Il senatore Ugo Grassi passa dal M5s alla Lega

Salvini lo accoglie a braccia aperte. Di Maio durissimo su Facebook: «Quelli come lui ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Il senatore Ugo Grassi ha lasciato il gruppo parlamentare del M5s per passare a quello della Lega. Il giurista napoletano, eletto nel 2018 nel collegio uninominale di Avellino, l’11 dicembre ha votato in dissenso sulla risoluzione con cui la maggioranza ha dato mandato al premier Giuseppe Conte di proseguire la trattativa sul Mes in sede europea.

SALVINI LO ACCOGLIE A BRACCIA APERTE

Il leader della Lega, Matteo Salvini, lo ha accolto con calore: «Diamo il benvenuto al senatore Grassi. Porte aperte per chi, con coerenza, competenza e serietà, ha idee positive per l’Italia e non è succube del Pd. Sulla riforma della giustizia e sul rilancio delle università italiane, col senatore Grassi lavoreremo bene».

DI MAIO FURIOSO SU FACEBOOK

Opposto il commento del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, affidato a una diretta video su Facebook: «Senatori come Grassi possono passare alla Lega, ma non raccontino balle. Dicano che il tema non è il Mes, ma che gli hanno proposto altre contropartite. Il mercato delle vacche a cui stiamo assistendo è la solita logica dei voltagabbana che noi abbiamo sempre combattuto. Ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Grassi, da parte sua, ha scritto una lettera per rendere pubblici i motivi che lo avrebbero spinto a cambiare gruppo: «Il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del M5s di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine. Gli effetti di questo modo di procedere sono così gravi ed evidenti (a chi vuol vedere), da non dover neppure essere esposti. Basti l’esempio della gestione dell’ex Ilva per dar conto dell’assenza di una programmazione nella gestione delle crisi».

GRASSI: «LA LEGA MI OFFRE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ»

Il senatore ha quindi rievocato l’esperienza del governo Conte I, quando avrebbe avuto modo di «comprendere che molti dei miei obiettivi politici erano condivisi dal partito partner di governo», ovvero dalla Lega. Lo stesso partito che oggi «mi offre una seconda opportunità per raggiungere quegli obiettivi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi e a fronte di un evidente fallimento della mia iniziale esperienza». Ma per Di Maio non basta: «Senatori come Grassi dicano semplicemente che vogliono cambiare casacca e tradire il mandato che i cittadini gli hanno dato. Non c’è nulla di male. Ma vadano a casa, altrimenti a quella lettera alleghino anche un listino prezzi sul mercato delle vacche».

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Il maxi blitz della Digos contro i gruppi ultrà

Daspo per 75 membri del gruppo Hooligans Torino: per 71 di loro scatta anche la denuncia. Lo stesso provvedimento anche per 40 tifosi di Napoli e Inter.

Blitz della polizia contro gli ultrà granata appartenenti agli ‘Hooligans Torino’: gli uomini della Digos hanno notificato il Daspo a tutti e 75 i membri del gruppo, 71 dei quali sono stati denunciati per diversi reati tra i quali violenza privata aggravata, rissa, violenza e lesioni nei confronti di incaricato di pubblico servizio. Sono invece oltre 500 le sanzioni amministrative applicate per violazione del regolamento dello stadio, per un importo superiore agli 80 mila euro.

LO SCONTRO INTERNO ALLA CURVA GRANATA

Le indagini hanno portato alla luce anche lo scontro in corso da anni tra i Torino Hooligans e i gruppi storici della Maratona, la curva da sempre occupata dai tifosi granata. Gli ultrà sono accusati anche di travisamento, porto di strumenti atti ad offendere, accensione e lancio di fumogeni. Oltre ai Daspo, i poliziotti hanno notificato un provvedimento di sospensione della licenza a tre locali pubblici che erano frequentati abitualmente dai membri dei Torino Hooligans.

DENUNCIATI 40 ULTRÀ DI NAPOLI E INTER

Una quarantina di ultrà di Napoli e Inter sono, infine, stati denunciati dalla Digos di Torino per gli scontri con i tifosi granata. Per tutti sono in corso di notifica anche i provvedimenti di Daspo. I supporters napoletani che si sono resi protagonisti degli incidenti dopo Torino-Napoli del 6 ottobre sono 32, mentre gli interisti sono otto e i fatti risalgono all’incontro del 23 novembre scorso.

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Bimbo investito nel Bresciano, fermata una ragazza di 22 anni

La giovane è accusata di lesioni stradali gravi e omesso soccorso.

Una ragazza di 22 anni è stata fermata per aver investito il 10 dicembre madre e figlio di due anni a Coccaglio, in provincia di Brescia.

Le forze dell’ordine l’hanno individuata grazie alle telecamere installate nella zona. La giovane è accusata di lesioni stradali gravi e omesso soccorso. Il bambino era nel passeggino ed è stato sbalzato fuori, le sue condizioni restano gravissime.

La mamma, originaria dell’India, era uscita di casa con il piccolo per accompagnare all’asilo la figlia più grande, quattro anni. Pochi passi sulle strisce pedonali e poi, all’improvviso, l’impatto con l’auto. Il passeggino, strappato dalla mano della mamma, è volato via di una decina di metri. Ma la ragazza alla guida non si è nemmeno fermata. Polizia e carabinieri sono andati a prenderla nella tarda serata di martedì, all’uscita dal lavoro.

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Caro voli e caro treni: tornare a casa per Natale è un’Odissea

Come ogni anno raggiungere la famiglia per le feste è un salasso. I biglietti aerei, quando si trovano, sono proibitivi. E l'alternativa su rotaia è sold-out. Cronache di ordinario rientro da Nord a Sud.

Cinque euro per andare a Londra, 166 per Palermo. In entrambi i casi si parte il 20 dicembre da Milano Malpensa con una low-cost. L’ultimo venerdì prima di Natale, quando – almeno sulla carta – le famiglie dovrebbero ricomporsi per la gioia dei cari facendo però lacrimare il portafoglio.

Il 20 dicembre da Malpensa a Londra si spendono 4,99 euro.

Anche questi sono i risvolti dell’emigrazione di massa e della fuga dei cervelli. E basta dare un’occhiata a destinazioni e tariffe sotto le feste per rendersene conto. 

Volo Milano Malpensa – Palermo.

POSTI QUASI ESAURITI PER BARI E CATANIA

Nella stessa data, per Bari e Catania è tutto esaurito e la storia non cambia nei giorni successivi, mentre per spingersi fino a Lamezia servono 230 euro e una prenotazione immediata: i posti disponibili sono due e potrebbero facilmente esaurirsi nell’istante in cui quest’articolo prende forma.

Per volare da Malpensa a Lamezia il 20 dicembre si spendono 230,99 euro.

Si potrà obiettare che la soluzione volo non sia la sola percorribile e possano trovarsi alternative, ma anche in questo caso ogni affermazione deve essere presa con le pinze.

LE ODISSEE VIA TRENO

Da Roma a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), i treni vanno a ruba: i biglietti residui e più economici costano 78 euro, Freccia Bianca senza chance di scontistica, o 87, che diventano 52 per under 30 e over 60. Quest’ultima soluzione, però, è un Intercity e per percorrere i 491 chilometri che dividono la Capitale dal Sud più profondo impiega la bellezza di sette ore e 10 minuti.

Il costo di un biglietto Frecciargento da Roma a Villa San Giovanni.

Meglio allora, a patto certo di averne le possibilità, optare per la Freccia Argento. Prezzo bloccato a 127 euro con economy sold-out: lati negativi da barattare con la consapevolezza di essere a casa in “sole” 4 ore e 39 minuti. 

UN PAESE SPACCATO

Ritardi permettendo. Già, perché in un quadro di per sé desolante, l’alta velocità continua a viaggiare a singhiozzo da Salerno in giù, con qualche rara eccezione determinata spesso e volentieri più dall’eliminazione di fermate che dall’aumento effettivo dei chilometri orari dei convogli. Le linee sono vecchie, le infrastrutture altrettanto e gli interventi rari per usare un eufemismo. Chi taglia l’Italia da Nord a Sud, si confronta un Paese letteralmente spaccato: fino a Napoli abbondano le corse di Italo e Trenitalia. Poi, una volta giunti sotto il Vesuvio, è quasi sempre necessario proseguire su Intercity o regionali veloci. «Da Bergamo a Roma giorno 20 dicembre sfrutterò l’alta velocità, impiegando 5 ore», conferma a Lettera43.it Antonella, biotecnologa 26enne. «Poi continuerò con l’Intercity. Per percorrere 100 chilometri in meno, viaggerò due ore in più». Paradossi dello Stivale. 

I CORAGGIOSI DEL PULLMAN

Per i più arditi o i ritardatari dell’ultimo secondo rimangono i bus. Roma-Agrigento, venerdì 20 dicembre, vale 69 euro e 50 o, addirittura, 84.50 a seconda che si decida per una partenza serale (19.45) o notturna (21). Orario di arrivo? Rispettivamente 9.15 e 10.30. La notte in pullman val bene l’abbraccio con mamma e papà, una passeggiata in riva al mare o il pranzo del 25 dai parenti, ma nessuno, studente o lavoratore che sia, disdegnerebbe la possibilità di risparmiare qualche manciata di euro. Che si trasformano presto in giri d’affari incredibili, se moltiplicati per il numero impressionante di emigrati.

Il costo del viaggio da Roma ad Agrigento in bus.

LO TSUNAMI DEMOGRAFICO

Secondo i dati dell’ultimo rapporto Svimez, tra il 2002 e il 2017 dal Meridione, con capolinea Nord Italia o estero, sono andate via oltre 2 milioni di persone, la metà sono giovani tra i 22 e i 34 anni, 379 mila quelli in possesso di una laurea. Nello stesso arco di tempo sono rientrati in 1 milione e 200 mila, per un saldo negativo di 852 mila. Per rendere meglio l’idea, l’equivalente di una città delle dimensioni di Torino. L’ultimo rapporto Censis parla invece senza mezze misure di “tsunami demografico“: «Dal 2015 il Mezzogiorno ha perso quasi 310 mila abitanti (-1,5%), contro un calo dello 0,6% nell’Italia centrale e dello 0,3% nel Nord Ovest, dello 0,1% nel Nord Est e dello 0,7% a livello nazionale».

IL GAP CON L’EUROPA

Con questi numeri, non stupisce l’esodo sotto le feste o in estate. E i prezzi dei biglietti alle stelle. Problema, quest’ultimo, che si ripropone ogni anno e che almeno in Italia non pare trovare una soluzione. In Spagna, per esempio, le cose vanno diversamente grazie a una efficiente continuità territoriale. «Da Las Palmas a qualunque città della Spagna, e viceversa, ho una riduzione del 75% sul costo iniziale del biglietto», spiega Naomi Diaz 24 anni, originaria delle Canarie. «Inizialmente pagavamo la metà, poi, dopo numerose proteste, le agevolazioni sono aumentate ulteriormente, diventando quelle attuali». Nessun privilegio, ma il dovere di andare incontro a un bisogno urgente: «Vale solo per gli spostamenti che abbiano come destinazione o partenza la mia città», continua. «Per rotte differenti il prezzo è identico a quello pagato dagli altri spagnoli». 

Esodo natalizio (Ansa).

LA CONTINUITÀ TERRITORIALE PER LA SARDEGNA

E in Italia? Questo meccanismo funziona per ora solo per la Sardegna (per la Sicilia è stato chiesto recentemente) e garantisce tariffe bloccate su sei tratte aree: Alghero, Cagliari e Olbia con mete Roma Fiumicino e Milano Linate. Oltre ai residenti sull’Isola, possono beneficiare della scontistica anziani con più di 70 anni, giovani dai 2 ai 21 anni, studenti universitari fino al compimento dei 27. Per un totale di 3.672.532 posti l’anno. I nati in Sardegna hanno invece diritto a sconti sui biglietti marittimi. Il recente ponte di Ognissanti, tuttavia, ha dimostrato come le liste d’attesa siano lunghe e insufficienti a soddisfare l’enorme mole di domande. Storie, insomma, d’ordinario rientro.

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Il governo delle tasse rimangiate

Conte dopo il vertice-fiume sulla manovra: «Azzerato il prelievo sulle auto aziendali». Plastic tax ridotta a 50 centesimi al chilo e rinviata a luglio. Mentre la sugar tax partirà soltanto a ottobre. Il premier: «Nessuno dica più che siamo l'esecutivo delle imposte». Ma preoccupano i tempi contingentati in parlamento.

