Salvini spara ai migranti, polemica sulla scultura

L'opera dell'artista napoletano Salvatore Scuotto ritrae il leader della Lega come dentro un videogame e con la scritta 'Game Over'.

Matteo Salvini punta la pistola contro due migranti con le fattezze di zombie. L’opera di Salvatore Scuotto, esposta domenica 23 novembre a Napoli nella mostra collettiva ‘Virginem=Partena’ nella galleria Nabi Interior Design, fa discutere. E non piace per niente al leader della Lega: «Cosa non si fa per farsi un po’ di pubblicità, che squallore», ha commentato Salvini, «è una vera schifezza, è istigazione all’odio e alla violenza, altro che arte. Non vedo l’ora di tornare a Napoli per ammirare i fantastici Presepi tradizionali, non queste porcherie».

OPERA INIZIATA CON SALVINI MINISTRO

Così l’artista ha spiegato la genesi della sua opera al quotidiano Il Mattino: «Quando ho iniziato a creare, Salvini era ancora ministro dell’Interno. Ho voluto rappresentarlo come un bambinone che gioca a un videogame popolato da fantasmi, come si vede dai dettagli della pistola che è intenzionalmente sproporzionata. Dico che il suo messaggio politico è infantile, come una costante Play station in cui bisogna individuare il nemico e abbatterlo». Attaccato al pistola c’è un messaggio, ‘Game over’. «identifica la conclusione del videogioco. Chissà cosa indica: la fine di Salvini o quella dei suoi nemici?».

«COMUNISTA? SEMMAI ANARCHICO»

Scuotto, che questa volta partecipa in proprio ma fa parte del gruppo della Scarabattola – formazione controcorrente di maestri presepiali che nella natività ha inserito anche donne nude e diavoli – precisa anche di non aver creato «questa parodia salviniana perche sono comunista. Al massimo aspirerei a essere anarchico, non credo alla sinistra, troppo tiepida. Non voglio esprimere alcuna appartenenza ma so in cosa non credo».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Salvini spara ai migranti, polemica sulla scultura

L'opera dell'artista napoletano Salvatore Scuotto ritrae il leader della Lega come dentro un videogame e con la scritta 'Game Over'.

Matteo Salvini punta la pistola contro due migranti con le fattezze di zombie. L’opera di Salvatore Scuotto, esposta domenica 23 novembre a Napoli nella mostra collettiva ‘Virginem=Partena’ nella galleria Nabi Interior Design, fa discutere. E non piace per niente al leader della Lega: «Cosa non si fa per farsi un po’ di pubblicità, che squallore», ha commentato Salvini, «è una vera schifezza, è istigazione all’odio e alla violenza, altro che arte. Non vedo l’ora di tornare a Napoli per ammirare i fantastici Presepi tradizionali, non queste porcherie».

OPERA INIZIATA CON SALVINI MINISTRO

Così l’artista ha spiegato la genesi della sua opera al quotidiano Il Mattino: «Quando ho iniziato a creare, Salvini era ancora ministro dell’Interno. Ho voluto rappresentarlo come un bambinone che gioca a un videogame popolato da fantasmi, come si vede dai dettagli della pistola che è intenzionalmente sproporzionata. Dico che il suo messaggio politico è infantile, come una costante Play station in cui bisogna individuare il nemico e abbatterlo». Attaccato al pistola c’è un messaggio, ‘Game over’. «identifica la conclusione del videogioco. Chissà cosa indica: la fine di Salvini o quella dei suoi nemici?».

«COMUNISTA? SEMMAI ANARCHICO»

Scuotto, che questa volta partecipa in proprio ma fa parte del gruppo della Scarabattola – formazione controcorrente di maestri presepiali che nella natività ha inserito anche donne nude e diavoli – precisa anche di non aver creato «questa parodia salviniana perche sono comunista. Al massimo aspirerei a essere anarchico, non credo alla sinistra, troppo tiepida. Non voglio esprimere alcuna appartenenza ma so in cosa non credo».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Autolesionismo Ferrari, in Brasile vince Verstappen

Seconda la Toro Rosso di Gasly, Hamilton terzo ma penalizzato e scivolato al sesto posto. Le due Rosse di Vettel e Leclerc si sono toccate durante un controsorpasso: entrambe costrette al ritiro.

