattito sereno sull’uso legale della marijuana. L’inizio di una storia un po’ più allegra sulla vecchiaia, da raccontare soprattutto agli ospiti delle case di riposo.

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Non è col proibizionismo che riporteremo i giovani in carreggiata

Dallo schianto di Corso Francia al coma etilico del 17enne modenese: le cronache sono piene di ragazzi che si bevono l'età della spensieratezza. Ma attenzione all'approccio che decidiamo di adottare.

Cronache di ordinarie sbronze. Che hanno come protagonisti giovani che “si bevono la vita”. Nello schianto di Corso Francia a Roma o nel coma etilico del 17enne modenese, ripreso dagli amici e postato su Whatsapp la notte di Natale. Immagini desolate di un tempo che si fuma anche l’età della spensieratezza. Vista la ripresa in questi ultimi anni del consumo di sigarette e il costante aumento dell’uso di droghe e sostanze variamente psico-attive fra giovani e giovanisssimi. Mala tempora: tuonano i difensori della pubblica morale, facendo d’ogni vizio un fascio da colpevolizzare e colpire. Con piglio proibizionista d’altri tempi.

L’ANATEMA CONTRO LA “TRIADE GODURIOSA”

“Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere!”. Si perde nei secoli l’anatema contro la “triade goduriosa”. Quasi sempre dimentico però che i generi voluttuari infiacchiscono i corpi e gli animi, ma danno sapore alla vita. È per questo che la lotta contro l’alcol, il fumo e il sesso, ha quasi sempre assunto una piega morale e moralistica. Senza però che ci sia mai stata politica repressiva capace di controllare e contenere il loro consumo. Al contrario negli ultimi 300 anni, tutte le proibizioni di Stato e messe al bando di bevitori, fumatori, frequentatori di bordelli e di bische, hanno regolarmente fallito. Dopo più o meno lunghi periodi di relativo successo, il risultato di politiche proibizioniste è stato l’aumento dei consumi e dei consumatori. Nonché, come danno aggiuntivo, il proliferare di pratiche illegali, la crescita di organizzazioni criminali, lo sfruttamento della prostituzione e crescenti danni alla salute pubblica e individuale.

A un certo punto lo Stato trova più conveniente, dal punto di vista economico ma anche sanitario e della legalità, regolamentare e tassare il consumo che non reprimerlo e perseguitarlo

Wolfgang Schivelbusch

«A un certo punto lo Stato trova più conveniente, dal punto di vista economico ma anche sanitario e della legalità, regolamentare e tassare il consumo che non reprimerlo e perseguitarlo» ha scritto Wolfgang Schivelbusch in una saggio di qualche decennio fa, ma sempre attuale, che i nostri politici e decisori pubblici farebbero bene a leggere. Storia dei generi voluttuari. Spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe ( Bruno Mondadori, 2000) spiega infatti bene come la comparsa e il successo di determinate sostanze sia in relazione con le sensibilità profonde di un’epoca. Per fare un esempio e un parallelo: se il caffè e la caffeina, perché eccitante e stimolante dell’attenzione dunque della laboriosità, hanno accompagnato l’ascesa ottocentesca della borghesia, la grande diffusione attuale della cocaina, in quanto droga prestazionale, ha a che fare con il diffuso senso di inadeguatezza avvertito un po’ da tutti.

PICCHI DI CONSUMO NEI PERIODI DI MAGGIOR DISAGIO

Nondimeno se consideriamo l’intero spettro dei vizi e piaceri (alcol, tabacco, sesso, giochi d’azzardo, droghe) è storicamente confermato che i picchi di consumo coincidono con i periodi di maggiore disagio economico e sociale e di povertà culturale e ideale. Di ripiegamento esistenziale. Crisi e passaggi epocali difficili, infatti, sono da sempre un buon viatico e pretesto per tuffarsi nel divertimento eccessivo e cercare stordimenti e compensazioni aleatorie. Ma anche per scatenare ondate di panico morale e richieste intransigenti di ritorno all’ordine e alla normalità. Prova è che la sessuofobia del periodo vittoriano, in Inghilterra, che arrivò a coprire anche le gambe dei pianoforti, coincideva con un periodo di grande progresso, ma anche di puritanesimo intransigente. Altrettanto significativo è il rapporto stretto fra forti idealità politiche e disinteresse per i “divertimenti stupidi”. Nel ’68 e nel decennio successivo, a sinistra come a destra, la parola d’ordine dei giovani era partecipare e impegnarsi. Il movimento femminista era un forte argine alla prostituzione e giocare alla rivoluzione era molto più interessante delle lotterie. Che poi questo fervore ideale abbia prodotto anche mostri (come il terrorismo) è un dato di fatto. Ma è pure un fatto acquisito che la Grande Depressione dell’ultimo decennio abbia fatto schizzare in alto tutti i consumi voluttuari. Con effetti particolarmente pesanti sulle giovani generazioni, perché le più esposte alla crisi, anche di futuro, e le più indifese.

