Il caso Paragone spacca un M5s in agonia

Il senatore espulso è pronto a dare battaglia pure in Tribunale. E Di Battista lo appoggia. Potrebbe essere l'ultimo atto disgregatore di una formazione politica in crisi di identità e nei consensi, che ha perso per strada 17 parlamentari.

Il senatore Gianluigi Paragone, espulso dal «nulla» che secondo lui è diventato il Movimento 5 stelle, è pronto a dare battaglia anche in Tribunale. E il Movimento stesso, ormai in agonia per la crisi di identità e nei consensi, stavolta rischia davvero l’implosione. Prima le dimissioni natalizie del ministro Lorenzo Fioramonti, passato al gruppo Misto; poi le polemiche sui mancati rimborsi; infine la “cacciata” di Paragone, “reo” di aver votato contro la manovra e di predicare un ritorno alle origini che piace molto ad Alessandro Di Battista.

PARAGONE L’ARCIGRILLINO

Nel mirino ci sono i vertici, a partire da Luigi Di Maio, e i meccanismi che finora hanno garantito la sua leadership. «Farò ricorso e se mi gira mi rivolgerò anche alla giustizia ordinaria, per far capire l’arbitrarietà delle regole», ha detto Paragone in un video postato su Facebook a meno di 24 ore dall’espulsione decretata dal Collegio dei Probiviri. I pentastellati, per l’ennesima volta, si sono spaccati. E Dibba non solo ha difeso il presunto colpevole, ma lo ha addirittura incoronato «infinitamente più grillino di tanti altri». Accanto al senatore espulso si è schierata anche l’ex ministra Barbara Lezzi, che ha lodato l’autonomia di pensiero del collega dissidente e ha attacca il M5s che «espelle gli anticorpi». Poco dopo il suo post è stato condiviso dal senatore Mario Giarrusso, che ha già attaccato frontalmente Di Maio sul tema dei rimborsi, sostenendo di non averli pagati perché ha dovuto provvedere alle «spese legali legate alla sua attività politica», invitando il capo politico a dare lui le dimissioni.

IL M5S HA PERSO PER STRADA 17 PARLAMENTARI

Non mancano nemmeno quanti hanno scelto di posizionarsi contro Paragone, non perdonando all’ex conduttore televisivo soprattutto il giudizio tranchant sul «nulla» in cui si sarebbe degradato il sogno di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Di Maio stesso gli ha risposto su Facebook, pur se indirettamente: «In appena 20 mesi abbiamo già approvato 40 provvedimenti. Niente male per un Movimento per la prima volta al governo, no?». Di fatto, però, con l’ultima ‘cacciata’ sono 17 i parlamentari che il M5s ha perso per strada dall’inizio della legislatura, ossia dal 23 marzo 2018. Tra loro, 11 gli espulsi mentre tre senatori sono passati direttamente alla Lega (Francesco Urraro, Stefano Lucidi e Ugo Grassi), oltre al recentissimo addio di Fioramonti che è andato al Misto.

L’INDIGESTA ALLEANZA CON IL PD

Su Paragone, nessuna sorpresa. l’ex direttore della Padania non ha mai digerito l’alleanza con il Pd e mai l’ha nascosto. A parole, con toni sempre più accesi, e nei fatti con il voto. Da sempre contrario allo scudo penale ad ArcelorMittal per l’Ilva, a dicembre aveva votato ‘no’ anche alla risoluzione di maggioranza sul fondo salva-Stati. Fino al colpo di grazia del no alla manovra. Lui si difende appellandosi alla forza rivoluzionaria del Movimento che rischia di sparire: «Possiamo litigare con qualche collega, ma il grosso, fuori nel Paese, crede che ci sia ancora bisogno di una forza che dica che ci sono delle ingiustizie. Questa era la forza dei Cinque Stelle».

IL RITORNO ALLE ORIGINI E CHI POTREBBE INCARNARLO

Un approccio che ha subito trovato la sponda di Di Battista e di quanti nel M5s guardano a lui per una nuova leadership: «Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con Paragone. Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto». Paragone ringrazia e rafforza l’asse: «Ale rappresenta quell’idea di azione e di intransigenza che mi hanno portato a conoscere il Movimento: stop allo strapotere finanziario, stop con l’Europa di Bruxelles. Io quel programma lo difendo perché con quel programma sono stato eletto».

GLI ULTIMI DIFENSORI DI DI MAIO

Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, ribatte: «Se ci definisci il nulla, perché rimanevi nel nulla prima di essere espulso?». Mentre Paola Taverna usa il sarcasmo: «Ehi Gianluigi, a quando il nuovo libro con tutte le rivelazioni?». Toni duri anche dal vice presidente del Parlamento europeo, Fabio Castaldo: «Criticare le scelte operate a livello nazionale è un conto, ma dare del nulla a chi ha lottato, a chi si è sacrificato per un sogno, è per me inaccettabile. Se questo è quello che intendeva, dovrebbe scusarsi». Luigi Gallo, altro M5s tra i più fedeli e presidente della commissione Cultura della Camera, rilancia: «Sarebbe bello interrogarsi su quello che ha fatto Paragone in due anni da parlamentare. Il nulla cosmico».

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Via libera in Spagna al governo formato da socialisti e Podemos

I 13 deputati dell'Erc, la sinistra repubblicana catalana, hanno deciso che si asterranno nel voto di fiducia.