Più che automobilismo, questo è autolesionismo. Le Ferrari sono andate a sbattere l’una contro l’altra, eliminandosi a vicenda. E alla fine il Gran Premio del Brasile di Formula 1 l’ha vinto Max Verstappen. Inizialmente terza la Mercedes di Lewis Hamilton dietro alla Toro Rosso di Pierre Gasly, seconda: ma poi il campione del mondo britannico è stato penalizzato di 5 secondi per l’urto con la Red Bull di Alexander Albon ed è scivolato al sesto posto. Sul podio è salito quindi Carlos Sainz (McLaren).

IL PASTICCIO FRA LE ROSSE NEL FINALE

Ma cosa è successo alle due Rosse? Un gran pasticcio proprio nel finale. Che ha costretto sia Sebastian Vettel sia Charles Leclerc a un mesto ritiro. Il pilota monegasco della Ferrari si è toccato con il suo compagno durante un controsorpasso per la quarta posizione, bucando la gomma anteriore destra. Danni anche alla posteriore destra di Vettel: anche lui quindi si è dovuto fermare.

LECLERC DISPIACIUTO: «RAPPORTO INVARIATO COL COMPAGNO»

Leclerc dopo l’incidente ha parlato di «una situazione da analizzare, siamo tutti e due dispiaciuti per il team, lui ha provato ad andare verso l’interno. L’episodio non condiziona il nostro rapporto, siamo abbastanza maturi». Ai microfoni di Sky ha aggiunto: «Sono molto dispiaciuto, ma sono sicuro che i rapporti con Seb resteranno invariati».

VETTEL: «NON SO PERCHÉ CI SIAMO TOCCATI»

Vettel ha dato la sua versione: «Credo che sia un peccato per la squadra, avremmo potuto ottenere un risultato migliore e, secondo me, l’avremmo meritato oggi. Eravamo in lotta tra di noi alla chicane, una lotta abbastanza aggressiva. Ero uscito meglio alle curva due o tre, pensavo di essere già passato e non so perché ci siamo toccati. Questo ha chiuso la gara di entrambi, purtroppo».

Entrambi erano liberi di gareggiare, ma con i loro errori hanno danneggiato l’intera squadra


Il team principal Binotto

Il team principal della Ferrari Mattia Binotto ha bacchettato entrambi: «Siamo delusi e dispiaciuti, i due piloti si devono rendere conto che hanno danneggiato l’intera squadra. Erano liberi di gareggiare tra di loro, però sono piccoli errori che si pagano come squadra e non va bene. Ognuno di loro avrà una parte di colpa».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Anche il M5s scarica l’ex ministra Trenta sulla casa tenuta

La titolare della Difesa del governo gialloverde soggiorna ancora nell'appartamento "di servizio" ottenuto quando faceva parte dell'esecutivo. Il motivo? La riassegnazione al marito militare, che ne ha diritto. Ma Di Maio: «Inopportuno, lasci l'alloggio».

Politicamente Elisabetta Trenta è “tornata a casa” con la caduta del governo gialloverde formato da Movimento 5 stelle e Lega, quando l’ex ministra della Difesa ha lasciato il suo posto a Lorenzo Guerini del Partito democratico. Il problema è che non ha lasciato l’appartamento dove soggiornava: quello “di servizio” che le era stato assegnato in quanto la grillina – si era candidata coi cinque stelle in Senato nella parte proporzionale senza riuscire a essere eletta – faceva parte dell’esecutivo. E subito sul caso si è aperta una polemica politica.

IL MARITO MILITARE NE HA PIENO DIRITTO

La questione è stata sollevata dal Corriere della sera, con tanto di richiamo in prima pagina. E tutti, anche il suo partito, le hanno chiesto di lasciare l’abitazione. Ma la Trenta ha tenuto il punto, spiegando che la casa è stata riassegnata al marito, militare, che ne ha pieno diritto, in osservanza di ogni regola.

CENTRODESTRA CONTRO LA «DOPPIA MORALE» GRILLINA

Gli attacchi più duri sono arrivati ovviamente dall’opposizione di centrodestra. Maurizio Gasparri ha definito i pentastellati «moralisti “un tanto al chilo”, bugiardi e ipocriti». Anche un’altra esponente azzurra, Licia Ronzulli, ha parlato di «doppia morale dei grillini», che «urlano “onestà” ma pensano solo a occupare le poltrone e, a quanto pare, gli appartamenti di servizio». Da Fratelli d’Italia è arrivato un commento sarcastico: «I privilegi sono “di casa” per i grillini».

casa Elisabetta Trenta marito
La casa dell’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta a Roma. (Ansa)

INTERROGAZIONE URGENTE ANNUNCIATA DAL PD

Irritato anche il Partito democratico: il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, ha chiesto all’ex ministra di chiarire «velocemente» annunciando una interrogazione urgente.