Azzerata la tassa sulle auto aziendali, dimezzata (50 centesimi al chilo) quella sulla plastica, che partirà dal primo luglio. Mentre la sugar tax viene rinviata a ottobre, così le imprese «avranno tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive e rielaborare le loro strategie». Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha confermato che la maggioranza ha trovato un accordo sulla manovra. «Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse», ha scandito il presidente del Consiglio, «sarebbe una bugia inoppugnabile». Coperture alternative potrebbero arrivare da una nuova stretta sui giochi: allo studio un prelievo del 15% sulle vincite superiori a 25 euro.

AUMENTO DELL’IRES SOLO SUI CONCESSIONARI DEI TRASPORTI

Un’altra importante novità riguarda la Robin tax, ovvero l’aumento dell’Ires del 3% per le società concessionarie di servizi pubblici. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha spiegato che la platea è stata fortemente riddotta. L’aumento, infatti, «riguarderà solo i concessionari dei trasporti», ad esempio Autostrade per l’Italia, per «limitare l’impatto di questa misura sui cittadini».

IL COLLOQUIO FRA CONTE E MATTARELLA

Conte ha chiarito anche la natura del colloquio al Quirinale con il presidente Sergio Mattarella: «Era un incontro già programmato da tempo, rientra nelle mie abitudini aggiornare ogni tanto il Capo dello Stato. C’è stato anche un rapido ragguaglio sullo stato della manovra, ma nessun accenno alla tenuta della maggioranza».

IL RISCHIO DI “ESAUTORARE” LA CAMERA

Tuttavia, alle innegabili fibrillazioni interne alla compagine di governo (Italia viva ha già fatto sapere che «per noi è una priorità cancellare del tutto plastic tax e sugar tax, lavoreremo per questo nei prossimi mesi»), si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono talmente stretti che le modifiche potrebbero essere concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. In altre parole, Montecitorio dovrebbe limitarsi a ratificare il testo licenziato da Palazzo Madama senza intervenire, altrimenti sarebbe necessario un ulteriore passaggio al Senato per il quale non c’è più tempo.

SOLO 25 GIORNI PER EVITARE L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti. Di sicuro c’è che per evitare l’esercizio provvisorio ci sono solo 25 giorni, da qui al 31 dicembre. Dunque nel vertice a Palazzo Chigi, e verosimilmente anche nel colloquio fra Conte e Mattarella, si sono affrontate questioni di calendario che però non sono affatto meramente formali, visto che riguardano gli equilibri di potere fra le due Camere.

LA LEGA SUL PIEDE DI GUERRA

È possibile che gli emendamenti presentati e votati dai senatori a partire dal 7 dicembre vengano in parte condivisi con i deputati, chiamati a “travasare” le loro istanze. Ma la Lega e le altre forze di centrodestra sono pronte a dare battaglia. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio a Montecitorio, ha dichiarato: «Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi-emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare alla Camera con la fiducia. Non ci sarebbero precedenti, e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…».

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Il governo delle tasse rimangiate

Conte dopo il vertice-fiume sulla manovra: «Azzerato il prelievo sulle auto aziendali». Plastic tax ridotta a 50 centesimi al chilo e rinviata a luglio. Mentre la sugar tax partirà soltanto a ottobre. Il premier: «Nessuno dica più che siamo l'esecutivo delle imposte». Ma preoccupano i tempi contingentati in parlamento.

Azzerata la tassa sulle auto aziendali, dimezzata (50 centesimi al chilo) quella sulla plastica, che partirà dal primo luglio. Mentre la sugar tax viene rinviata a ottobre, così le imprese «avranno tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive e rielaborare le loro strategie». Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha confermato che la maggioranza ha trovato un accordo sulla manovra. «Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse», ha scandito il presidente del Consiglio, «sarebbe una bugia inoppugnabile». Coperture alternative potrebbero arrivare da una nuova stretta sui giochi: allo studio un prelievo del 15% sulle vincite superiori a 25 euro.

AUMENTO DELL’IRES SOLO SUI CONCESSIONARI DEI TRASPORTI

Un’altra importante novità riguarda la Robin tax, ovvero l’aumento dell’Ires del 3% per le società concessionarie di servizi pubblici. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha spiegato che la platea è stata fortemente riddotta. L’aumento, infatti, «riguarderà solo i concessionari dei trasporti», ad esempio Autostrade per l’Italia, per «limitare l’impatto di questa misura sui cittadini».

IL COLLOQUIO FRA CONTE E MATTARELLA

Conte ha chiarito anche la natura del colloquio al Quirinale con il presidente Sergio Mattarella: «Era un incontro già programmato da tempo, rientra nelle mie abitudini aggiornare ogni tanto il Capo dello Stato. C’è stato anche un rapido ragguaglio sullo stato della manovra, ma nessun accenno alla tenuta della maggioranza».

IL RISCHIO DI “ESAUTORARE” LA CAMERA

Tuttavia, alle innegabili fibrillazioni interne alla compagine di governo (Italia viva ha già fatto sapere che «per noi è una priorità cancellare del tutto plastic tax e sugar tax, lavoreremo per questo nei prossimi mesi»), si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono talmente stretti che le modifiche potrebbero essere concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. In altre parole, Montecitorio dovrebbe limitarsi a ratificare il testo licenziato da Palazzo Madama senza intervenire, altrimenti sarebbe necessario un ulteriore passaggio al Senato per il quale non c’è più tempo.

SOLO 25 GIORNI PER EVITARE L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti. Di sicuro c’è che per evitare l’esercizio provvisorio ci sono solo 25 giorni, da qui al 31 dicembre. Dunque nel vertice a Palazzo Chigi, e verosimilmente anche nel colloquio fra Conte e Mattarella, si sono affrontate questioni di calendario che però non sono affatto meramente formali, visto che riguardano gli equilibri di potere fra le due Camere.

LA LEGA SUL PIEDE DI GUERRA

È possibile che gli emendamenti presentati e votati dai senatori a partire dal 7 dicembre vengano in parte condivisi con i deputati, chiamati a “travasare” le loro istanze. Ma la Lega e le altre forze di centrodestra sono pronte a dare battaglia. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio a Montecitorio, ha dichiarato: «Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi-emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare alla Camera con la fiducia. Non ci sarebbero precedenti, e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…».

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La riforma del Mes e l’unione bancaria viste da Berlino

Scholz, vice di Merkel, ha un piano soft per assicurare i risparmi nell’Ue. Anche attraverso il fondo Salva-Stati. Ma restano le resistenze della Bundesbank. E, sullo sfondo, aleggia la crisi della Grande Coalizione. L'analisi.

L’Italia è il secondo Paese con il debito pubblico più alto dell‘Eurozona dopo la Grecia. Ma è anche la terza potenza dell’area dopo la Germania e la Francia.

Su questa contrapposizione si basa la dialettica tra il ministro delle Finanze italiano Roberto Gualtieri e l’omologo tedesco Olaf Scholz. Appendice della battaglia che sta portando avanti il nostro Paese per strappare più concessioni possibili sul Fondo salva-Stati Ue (il Meccanismo europeo di stabilità, Mes), come parte della riforma complessiva dell’Unione economica e monetaria per un’unione bancaria tra i gli Stati membri.

Il premier Giuseppe Conte c’è, la cancelliera Angela Merkel all’apparenza molto meno. Preferisce stare dietro le quinte, disposta molto più di anni fa a sostanziali compromessi. Ma solo se costretta e soprattutto senza darlo a vedere, per non scatenare un vespaio.

IL SILENZIO DI MERKEL

In un mese Merkel non si è espressa sulla proposta di unione bancaria del suo ministro e vice socialdemocratico Scholz, che in Italia ha fatto sollevare i vertici di Bankitalia e di Palazzo Chigi. Ma che in Germania non è mai diventata oggetto di dibattito tra i conservatori (Cdu-Csu) e i socialdemocratici (Spd) della Grande coalizione. Si attendeva, e non a torto, l’esito della consultazione tra gli iscritti del partito socialdemocratico per la nuova leadership. Al primo turno era prevalso proprio il vice-cancelliere che, anche per accendere i riflettori su di sé, con un editoriale sul Financial Times aveva presentato la proposta di unione bancaria come un modo «per sbloccare lo stallo che si ripercuote sul mercato interno e sulla fiducia dei cittadini europei». Scholz, ex ministro del Lavoro del Merkel II e sindaco di Amburgo fino alla seconda chiamata a Berlino nel 2018, tra i più borghesi e competenti della Spd, sperava di dare così prova di leadership. Aumentando sia il suo consenso interno e sia la visibilità nell’Ue.

Germania Scholz unione bancaria Mes
Angela Merkel (Cdu) con il vice cancelliere Olaf Scholz (Getty).

GLI IMPRONUNCIABILI EUROBOND

Il ricambio all’Europarlamento e a Bruxelles – determinato dal sì di Merkel al presidente francese Emmanuel Macron – permetteva a Scholz di distanziarsi dalla rigida austerity del predecessore Wolfgang Schäuble. Nell’Ue c’erano, e ci sono, i margini per compiere dei progressi. La Francia e la Commissione Ue guardano con favore all’iniziativa del ministro tedesco, sebbene il vice di Merkel non possa permettersi (né probabilmente neanche la vorrebbe) la parola eurobond – da sempre amata dall’Italia – per lo stesso motivo per il quale la cancelliera resta così cauta. Il silenzio della Germania è dovuto però a ragioni opposte rispetto a quelle che hanno scatenato il frastuono dell’Italia su Mes e unione bancaria all’Eurogruppo del 4 dicembre a cui seguirà il Consiglio europeo del 12. Il cuore finanziario protezionista della Bundesbank rema contro, come i Paesi nordici e il blocco sovranista dell’Est, anche alla proposta ponderata di Scholz, ben accolta invece a sorpresa da parte delle banche tedesche.

UN’ASSICURAZIONE DELL’UE CONTRO L’INSOLVENZA

La cancelliera deve fronteggiare il dissenso dei bavaresi (Csu) e di frange più a destra della Cdu. Ma a maggior ragione in queste settimane l’Italia può spingere l’acceleratore sulle sue pretese, di fronte a una Germania indebolita dalla frenata economica e da una Grande coalizione tornata molto fragile. La linea moderata di Scholz è sconfessata dalla maggioranza degli iscritti ai socialdemocratici, che gli ha preferito Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, il duo dell’ala più solidale e comunarda, probabilmente anche più favorevole agli eurobond per spalmare i debiti dell’Ue. Il vice-cancelliere, visibilmente deluso, partecipa all’Eurogruppo fresco di sconfitta mentre il quarto governo Merkel traballa: il progetto di rilancio della Spd a sua immagine è fallito. Ma se non altro l’intenzione di «riattivare un dibattito morto» nell’Ue ha avuto successo: la sua proposta di creare un sistema comunitario di assicurazione sui depositi, anche attraverso il paracadute del fondo Salva-Stati europeo, per integrare il settore finanziario dell’Eurozona a tutela dei risparmiatori degli istituti insolventi, ha un senso per tutti i 19 Stati nell’euro.

Germania Scholz unione bancaria Mes Conte
Il premier italiano Giuseppe Conte con il ministro delle Finanze Roberto Gualtieri (Getty).

UN’UNIONE A IMMAGINE DELLA GERMANIA?

Ma è da evitare che con l’unione bancaria si ripetano i soliti squilibri dell’euro a vantaggio della Germania, per i rapporti di forza che hanno prodotto anche i vincoli del Mes attuale, in vigore dal 2012 e figlio dell’austerity di Schäuble. Scholz non è così fiscale, vuole mitigare: «Accettare un meccanismo comune di assicurazione dei depositi non è un piccolo passo per un ministro delle Finanze tedesco», ha scritto pensando a un sistema di riassicurazione che aiuterebbe i fondi nazionali a coprire i risparmi bancari fino a 100 mila euro. Il contraltare dell’unione bancaria sarebbe valutare i titoli di Stato in base al loro fattore di rischio, impiccando l’Italia (con un debito pubblico pari al 138% del Pil) e gli altri Stati dell’Eurozona esposti sui Btp come la Spagna. Allora sì, costretti a interventi di salvataggio del Mes. Comprensibile che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e Gualtieri siano inorriditi di fronte alla prospettiva di un possibile scaricabarile a Bruxelles sui bond statali, dati in pasto allo spread assieme alle banche italiane che ne sono piene. 