In Spagna i 13 deputati dell’Erc, sinistra repubblicana catalana, hanno deciso che si asterranno nel voto di fiducia, dando così il via libera al premier socialista incaricato Pedro Sanchez di formare un governo con la sinistra di Podemos di Pablo Iglesias. La decisione conclude una crisi politica che in Spagna che non si è sblocca da mesi, nonostante due elezioni anticipate. Il voto di fiducia è previsto nel fine settimana.

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Medici aggrediti a Napoli, arrivano le telecamere sulle ambulanze

Il presidente della Croce Rossa partenopea: «In questa città è in corso una guerra E non si rispettano nemmeno le convenzioni internazionali».

A Napoli è in corso una ‘guerra’ dove non si rispettano le regole sancite dalle convenzioni internazionali che impongono il rispetto dei mezzi di soccorso e del personale sanitario. Ne è convinto il presidente della Croce Rossa partenopea, il dottor Paolo Monorchio, che confessa la sua amarezza dopo l’ennesimo episodio di violenza ai danni di un medico a bordo di un’ambulanza.

DUE EPISODI DI VIOLENZA IN 24 ORE

L’uomo è stato preso di mira in pieno giorno il primo gennaio, mentre era impegnato in un’azione di soccorso nel quartiere periferico di Barra, con il lancio di una bomba carta. Ha aperto lo sportello del vano guida per salire a bordo e in quel momento ignoti hanno lanciato il petardo, che è scoppiato sotto l’ambulanza. La cosa avrebbe potuto avere gravi conseguenze, per la presenza di ossigeno gassoso a bordo e benzina. La vicenda è stata denunciata dall’associazione ‘Nessuno tocchi Ippocrate’, che ha anche riferito di una dottoressa aggredita con una bottiglia da un paziente psichiatrico vicino all’ospedale San Giovanni Bosco.

L’INSTALLAZIONE DELLE TELECAMERE PARTE IL 15 GENNAIO

Per Monorchio l’aspetto più inquietante «è che ci si abitui a questo stato di cose, fatti che non avvengono neppure nei territori di guerra in quanto i mezzi di soccorso e il personale sono protetti dalle convenzioni internazionali. A Napoli non è così». Servono scorte armate? «Per ora mi accontenterei delle telecamere a bordo dei mezzi di soccorso, le stiamo aspettando. Speriamo che nelle prossime settimane possano essere utilizzate a tutela degli operatori». In questa direzione si registra l’impegno del direttore generale della Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva: entro due settimane saranno installate le prime telecamere sui mezzi di soccorso. «Siamo pronti , è già stato disposto l’affidamento, la prima installazione avverrà entro il 15 gennaio», ha promesso Verdoliva. Ma Monorchio insiste anche sull‘aspetto culturale: «Serve una corretta informazione, con incontri nei quartieri più difficili». Il ministro della Salute Roberto Speranza, da parte sua, ha commentato: «Le aggressioni a chi ogni giorno si prende cura di noi sono semplicemente inaccettabili. Bisogna approvare al più presto la norma, già votata dal Senato, contro la violenza ai camici bianchi. Non si può aspettare»

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L’interrogatorio di Genovese davanti al gip dopo la morte di Gaia e Camilla

Gli avvocati del ragazzo, da una settimana agli arresti domiciliari: «È sconvolto e devastato per quello che è successo». Acquisiti i video del semaforo.

Pietro Genovese, agli arresti domiciliari da una settimana per il duplice omicidio stradale delle due 16enni Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli, ha detto di essere «sconvolto e devastato per quello che è successo». Il ragazzo è stato interrogato dal gip Bernadette Nicotra alla presenza dei suoi avvocati, Gianluca Tognozzi e Franco Coppi.

Gaia e Camilla hanno perso la vita nella notte tra il 21 e il 22 dicembre su Corso Francia, all’altezza di via Flaminia Vecchia, nel quartiere romano di Ponte Milvio. «Sono partito con il semaforo verde», ha detto Genovese davanti al gip, ricostruendo la notte dell’incidente: prima la serata a casa di amici per festeggiare il ritorno di un conoscente dall’Erasmus, poi il rientro percorrendo Corso Francia.

Intanto la procura di Roma ha acquisito i video depositati dal legale dei genitori di Camilla. I due filmati, uno di cinquanta secondi e l’altro di un minuto e 26 secondi, riprendono il funzionamento dei semafori pedonali sul luogo della tragedia. Nell’atto messo a disposizione dei pm, l’avvocato Cesare Piraino afferma che il semaforo pedonale non prevede il giallo per chi attraversa e che le ragazze avrebbero iniziato ad attraversare la strada con il verde per i pedoni.

«Pietro non è il killer che è stato descritto e merita rispetto e comprensione come le famiglie delle due vittime», hanno aggiunto gli avvocati di Genovese al termine dell’interrogatorio. «Il nostro assistito ha risposto alle domande del giudice, ma sul contenuto dell’atto istruttorio manteniamo il più stretto riserbo. Al momento non abbiamo presentato alcuna istanza di attenuazione della misura cautelare. Rifletteremo anche su un possibile ricorso al Tribunale del Riesame».

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Il parlamento turco ha approvato l’invio di truppe in Libia

I soldati verranno schierati a sostegno del governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj. Il mandato è valido per un anno.

Il parlamento della Turchia ha approvato l’invio di truppe in Libia a sostegno delle milizie che difendono il governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj. La mozione che ha ottenuto l’ok consente al presidente Recep Tayyip Erdogan di inviare soldati da schierare per un anno contro le forze del generale Khalifa Haftar: 325 deputati hanno votato a favore, 184 contro.