Trenta lasci la casa. Poi il marito farà la richiesta per ottenere un alloggio come tutti gli ufficiali dell’esercito seguendo la normale graduatoria


Luigi Di Maio

Infine la presa di distanza che ha fatto più rumore, quella del M5s. Il capo politico Luigi Di Maio è stato chiaro: «Penso che sicuramente il marito avrà diritto a quell’alloggio. Ma è opportuno che in questo momento l’ex ministra, dopo aver avuto tre mesi di tempo per lasciarlo, abbandoni l’appartamento. Poi il marito farà la richiesta per ottenere la casa come tutti gli ufficiali dell’esercito seguendo la normale graduatoria. È la cosa più corretta da fare».

PER BUFFAGNI È UN COMPORTAMENTO «NON DA CINQUE STELLE»

Un altro pentastellato, il viceministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni, aveva espresso la stessa richiesta: «Ho letto stamattina la notizia dell’ex ministro Trenta sull’immobile di pregio assegnato al marito, in cui vive. Ho altresì letto la risposta dell’ex ministra Trenta: formalmente pare anche ineccepibile, ma non è da cinque stelle! Noi siamo nati con un’altra missione, stare nei palazzi rischia sempre di contaminarci, di cambiarci ed è contro questa “droga” che dobbiamo tenere alta l’attenzione».

Se fosse stato uno del Pd o uno della Lega a comportarsi alla stessa maniera cosa avremmo detto?


Stefano Buffagni

Buffagni poi ha concluso: «Non sono mai stato un giustizialista e capisco che durante il mandato possano nascere esigenze funzionali. Ma se fosse stato uno del Pd o uno della Lega ad assegnare al marito una casa di quel genere da tenere anche dopo il mandato cosa avremmo detto?».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I Tory di Johnson crescono, come la paura di una hard Brexit

Secondo i sondaggi i conservatori sono in netto vantaggio. Se alle elezioni del 12 dicembre BoJo arrivasse alla soglia di sicurezza di 330 seggi, allora Londra procederebbe con un taglio netto delle trattative con Bruxelles.

Fra un mese avremo scoperto se Boris Johnson e i suoi conservatori hanno stravinto, vinto, o perso le elezioni politiche del 12 dicembre e solo nel primo e nel secondo caso potremo dire che il nodo Brexit è stato sciolto. Si saprà venerdì 13 dicembre. Probabilmente ci sarà, ma potrebbe anche non esserci, una risposta chiara – sì alla Brexit – e finirà, o passerà alla fase due, questa lunghissima tragicommedia amletica che la politica britannica ha messo in scena per la delizia di pochi e la noia, ormai, di molti. 

I CONSERVATORI GUADAGNANO CONSENSI

La prima cosa certa è che i conservatori aumenteranno i consensi rispetto ai meno di 300 (causa defezioni ed espulsioni) deputati attuali e se sfuggirà loro la maggioranza sarà per un soffio, mentre sembrano invece destinati a conquistarla con margini di tutta tranquillità. E la seconda certezza è che i laburisti sicuramente non vinceranno e potrebbero perdere malamente, inanellando la quarta sconfitta consecutiva in meno di 10 anni. Nonostante questo però se i conservatori non hanno il balzo sperato e indicato oggi dai sondaggi, il molto problematico leader laburista Jeremy Corbyn potrebbe riuscire a ottenere la premiership come capo di un governo di coalizione formato da laburisti, liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi, oggi l’un contro l’altro armati (soprattutto laburisti e liberaldemocratici che mai si sono amati) ma difficilmente capaci di resistere alla tentazione di fare di Boris Johnson il capo dell’opposizione

LEGGI ANCHE: Le elezioni in Uk e in Usa potrebbero cambiare l’Occidente per sempre

A metà novembre tutto sembra ancora possibile anche se la vittoria dei conservatori è data per molto, molto più probabile di una loro sconfitta. Il giudizio più elaborato dei maggiori esperti elettorali britannici concorda con quello più grezzo e istintivo degli scommettitori, scatenati su un evento come questo secondo referendum Brexit sotto le mentite spoglie di elezioni politiche anticipate. In questi giorni gli scommettitori danno a Johnson il 62% di probabilità di una maggioranza, vedono al 35% la possibilità di un parlamento senza maggioranza e quindi forse una coalizione anti-Tory a guida laburista, e danno solo il 3% all’ipotesi di una supremazia corbynista.

brexit-corbyn-labour-referendum
Il leader laburista Jeremy Corbyn.