IL NODO DEUTSCHE BANK

Va poi capito quanto bisogno abbia ora anche la Germania di un’unione bancaria. Prima della crisi di Deutsche Bank e del calo interno di produzione a causa dei dazi degli Usa all’Ue e alla Cina, i fortini finanziari di Francoforte dietro i governi di Berlino respingevano piani europei che esponessero i contribuenti tedeschi ad alleggerire i crac in altri Paesi. Abbattere le barriere nazionali – con particolari garanzie – faciliterebbe però di questi tempi la fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank, fallita per il rischio che il secondo gigante tedesco affondasse sotto il peso del primo. Tra le precondizioni per l’unione bancaria, nella proposta di Scholz non si accenna alle masse di derivati presenti in gruppi come Deutsche Bank. Mentre si chiede per esempio di ridurre sotto il 5% dei crediti totali i crediti inesigibili che affliggono gli istituti italiani in sofferenza. Non c’è da stupirsi se le reazioni della finanza su Scholz riflettono gli interessi in gioco: per Deutsche Bank «carte molto benvenute», per Commerzbank un’unione che «rafforzerebbe l’Europa». Gruppi tedeschi più sani sono molto più prudenti.

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Chi è Luis Alberto Lacalle Pou, nuovo presidente dell’Uruguay

Il 46enne ha vinto il ballottaggio del 24 novembre. Figlio e bisnipote d'arte, ha riportato il Paese nelle mani del Partito Nazionale. Il profilo.

Per la prima volta in 15 anni, un candidato che non appartiene al Frente Amplio è stato eletto presidente dell’Uruguay.

Luis Alberto Lacalle Pou che ha battuto al ballottaggio Daniel Martínez, è il leader del Partito Nazionale detto anche Bianco, in contrapposizione agli storici rivali Colorados.

FIGLIO E BISNIPOTE D’ARTE

Il neo-presidente 46enne, che si insedierà il primo marzo, appartiene a una famiglia storica per la politica del Paese. Suo padre, Luis Alberto Lacalle, è stato presidente dal 1990 al 1995. La madre Julia Pou è stata senatrice tra il 2000 e il 2005.

Luis Alberto Lacalle​, padre del neo presidente dell’Uruguay e a sua volta ex presidente del Paese (Getty Images).

Infine il bisnonno Luis Alberto de Herrera, storico caudillo dei Blancos, a parte avere un ruolo assimilabile a primo ministro tra 1925 e 1927 ed essere stato membro del Consiglio nazionale di governo collegiale dal 1952 alla sua morte nel 1959, fu soprattutto colui che alle elezioni del 1958 sconfisse i Colorados dopo 93 anni. Personaggio leggendario, in alcune foto giovanili appare vestito da guerrigliero con un cappello da gaucho.

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LA PASSIONE PER IL MARE E PER IL SURF

Proprio dal bisnonno Lacalle Pou ha ereditato una collezione di National Geographic. Di qui la sua passione per il mare. Il suo sogno, infatti, era diventare un nuovo Jacques-Yves Cousteau tanto che anche ora dice di essere un oceanografo mancato. In compenso, però, è diventato un abilissimo surfista. Ha girato mezzo mondo a cercare onde da cavalcare: Hawaii, California, Nicaragua, Panama, El Salvador, Costa Rica, Messico, Brasile, Sumatra. Ama ripetere che «il surf insegna l’armonia con ciò che ci circonda e a integrarsi con il Pianeta». Quando non ha il mare a disposizione, si arrangia con uno skateboard.

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Proprio ai festeggiamenti per la vittoria del padre Luis Lacalle Pou conobbe sua moglie Lorena Ponce de León appartenente a una famiglia colorada, ma portata all’evento da una amica. Con lei ha avuto tre figli. Deputato dal 2000 al 2015, presidente della Camera dal 2011 al 2012, candidato alla presidenza nel 2014 e senatore dal 2015, Lacalle Pou è ora alla prova del governo.

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ E SGRAVI FISCALI

Dopo Lacalle padre e dopo due altri mandati di presidenti colorados, nel 2004 vinse per la prima volta il Frente Amplio, versione tra le più soft della Marea Rosa dei governi di sinistra dell’area. Tre i mandati: Tabaré Vázquez, poi il mediatico Pepe Mujica, poi di nuovo Vázquez. Ma dopo 15 anni anche il modello uruguayano ha iniziato ad appanarsi.

Il neo presidente dell’Uruguay Luis Lacalle (Getty images).

Non ci sono state le involuzioni autoritarie di altri governi di sinistra e l’Uruguay resta uno dei Paesi meglio governati della regione, ma la delinquenza è cresciuta: da 284 omicidi nel 2017 si è passati ai 414 nel 2018. Carta che Lacalle Pou ha giocato in campagna elettorale. Il suo programma prevedeva anche sgravi fiscali per i produttori agricoli, la riduzione del deficit e il mantenimento dello Stato sociale.

LA VITTORIA DI MISURA AL BALLOTTAGGIO

Al primo turno del 27 ottobre Luis Alberto Lacalle Pou aveva conquistato il 28,62% dei voti, contro il 39,02% di Martínez, il 12,34% del colorado Ernesto Talvi e l’11,04% di Guido Manini Ríos, ex-comandante dell’esercito destituito da Vázquez per aver preso le difese del regime militare e fondatore del partito Cabildo Abierto chiaramente ispirato a Jair Bolsonaro.

Il candidato del Frente Amplio, Daniel Martinez con la sua candidata vice Graciela Villar (Getty).

Il suo successo ha allarmato gli uruguayani al punto da consentire a Martínez un forte recupero al ballottaggio del 24 novembre. Un risultato che però non è stato sufficiente a garantirgli la vittoria. E ora, grazie a 30 mila voti, è la volta del presidente-surfista. Alla domanda su cosa avrebbe fatto con la tavola se eletto aveva risposto: «Sognare», visto che «il presidente deve lavorare anche nei fine settimana». Ma, ha assicurato, continuerà a insegnare surf alla figlia Violeta.


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Chi è Luis Alberto Lacalle Pou, nuovo presidente dell’Uruguay

Il 46enne ha vinto il ballottaggio del 24 novembre. Figlio e bisnipote d'arte, ha riportato il Paese nelle mani del Partito Nazionale. Il profilo.

Per la prima volta in 15 anni, un candidato che non appartiene al Frente Amplio è stato eletto presidente dell’Uruguay.

Luis Alberto Lacalle Pou che ha battuto al ballottaggio Daniel Martínez, è il leader del Partito Nazionale detto anche Bianco, in contrapposizione agli storici rivali Colorados.

FIGLIO E BISNIPOTE D’ARTE

Il neo-presidente 46enne, che si insedierà il primo marzo, appartiene a una famiglia storica per la politica del Paese. Suo padre, Luis Alberto Lacalle, è stato presidente dal 1990 al 1995. La madre Julia Pou è stata senatrice tra il 2000 e il 2005.

Luis Alberto Lacalle​, padre del neo presidente dell’Uruguay e a sua volta ex presidente del Paese (Getty Images).

Infine il bisnonno Luis Alberto de Herrera, storico caudillo dei Blancos, a parte avere un ruolo assimilabile a primo ministro tra 1925 e 1927 ed essere stato membro del Consiglio nazionale di governo collegiale dal 1952 alla sua morte nel 1959, fu soprattutto colui che alle elezioni del 1958 sconfisse i Colorados dopo 93 anni. Personaggio leggendario, in alcune foto giovanili appare vestito da guerrigliero con un cappello da gaucho.

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LA PASSIONE PER IL MARE E PER IL SURF

Proprio dal bisnonno Lacalle Pou ha ereditato una collezione di National Geographic. Di qui la sua passione per il mare. Il suo sogno, infatti, era diventare un nuovo Jacques-Yves Cousteau tanto che anche ora dice di essere un oceanografo mancato. In compenso, però, è diventato un abilissimo surfista. Ha girato mezzo mondo a cercare onde da cavalcare: Hawaii, California, Nicaragua, Panama, El Salvador, Costa Rica, Messico, Brasile, Sumatra. Ama ripetere che «il surf insegna l’armonia con ciò che ci circonda e a integrarsi con il Pianeta». Quando non ha il mare a disposizione, si arrangia con uno skateboard.

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Proprio ai festeggiamenti per la vittoria del padre Luis Lacalle Pou conobbe sua moglie Lorena Ponce de León appartenente a una famiglia colorada, ma portata all’evento da una amica. Con lei ha avuto tre figli. Deputato dal 2000 al 2015, presidente della Camera dal 2011 al 2012, candidato alla presidenza nel 2014 e senatore dal 2015, Lacalle Pou è ora alla prova del governo.

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ E SGRAVI FISCALI

Dopo Lacalle padre e dopo due altri mandati di presidenti colorados, nel 2004 vinse per la prima volta il Frente Amplio, versione tra le più soft della Marea Rosa dei governi di sinistra dell’area. Tre i mandati: Tabaré Vázquez, poi il mediatico Pepe Mujica, poi di nuovo Vázquez. Ma dopo 15 anni anche il modello uruguayano ha iniziato ad appanarsi.

Il neo presidente dell’Uruguay Luis Lacalle (Getty images).

Non ci sono state le involuzioni autoritarie di altri governi di sinistra e l’Uruguay resta uno dei Paesi meglio governati della regione, ma la delinquenza è cresciuta: da 284 omicidi nel 2017 si è passati ai 414 nel 2018. Carta che Lacalle Pou ha giocato in campagna elettorale. Il suo programma prevedeva anche sgravi fiscali per i produttori agricoli, la riduzione del deficit e il mantenimento dello Stato sociale.

LA VITTORIA DI MISURA AL BALLOTTAGGIO

Al primo turno del 27 ottobre Luis Alberto Lacalle Pou aveva conquistato il 28,62% dei voti, contro il 39,02% di Martínez, il 12,34% del colorado Ernesto Talvi e l’11,04% di Guido Manini Ríos, ex-comandante dell’esercito destituito da Vázquez per aver preso le difese del regime militare e fondatore del partito Cabildo Abierto chiaramente ispirato a Jair Bolsonaro.

Il candidato del Frente Amplio, Daniel Martinez con la sua candidata vice Graciela Villar (Getty).

Il suo successo ha allarmato gli uruguayani al punto da consentire a Martínez un forte recupero al ballottaggio del 24 novembre. Un risultato che però non è stato sufficiente a garantirgli la vittoria. E ora, grazie a 30 mila voti, è la volta del presidente-surfista. Alla domanda su cosa avrebbe fatto con la tavola se eletto aveva risposto: «Sognare», visto che «il presidente deve lavorare anche nei fine settimana». Ma, ha assicurato, continuerà a insegnare surf alla figlia Violeta.


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Cosa ha detto Conte alla Camera sul Mes

Il premier: «Dalle opposizioni accuse infamanti contro di me. Diffuse notizie allarmistiche palesemente false».

“Sono qui per l’informativa sulle modifiche al Mes non solo perché doverosa dopo la richiesta ma anche perchè’ ho sempre cercato di assicurare una interlocuzione chiara e trasparente con Il Parlamento”. Lo dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Aula alla Camera per le comunicazioni sul Mes.

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Germania, la crisi dell’acciaio che ferma anche l’Italia

Al siderurgico legata anche la crisi dell’auto. Per i dazi di Trump, la concorrenza dalla Cina e la conversione green dell’Ue. Il cuore della Ruhr è malato: migliaia di cassintegrati agli altiforni.

Anche i grandi soffrono. La crisi dell’acciaio mette a rischio migliaia di posti di lavoro, anche in Germania, soprattutto nei bacini siderurgici della Saarland e della Ruhr contesi nella Prima guerra mondiale per le risorse minerarie e per le industrie pesanti. Ma il cuore europeo delle acciaierie soffre di una «pressione immensa» allertano i vertici dei metalmeccanici (Ig Metall) del Nord Reno-Vestfalia. Le condizioni di mercato, per diversi fattori concomitanti, sono reputate «molto difficili» anche dai vertici del gruppo Nirosta che entro la fine del 2021 programma di abbattere 373 posti di lavoro, in primo luogo negli stabilimenti della Saarland. Nel 2012 Thyssenkrupp cedette il ramo Nirosta ai finlandesi di Outokumpu, che evidentemente non ritengono più redditizio produrre in Germania. Ma non è una questione di stranieri: anche Dillinger e il gruppo Saarstahl, aziende con secoli di storia nel Land, hanno annunciato 1500 esuberi in tre anni.