LEGGI ANCHE: Le mosse della Turchia in Libia a sostegno di al-Sarraj

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Domiciliari per il prefetto di Cosenza accusata di aver chiesto una mazzetta

Dopo l'iscrizioni al registro degli indagati, il Gip del tribunale ha disposto una misura cautelare. La donna è accusata indizione indebita a dare o promettere utilità.

Il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, é stata arrestata. A suo carico la Squadra mobile di Cosenza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti emessa dal Gip del Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica. Le autorità hanno disposto per lei i domiciliari nella sua abitazione di Taranto. Il 31 dicembre scorso Galeone era finita nel registro degli indagati con l’accusa di aver intascato una mazzetta da 700 euro. In particolare per gli inquirenti l’indagata sarebbe responsabile di induzione indebita a dare o promettere utilità. Al prefetto viene contestato, in particolare l’articolo 319 quater del Codice penale. Lo riferisce una nota stampa della Procura della Repubblica di Cosenza.

LA PROCURA: «CONFERMATA L’IPOTESI D’ACCUSA»

Nella stessa nota si legge che la Procura, «ha disposto una serie di riscontri, operati con prontezza e particolare professionalità dalla Squadra mobile, che hanno positivamente confermato l’ipotesi di accusa». Il reato che viene contestato al prefetto Galeone é stato commesso tra il 23 ed il 28 dicembre scorsi. «Il procedimento penale» si legge ancora nella nota, «é stato iscritto a seguito di denuncia presentata alla Squadra mobile di Cosenza in data 23 dicembre 2019 da un privato cittadino (l’imprenditrice Cinzia Falcone, ndr)».

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Paragone pronto a ricorrere alla giustizia dopo l’espulsione dal M5s

Dopo la cacciata decisa dai probiviri il senatore è passato all'attacco ipotizzando di rivolgersi alle vie legali.

Le battaglia nel M5s è più viva che mai. L’espulsione di Gianluigi Paragone dal Movimento si sta rivelando più complessa del solito. Non solo per la difesa da parte di Alessandro Di battista, ma anche perché il senatore, orami ex-grillini, ha detto di essere pronto alla battaglia. «Paragone deve essere buttato fuori perchè è uno strano Savonarola», ha attaccato in un video postato su Facebook, «uno strano predicatore che ci costringe a guardarci allo specchio. Bene, questo Paragone si appellerà all’ingiustizia arbitraria dei probiviri del nulla, guidati da qualcun altro che è il nulla, e si arroga il diritto di espellermi. Ma io farò ricorso e se mi gira mi rivolgerò anche alla giustizia ordinaria per far capire l’arbitrarietà delle regole».

«Continuerò a predicare un programma elettorale che è valido ancora oggi, giusto ancora oggi. Se dobbiamo dire revoca delle concessioni», ha continuato Paragone, «lo fai. Non è che lo dici un giorno e poi telefoni a quelli di Benetton e gli dici, compratevi Alitalia, perchè allora la revoca diventa una revoca patacca. Essere contro il sistema è dire a Bankitalia, tu hai le tue colpe, sul perchè sono saltate le banche, che vuol dire il risparmio degli italiani onesti. Essere antisistema vuol dire prendere tutti i signori di Enel, Eni che fanno dei grandi profitti, e dire che devono finire nelle tasche degli italiani, cioè devono servire per far pagare meno le bollette», ha attaccato

«I BROBIVIRI SARANNO COSTRETTI A CHIEDERMI SCUSA»

«Possiamo litigare con qualche collega, ma il grosso, fuori nel Paese crede che ci sia ancora bisogno di una forza che dica che ci sono delle ingiustizie. Questa era la forza dei Cinque Stelle, io ho fatto questa campagna elettorale, con quel programma che io difendo. E se voi, uomini del nulla, voi probiviri del nulla assoluto, avete paura allora andatevene fuori, voi, perchè io vi verrò a cercare nelle aule di Giustizia e dirò no alla ingiusta espulsione che mi avete fatto. Voi sarete condannati a dirmi scusa».

ALTRA STOCCATA PER LA MANCATA BATTAGLI A BRUXELLES

«Questa è la rivoluzione», una rivoluzione che per Paragone andava fatta anche in Europa, avendo il coraggio di dire «che Bruxelles ci sta inchiodando a una ingiustizia che sarà sempre più profonda. Ecco perchè io sono sbattuto fuori, perchè continuo a dire queste cose. Allora il Movimento Cinque Stelle i cosiddetti capetti, burocrati, gli uomini grigi, questi signori del nulla mi buttano fuori. Ma il Movimento è fatto di persone perbene che hanno ancora un sogno, che ci credono».

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Quello di Francesco è uno schiaffo all’immagine del papa

La reazione di Francesco in San Pietro è simbolo di umanità. Ma porta con sé un grave danno d'immagine. Che lambisce il dogma dell'infallibilità del pontefice. E che in Vaticano dev'essere preso sul serio.

Il dogma dell’infallibilità papale è molto recente, se rapportato all’intera storia della Chiesa. Risale infatti solo al 1870, quando fu proclamato per volontà di Pio IX, il quale convocò un apposito concilio – il “Vaticano I” – affinché il dogma venisse approvato e reso definitivo. Ma il papa è infallibile solo quando parla “ex cathedra”, cioè quando si esprime su elementi dottrinali e di fede, oppure quando proclama nuovi dogmi. In questi casi “non può sbagliare”. Ma quando si libera infastidito dalla presa di una fedele in Piazza San Pietro, schiaffeggiandola mano che lo trattiene? La condotta del papa è anch’essa infallibile?