TRA CORBYN E JOHNSON È GARA DI IMPOPOLARITÀ

Secondo il professor Sir John Curtice della Strathclyde University, massima autorità di meccanismi elettorali, una certezza è che i laburisti hanno zero possibilità di uscire primo partito dal voto, e non solo per la scarsa popolarità del loro leader Corbyn, poco apprezzato da almeno tre quarti dell’elettorato. Nemmeno Boris Johnson è amato e tantomeno rispettato, a parte il nocciolo più duro dei brexiteer conservatori che sperano da lui la vittoria nella crociata nazionalista. La conclusione dice Curtice è che siamo di fronte a una «gara di impopolarità». 

LEGGI ANCHE: C’era una volta Churchill: la triste parabola dei Tory

I sondaggi danno i conservatori poco sotto quota 40% con una dozzina e oltre di punti di distacco dai laburisti; terzi ben sotto il 20% i liberldemocratici e quarti, ma sotto il 10% e in continua erosione, i “faragisti” del Brexit party di Nigel Farage, svuotato da un partito conservatore diventato altrettanto brexiteer. Ci sono poi i nazionalisti scozzesi, terzo gruppo parlamentare della legislatura appena conclusa dopo conservatori e laburisti, ma sono un caso a parte, geograficamente delimitato. Potrebbero comunque pesare in una coalizione, nel caso di un difficile ma non impossibile semiflop dei consevatori, perché aumenteranno i consensi tornando ai circa 50 deputati che conquistarono nel 2015. 

LA PARTITA DEI COLLEGI LOCALI

Nel sistema elettorale britannico i sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto possono facilmente essere smentiti da una serie di realtà e personalità locali nei 650 collegi dove vige il maggioritario secco e prende il seggio chi ha più voti senza nessun tipo di recupero nazionale per quelli che seguono. Gli esperti, e Curtice fra questi, considerano quindi anche le dinamiche nei collegi più contendibili e la conclusione è che al momento Johnson può contare, teoricamente, su una maggioranza sicura in grado di consentirgli di portare avanti la Brexit che vuole, e cioè probabilmente fra un anno una hard Brexit con poche o nulle intese con Bruxelles. Qualcuno parla di 360-370 seggi ai conservatori, oggi tutti brexiteer dopo la recente espulsione a ottobre dei moderati

A CACCIA DELLA SOGLIA DI SICUREZZA DI 330 DEPUTATI

Per governare con un minimo di tranquillità occorrono, nel parlamento di 650 seggi, non meno di 330 deputati che sono quanti David Cameron conquistò nel voto del 2015 e quanti ne aveva il  suo successore Theresa May quando nel giugno del 2017 andò al voto anticipato per rafforzarsi e finì invece per perderne 13. Le previsioni  fatte allora furono clamorosamente smentite; due settimane prima del voto ai conservatori venivano attribuiti 364-396 seggi e il giorno del voto 337-366 con un solo analista/sondaggista, YouGov, che diceva 302. Ai laburisti invece ne venivano attribuiti prima 180-212 e poi 207-227 e ne ebbero 262. 

L’IDENTITÀ CONFUSA DEI LABURISTI

È anche sulla base di questo clamoroso precedente, appena due anni fa,  che molti sono restii a dare per scontata la netta vittoria di Johnson e della sua Brexit ma le cose in due anni sono cambiate. Soprattutto c’è un partito laburista che non ha saputo dare agli elettori una chiara prospettiva, a forza di non voler scegliere fra leave e remain per paura di alienare una delle due anime che lo abitano, e per rispondere alle complicazioni mentali del suo leader Corbyn che vorrebbe una “sua” Brexit tutta a sinistra ma ha fra le mani un partito a maggioranza remain. Mentre nel 2015 il Labour è andato assai meglio del previsto perché riusciva a sembrare un remain party ai remainer e un leave party ai leaver, oggi rischia di andare male o anche malissimo perché sembra diventato un leave party  ai remainer e un remain party ai leaver. E questa è solo una delle differenze con due anni fa.