MENO 4% DI PRODUZIONE DI ACCIAIO

Monta aria di smantellamento tra gli altiforni tedeschi: un comparto di 80 mila addetti siderurgici, 22 mila dei quali nella Saarland, 45 mila in Nord Reno-Vestfalia, diverse altre migliaia in Land come l’Assia. Le acciaierie più grandi reggeranno, ma cambiando radicalmente impianti e lavorazioni. Al costo di miliardi di euro di riconversione e di migliaia di posti di lavoro persi. Nel 2019 in Germania si è prodotto il 4% dell’acciaio in meno dello stesso del 2018. E da settembre parte dei lavoratori della Saarstahl sono in cassa integrazione, come da marzo in Assia alla Buderus Edelstahl che ha cancellato 150 posti di lavoro. Il comparto non migliorerà nel 2020: per l’anno fiscale da settembre 2019 a settembre 2020, l’ammiraglia Thyssenkrupp ha preannunciato una perdita netta «significativamente più elevata», considerato che il bilancio di quest’anno si è chiuso con 304 milioni di euro di perdita netta, rispetto ai 62 milioni del 2018.

Germania crisi acciaio auto Italia
Il monumento alle miniere della Saarland. GETTY.

DALLA SIDERURGIA IL 6% DI EMISSIONI CO2

Così per il 3 dicembre è annunciata in Nord Reno-Westfalia una mobilitazione dei lavoratori di Thyssenkrupp. Contro il «circolo vizioso», dicono, che si trascina dietro anche la grave crisi dell’auto. La tagliola dei dazi di Donald Trump sull’acciaio dall’Ue (con la minaccia di dazi ancora più pesanti sulle auto, e ogni auto ha circa un quintale di acciaio) ha aggravato la contrazione. Già in atto a causa dell’import di acciaio a basso costo – soprattutto dalla Cina -, e del processo di automazione anche nell’industria pesante. Non ultimo, grava l’adeguamento agli obiettivi dell’Ue di emissioni zero e di decarbonizzazione entro il 2050 dell’Ue: alla lunga, l’onere più grande per la siderurgia che da sola in Germania causa il 6% delle emissioni Co2 (il 2,5% gli altiforni di Duisburg, nella Ruhr). Angela Merkel ci punta molto: ha appena approvato un piano per il clima di 100 miliardi entro il 2030, che se da un lato dà incentivi anche alle acciaierie per pulirsi, dall’altro ne uccide il comparto e gli indotti.

Per diventare a emissioni zero Thyssenkrupp stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca

PRODURRE ACCIAIO GREEN COSTA MOLTO

Thyssenkrupp è il primo della branca a cavalcare la rivoluzione green lanciata dall’ultimo governo della cancelliera: entro il 2050 il gruppo intende dichiararsi clima neutrale. Ma per ridurre a zero l’impatto delle emissioni nocive per l’ambiente, nel siderurgico bisogna sostituire tutti gli altiforni a carbone con altiforni a idrogeno, facendoli lavorare con fonti di energia rinnovabili. Il colosso di Essen stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca, per la trasformazione: senza aiuti statali impossibile anche per multinazionali del suo calibro. Tanto più che per Paesi come la Germania attingere dal solare per smantellare le centrali a carbone è più difficile e costoso. Produrre acciaio internamente resterà poi sempre oneroso anche per il costo del lavoro, più alto che negli stabilimenti in Cina sempre più grandi e numerosi. E come se non bastasse nel 2019 si è arrivati a un surplus di acciaio nel mondo, anche per il calo di produzione delle auto a causa delle minori richieste.

Germania crisi acciaio auto Italia
Le scorie durante la produzione dell’acciaio Thyssen negli altiforni di Duisburg. GETTY.

ANCHE LE TUTE BLU DELL’AUTO IN SCIOPERO

La Saarland è pronta a diventare una «regione modello per la produzione di acciaio a emissioni zero». Ma il governo locale guidato dalla Cdu di Merkel chiede che una «protezione del settore a livello nazionale», anche attraverso un pressing nell’Ue per una riesame delle clausole di salvaguardia a freno delle importazioni di acciaio a basso costo. L’agitazione cresce anche nel settore dell’auto: a novembre a Stoccarda, nella capitale tedesca dell’auto, hanno dimostrato in 15 mila dai colossi Daimler, Audi, Bosch e dagli altri gruppi dell’indotto. Ig Metall stima piani di ristrutturazione per 160 aziende del ramo, solo nel Baden-Württemberg: il governo (Verdi e Cdu) del Land – ricco ma legato all’export di auto – ha convocato a settembre i rappresentanti di categoria e il governo. Anche per ridiscutere i parametri della cassa integrazione e per chiedere aiuto al ministero del Lavoro. E se si ferma l’indotto tedesco dell’auto e dell’acciaio, si blocca anche l’indotto italiano.

PIÙ TASSE  E MENO AUTO E ACCIAIO. ANCHE IN ITALIA

Tutte le case automobilistiche investono massicciamente in auto elettriche e a guida autonoma. Il contraltare, come nel siderurgico, è tagliare il costo del lavoro in stabilimenti dove gli operai sono sostituiti da robot. D’altronde i 100 miliardi della Grande coalizione vanno in premi all’acquisto di veicoli elettrici, in riduzioni nei biglietti dei mezzi pubblici meno inquinanti come i treni, e in investimenti per spingere l’energia da fonti rinnovabili, che in Germania sono soprattutto parchi eolici. Tutte spese finanziate dai rincari alle tariffe per le emissioni Co2 nei trasporti e nell’edilizia (per i quali saranno introdotte certificazioni) e dagli aumenti sul consumo di benzina e diesel. Mentre ai costruttori si impongono quote obbligatorie di auto elettriche e sul territorio si piantano stazioni di ricarica. Tempi più verdi, ma molto più grigi per l’industria pesante tedesca che produrrà magari dell’acciaio più pulito. Ma che di sicuro produrrà meno acciaio.

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Germania, la crisi dell’acciaio che ferma anche l’Italia

Al siderurgico legata anche la crisi dell’auto. Per i dazi di Trump, la concorrenza dalla Cina e la conversione green dell’Ue. Il cuore della Ruhr è malato: migliaia di cassintegrati agli altiforni.

Anche i grandi soffrono. La crisi dell’acciaio mette a rischio migliaia di posti di lavoro, anche in Germania, soprattutto nei bacini siderurgici della Saarland e della Ruhr contesi nella Prima guerra mondiale per le risorse minerarie e per le industrie pesanti. Ma il cuore europeo delle acciaierie soffre di una «pressione immensa» allertano i vertici dei metalmeccanici (Ig Metall) del Nord Reno-Vestfalia. Le condizioni di mercato, per diversi fattori concomitanti, sono reputate «molto difficili» anche dai vertici del gruppo Nirosta che entro la fine del 2021 programma di abbattere 373 posti di lavoro, in primo luogo negli stabilimenti della Saarland. Nel 2012 Thyssenkrupp cedette il ramo Nirosta ai finlandesi di Outokumpu, che evidentemente non ritengono più redditizio produrre in Germania. Ma non è una questione di stranieri: anche Dillinger e il gruppo Saarstahl, aziende con secoli di storia nel Land, hanno annunciato 1500 esuberi in tre anni.

MENO 4% DI PRODUZIONE DI ACCIAIO

Monta aria di smantellamento tra gli altiforni tedeschi: un comparto di 80 mila addetti siderurgici, 22 mila dei quali nella Saarland, 45 mila in Nord Reno-Vestfalia, diverse altre migliaia in Land come l’Assia. Le acciaierie più grandi reggeranno, ma cambiando radicalmente impianti e lavorazioni. Al costo di miliardi di euro di riconversione e di migliaia di posti di lavoro persi. Nel 2019 in Germania si è prodotto il 4% dell’acciaio in meno dello stesso del 2018. E da settembre parte dei lavoratori della Saarstahl sono in cassa integrazione, come da marzo in Assia alla Buderus Edelstahl che ha cancellato 150 posti di lavoro. Il comparto non migliorerà nel 2020: per l’anno fiscale da settembre 2019 a settembre 2020, l’ammiraglia Thyssenkrupp ha preannunciato una perdita netta «significativamente più elevata», considerato che il bilancio di quest’anno si è chiuso con 304 milioni di euro di perdita netta, rispetto ai 62 milioni del 2018.

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Il monumento alle miniere della Saarland. GETTY.

DALLA SIDERURGIA IL 6% DI EMISSIONI CO2

Così per il 3 dicembre è annunciata in Nord Reno-Westfalia una mobilitazione dei lavoratori di Thyssenkrupp. Contro il «circolo vizioso», dicono, che si trascina dietro anche la grave crisi dell’auto. La tagliola dei dazi di Donald Trump sull’acciaio dall’Ue (con la minaccia di dazi ancora più pesanti sulle auto, e ogni auto ha circa un quintale di acciaio) ha aggravato la contrazione. Già in atto a causa dell’import di acciaio a basso costo – soprattutto dalla Cina -, e del processo di automazione anche nell’industria pesante. Non ultimo, grava l’adeguamento agli obiettivi dell’Ue di emissioni zero e di decarbonizzazione entro il 2050 dell’Ue: alla lunga, l’onere più grande per la siderurgia che da sola in Germania causa il 6% delle emissioni Co2 (il 2,5% gli altiforni di Duisburg, nella Ruhr). Angela Merkel ci punta molto: ha appena approvato un piano per il clima di 100 miliardi entro il 2030, che se da un lato dà incentivi anche alle acciaierie per pulirsi, dall’altro ne uccide il comparto e gli indotti.

Per diventare a emissioni zero Thyssenkrupp stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca

PRODURRE ACCIAIO GREEN COSTA MOLTO

Thyssenkrupp è il primo della branca a cavalcare la rivoluzione green lanciata dall’ultimo governo della cancelliera: entro il 2050 il gruppo intende dichiararsi clima neutrale. Ma per ridurre a zero l’impatto delle emissioni nocive per l’ambiente, nel siderurgico bisogna sostituire tutti gli altiforni a carbone con altiforni a idrogeno, facendoli lavorare con fonti di energia rinnovabili. Il colosso di Essen stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca, per la trasformazione: senza aiuti statali impossibile anche per multinazionali del suo calibro. Tanto più che per Paesi come la Germania attingere dal solare per smantellare le centrali a carbone è più difficile e costoso. Produrre acciaio internamente resterà poi sempre oneroso anche per il costo del lavoro, più alto che negli stabilimenti in Cina sempre più grandi e numerosi. E come se non bastasse nel 2019 si è arrivati a un surplus di acciaio nel mondo, anche per il calo di produzione delle auto a causa delle minori richieste.

Germania crisi acciaio auto Italia
Le scorie durante la produzione dell’acciaio Thyssen negli altiforni di Duisburg. GETTY.

ANCHE LE TUTE BLU DELL’AUTO IN SCIOPERO

La Saarland è pronta a diventare una «regione modello per la produzione di acciaio a emissioni zero». Ma il governo locale guidato dalla Cdu di Merkel chiede che una «protezione del settore a livello nazionale», anche attraverso un pressing nell’Ue per una riesame delle clausole di salvaguardia a freno delle importazioni di acciaio a basso costo. L’agitazione cresce anche nel settore dell’auto: a novembre a Stoccarda, nella capitale tedesca dell’auto, hanno dimostrato in 15 mila dai colossi Daimler, Audi, Bosch e dagli altri gruppi dell’indotto. Ig Metall stima piani di ristrutturazione per 160 aziende del ramo, solo nel Baden-Württemberg: il governo (Verdi e Cdu) del Land – ricco ma legato all’export di auto – ha convocato a settembre i rappresentanti di categoria e il governo. Anche per ridiscutere i parametri della cassa integrazione e per chiedere aiuto al ministero del Lavoro. E se si ferma l’indotto tedesco dell’auto e dell’acciaio, si blocca anche l’indotto italiano.

PIÙ TASSE  E MENO AUTO E ACCIAIO. ANCHE IN ITALIA

Tutte le case automobilistiche investono massicciamente in auto elettriche e a guida autonoma. Il contraltare, come nel siderurgico, è tagliare il costo del lavoro in stabilimenti dove gli operai sono sostituiti da robot. D’altronde i 100 miliardi della Grande coalizione vanno in premi all’acquisto di veicoli elettrici, in riduzioni nei biglietti dei mezzi pubblici meno inquinanti come i treni, e in investimenti per spingere l’energia da fonti rinnovabili, che in Germania sono soprattutto parchi eolici. Tutte spese finanziate dai rincari alle tariffe per le emissioni Co2 nei trasporti e nell’edilizia (per i quali saranno introdotte certificazioni) e dagli aumenti sul consumo di benzina e diesel. Mentre ai costruttori si impongono quote obbligatorie di auto elettriche e sul territorio si piantano stazioni di ricarica. Tempi più verdi, ma molto più grigi per l’industria pesante tedesca che produrrà magari dell’acciaio più pulito. Ma che di sicuro produrrà meno acciaio.

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Hamilton in pole position nel Gp di Formula 1 di Abu Dhabi

Il pilota britannico, campione del mondo, stacca il miglior tempo in qualifica. Bottas retrocesso in ultima posizione, Verstappen parte secondo. male le Ferrari.