Nel 1870 non esistevano le telecamere, né i telegiornali, né tanto meno il web e i social network. Un episodio come quello dello strattone al papa e della sua reazione stizzita non avrebbe avuto alcuna eco al di là degli spettatori presenti. Ma in realtà non sarebbe stato proprio possibile, perché il papa all’epoca non scendeva in mezzo alla gente, e se proprio doveva farlo, veniva portato in giro su una sedia pontificia che si levava alta, al riparo dalla folla e dalle sue intemperanze. Alla sedia è poi subentrata la papa-mobile, con la sua bolla trasparente, che espone il pontefice come in una protettiva vetrina semovente, mentre passa e benedice i fedeli. Perché quando si avvicina fisicamente alla gente, tutto è possibile, come accadde a Giovanni Paolo II, che si prese un colpo di pistola in pancia nel 1981 da turco Alì Agca, e venne salvato poi dai chirurghi del Policlinico Gemelli, oppure dalla Madonna stessa, a seconda delle convinzioni religiose.

UN PAPA PARAGONATO A UNA ROCKSTAR

Nella nostra era ultramediatica, il papa – e soprattutto questo papa, Bergoglio – viene giustamente paragonato a una rockstar, che suscita nei fedeli lo stesso tipo di fanatismo che si rivolge ai miti della musica e ai divi del cinema. Molto meno ai personaggi politici. Ed è forse che per questo che un politico scaltro come Matteo Salvini, superando gli elementi dell’idolatria berlusconista, ha fatto propria una gestualità religiosa che allude continuamente a una presunta “vera fede”, in contrapposizione alle aperture misericordiose di Francesco, pontefice di cui i sovranisti diffidano massimamente. Al punto da pubblicare, Salvini, un video stupidissimo, in cui la fidanzata Francesca Verdini figura come la fedele postulante di Piazza San Pietro, mentre lui stesso vi recita il ruolo di “papa buono”, che si libera dolcemente dalla presa della mano e le accarezza il viso, come a correggere il comportamento opinabile del papa, criticato aspramente per un buffetto alle mani dagli stessi sovranisti che tifano per l’affondamento di barconi e migranti in mare.

UNO STRATTONE CHE VA PRESO SUL SERIO

Bergoglio si è poi scusato pubblicamente per aver dato «il cattivo esempio», e ammettendo di aver perso le staffe, come può capitare a chiunque. Dunque il papa è un chiunque, uno di noi, un essere umano fallibile e imperfetto? Certo che sì, personalmente non avevamo dubbi. Ma il danno di immagine è grave, proprio perché consente a personaggi di bassissimo profilo di proporsi credibilmente come detentori di simboli e verità religiose, facendo di se stessi e del proprio corpo un feticcio. Una strategia che trova la sua apoteosi nella pratica dei selfie scattati a raffica coi telefonini insieme ai propri seguaci. Lo fa Salvini e lo fa anche il papa. Forse quello strattone dovrebbe essere preso sul serio in Vaticano. Senza dogmatismi.

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Cosa dice il rapporto immobiliare 2019 dell’Agenzia delle Entrate e del Mef

Secondo i dati riferiti al 2016, il 75,2% delle famiglie ha una casa di proprietà. In un anno perso l'1,8% del valore medio che ora si ferma a 162 mila euro.

Il 75,2% delle famiglie, tre su quattro, risiede in una casa di proprietà. Nel 2016 la superficie media di un’abitazione è pari a 117 metri quadri e il suo valore medio è di circa 162 mila euro (1.385 euro a metro quadro). Il valore complessivo del patrimonio abitativo supera i 6.000 miliardi. Sono alcuni dei dati contenuti nella settima edizione di “Gli Immobili in Italia“, la pubblicazione che fotografa il patrimonio immobiliare italiano realizzata da Agenzia delle Entrate e Mef in collaborazione con Sogei.

OLTRE 6 MILIONI DI CASE IN AFFITTO

Gli immobili dati in locazione sono circa 6 milioni (10%), mentre 6,2 milioni (11%) sono quelli lasciati a disposizione. Infine, ammontano a circa 1,2 milioni, poco più del 2% del totale, gli immobili concessi in uso gratuito a familiari o ad altri comproprietari. Per quanto riguarda la distribuzione per aree territoriali, al Sud sono utilizzate come abitazione principale il 53,5% del totale delle abitazioni delle persone fisiche, al Nord e al Centro la quota è più elevata, rispettivamente 56,8% e 58,5%.

SCENDE IL VALORE MEDIO DELLE ABITAZIONI

Nel 2016, un’abitazione in Italia valeva mediamente 162 mila euro, con un valore unitario di 1.385 euro a metro quadro, in diminuzione dell’1,8% rispetto al 2015. Cali superiori al 3% si osservano nel Lazio, in Liguria e nelle Marche, in Toscana i valori perdono il 2,9% mentre per Veneto e Abruzzo la flessione è del 2,5%. Sotto il 2% il calo nelle restanti regioni. Fanno eccezione solo la Lombardia, in cui il valore delle case è rimasto stabile, e il Trentino-Alto Adige, unica regione a segnare un aumento del valore medio, +0,8%.