Boris Johnson.

I DUE SCENARI POSSIBILI

Per il professor Curtice esistono due scenari: o una netta vittoria di Johnson e la partita è chiusa, o un parlamento bloccato senza chiara maggioranza. Per farcela i conservatori devono mantenere nei sondaggi fino all’ultimo un distacco di almeno 7-6 punti sui laburisti. Se finiranno sotto i 320 deputati hanno perso, se saranno a 320 o due o tre sopra avranno bisogno del sostegno degli Unionisti dell’Irlanda del Nord, come ha fatto May dopo il 2017, e non sarà facile perché gli Unionisti si sentono abbandonati dalla Brexit di Johnson. In questo scenario non è impensabile un governo di coalizione, con pochi seggi di maggioranza, fra laburisti, scozzesi e liberaldemocratici, guidato da Corbyn, finché dura, fino alla negoziazione cioè di una “nuova” Brexit e al referendum popolare che la  accetta o preferisce il remain. Ma è un’ipotesi appesa a un filo. Per ora Johnson è in netto vantaggio. 

LE CONSEGUENZE DELLA HARD BREXIT DI BOJO

La conseguenza sarebbe, probabilmente, un taglio traumatico dopo un anno di stentate trattative. Johnson e i suoi vogliono una Gran Bretagna corsara che porti via business al continente con una deregulation spinta e una tassazione competitiva per le imprese e i ricchi. È più che possibile che la maggioranza degli inglesi, in particolare gli inglesi che sono però la grandissima maggioranza dell’elettorato del Regno Unito, li segua. È chiaro, o dovrebbe esserlo, che fuori dalla Ue il Paese si isola, e comunque vada non sarà facile sostituire un mercato come quello attuale europeo, a totale libero accesso. Ma domina una grande ubriacatura di nazionalismo, con il sogno di un impossibile ritorno al passato e un disprezzo molto inglese per i continentali, oltre che per gli scozzesi e altri.

LEGGI ANCHE: Johnson e Salvini, fatale fu la matematica

«È strano per un Paese scegliere di essere meno prospero e di pesare meno nel mondo», scrive Chris Patten, l’ultimo governatore britannico di Hong Kong, ex commissario Ue e oggi Chancellor dell’Univerisià di Oxford. «Alcuni dicono che non ha importanza. Ma vediamo che cosa succederà quando avremo meno soldi per tutto ciò che vogliamo fare come Paese e come individui. Le promesse e le previsioni legate alla Brexit verrano presto testate dalla realtà. Quando lo saranno, non vorrei essere uno dei  brexiteer di Boris Johnson».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Oltre 50 arresti per mafia tra Puglia, Basilicata e Lazio

Carabinieri in azione in tre regioni. In manette capi e affiliati del clan D'Abramo-Sforza di Altamura.

Dall’alba i carabinieri stanno eseguendo oltre 50 arresti ad Altamura (Bari), Foggia, Cerignola (Foggia), Matera, Lecce e Roma. Le ordinanze di custodia vengono notificate a presunti capi e affiliati del clan D’Abramo-Sforza di Altamura (Bari) ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso armata, detenzione e porto di armi anche da guerra, traffico di sostanze stupefacenti, omicidio, tentato omicidio, estorsione, turbativa d’asta.

OPERAZIONE ESEGUITA DAI CARABINIERI DI BARI

L’operazione è eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale di Bari, supportati dai reparti speciali “Cacciatori di Puglia“, Nucleo Cinofili e VI Elinucleo Cc di Bari. Le misure restrittive sono state emesse dal gip di Bari su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, a seguito di attività d’indagine condotta dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Bari. I particolari dell’operazione verranno resi noti alle 11 nel corso di una conferenza stampa, presieduta dal procuratore di Bari Giuseppe Volpe, negli uffici della Procura della Repubblica a Bari.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Per la Cassazione il decreto sicurezza non può essere retroattivo

Le nuove disposizioni sul permesso di soggiorno per motivi umanitari non si applicano a chi ha fatto domanda prima del 5 ottobre 2018. Ma per ottenerlo non basta dimostrare di essersi integrati.