Va a Lewis Hamilton l’ultima pole position della stagione nel Mondiale di Formula 1 2019. Ad Abu Dhabi la Mercedes del campione del mondo chiude il miglior giro in 1:34.779 e la spunta su quella del compagno di squadra finlandese, Valtteri Bottas, per 194 centesimi, che però sarà retrocesso all’ultimo posto per aver cambiato il motore. Via libera dunque a Max Verstappen, che pur avendo staccato il terzo tempo a 36 centesimi da Hamilton, scatterà dalla seconda posizione. Le Ferrari partiranno dal terzo posto con Charles Leclerc e dal quarto con Sebastian Vettel, più lento di oltre un decimo rispetto al compagno di squadra.

QUINTA POLE STAGIONALE PER HAMILTON

Per Hamilton, già campione del mondo da tempo, si tratta della quinta pole position stagionale. La gara si annuncia invece ancora una volta complicata per le Ferrari, che rischiano di chiudere nel peggiore dei modi possibili una stagione certamente negativa, condizionata anche dalle tensioni interne tra Vettel e Leclerc. La Rossa ha vinto finora tre Gran Premi, due con il monegasco e uno con il tedesco, ma nell’arco dell’anno è apparsa raramente competitiva. Persino il terzo posto nel Mondiale piloti potrebbe sfuggire a vantaggio di Verstappen, velocissimo su una Red Bull che nel complesso non è sembrata al livello delle monoposto di Maranello.

LECLERC ESCE TARDI PER L’ULTIMO TENTATIVO

Nella qualifiche di Abu Dhabi è arrivata l’ennesima beffa della stagione per la Ferrari, che ha sbagliato la strategia facendo uscire in ritardo Leclerc, che così ha preso la bandiera a scacchi prima di potersi lanciare per l’ultimo tentativo. L’ennesimo segnale di una stagione storta per la scuderia italiana.

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Hamilton in pole position nel Gp di Formula 1 di Abu Dhabi

Il pilota britannico, campione del mondo, stacca il miglior tempo in qualifica. Bottas retrocesso in ultima posizione, Verstappen parte secondo. male le Ferrari.

Va a Lewis Hamilton l’ultima pole position della stagione nel Mondiale di Formula 1 2019. Ad Abu Dhabi la Mercedes del campione del mondo chiude il miglior giro in 1:34.779 e la spunta su quella del compagno di squadra finlandese, Valtteri Bottas, per 194 centesimi, che però sarà retrocesso all’ultimo posto per aver cambiato il motore. Via libera dunque a Max Verstappen, che pur avendo staccato il terzo tempo a 36 centesimi da Hamilton, scatterà dalla seconda posizione. Le Ferrari partiranno dal terzo posto con Charles Leclerc e dal quarto con Sebastian Vettel, più lento di oltre un decimo rispetto al compagno di squadra.

QUINTA POLE STAGIONALE PER HAMILTON

Per Hamilton, già campione del mondo da tempo, si tratta della quinta pole position stagionale. La gara si annuncia invece ancora una volta complicata per le Ferrari, che rischiano di chiudere nel peggiore dei modi possibili una stagione certamente negativa, condizionata anche dalle tensioni interne tra Vettel e Leclerc. La Rossa ha vinto finora tre Gran Premi, due con il monegasco e uno con il tedesco, ma nell’arco dell’anno è apparsa raramente competitiva. Persino il terzo posto nel Mondiale piloti potrebbe sfuggire a vantaggio di Verstappen, velocissimo su una Red Bull che nel complesso non è sembrata al livello delle monoposto di Maranello.

LECLERC ESCE TARDI PER L’ULTIMO TENTATIVO

Nella qualifiche di Abu Dhabi è arrivata l’ennesima beffa della stagione per la Ferrari, che ha sbagliato la strategia facendo uscire in ritardo Leclerc, che così ha preso la bandiera a scacchi prima di potersi lanciare per l’ultimo tentativo. L’ennesimo segnale di una stagione storta per la scuderia italiana.

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Perché la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità non dovrebbe esistere

Il 3 dicembre così come è si rivela un'occasione persa in cui molti preferiscono nascondersi dietro vecchie retoriche. Serve invece partecipare alla costruzione di una società più giusta e accessibile 365 giorni all'anno.

Martedì 3 dicembre ricorrerà il diciassettesimo anniversario della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità.

Già ora fioccano le notizie relative agli eventi che avranno luogo in tutta Italia per celebrarlo ma sono sicura che nei prossimi giorni si intensificheranno ulteriormente.

Per chi si occupa di disabilità è impossibile pensare di non dedicare spazio a questa ricorrenza, proclamata dall’Onu nel 1981 con l’obiettivo di promuovere la “salute” – nel senso ampio del termine – dei disabili nonché il riconoscimento ed il rispetto dei loro diritti. Anch’io ne scrivo sempre eppure l’imbarazzo con cui lo faccio cresce ogni anno di più. Ebbene sì, lo confesso: secondo me la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità non dovrebbe esistere.

A LIVELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE L’ITALIA È FERMA

Basta leggere Un Flagship Report on Disability and Development 2018: Realization of the Sustainable Development Goals by, for and with persons with disabilities – il primo rapporto Onu che correla il tema della disabilità con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dellAgenda 2030 per rendersene conto. Siamo indietro anni luce rispetto al raggiungimento di tutti gli obiettivi connessi anche alla condizione di disabilità. E non mi riferisco solo all’Italia ma a tutto il mondo.

Un’utilità il 3 dicembre ce l’ha: contribuisce a ripulire le coscienze di quanti si ritengono “abili”

Bel risultato a vent’anni dall’istituzione della Giornata internazionale! A cosa serve celebrarci – l’uso del plurale include tutte noi persone disabili – se poi tanto la discriminazione di cui siamo vittime in ogni ambito dell’esistenza non riesce a essere efficacemente contrastata ed eliminata? È un disability washing, un riempirsi la bocca di belle parole ma vuote perché non vengono mai (o quasi) effettivamente tradotte in azioni concrete.

Vista in quest’ottica un’utilità il 3 dicembre ce l’ha: contribuisce a ripulire le coscienze di quanti si ritengono “abili” e rientra in tutte quelle strategie di promozione del politically correct che spesso e troppo volentieri vengono usate quando si parla di disabilità.

MOLTI DISABILI SPESSO SI LIMITANO ALL’AUTOCOMMISERAZIONE

E noi persone disabili, in generale (consapevole che fare di tutta l’erba un fascio è un rischio) e in quanto soggettività politica e sociale minoritaria, quale contributo offriamo per modificare questo status quo? In linea di massima e con le dovute eccezioni credo che, in quanto minoranza sociale, siamo molto bravi a piangerci addosso, colpevolizzando la “maggioranza normale” di estrometterci dal contesto socio-politico in cui viviamo e impedirci di esercitare i nostri diritti.

Se il ruolo di vittime ci piace, allora:«Avanti, Savoia!», c’è n’è per tutte e tutti!

Pensiamo davvero che questa tendenza all’autocommiserazione da un lato e alla polemica nei confronti dei cosiddetti “normodotati” dall’altro, forse comune anche ad altre identità sociali minoritarie, ci sia di qualche aiuto ad emanciparci dai pregiudizi e dalle discriminazioni a cui ancora siamo soggetti? Se sì e se il ruolo di vittime ci piace, allora:«Avanti, Savoia!», c’è n’è per tutte e tutti! Quale migliore occasione occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità per continuare a mettere in campo le solite vecchie retoriche e le tanto consuete quanto sterili polemiche che usiamo contro i “normodotati”?

Già che ci siamo, oltre a piangerci addosso e puntare il dito contro “gli altri”, potremmo anche seguitare (già lo stiamo facendo!) a farci trattare come cretini o “eterni bambini”, a disinteressarci delle questioni sociali e politiche che ci riguardano, a essere passivi aspettando che qualcun altro difenda i nostri diritti e ottemperi ai doveri che ci spetterebbe assolvere per poi magari gongolarci nelle tante belle parole che si dicono e scrivono il 3 dicembre.

IL MONDO DELLA DISABILITÀ DIVENTI PIÚ ATTIVO

Ognuno è libero di agire come crede ma io ad assumere questa posizione non ci sto perché mi sembra un atteggiamento molto ipocrita da tenere. Ritengo che non serva a nulla un “giorno speciale” a noi dedicato se questo significa dimenticarci nei restanti 364! A restituirmi il senso di questa Giornata ci pensa il Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite che ne ha definito lo specifico tema per il 2019: «Promuovere la partecipazione delle persone con disabilità e la loro leadership: agire sull’agenda di sviluppo 2030».

L’Onu ancora una volta dimostra la sua fiducia in noi esortandoci a prendere in mano il potere e a usarlo per contribuire a uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile

L’Onu ancora una volta (già lo aveva fatto adottando la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità) dimostra la sua fiducia in noi esortandoci a prendere in mano il potere – che continuiamo a rivendicare troppo spesso solo a parole – e ad usarlo per contribuire a uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile. Proprio come previsto nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un documento che sancisce l’impegno a «non lasciare nessuno indietro» e in cui la disabilità viene riconosciuta essere una questione trasversale, da considerare nell’attuazione di tutti i suoi 17 obiettivi.

Come sempre le Nazioni unite ci restituiscono la palla e ci offrono la possibilità di diventare protagonisti del nostro presente e futuro, invitandoci a collaborare in quanto attivisti – e quindi soggettività e collettività politica – alla costruzione di un mondo e una società più accessibili ed equi per tutti e tutte. A noi ora la responsabilità di decidere se rispondere con proposte ed azioni adeguate e pertinenti all’obiettivo oppure con modalità discorsive e comportamenti che vanno nella direzione opposta.

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Perché la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità non dovrebbe esistere

Il 3 dicembre così come è si rivela un'occasione persa in cui molti preferiscono nascondersi dietro vecchie retoriche. Serve invece partecipare alla costruzione di una società più giusta e accessibile 365 giorni all'anno.

Martedì 3 dicembre ricorrerà il diciassettesimo anniversario della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità.

Già ora fioccano le notizie relative agli eventi che avranno luogo in tutta Italia per celebrarlo ma sono sicura che nei prossimi giorni si intensificheranno ulteriormente.

Per chi si occupa di disabilità è impossibile pensare di non dedicare spazio a questa ricorrenza, proclamata dall’Onu nel 1981 con l’obiettivo di promuovere la “salute” – nel senso ampio del termine – dei disabili nonché il riconoscimento ed il rispetto dei loro diritti. Anch’io ne scrivo sempre eppure l’imbarazzo con cui lo faccio cresce ogni anno di più. Ebbene sì, lo confesso: secondo me la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità non dovrebbe esistere.

A LIVELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE L’ITALIA È FERMA

Basta leggere Un Flagship Report on Disability and Development 2018: Realization of the Sustainable Development Goals by, for and with persons with disabilities – il primo rapporto Onu che correla il tema della disabilità con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dellAgenda 2030 per rendersene conto. Siamo indietro anni luce rispetto al raggiungimento di tutti gli obiettivi connessi anche alla condizione di disabilità. E non mi riferisco solo all’Italia ma a tutto il mondo.

Un’utilità il 3 dicembre ce l’ha: contribuisce a ripulire le coscienze di quanti si ritengono “abili”

Bel risultato a vent’anni dall’istituzione della Giornata internazionale! A cosa serve celebrarci – l’uso del plurale include tutte noi persone disabili – se poi tanto la discriminazione di cui siamo vittime in ogni ambito dell’esistenza non riesce a essere efficacemente contrastata ed eliminata? È un disability washing, un riempirsi la bocca di belle parole ma vuote perché non vengono mai (o quasi) effettivamente tradotte in azioni concrete.

Vista in quest’ottica un’utilità il 3 dicembre ce l’ha: contribuisce a ripulire le coscienze di quanti si ritengono “abili” e rientra in tutte quelle strategie di promozione del politically correct che spesso e troppo volentieri vengono usate quando si parla di disabilità.

MOLTI DISABILI SPESSO SI LIMITANO ALL’AUTOCOMMISERAZIONE

E noi persone disabili, in generale (consapevole che fare di tutta l’erba un fascio è un rischio) e in quanto soggettività politica e sociale minoritaria, quale contributo offriamo per modificare questo status quo? In linea di massima e con le dovute eccezioni credo che, in quanto minoranza sociale, siamo molto bravi a piangerci addosso, colpevolizzando la “maggioranza normale” di estrometterci dal contesto socio-politico in cui viviamo e impedirci di esercitare i nostri diritti.