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È il giorno del ritorno al Milan di Ibrahimovic

Il campione svedese è sbarcato a Linate in tarda mattinata. Ad attenderlo altre dal CFO del Milan Boban, anche un centinaio di tifosi. Domani la presentazione ufficiale.

Zlatan Ibrahimovic è arrivato a Milano con un volo privato dalla Svezia. Ad attenderlo all’aeroporto di Linate Zvonimir Boban, CFO del Milan. Ibrahimovic si trasferirà subito dopo alla clinica La Madonnina dove svolgerà le visite mediche. Il 3 prevista la presentazione ufficiale a Casa Milan. L’ex Juve e Inter è sceso dall’aereo privato e ha subito rilasciato un’intervista al canale tematico del Milan. Total black per l’attaccante, che indossa una felpa nera col cappuccio e jeans neri. Sorrisi ed emozione per lo svedese che firmerà un contratto di sei mesi. «Sono felice? Molto». È stata la stringata risposta dell’ex Psg scendendo dalla macchina che lo ha portato alla Clinica La Madonnina. L’auto, presa d’assalto dai tifosi, ha fatto una manovra per evitare la folla e Ibrahimovic è entrato da un ingresso secondario.

ACCOLTO DA UN GRUPPO DI TIFOSI

Grande entusiasmo per il suo arrivo a Linate, dove circa un centinaio di tifosi lo hanno atteso per rubare il primo scatto del ritorno dello svedese in casacca rossonera. Al passaggio della macchina con Ibrahimovic a bordo cori e applausi dedicati all’attaccante che ha promesso un cambio di passo nella stagione del Milan. “Assalto” che si è ripetuto anche a La Madonnina per le visite mediche di rito.

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La fuga di Ghosn dal Giappone sta diventando un caso diplomatico

Faro delle autorità turche sul passaggio dell'ex presidente Nissan nel Paese prima dell'arrivo in Libano. Almeno cinque le persone fermate. E la Francia offre asilo. La situazione.

L’arrivo in Libano dell’ex presidente di Nissan Carlos Ghosn sta diventando sempre più un caso diplomatico. I fronti sono almeno tre: quello libanese, quello turco e ultimo in ordine di tempo quello francese.

LO SCENARIO LIBANESE: SMENTITI I CONTATTI COL PRESIDENTE AOUN

Venendo al primo, scrive il Financial Times, le autorità di Beirut avrebbero chiesto il rientro del manager già una settimana prima della fuga vera e propria. Non solo. Secondo al Jazeera Ghosn avrebbe incontrato il presidente libanese Michel Aoun il giorno dopo l’arrivo in Libano. Ipotesi poi smentita dall’ufficio della presidenza libanese: «Non è stato accolto dal presidente e non l’ha mai incontrato», ha fatto sapere un funzionario. Con ogni probabilità potrebbe arrivare qualche chiarimento il prossimo 8 gennaio, quando Ghosn terrà una conferenza stampa.

ARRESTI IN TURCHIA PER LO SCALO DAL GIAPPONE

Intanto si è aperto anche un fronte ad Ankara. La Turchia ha aperto un’indagine sul passaggio dell’ex presidente di Nissan-Renault. Secondo i media turchi, alcune persone sono già state arrestate ed interrogate. Nei giorni immediatamente successivi i media libanesi avevano riferito che Ghosn era atterrato all’aeroporto di Beirut con un jet privato proveniente da Istanbul. Stando alle prime indiscrezioni i fermati sarebbero sette e tra di loro ci sarebbero quattro piloti, il dirigente di una società di cargo e due dipendenti aeroportuali. Il Libano ha affermato che Ghosn è entrato “legalmente” nel Paese e non c’era motivo di agire contro di lui.

LA FRANCIA PROMETTE DI NON ESTRADARLO

Nel complesso scacchiere si è poi inserita anche la variabile francese. Secondo fonti sentite dal canale pubblico Nhk Carlos Ghosn era stato autorizzato dalla giustizia giapponese a mantenere in suo possesso un secondo passaporto francese, con il quale presumibilmente sarebbe entrato in Libano. Il manager, per ragioni che non si conoscono, possedeva due passaporti d’oltralpe, trattenuti entrambi dal suo avvocato, insieme a quello libanese, fino allo scorso mese di maggio, quando riuscì a ottenere la restituzione di uno dei due documenti francesi per ragioni legali. Il documento doveva essere conservato in una cassaforte chiusa a chiave. Intanto da Parigi è arrivato un altro aiuto a Ghosn: il segretario di stato all’economia Agnes Pannier-Runacher ha fatto sapere che la Francia «non estraderà» il manager se arriverà nel Paese.

IN GIAPPONE PROSEGUONO LE INDAGNI

Intanto, le autorità nipponiche hanno perquisito l’abitazione dell’ex tycoon e recuperato le immagini delle telecamere di sorveglianza per studiare l’esecuzione del piano di fuga messo in atto e l’eventuale esistenza di complici. Il 31 dicembre scorso la corte distrettuale di Tokyo ha revocato la libertà vigilata di Ghosn su richiesta del pubblico ministero, ordinando la confisca della cauzione di 1,5 miliardi di yen (12,3 milioni di euro). Il governo di Tokyo non ha firmato un trattato di estradizione con il Libano, rendendo molto difficile la cooperazione giudiziaria con Beirut, che con molta probabilità rifiuterà di consegnare l’ex tycoon alla giustizia nipponica.

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Una proposta agli ex Pci: il 19 gennaio andiamo ad Hammamet

La comunità socialista sarà in Tunisia per ricordare Bettino Craxi. È l'occasione per fare un gesto forte di riconciliazione. E mettere da parte le divisioni, una volta per tutte.