L’ALLARME DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Secondo l’ultima Relazione annuale al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, aumentano i consumi e le morti per droghe ( la cannabis è la più usata: da un quarto degli studenti superiori e quasi sempre in modo esclusivo). Il report su “Italiani e fumo”, diffuso in occasione del World No Tobacco Day (Wntd) organizzato ogni anno il 31 maggio dall’Oms, dice che dopo un’efficace opera di contrasto e riduzione nei due decenni a cavallo di fine e inizio secolo, il consumo di tabacco è tornato a crescere. Soprattutto fra i giovani, dove la metà dei 15-24enni fuma già più di 10 sigarette al giorno. Il ministero della Salute nella Relazione del 2018 sugli interventi realizzati in materia di alcol e una recente ricerca dell’Ircss e Università Cattolica di Roma, sugli studenti delle superiori a Roma, segnalano un dato e un fenomeno allarmanti: gli 8,6 milioni di italiani a rischio alcolismo (di cui 800 mila addirittura minorenni) e la rapidissima diffusione del binge drinking, cioà il bere eccessivo, in breve tempo e fuori dai pasti.

IL BOOM DELL’INDUSTRIA DELLA “FORTUNA”

Ora, aggiunto che anche l’industria della “fortuna” (lotterie, scommesse e giochi d’azzardo) ha toccato nel 2018 il fatturato più alto della storia (18.9 miliardi, elaborazioni Agimeg su dati del Monopolio Italia) al pari di quello del sesso, che si è giovato enormemente della diffusione dei servizi web, concluderemo con una triplice sottolineatura. Lanciare allarmi e chiedere repressione dura e pene esemplari sono le ultime cose che servono. Perchè eliminare i fenomeni è praticamente impossibile: si può solo cercare di mitigarne gli effetti e ridurre i danni collaterali più pesanti. Ma non meno dannosi sono tutti gli approcci semplificatori, che di fronte a problemi complessi, quali sono tutti quelli connessi alle dipendenze, propongono soluzioni facili, immediate e radicali. Quasi sempre ridicole a dispetto della serietà con la quale vengono evocate. Dalla richiesta di riaprire le case chiuse all’urgenza di ripristinare l’Autorità, imponendo agli scolari, sin dalla prima elementare, di indossare grembiule o divisa e alzarsi in piedi quanto entra l’insegnante.

Se fa molti più danni il proibizionismo, anche il permissivismo non aiuta il formarsi delle consapevolezze necessarie per efficaci azioni di contrasto

Da ultimo va detto che se fa molti più danni il proibizionismo, anche il permissivismo non aiuta il formarsi delle consapevolezze necessarie per efficaci azioni di contrasto dei fenomeni di abuso qui considerati. Perché, per fare due esempi, non si può liquidare il binge drinking come un rito di passaggio, visti i danni salutari che causa. Né sostenere che un po’ di marjiuana in qualche occasione non fa male. Non tanto perché nell’ultimo decennio è aumentata da tre a cinque volte la potenza dei cannabinoidi (il Thc e Cbd), quanto perché se mai fosse vero che una canna fa bene non potrebbe mai esserlo per un 20enne. Ma solo per un baby boomer stagionato, che si brucerebbe qualche neurone e sinapsi ma con grande giovamento sulla salute, l’umore e il piacere di partecipare alla vita sino alla fine. L’aumento considerevole del consumo di marijuana negli stati Usa dove è stata legalizzata per usi ricreativi lo mostra bene. «Nonne con le canne. Per una vecchiaia stupefacente»: è una battuta molto felice per avviare un dibattito sereno sull’uso legale della marijuana. L’inizio di una storia un po’ più allegra sulla vecchiaia, da raccontare soprattutto agli ospiti delle case di riposo.

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Le Sardine fanno un congresso per darsi una struttura

La decisione annunciata dal direttivo nazionale di Bologna. Le date rese note entro il 26 gennaio.

Le Sardine vanno verso un congresso nazionale, probabilmente una due giorni, le cui date saranno rese note entro il 26 gennaio. La decisione è stata presa dal direttivo nazionale di Bologna delle Sardine e annunciata stamattina in tv dalla portavoce torinese Francesca Valentina Penotti.