Se il ruolo di vittime ci piace, allora:«Avanti, Savoia!», c’è n’è per tutte e tutti!

Pensiamo davvero che questa tendenza all’autocommiserazione da un lato e alla polemica nei confronti dei cosiddetti “normodotati” dall’altro, forse comune anche ad altre identità sociali minoritarie, ci sia di qualche aiuto ad emanciparci dai pregiudizi e dalle discriminazioni a cui ancora siamo soggetti? Se sì e se il ruolo di vittime ci piace, allora:«Avanti, Savoia!», c’è n’è per tutte e tutti! Quale migliore occasione occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità per continuare a mettere in campo le solite vecchie retoriche e le tanto consuete quanto sterili polemiche che usiamo contro i “normodotati”?

Già che ci siamo, oltre a piangerci addosso e puntare il dito contro “gli altri”, potremmo anche seguitare (già lo stiamo facendo!) a farci trattare come cretini o “eterni bambini”, a disinteressarci delle questioni sociali e politiche che ci riguardano, a essere passivi aspettando che qualcun altro difenda i nostri diritti e ottemperi ai doveri che ci spetterebbe assolvere per poi magari gongolarci nelle tante belle parole che si dicono e scrivono il 3 dicembre.

IL MONDO DELLA DISABILITÀ DIVENTI PIÚ ATTIVO

Ognuno è libero di agire come crede ma io ad assumere questa posizione non ci sto perché mi sembra un atteggiamento molto ipocrita da tenere. Ritengo che non serva a nulla un “giorno speciale” a noi dedicato se questo significa dimenticarci nei restanti 364! A restituirmi il senso di questa Giornata ci pensa il Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite che ne ha definito lo specifico tema per il 2019: «Promuovere la partecipazione delle persone con disabilità e la loro leadership: agire sull’agenda di sviluppo 2030».

L’Onu ancora una volta dimostra la sua fiducia in noi esortandoci a prendere in mano il potere e a usarlo per contribuire a uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile

L’Onu ancora una volta (già lo aveva fatto adottando la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità) dimostra la sua fiducia in noi esortandoci a prendere in mano il potere – che continuiamo a rivendicare troppo spesso solo a parole – e ad usarlo per contribuire a uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile. Proprio come previsto nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un documento che sancisce l’impegno a «non lasciare nessuno indietro» e in cui la disabilità viene riconosciuta essere una questione trasversale, da considerare nell’attuazione di tutti i suoi 17 obiettivi.

Come sempre le Nazioni unite ci restituiscono la palla e ci offrono la possibilità di diventare protagonisti del nostro presente e futuro, invitandoci a collaborare in quanto attivisti – e quindi soggettività e collettività politica – alla costruzione di un mondo e una società più accessibili ed equi per tutti e tutte. A noi ora la responsabilità di decidere se rispondere con proposte ed azioni adeguate e pertinenti all’obiettivo oppure con modalità discorsive e comportamenti che vanno nella direzione opposta.

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Cresce il fronte del governo che chiede un rinvio del Mes

Il M5s trova la sponda di LeU. Il ministro Speranza: «Occorre la valutazione più approfondita, che coinvolga anche il parlamento». E Di Maio: «Questo accordo va migliorato».

Il dibattito sulla riforma del Mes, il fondo Salva-Stati, continua a incendiare la politica italiana. E stavolta il Movimento 5 stelle trova un alleato forse inatteso in Liberi e uguali che, per bocca del ministro della Salute Roberto Speranza, ha caldeggiato l’ipotesi di un rinvio. «Sul meccanismo europeo di stabilità è giusto fare la discussione più approfondita possibile coinvolgendo pienamente il parlamento», ha detto Speranza. «Su una materia così delicata bisognerebbe evitare scontri strumentali e dovremmo invece, come Paese, difendere tutti assieme i nostri interessi. Per questo ha senso l’ipotesi di un rinvio volto a favorire una valutazione di pacchetto in cui oltre al Mes si affronti anche la delicata questione dell’Unione bancaria».

DI MAIO: «QUEST’ACCORDO DEV’ESSERE MIGLIORATO»

Per Luigi Di Maio, invece, «il tema non è il Mes in sé, ma se sia un Salva-Stati o uno stritola Stati. Ieri abbiamo avuto una riunione del gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle e siamo tutti d’accordo sul fatto che questo accordo deve essere migliorato». «Penso che la nostra posizione sia una: garantire l’Italia. Prima di tutto ci dobbiamo occupare di garantire il nostro Paese, la nostra situazione finanziaria e il nostro assetto di bilancio», ha precisato di lì a poco la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, parlando a margine dell’inaugurazione della sede di Cdp a Napoli. «Ho parlato con il nostro ministro dell’Economia e credo che ci chiariremo sui contenuti quanto prima

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I flop dello Stato investitore e quella nostalgia per l’Iri

Da Monte dei Paschi ad Alitalia, passando per l'interventismo di Cassa depositi e prestiti: usare le casse pubbliche per salvare l'economia nazionale in Italia si è rivelato un pessimo affare.

«In un momento in cui dobbiamo proteggere la nostra produzione industriale e le imprese, se serve torneremo all’Iri», ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli il 26 novembre.

Evocando l’Istituto per la ricostruzione industriale creato dal governo Mussolini nel 1933 per far fronte alla crisi bancaria e industriale seguita al crac del 1929, che poi nel Dopoguerra diventò il pivot della ricostruzione post bellica e l’artefice del miracolo economico.

Di miracoli, però, lo Stato ne ha fatti pochi quando ha messo il cappello dell’investitore in testa al ministero del Tesoro.

IL MONTE DEI PASCHI, PESSIMO AFFARE PER LO STATO

L’esempio più lampante è il Monte dei Paschi di Siena, dove il Mef è ancora azionista con quasi il 70%. Entro dicembre dovrà spiegare alle autorità europee come intende uscire dal capitale da qui al 2021, scadenza fissata dagli accordi presi in cambio del via libera alla ricapitalizzazione precauzionale nel 2017. Il problema è che ai corsi attuali lo Stato perde oltre 4,5 miliardi sui 5,39 versati due anni fa per salvare Rocca Salimbeni.

SIENA 25-01-2013 Piazza Salmbeni sede centrale di Mps (foto Riccardo Sanesi/LaPresse).

L’obiettivo era quello di scendere dal Mps in fretta e senza farsi troppo male ma di cavalieri all’orizzonte ancora non se ne vedono e anche la soluzione studiata al momento dai tecnici di via XX settembre sembra complicare la exit strategy perché contempla l’ipotesi di scindere i crediti deteriorati di Mps girandoli ad Amco, la ex Sga al 100% del Tesoro, a un prezzo però più vicino al 47% dei conti di Mps che a prezzi di mercato.  

IL BUCO NERO DI ALITALIA

Alle perdite del Monte di Stato, si aggiungono poi i 900 milioni concessi dal governo Gentiloni all’Alitalia che è in rosso per circa 600 milioni. Anche in questo caso una soluzione di mercato non si vede all’orizzonte e nel triangolo tra il M5s, il Mise e i commissari qualcuno avrebbe suggerito un intervento di Fs – che sono appunto dello Stato – per accollarsi la compagnia, come per l’Anas.

Una nazionalizzazione di Alitalia costerebbe almeno 600 milioni all’anno

Altra ipotesi sarebbe una pubblicizzazione strisciante, con il prolungamento del commissariamento e ulteriori finanziamenti pubblici. Il decreto fiscale ha stanziato 400 milioni, ma la Ue ha fatto sapere che questi soldi possono essere erogati solo se si fa la Newco che comprerebbe Alitalia. La Newco però non c’è, perché non c’è l’offerta di Fs & C. Una nazionalizzazione di Alitalia costerebbe almeno 600 milioni all’anno.

GLI INTERVENTI DI CASSA DEPOSITI E PRESTITI

Lo Stato deve poi fare i conti con gli investimenti della controllata Cassa depositi e prestiti che ad aprile 2018 è entrata nel capitale di Tim, di cui oggi ha il 9,9%. Il raddoppio della quota ha consentito di ridurre i valori di carico in bilancio rispetto al 5% che era stato acquistato nel 2018 a prezzi di gran lunga superiori a quelli che il titolo sconta oggi in Borsa. La partecipazione è iscritta a bilancio a 722 milioni (0,48 euro per azione con il titolo Tim che oggi viaggia attorno a 0,56 euro) ma la Cassa resta comunque fuori dalla gestione, in attesa di risolvere il conflitto d’ interessi che ha con Open Fiber.

Giuseppe Conte parla durante il 170esimo anniversario di Cassa depositi e Prestiti (foto Valerio Portelli/LaPresse).

Dall’ultimo bilancio di Cdp saltano inoltre all’occhio i minori profitti delle partecipate (-13,4% a 587 milioni). Al 30 giugno il valore delle partecipazioni è sceso a 20,29 miliardi (20,39 miliardi a fine 2018) dopo aumenti di capitale (72 milioni), rivalutazioni (620 milioni soprattutto legati a Eni e Poste) e svalutazioni (37 milioni, tra cui Trevi e Open Fiber), con 644 milioni di dividendi distribuiti.  

ENTRATI PIÙ DI 3 MILIARDI IN CEDOLE NELLE CASSE PUBBLICHE

Il Tesoro si consola, infatti, con le cedole. Grazie a quelle staccate dalle principali controllate, lo Stato italiano nel 2018 ha incassato più di tre miliardi di euro. Tra le quotate, in particolare, Enel ha versato 568 milioni di euro, Eni ha dato 126 milioni di euro al Mef e 747 milioni a Cdp. Enav ha staccato cedole per 53 milioni e Leonardo per 24,44, mentre Poste italiane ha dato 160 milioni al Tesoro e 192 a Cdp. Tra le aziende non quotate, invece, la più ‘pesante’ è sempre Cassa depositi e prestiti che ha corrisposto un dividendo di 1,1 miliardi di euro, mentre Ferrovie dello Stato ha staccato una cedola di 150 milioni di euro. Tra le altre, 2,2 milioni di euro fanno capo a Consip e 20 milioni a Sogei.

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Papa Francesco si prende il controllore di Bankitalia per le finanze vaticane

Barbagallo nominato presidente dell'Aif. Prima era funzionario generale con l'incarico di alta consulenza al Direttorio della Banca d'Italia in materia di vigilanza bancaria e finanziaria e nei rapporti con il Single Supervisory Mechanism a Palazzo Koch.

Da consulente della vigilanza a Banca d’Italia a capo dell’Autorità di informazione del Vaticano Carmelo Barbagallo, alto funzionario di Palazzo Koch, ha varcato la riva del Teevere. Papa Francesco lo ha infatti scelto come presidente dell’Aif. Barbagallo prende il posto di René Brulhart, il cui mandato non è stato rinnovato dal pontefice, anche a seguito dell’ultimo scandalo finanziario che ha scosso il Vaticano. Barbagallo è stato finora funzionario generale con l’incarico di alta consulenza al Direttorio della Banca d’Italia in materia di vigilanza bancaria e finanziaria e nei rapporti con il Single Supervisory Mechanism.

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Salta l’emendamento per ripristinare lo scudo penale per l’Ilva

La proposta di modifica era stata depositata dalla Lega. Intano, Patuanelli apre a Invitalia come possibile strumento per l'intervento pubblico.

È saltato l’emendamento della Lega alla manovra per ripristinare lo scudo penale per l’ex Ilva: la commissione Bilancio del Senato ha giudicato inammissibile la proposta a prima firma Matteo Salvini.

PATUANELLI: «INVITALIA POSSIBILE VIA PER L’INTERVENTO PUBBLICO»

Intanto, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha spiegato che Invitalia rappresenta «una delle possibilità sul campo» per l’eventuale intervento pubblico: «Stiamo valutando diverse ipotesi, Cdp è difficile per lo statuto. «Questo», ha aggiunto Patuanelli, «è un lavoro che sta facendo il ministro Gualtieri e il Mef. È da quell’analisi che nascerà poi la proposta di un eventuale ingresso dello Stato».

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La giunta di Forlì blocca i progetti contro omofobia e transfobia

La decisione del centrodestra stoppa un'iniziativa finanziata dalla Regione e già approvata dall'amministrazione precedente. Con l'assurda spiegazione della tutela della famiglia tradizionale.

La giunta di centrodestra che amministra la città di Forlì ha bloccato i fondi provenienti dalla Regione per un progetto di formazione psicologica e giuridica, rivolta agli operatori del Comune e alle associazioni interessate, che riguardava «prevenzione e contrasto alle violazioni dei diritti umani e alle diverse forme di prevaricazione legate al genere e all’orientamento sessuale». In poche parole, progetti contro l’omofobia e la transfobia. Fondi che erano già stati destinati a questo scopo dalla precedente amministrazione (di centrosinistra) e mai sbloccati da quella attuale, che ha comunicato il suo diniego nei giorni scorsi.