Tra il 17 e il 19 di gennaio la comunità socialista ricorderà ad Hammamet la morte di Bettino Craxi. Sono passati 20 anni, ma per i socialisti è una ferita aperta e per chi socialista non è stato, addirittura ha avversato Craxi, da tempo è iniziato un tentativo di ricostruirne la vicenda politica dando al leader del Psi meriti che in vita gli furono negati, fino al punto che fu lasciato morire in Tunisia malgrado potesse essere curato, e forse salvato, in Italia. Craxi è uno dei “grandi” della politica italiana. I socialisti non devono aversene a male se questo riconoscimento che si va facendo strada spesso non è accompagnato da una generale adesione alle sue scelte, anzi si accompagna ad una critica di alcune sue scelte. Il tema ancora bruciante è, però, il rapporto fra Craxi e la sua memoria e il vasto mondo, ormai disperso, degli ex comunisti, ovvero, più correttamente, degli ex Pci.

SERVE UN GESTO DI RICONCILIAZIONE

Io credo che sia giunto il tempo che un gruppo di ex comunisti, ovvero di ex Pci, partecipi in questa veste al ricordo di Craxi ad Hammamet. Qualcuno potrebbe andarci da solo oppure coinvolto nelle diverse delegazioni che le diverse famiglie socialiste stanno organizzando. Ma il fatto politico, l’evento che potrebbe avviare la definitiva riconciliazione fra ex Pci e ex Psi (che in parte è già avvenuta nella comune militanza a sinistra di questi anni), sarebbe se la partecipazione alla commemorazione vedesse in prima fila (è un modo di dire, si può stare anche in fondo) un gruppo di ex Pci. Il funerale di Craxi 20 anni fa si fece in Tunisia. La famiglia rifiutò l’offerta del premier Massimo D’Alema del funerale di Stato in Italia, Marco Minniti, sottosegretario di quel governo, e Gavino Angius, capogruppo al senato del partito ex comunista, si recarono in Tunisia. Poi negli anni successivi c’è stato molto silenzio e l’acredine reciproca ha creato nuove ferite. Molti socialisti sono passati a destra sostenendo di farlo in nome di Craxi che a destra, viceversa, non sarebbe mai passato. Anche i figli di Craxi hanno avuto atteggiamenti diversi, intransigente la figlia Stefania, partecipe di una comune esperienza politica Bobo, mio caro amico.

Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica

Ora vedremo se Gianni Amelio, nel film che dicono sia magistralmente interpretato da Favino, saprà dare l’immagine giusta del leader socialista. C’è tuttavia un punto di fondo che a sinistra si deve comprendere. Non è vero che bisogna “scurdarsi o passato”. I grandi fenomeni popolari o di opinione pubblica restano nella memoria. Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica. Gli ex Pci, che hanno accettato che si facesse strame della propria storia, dovrebbero assumere come regola di vita intellettuale e politica quella di non lasciar marcire la propria memoria e di non lasciare irrisolte le grandi questioni. Il craxismo è stata la più grande questione che la sinistra abbia avuto davanti a sé in anni cruciali, enfatizzata addirittura dal diverso atteggiamento nel caso del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.

AD HAMMAMET UNA DELEGAZIONE POST PCI CI DEVE ESSERE

Ad Hammamet una delegazione post Pci ci deve essere. Chi deve organizzarla? Ci sono tanti dirigenti di quel partito che fanno ancora politica o che hanno smesso da poco che possono farsi promotori di questa iniziativa. Può farlo una organizzazione culturale, una assemblea. Io sono nessuno, ma se ci fosse questa iniziativa parteciperei volentieri. Il tema da lanciare è la scelta dell’ unilaterale “riconciliazione” con la figura di Craxi. Tempo fa ho usato un verbo che non è piaciuto perché ho scritto che i comunisti devono “riabilitare” Craxi. Riconosco che fu una espressione infelice il cui senso politico era chiarissimo. Oggi dico ai miei che dobbiamo fare un gesto forte di riconciliazione, che scaverà come una talpa buona, fra le nostre radici: andiamo ad Hammamet, chiunque ci sia, anche se lì ci saranno quelli del cappio. Andiamo ad Hammamet con la famiglia socialista, non guardando alle sue divisioni (le nostre sono persino maggiori) ma pensando che nel futuro questo gesto può produrre unità.

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Cade elicottero a Taiwan, morto il capo di stato maggiore

Un velivolo dell'esercito è precipitato poco dopo il decollo. Tra le vittime diversi ufficiali. Ancora ignote le cause dello schianto.

Brutto incidente aereo a Taiwan. Un elicottero militare con a bordo di 13 persone è precipitato nei pressi delle montagne del distretto di Wulai di New Taipei. Le vittime finora accertate sono otto, tra di loro anche il capo dello stato maggiore, il generale Shen Yi-ming. Lo riferisce il ministero della Difesa taiwanese. Secondo i media locali, delle persone a bordo dell’UH-60M Black Hawk solo cinque si sono salvate. L’incidente, le cui cause sono ancora da chiarire, è avvenuto a pochi giorni dalle elezioni presidenziali dell’11 gennaio.