“A livello regionale siamo un po’ divisi, nel senso che ogni Regione pensa giustamente un po’ per se. In Piemonte avremo una sorta di Congresso riunione il 25 gennaio. Importante anche l’Emilia Romagna il 19 gennaio ‘Sardina ospita sardina’ quindi che comprenderà il week end fra il 18 ed il 19 gennaio. Invece il Nazionale posso dirvi che entro il 26 gennaio uscirà una data, una data che verrà stabilita dopo il 26 gennaio, in cui ci sarà un Congresso Nazionale di noi rappresentanti sardine e probabilmente sarà una due giorni”. Così Francesca Valentini Penotti, del Movimento delle sardine di Torino, ad Agorà Rai Tre sull’agenda dei prossimi mesi del movimento delle sardine.

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Le Sardine fanno un congresso per darsi una struttura

La decisione annunciata dal direttivo nazionale di Bologna. Le date rese note entro il 26 gennaio.

Le Sardine vanno verso un congresso nazionale, probabilmente una due giorni, le cui date saranno rese note entro il 26 gennaio. La decisione è stata presa dal direttivo nazionale di Bologna delle Sardine e annunciata stamattina in tv dalla portavoce torinese Francesca Valentina Penotti.

“A livello regionale siamo un po’ divisi, nel senso che ogni Regione pensa giustamente un po’ per se. In Piemonte avremo una sorta di Congresso riunione il 25 gennaio. Importante anche l’Emilia Romagna il 19 gennaio ‘Sardina ospita sardina’ quindi che comprenderà il week end fra il 18 ed il 19 gennaio. Invece il Nazionale posso dirvi che entro il 26 gennaio uscirà una data, una data che verrà stabilita dopo il 26 gennaio, in cui ci sarà un Congresso Nazionale di noi rappresentanti sardine e probabilmente sarà una due giorni”. Così Francesca Valentini Penotti, del Movimento delle sardine di Torino, ad Agorà Rai Tre sull’agenda dei prossimi mesi del movimento delle sardine.

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Perché vanno ascoltate le parole rivoluzionarie del cardinal Zuppi

In un'epoca caratterizzata dal furore di irresponsabili, Trump in testa, l'arcivescovo di Bologna propone un nuovo umanesimo. Base per una nuova politica.

Le parole di guerra che leggiamo o ascoltiamo in questi giorni lasciano annichiliti. L’Iran minaccia vendette sanguinose e Donald Trump, autore di questa crisi, parla di risposte militari che investiranno anche i luoghi d’arte, e, temo, di culto, in ogni caso «sproporzionate». Da anni non sentivamo da un leader di un Paese d’Occidente parole tanto infuocate e irresponsabili. Ovviamente Matteo Salvini è d’accordo con lui. In molti di noi si riaffaccia l’anti-americanismo degli anni del Vietnam a cui bisogna resistere perché non possiamo fare a meno dell’America, anche se oggi è piccola cosa, priva di egemonia, ridotta e isterica potenza militare guidata da un uomo senza qualità.

IL MONDO È IN MANO AL FURORE DI IRRESPONSABILI

L’ansia maggiore sta nella sensazione che nessuno di noi possa fare alcunché per proteggere il mondo dal furore di irresponsabili. Ci è capitato di vivere in questa stagione della storia in cui mancano personalità mondiali, a parte papa Francesco, e proliferano mezze calzette con troppo potere. Eppure non è vero che non si possa fare nulla. Non c’è ovviamente un gesto che può fermare questa corsa alla guerra mondiale, quella guerra mondiale «a pezzettini» come la definì il pontefice alcuni anni fa. Viviamo in un Paese che rifiuta di assumere un ruolo di pace e che rischia di essere diretto da uomini di guerra.

BISOGNA CREARE GRANDI MOVIMENTI CONTRO L’ODIO

Eppure noi sappiamo, perché è la storia del mondo che ce lo dice, che lo sviluppo di solidi movimenti di pace, che la rinascita di una opinione pubblica responsabile potranno fare il miracolo se le giovani generazioni ne diventeranno protagoniste. Oggi un movimento di pace non può esser sospettato di parteggiare per una parte contro un’altra. Il mondo non solo non è diviso in due ma la competizione vede contrapposti vecchi imperi, imperi che rinascono, e rinascenti suggestioni imperiali. Oggi scendere in campo ha il vantaggio di apparire ingenui, insospettabili, non strumentalizzabili. Si tratta di creare grandi movimenti contro l’odio. Se le ho capite bene,  anche le Sardine hanno questo come obiettivo, ma serve di più.