«PRIMA LA FAMIGLIA TRADIZIONALE»

Il no ai fondi è stato motivato, secondo quanto riferito dalle associazioni, perché la giunta «aderisce, in coerenza con il programma elettorale, a un modello di famiglia tradizionale». «Ci chiediamo in che modo contrastare le discriminazioni possa turbare un modello familiare», è stata la protesta delle associazioni. «Ci chiediamo inoltre come una delibera comunale possa essere disattesa senza un atto di eguale valore, trattando decisioni che meritano una motivazione nei confronti della cittadinanza». A replicare è stato l’assessore comunale alle Pari opportunità, la leghista Andrea Cintorino: «Noi abbiamo aderito a tutte le iniziative contro la violenza sulle donne. Ma in questo caso si parlava anche dei gay. Noi rispettiamo le posizioni altrui, ma non adottiamo politiche Lgbt».

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Violenza sulle donne, quei segnali d’allarme tra gli adolescenti

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il premier Giuseppe Conte ha dichiarato: «La violenza..

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il premier Giuseppe Conte ha dichiarato: «La violenza contro le donne rimane un’emergenza. Lavoriamo per una svolta culturale, che parta dai giovani». Ma, al netto degli interventi (doverosi) della politica, come si può capire nel concreto se una relazione rischia di sfociare in un rapporto violento o comunque malsano? È utile, sia per i ragazzi sia per le ragazze, riconoscere alcuni segnali. Un vademecum per i più giovani, (Non) È amore se – Piccola guida per adolescenti su come dare vita a una relazione d’amore senza abusi né prevaricazioni – è scaricabile gratuitamente a questo link.

I SEGNALI PER I RAGAZZI…

Parlando dei ragazzi, gli autori spiegano: «Non è amore se, involontariamente, ti trovi spesso ad essere insensibile, irrispettoso o diffidente; se aggredisci verbalmente la tua ragazza e ti arrabbi sconsideratamente quando non sei d’accordo con lei; se ti capita di insultarla, di deriderla o di sminuire i suoi sentimenti o le cose che per lei sono importanti, se la umili su Facebook o davanti ai tuoi amici, se sei eccessivamente geloso delle sue amicizie, del tempo passato in famiglia e dei suoi spazi “senza di te”, se le imponi di non vedere i suoi amici o se glielo permetti, poi ti vendichi trattandola male o mostrando indifferenza e allontanandoti, se non ti fidi di lei e la costringi spesso a mostrarti il cellulare o il suo profilo Facebook».

…E QUELLI PER LE RAGAZZE

Nella guida si parla anche di ragazze. Spesso si tende a sminuire episodi violenti, a non ‘capirli’, a inquadrarli. Ci sono segnali per capire se la relazione sta andando nella direzione sbagliata. Ad esempio, continuano gli autori, se «il tuo partner controlla il tuo cellulare o i tuoi account aocial senza autorizzazione, tende ad umiliarti costantemente, mostra una gelosia estrema: fa scenate, urla, spacca cose o ti sequestra il cellulare e vuole sapere esattamente dove vai o con chi, ti isola dalla famiglia o dagli amici, ti accusa di cose che non hai mai fatto, ha frequenti sbalzi d’umore e ti accusa di essere la causa di ogni suo male, insiste nel voler fare sesso anche se tu non vuoi e ti aggredisce verbalmente e si arrabbia sconsideratamente se dici di no o se cambi idea dopo aver detto di sì».

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Citroën lancia il Nuovo Suv C5 Aircross

Il Suv, versione rinnovata del modello lanciato a fine 2018, punta su design, comodità e modularità. Le novità? Sospensioni di nuova generazione, tecnologia e comfort di guida.

Citroën ha deciso di proseguire la sua offensiva nel settore dei Suv lanciando anche in Europa la Nuova C5 Aircross, di cui sono già stati venduti 40mila esemplari in Cina. Lo sbarco di questo nuovo modello segue C3 Aircross, un successo da 80mila vendite.

AIRBUMP ALLE PORTIERE E AMPIA PERSONALIZZAZIONE

Il segmento dei SUV rappresenta il più del 40% delle vendite del mercato automobilistico e Citroën ha investito nel settore con l’obiettivo di offrire una risposta differente e innovativa che incarni tutti i valori del brand. Nuovo SUV C5 Aircross, lungo 4,50 m, si distingue dagli altri SUV per le ruote di grandi dimensioni, da 720 mm di diametro, per la distanza dal suolo di 230 mm e per le barre al tetto, oltre che per innovazioni esclusive Citroën come gli Airbump, che proteggono le portiere dagli urti. Al pari degli ultimi modelli della casa francese, Nuovo SUV C5 Aircross propone un’ampia offerta di personalizzazione, con 32 combinazioni per gli esterni e cinque combinazioni per gli ambienti interni. La vettura può essere personalizzata grazie a sette tinte per la carrozzeria, una colorazione bi-colore con tetto a contrasto Black e 3 Pack Color, costituiti da dettagli colorati sul paraurti anteriore, sugli Airbump nella parte inferiore delle porte anteriori e sul profilo inferiore delle barre al tetto.

IL COMFORT DI GUIDA, DALLE SOSPENSIONI AI SEDILI

Nuovo SUV C5 Aircross, al pari di tutta la gamma Citroën, si caratterizza per l’elevato comfort di guida, incarnando tutti i valori del riconosciuto progetto Citroën Advanced Comfort. Nuovo SUV C5 Aircross presenta infatti due esclusive tecnologie a vantaggio del comfort di tutti gli occupanti: le sospensioni Citroën con smorzatori idraulici progressivi e i sedili Advanced Comfort, capaci di filtrare le asperità della strada e garantire un comfort di guida di livello superiore. Ancora, i tre sedili posteriori individuali e scorrevoli sono ribaltabili a scomparsa e il volume del bagagliaio “Best in Class” varia da 580 a 720 litri, attestandosi come il più grande della categoria.

LE TECNOLOGIE DI ASSISTENZA ALLA GUIDA

Tutte vetture Citroën si distinguono poi per le moderne tecnologie di assistenza alla guida. Nuovo SUV C5 Aircross non fa eccezione, grazie al display digitale da 12,3 pollici, al Touch Pad da 8 pollici con schermo capacitivo, ai 20 sistemi di assistenza alla guida di ultima generazione, tra cui spicca la tecnologia Highway Driver Assist, e alle sei tecnologie di connettività all’avanguardia. Nuovo SUV C5 Aircross è offerto con efficienti motorizzazioni benzina e diesel da 130 cv e 180 cv, anche in abbinamento alla trasmissione automatica ad otto rapporti EAT8, ed è il primo modello Citroën a utilizzare la tecnologia Plug-in Hybrid PHEV per offrire nuovi ed inediti livelli di comfort, efficienza e piacere di guida. Nuovo SUV C5 Aircross, commercializzato in Italia a partire da fine 2018, è prodotto in Francia, nella fabbrica di Rennes – La Janais.

IL DG JACKSON: «È IL NUOVO MODELLO DI PUNTA CITROEN»

Linda Jackson, direttore generale di Citroën, ha presentato con orgoglio Nuovo SUV C5 Aircross, vettura commercializzata in quasi 92 paesi nel mondo: «Si tratta di un Next Generation SUV che completa la gamma recentemente rinnovata di Citroën e affronta il segmento dei SUV con tutti gli elementi identificativi della marca: design, comfort e modularità. Nuovo SUV C5 Aircross è il nuovo modello di punta di Citroën, un elemento chiave per la crescita internazionale del brand».

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Citroën lancia il Nuovo Suv C5 Aircross

Il Suv, versione rinnovata del modello lanciato a fine 2018, punta su design, comodità e modularità. Le novità? Sospensioni di nuova generazione, tecnologia e comfort di guida.

Citroën ha deciso di proseguire la sua offensiva nel settore dei Suv lanciando anche in Europa la Nuova C5 Aircross, di cui sono già stati venduti 40mila esemplari in Cina. Lo sbarco di questo nuovo modello segue C3 Aircross, un successo da 80mila vendite.

AIRBUMP ALLE PORTIERE E AMPIA PERSONALIZZAZIONE

Il segmento dei SUV rappresenta il più del 40% delle vendite del mercato automobilistico e Citroën ha investito nel settore con l’obiettivo di offrire una risposta differente e innovativa che incarni tutti i valori del brand. Nuovo SUV C5 Aircross, lungo 4,50 m, si distingue dagli altri SUV per le ruote di grandi dimensioni, da 720 mm di diametro, per la distanza dal suolo di 230 mm e per le barre al tetto, oltre che per innovazioni esclusive Citroën come gli Airbump, che proteggono le portiere dagli urti. Al pari degli ultimi modelli della casa francese, Nuovo SUV C5 Aircross propone un’ampia offerta di personalizzazione, con 32 combinazioni per gli esterni e cinque combinazioni per gli ambienti interni. La vettura può essere personalizzata grazie a sette tinte per la carrozzeria, una colorazione bi-colore con tetto a contrasto Black e 3 Pack Color, costituiti da dettagli colorati sul paraurti anteriore, sugli Airbump nella parte inferiore delle porte anteriori e sul profilo inferiore delle barre al tetto.

IL COMFORT DI GUIDA, DALLE SOSPENSIONI AI SEDILI

Nuovo SUV C5 Aircross, al pari di tutta la gamma Citroën, si caratterizza per l’elevato comfort di guida, incarnando tutti i valori del riconosciuto progetto Citroën Advanced Comfort. Nuovo SUV C5 Aircross presenta infatti due esclusive tecnologie a vantaggio del comfort di tutti gli occupanti: le sospensioni Citroën con smorzatori idraulici progressivi e i sedili Advanced Comfort, capaci di filtrare le asperità della strada e garantire un comfort di guida di livello superiore. Ancora, i tre sedili posteriori individuali e scorrevoli sono ribaltabili a scomparsa e il volume del bagagliaio “Best in Class” varia da 580 a 720 litri, attestandosi come il più grande della categoria.

LE TECNOLOGIE DI ASSISTENZA ALLA GUIDA

Tutte vetture Citroën si distinguono poi per le moderne tecnologie di assistenza alla guida. Nuovo SUV C5 Aircross non fa eccezione, grazie al display digitale da 12,3 pollici, al Touch Pad da 8 pollici con schermo capacitivo, ai 20 sistemi di assistenza alla guida di ultima generazione, tra cui spicca la tecnologia Highway Driver Assist, e alle sei tecnologie di connettività all’avanguardia. Nuovo SUV C5 Aircross è offerto con efficienti motorizzazioni benzina e diesel da 130 cv e 180 cv, anche in abbinamento alla trasmissione automatica ad otto rapporti EAT8, ed è il primo modello Citroën a utilizzare la tecnologia Plug-in Hybrid PHEV per offrire nuovi ed inediti livelli di comfort, efficienza e piacere di guida. Nuovo SUV C5 Aircross, commercializzato in Italia a partire da fine 2018, è prodotto in Francia, nella fabbrica di Rennes – La Janais.

IL DG JACKSON: «È IL NUOVO MODELLO DI PUNTA CITROEN»

Linda Jackson, direttore generale di Citroën, ha presentato con orgoglio Nuovo SUV C5 Aircross, vettura commercializzata in quasi 92 paesi nel mondo: «Si tratta di un Next Generation SUV che completa la gamma recentemente rinnovata di Citroën e affronta il segmento dei SUV con tutti gli elementi identificativi della marca: design, comfort e modularità. Nuovo SUV C5 Aircross è il nuovo modello di punta di Citroën, un elemento chiave per la crescita internazionale del brand».

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Maltempo in tutta Italia, allerta rossa in Emilia Romagna

Allarme arancione in altre sette regioni: Abruzzo, Calabria, Piemonte, Veneto, Marche, Lombardia e Puglia.

Fa sempre più paura il maltempo che sta attraversando l’Italia.
In Liguria un tratto di viadotto lungo l’A6 è crollato per una
frana
, mentre in Piemonte una voragine si è aperta sull’A21. Il
corpo di una donna travolta dal fiume Bormida è stato recuperato nell’Alessandrino.

LEGGI ANCHE: Lo spettro di un nuovo ponte Morandi

Il 25 novembre allerta rossa in Emilia Romagna; arancione in Abruzzo, Calabria, Piemonte, Veneto, Marche, Lombardia e Puglia; gialla in Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Campania, Molise, Basilicata, Umbria, Sicilia e Sardegna.