FALLITO OGNI TENTATIVO DI ATTERRAGGIO

Il Black Hawk, in dotazione all’Air Force Rescue Team, è partito nella mattinata del 2 gennaio dalla base aerea di Songshan, alle porte di Taipei, intorno alle 7:54 locali (00:54 in Italia) diretto alla base militare Dong’ao di Yilan per un’ispezione ordinaria prima della lunga festività del Capodanno lunare. Il velivolo è scomparso tuttavia è dai radar meno di 15 minuti dopo il decollo, fallendo il tentativo di atterraggio d’emergenza tra le montagne. Il ministero della Difesa ha istituito una task force per indagare sull’incidente.

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I valori di Borsa italiana e spread del 2 gennaio 2020

Piazza Affari riparte dopo la chiusura in negativo del 30 dicembre. Attesa anche per i listini europei. Le borse in diretta.

Prima apertura per la Borsa italiana nel nuovo anno. C’è attesa per vedere come inizierà il 2020 Piazza Affari dopo la chiusura negativa del 30 dicembre scorso quando l’indice Ftse Mib aveva terminato le contrattazioni in perdita dell’1,06% a 23.506 punti. Il 31, con listini mezzi chiusi e a mezzo servizio, le borse avevano avuto una giornata fiacca con scambi deboli e negoziazioni ridotte. Londra aveva ceduto lo 0,59%, Parigi lo 0,07%, Madrid lo -0,66% e Amsterdan lo -0,21%.

SPREAD INTORNO A QUOTA 160

Il 30 il differenziale tra Btp e Bund aveva chiuso a 160 punti base, con il rendimento del titolo decennale italiano all’1,407%.

I MERCATI IN DIRETTA

8.32 – BORSE ASIATICHE IN RIALZO COI TECNOLOGICI

Tlc e tecnologici hanno sostenuto le Borse in Asia, alla ripresa delle attività dopo la pausa per le festività natalizie, tranne Tokyo ancora chiusa per Capodanno. Bene i listini cinesi con l’indice Shanghai che ha guadagnato l’1,15% e lo Shenzen l’1,93%, sostenuto da China Merchants Bank che ha corso del 3,5%. Seul invece è scesa dell’1,02 per cento.

3.23 – APERTURA BORSA TOKYO IN LEGGERO RIALZO

La Borsa di Hong Kong ha aperto oggi in lieve rialzo, iniziando positivamente il nuovo decennio. L’indice Hang Seng è salito dello 0,21%, con un guadagno di 59,62 punti a quota 28.249,37. Gli indici Composite delle borse di Shanghai e Shenzhen sono saliti invece rispettivamente dello 0,53%% (+16,22 punti, a 3.066,34) e dello 0,68% (+11,68 punti, a 1.734,63).

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Le sfide del 2020 su cui il governo si gioca la sopravvivenza

Il nodo prescrizione. Il voto sulla Gregoretti. Le Regionali. Ma anche la questione banche, i decreti Sicurezza (che una parte del Pd vuole cancellare) e il Reddito di cittadinanza, nel mirino di Renzi. I dossier che metteranno a dura prova la tenuta della maggioranza.

C’è Giuseppe Conte che guarda a «una maratona» fino al 2023 e c’è Nicola Zingaretti che con più cautela parla di agenda per il 2020, invocando «crescita e giustizia fiscale». In mezzo ci sono Luigi Di Maio e Matteo Renzi che giurano lealtà, ma devono districarsi tra reciproche diffidenze e problemi di varia natura. Ed è proprio il rapporto tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva ad aumentare i pericoli di una crisi, con Palazzo Chigi spettatore interessato delle scintille tra gli alleati-nemici. Il nuovo anno del governo non si annuncia affatto tranquillo. E più che un progetto annuale, se non addirittura triennale come vaticinato dal presidente del Consiglio, la realtà racconta di una navigazione sempre più a vista. 

Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato

Fonti di maggioranza

L’ottimismo professato da Conte non trova grandi riscontri nei fatti. «Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato», ammette un parlamentare della maggioranza. Fin dai prossimi primi giorni ci saranno degli ostacoli da saltare, aggirare. O, come è avvenuto nelle ultime settimane, da spostare qualche mese più in avanti, cercando di rinviare e temporeggiare. Dal voto su Matteo Salvini per il caso Gregoretti alle elezioni regionali, l’inizio del 2020 sarà ricco di insidie, con le varie forze di maggioranza che devono accorciare distanze siderali. Ma il principale problema resta la tenuta del Movimento 5 Stelle: non trascorre giorno senza le voci di possibili transfughi, in qualsiasi direzione. E principalmente verso la Lega.

I MALUMORI DI ITALIA VIVA SULLA PRESCRIZIONE

A parole nessuno vuole creare l’incidente sulla Giustizia, in particolare sulla cancellazione della prescrizione prevista dalla riforma del ministro Bonafede. Ma la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, così il Partito democratico ha piantato un paletto: senza un accordo di maggioranza, sarà portata in Aula una proposta di legge alternativa che non elimina la prescrizione, ma la regolamenta con una sospensione massima di tre anni e sei mesi. Come se non bastasse Italia Viva ha ribadito che è pronta anche a votare il testo di Forza Italia, presentato dal deputato Enrico Costa. Questa proposta punta a neutralizzare la norma voluta dal Guardasigilli. Una mossa che spalanca le porte a un’eventuale, ulteriore, spaccatura tra i cinque stelle. Una retromarcia sulla prescrizione, infatti, potrebbe essere la scusa buona per i malpancisti del Senato a lasciare il Movimento. Senza dimenticare il dossier sulla revoca della concessione ad Autostrade, che potrebbe provocare la stessa dinamica tra i dissidenti M5s. 