LA LEZIONE DEL CARDINALE DI BOLOGNA

Vorrei suggerire a chi mi legge un libro fondamentale scritto dal cardinale di Bologna, con il collega Loreno Fazzini, Matteo Maria Zuppi che su questo tema ci ha donato riflessioni importanti. Il libro non è riassumibile. Ogni frase vale come un suggerimento, come una esperienza di vita di un sacerdote che è stato sulla strada per tanti anni e che per anni con la comunità di Sant’Egidio si è occupato di mettere pace in Paesi come il Mozambico. Scrive monsignor Zuppi: «Per non odiare, ovvero sentirsi veramente amati, è necessario e indispensabile esser credenti, o meglio, cristiani?». Ecco la risposta: «Penso che sia una alleanza tra i credenti, quando prendono sul serio il Vangelo, e quanti non rinunciano alla sfida di restare umani anche in tempi difficili, animi nobili e alti, che per questo non cedono all’odio in nome dell’Umanità stessa».

VERSO UN NUOVO UMANESIMO

È l’idea di un nuovo umanesimo che comprenda tutte le fedi e anche chi non ha fede a illuminare l’ispirazione del cardinale Zuppi e a dargli la suggestione che si possa creare un movimento di pace che sia incentrato sul rifiuto dell’odio. Scrive ancora Zuppi: «Quante vite hanno rovinato l’isolamento dell’io e la schiavitù dell’io. Un’antropologia moderna, che proietta giudizi negativi sugli altri per proteggere se stessi, promette l’infinito e crea una vita dimezzata».

IL MALE DELL’ADORAZIONE DI SÉ

Zuppi affronta anche un tema che fu centrale nella riflessione degli «atei devoti» negli anni ratzingeriani, la critica del relativismo, e dice che «bisogna scoprire il valore positivo di un innovativo relativismo, cioè l’abbandono della assolutizzazione di sé per rendersi disponibili alla relazione…Ma vorrei usare questa parola popolare, relativismo, per cambiarne, prima o poi, il significato. Dobbiamo lottare in tanti modi contro il rischio di una idolatria che ci imprigiona: l’adorazione di sé, come fosse una divinità da servire e alla quale sacrificarsi. E contemporaneamente lottare contro la caduta di senso del limite, perché si fa fatica a contrastare una soggettività per la quale qualunque atto diventa lecito in base al principio della libertà dell’io, senza la considerazione del bene e dei rischi comuni. Relativizzare il sé e aprirci agli altri, non può, invece, che liberarci, sollevarci, calmarci, e orientare le nostre risorse interiori, dando senso al tutta la nostra esistenza. Ci aiuta e ricentrare davvero il nostro sé, il nostro essere».

SOLO L’AMORE PUÒ CONTRASTARE LA PAURA

E poi un concetto fondamentale: «La paura è un segnale che ci rende consapevoli di un pericolo. È una spia importante, un indicatore che occorre prendere in considerazione, e non ignorare per spavalderia, per leggerezza, per presunzione. È importante, quindi, prendere con serietà la paura, ma poi occorre contrastarla con l’unico atteggiamento capace di superarla: l’amore. Se la paura decide per noi diventa rabbia, rivalsa, diffidenza o aggressività. Contrastiamo la paura, invece, anzitutto aprendoci all’amore perché questo genera una forza inaspettata, nuova e creativa, che ci rende capaci di cose grandi».

LA DIFFERENZA SOSTANZIALE TRA BUONO E BUONISTA

Il cardinale ha scritto così un manifesto per il “buonismo”? Zuppi è schietto, e persino eccessivamente franco, come il suo papa e dice: «Buonismo è fermarsi ad una buona azione che serve a te e non a chi sta male, è credere di far pace con la propria coscienza solo per un buon sentimento di attenzione all’altro, come se volere bene non comportasse farsi carico. I cristiani sono i primi a non trovarsi bene nella casa dei buonisti. Il samaritano è buono, non buonista….La compassione che lui vive, e che siamo chiamati a sperimentare anche noi, è quella che si fa carico, fino a cercare di risolvere il problema della persona sofferente….Il buonismo non risolve, si compiace troppo di sé, non si misura con la fatica della ricerca di soluzioni». Il libro di Zuppi (Odierai il prossimo tuo, editore Piemme) è una miniera di pensieri forti qui solo in parte riassunti. Mi interessa solo che chi mi legge, e leggerà il libro, immagini che si può non stare inerti di fronte alle brutture del mondo, ma che si può iniziare la grande rivoluzione contro l’odio. Assumendo il bene degli altri come realizzazione di sé, si può creare la via maestra per un nuovo umanesimo e quindi per una nuova politica.

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