Il viadotto crollato. ANSA/ US VIGILI DEL FUOCO +++ NO SALES – EDITORIAL USE ONLY +++

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Il completo di Loewe simile alle uniformi dell’Olocausto

Il brand di lusso Loewe si è scusato dopo che un capo della capsule collection William De Morgan è stato paragonato alle uniformi dei campi di concentramento. E ha ritirato il completo dalle vendite.

Probabilmente le intenzioni erano delle migliori, ma lo scivolone di cattivo gusto non è passato inosservato. Una casa di moda di lusso si è scusata dopo essere stata criticata per aver venduto un completo da donna piuttosto simile alle uniformi dei campi di concentramento dell’Olocausto. Il brand è Loewe, un marchio di lusso con sede in Spagna, che ha venduto l’abito come parte della sua capsule collection William De Morgan, disponibile dal 14 novembre, che si ispira al ceramista britannico del XIX secolo. Molti che hanno criticato l’outfit – incluso Diet Prada, account di watchdog dell’industria della moda su Instagram – hanno citato le somiglianze con le uniformi dei campi di concentramento indossate dalle vittime dell’Olocausto, che consistevano anche in camicie abbottonate a righe verticali e pantaloni abbinati. Loewe ha presentato le scuse tramite l’account Instagram del marchio (che conta quasi due milioni di follower) e da allora ha rimosso i prodotti dal suo sito Web. «È stato portato alla nostra attenzione che uno dei nostri look poteva essere frainteso come riferito a uno dei momenti più odiosi della storia dell’umanità», si legge nella nota dell’azienda.

«Non è mai stata nostra intenzione e ci scusiamo con chiunque abbia pensato che siamo stati insensibili al tema. I prodotti presentati sono stati rimossi dalla nostra offerta commerciale». Non è la prima volta che i marchi vengono presi di mira per la vendita di abiti che ricordano l’Olocausto. Anche Zara, brand spagnolo proprio come Loewe, si era scusata nel 2014 per aver venduto una maglietta a strisce con una stella gialla, che ricordava sempre le uniformi indossate dai detenuti dei campi di concentramento ebraici. La compagnia aveva affermato che la maglietta era in realtà ispirata alle ‘star dello sceriffo dei film western classici’, ma travolta dalle polemiche ha comunque ritirato il capo poche ore dopo che era stato messo in vendita.

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Il bilancio delle vittime nel naufragio di Lampedusa

Sono cinque, tutte donne. Ci sarebbero ancora 20 dispersi. Di Maio: «Dobbiamo lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, tunisine e del Nordafrica».

Sono cinque, e non sette come era stato comunicato in un primo momento, i cadaveri recuperati fino ad ora dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza dopo il naufragio avvenuto il 23 novembre a un miglio dall’isola dei Conigli di Lampedusa . Le vittime sono tutte donne: i corpi privi di vita di tre di loro sono stati recuperati in mare dalla motovedetta della Guardia Costiera CP 324, mentre quelli di altre due migranti sono stati ritrovati a terra da personale della Guardia di Finanza.

APERTA UN’INCHIESTA

La Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo d’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio colposo plurimo. Già dalla sera di sabato il procuratore aggiunto Salvatore Vella sta seguendo sistematicamente l’evolversi del caso e ha gestito prima la complessa macchina dei soccorsi dei naufraghi e oggi quella del recupero delle salme che fino ad ora sono cinque. I dispersi sarebbero venti, mente 149 persone si sono salvate.

DI MAIO: «FERMIAMO LE PARTENZE DAL NORDALFRICA»

Il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha commentato così la tragedia: «Ieri sera ho sentito il ministro Lamorgese, in queste ore stiamo seguendo con molta apprensione quello che sta succedendo. Una cosa è certa, noi dobbiamo lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, tunisine e del Nordafrica. Ci stiamo lavorando con tutte le nostre forze».

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Giuseppe Conte ha detto che non ci sarà la crisi di governo

Ma, avverte, basta litigi. «Con il nuovo anno dovremo realizzare un cronoprogramma con le riforme che l’Italia attende da anni». E sull'ex Ilva dice: «Mittal è disponibile a tornare sui suoi passi».

Baste con le liti. Non ci sarà la crisi di governo, anzi occorrerà accelerarne l’azione con «una lista di priorità utili a rilanciare il Paese». A parlare è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che, intervistato da Repubblica in apertura domenica mattina, ha richiamato gli alleati alla «concentrazione» sui nodi più importanti, tra i quali l’ex Ilva, su cui vede possibile una soluzione: «Mittal è disponibile a tornare sui suoi passi». «Con il nuovo anno dovremo realizzare un cronoprogramma con le riforme che l’Italia attende da anni», tra cui anche la revisione del sistema fiscale e in particolare l’Irpef, e «investire più efficacemente nell’istruzione, nella ricerca e nell’innovazione», ha annunciato.

«MAI PENSATO DI PRENDERE IL POSTO DI DI MAIO»

Il premier ha risposto inoltre a Nicola Zigaretti, che ha invitato il governo a trovare una sua anima: «Questo governo lavora per un Paese più verde, più digitalizzato, più equo e inclusivo» e «abbiamo un’anima forte, decisa, ad un tempo visionaria e pragmatica». Quanto allo ius culturae, Conte ha registrato la mancanza di convergenza per un accordo parlamentare e invita a prenderne atto e a concentrarsi sui temi su cui c’è piena condivisione. Il presidente del consiglio ha puntualizzato di non avere alcuna ambizione a prendere il posto di Di Maio come nuovo leader M5s: «Non mi sono mai candidato a questo ruolo. Non nutro alcuna aspirazione o velleità di questo tipo. Il Movimento», ha detto, «sta vivendo una fase di transizione. Sta per operare alcuni significativi cambiamenti, peraltro già annunciati. Auguro a Luigi Di Maio e al Movimento intero di realizzarli nel migliore dei modi». Infine, quanto alla soluzione sull’ex Ilva: «Le premesse ci sono. Un primo risultato l’abbiamo raggiunto: abbiamo bloccato il recesso di Arcelor-Mittal da Taranto» ed «evitato un disastro economico e sociale», «ho rispedito al mittente la loro richiesta di taglio». Non c’è più bisogno di un intervento pubblico? «Non lo escludo. Ma non in sostituzione. Se ci sarà, sarà una presenza di sostegno e, direi, di controllo».

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Un professore emiliano minaccia i suoi studenti sardine

Il caso a Fiorenzuola d'Arda. «Se becco qualcuno di voi, renderò la vostra vita un inferno».

Lui vota Lega, e non può tollerare che i suoi studenti manifestino in piazza contro Matteo Salvini. Così Giancarlo Talamini Bisi, professore dell’istituto superiore di Fiorenzuola d’Arda, ha deciso di minacciarli dal suo profilo Facebook. «Io sarò presente. Cari studenti, se becco qualcuno di voi, da martedì cambiate aria, nelle mie materie renderò la vostra vita un inferno, vedrete il 6 col binocolo e passerete la prossima estate sui libri. Di idioti in classe non ne voglio. Sardina avvisata». Un post che non poteva passare inosservato e ha sollevato un vero e proprio caso.

FIORAMONTI: «VERIFICA E SOSPENSIONE»

«A tutela dei diritti degli studenti e della stessa scuola ho attivato gli uffici del Miur per verificare i fatti e procedere con provvedimento immediato alla sospensione», ha scritto su Facebook il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. «Educare al rispetto dei principi della Costituzione è uno dei fondamenti dell’istituzione scolastica, tra questi vi sono certamente il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero ed a partecipare alla vita pubblica secondo i modi garantiti dalla Costituzione stessa. La scuola è inclusiva e, per definizione, deve educare al pensiero critico e indipendente. Anche il corpo docente, nell’esercitare la sua importantissima funzione, deve attenersi a questi principi, trasferendoli agli studenti, per non venir meno ai suoi doveri. Non sono perciò assolutamente ammissibili condotte lesive di tali valori, o che addirittura mettano a rischio la fiducia della comunità scolastica».

L’INTERVENTO DEL GOVERNO

«Chiederò all’ufficio scolastico regionale di fare i dovuti accertamenti, perché siamo di fronte a una situazione inaccettabile», ha affermato Peppe De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione. «È evidente che un docente non può permettersi un linguaggio e un comportamento del genere», ha aggiunto l’esponente di Leu. «Sono certo che verranno presi al più presto tutti i necessari provvedimenti per tutelare l’istituzione scolastica pubblica, l’istituto in cui lavora, e gli studenti di quella scuola». Scuola che si è prontamente dissociata dal comportamento dell’insegnante.«Preso atto della notizia che si sta diffondendo sui social riguardo le affermazioni di un proprio docente», l’istituto «comunica di aver già informato del fatto gli organi superiori dell’amministrazione scolastica al fine di adottare le misure opportune. Si sottolinea l’estraneità della scuola dalle affermazioni del docente in questione».

LA DENUNCIA DELLA VICEMINISTRA

«In molti stamattina mi hanno segnalato il gravissimo comportamento di Giancarlo Talamini Bisi», aveva denunciato la viceministra all’Istruzione Anna Ascani (Partito democratico). «Un insegnante che offende e promette di penalizzare gli studenti solo perché vorrebbero partecipare alle manifestazioni delle sardine, usando turpiloquio e minacce non troppo velate. Non è un comportamento tollerabile. Mi attiverò affinché si prendano provvedimenti. Nessuno può essere discriminato per le proprie idee, tanto meno nella scuola».

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Un professore emiliano minaccia i suoi studenti sardine

Il caso a Fiorenzuola d'Arda. «Se becco qualcuno di voi, renderò la vostra vita un inferno».

Lui vota Lega, e non può tollerare che i suoi studenti manifestino in piazza contro Matteo Salvini. Così Giancarlo Talamini Bisi, professore dell’istituto superiore di Fiorenzuola d’Arda, ha deciso di minacciarli dal suo profilo Facebook. «Io sarò presente. Cari studenti, se becco qualcuno di voi, da martedì cambiate aria, nelle mie materie renderò la vostra vita un inferno, vedrete il 6 col binocolo e passerete la prossima estate sui libri. Di idioti in classe non ne voglio. Sardina avvisata». Un post che non poteva passare inosservato e ha sollevato un vero e proprio caso.

FIORAMONTI: «VERIFICA E SOSPENSIONE»

«A tutela dei diritti degli studenti e della stessa scuola ho attivato gli uffici del Miur per verificare i fatti e procedere con provvedimento immediato alla sospensione», ha scritto su Facebook il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. «Educare al rispetto dei principi della Costituzione è uno dei fondamenti dell’istituzione scolastica, tra questi vi sono certamente il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero ed a partecipare alla vita pubblica secondo i modi garantiti dalla Costituzione stessa. La scuola è inclusiva e, per definizione, deve educare al pensiero critico e indipendente. Anche il corpo docente, nell’esercitare la sua importantissima funzione, deve attenersi a questi principi, trasferendoli agli studenti, per non venir meno ai suoi doveri. Non sono perciò assolutamente ammissibili condotte lesive di tali valori, o che addirittura mettano a rischio la fiducia della comunità scolastica».

L’INTERVENTO DEL GOVERNO

«Chiederò all’ufficio scolastico regionale di fare i dovuti accertamenti, perché siamo di fronte a una situazione inaccettabile», ha affermato Peppe De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione. «È evidente che un docente non può permettersi un linguaggio e un comportamento del genere», ha aggiunto l’esponente di Leu. «Sono certo che verranno presi al più presto tutti i necessari provvedimenti per tutelare l’istituzione scolastica pubblica, l’istituto in cui lavora, e gli studenti di quella scuola». Scuola che si è prontamente dissociata dal comportamento dell’insegnante.«Preso atto della notizia che si sta diffondendo sui social riguardo le affermazioni di un proprio docente», l’istituto «comunica di aver già informato del fatto gli organi superiori dell’amministrazione scolastica al fine di adottare le misure opportune. Si sottolinea l’estraneità della scuola dalle affermazioni del docente in questione».

LA DENUNCIA DELLA VICEMINISTRA

«In molti stamattina mi hanno segnalato il gravissimo comportamento di Giancarlo Talamini Bisi», aveva denunciato la viceministra all’Istruzione Anna Ascani (Partito democratico). «Un insegnante che offende e promette di penalizzare gli studenti solo perché vorrebbero partecipare alle manifestazioni delle sardine, usando turpiloquio e minacce non troppo velate. Non è un comportamento tollerabile. Mi attiverò affinché si prendano provvedimenti. Nessuno può essere discriminato per le proprie idee, tanto meno nella scuola».

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