IL REFERENDUM CHE PUÒ AVVICINARE LE ELEZIONI

Pochi giorni e gli italiani sapranno se ci sarà un referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Il 12 gennaio scade il termine per le firme sulla richiesta del referendum: al Senato il quorum è stato raggiunto, ma qualcuno potrebbe decidere di ritirare la firma, facendo saltare la consultazione (che si terrebbe in primavera). Il passaggio è molto delicato: intorno a questa decisione c’è un interesse di Palazzo, ossia la possibilità di far terminare anticipatamente la legislatura per tornare subito al voto ed eleggere, per l’ultima volta, 945 parlamentari invece di 600 come previsto dalla riforma approvata. A questo si aggiunge un’altra atavica questione: la legge elettorale, su cui la maggioranza fatica a trovare un’intesa. Ma c’è una certezza: nelle prossime settimane la Corte costituzionale si esprimerà sull’ammissibilità del referendum proposto dalla Lega; l’obiettivo è quello di introdurre un maggioritario puro, cancellando la quota proporzionale prevista dal Rosatellum.

IL VOTO SU SALVINI ALIMENTA LE TENSIONI

Il 20 gennaio ci sarà il voto su Salvini e la vicenda giudiziaria relativa alla nave Gregoretti: i magistrati chiedono di poter processare il leader della Lega. La vicenda accresce gli imbarazzi dei cinque stelle, che sul caso della Diciotti avevano respinto la richiesta della magistratura. Ma quella era l’epoca del Salvini alleato di Di Maio, ora la fase politica è diversa. E anche l’orientamento sembra cambiato. I leghisti scrutano perciò le intenzioni di Italia Viva, che non si è sbilanciata sulla decisione. L’aria che tira nei corridoi parlamentari è che il dialogo tra i “due Mattei”, Renzi e Salvini, potrebbe manifestarsi proprio il 20 gennaio. Facendo esplodere ulteriori tensioni. 

LE REGIONALI COME PUNTO DI SVOLTA

Le Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, in calendario il 26 gennaio, hanno una valenza nazionale. Al di là delle smentite di rito, l’eventuale sconfitta di Stefano Bonaccini provocherebbe uno smottamento nel Pd, rischiando seriamente di trascinare con sé l’intero governo. Facile prevedere pure le accuse rivolte al Movimento che ha voluto presentare un proprio candidato. Nelle ultime settimane, il barometro segnala un moderato ottimismo: il centrosinistra è dato in vantaggio nei sondaggi sull’alleanza di centrodestra, guidata dalla leghista Lucia Borgonzoni. Ma c’è un altro tornante fondamentale nel voto per l’Emilia-Romagna. Un risultato molto deludente di Simone Benini, candidato del M5s, aprirebbe l’ennesimo fronte polemico interno nei confronti di Di Maio. Con la messa in discussione della sua leadership e l’aumento del malcontento tra i parlamentari pentastellati. Sull’esito del voto in Calabria, invece, l’attenzione è al momento minore.

EX ILVA, MA NON SOLO: LE VERTENZE CHE SCOTTANO

La «maratona» di tre anni annunciata da Conte parte quindi con un primo chilometro durissimo. Tutto in salita. Oltre al rapporto tra i partiti, sul tavolo ci sono questioni che tirano in ballo il destino di decine di migliaia di lavoratori. In questo caso spetterà al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, dirimere le problematiche più delicate. Il futuro dell’ex Ilva e di Alitalia è incerto: lo stabilimento di Taranto è al centro di una complicata trattativa con ArcelorMittal, mentre la compagnia aerea ha ricevuto l’ennesimo prestito-ponte. Ma all’orizzonte non si delinea una soluzione definitiva. Tra le vertenze ci sono anche quelle della Whirpool, dell’ex Embraco e della Bosch di Bari. Sempre nel capoluogo pugliese c’è un’altra criticità: la Popolare di Bari. Il salvataggio in extremis dell’istituto non ha risolto la questione. Anzi.

DALLE BANCHE A QUOTA 100: GLI ALTRI FRONTI DELICATI

La questione banche è pronta ad acuire le divisioni. I lavori della commissione di inchiesta dovranno comunque partire nel 2020: non è immaginabile un ulteriore slittamento. E le scintille tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva sono facilmente prevedibili. Un altro terreno di scontro è rappresentato dai decreti Sicurezza: una parte del Pd chiede la totale cancellazione dei provvedimenti voluti da Salvini nel corso della precedente esperienza di governo. Conte ha detto di voler conservare l’impianto normativo, prevedendo solo ritocchi. Zingaretti sarà costretto a battere i pugni sul tavolo e comunque dovrà accettare una mediazione, rischiando di alimentare le polemiche interne. Sempre tra i dem c’è la volontà di rilanciare la battaglia sullo Ius Culturae, sfidando il niet di Di Maio. Tra i tanti dossier aperti e quelli da aprire, si inserisce l’attivismo di Renzi, che ha bisogno di ritagliarsi uno spazio per aumentare i consensi della sua creatura politica. Italia Viva al momento non sfonda nei sondaggi. Così l’ex presidente del Consiglio, attraverso i suoi fedelissimi, ha già annunciato una campagna contro Reddito di cittadinanza e Quota 100, cavalli di battaglia del M5s. Una provocazione che non è passata inosservata. Insomma, all’ordine del giorno delle criticità del Conte 2 c’è un ricco capitolo di “varie ed eventuali”.

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