Il decreto sicurezza fortemente voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini ed entrato in vigore il 5 ottobre 2018 non può essere applicato in maniera retroattiva. Il provvedimento ha introdotto norme più rigide in materia di immigrazione e in particolare per quanto riguarda la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.

Le Sezioni Unite della Cassazione, tuttavia, hanno chiarito che il decreto non si applica ai richiedenti che hanno fatto domanda prima del 5 ottobre 2018, i quali potranno quindi ottenere il riconoscimento della vecchia protezione umanitaria e il relativo permesso. Il verdetto è arrivato dopo che il Viminale aveva fatto ricorso contro tre casi di concessione.

Per un altro verso, tuttavia, i giudici hanno dato ragione al ministero dell’Interno, affermando che il semplice fatto di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Non basta quindi dimostrare di essersi integrati, occore anche comprovare la «specifica compromissione» dei diritti umani nel Paese d’origine.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Vittoria in rimonta per l’Inter

La squadra di Antonio Conte soffre a Verona, ma alla fine conquista i tre punti e, in attesa di Juve-Milan, la testa della classifica.

Dall’incubo alla festa: nella prima vera giornata di freddo a Milano, l’Inter sconfigge in rimonta il Verona e riscalda i 60 mila di San Siro. Prima il vantaggio degli ospiti su rigore, poi accorcia Vecino e infine il gol partita di Barella che vale la leadership, in attesa di Juventus-Milan. Questione di feeling per i nerazzurri che si battono con tutto il cuore per la maglia, i tifosi e soprattutto per Antonio Conte, tarantolato a bordo campo. 95 lunghissimi minuti per lo show dell’allenatore che sbuffa, si dispera, si sbraccia, urla e incoraggia i suoi giocatori stanchi. Una fatica che viene coronata dal risultato per un’ Inter caparbia e indomita, capace di non mollare mai e di prendersi la vetta sicuramente per una notte.

L’ENTUSIASMO DI ANTONIO CONTE A FINE PARTITA

L’Inter in piena emergenza infortuni si affida ai soliti noti, portando in panchina, a sorpresa, Sensi. Le parole di Conte, dopo la sconfitta di Dortmund, hanno caricato ancora di più la squadra che domina la partita senza però trovare il varco giusto fino a metà del secondo tempo. Il Verona si chiude in difesa, proteggendo il vantaggio guadagnato su rigore al 18′ da Verre. L’Inter reagisce, cerca subito il pari, tanto che la partita si gioca nella metà campo del Verona. Lukaku va vicino al gol in due occasioni: prima è bravo Sivestri opponendosi d’istinto ad una deviazione sottoporta, poi il bomber sfiora il palo con una conclusione defilata di sinistro. Tre minuti dopo, scheggia la traversa Brozovic con un tiro dalla distanza. L’Inter non è fortunata. Al 37′ ci prova De Vrij da fuori area e Silvestri devia in angolo. Allo scadere, il pari sfuma per millimetri: Vecino impatta un cross dalla sinistra, il portiere del Verona trattiene a fatica ma la palla non supera la linea di porta. Ritmo altissimo anche nella ripresa, con l’Inter che prova da ogni posizione e con ogni giocatore a cercare di bucare la rete del Verona che sembra stregata. Conte richiama Biraghi per Candreva, alzando il tasso offensivo. Al 20′ bella apertura di Bastoni per Lazaro che da fondo campo crossa al centro, impatta di testa Vecino che trova l’angolo basso per l’1-1. L’Inter continua l’arrembaggio, anche Bastoni cerca la conclusione neutralizzata in tuffo da Silvestri. Non intercetta di un soffio Lukaku su una palla che scorre nell’area piccola. Ma l’errore più evidente del belga arriva a 10′ dalla fine: leggerezza in disimpegno del Verona. Palla alta, colpita di testa da Lukaku che però la consegna al portiere. A firmare il vantaggio al 38′ è Barella con un gran tiro a giro, accentrandosi dalla sinistra. Incontenibile l’entusiasmo del centrocampista e di San Siro. E soprattutto quello di Conte che a fine partita entra in campo e abbraccia uno ad uno i suoi giocatori. Si scioglie la tensione, si può rifiatare almeno fino alla prossima battaglia.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Messo all’asta ciò che resta di Rigopiano

In vendita ciò che resta dell'hotel che nel gennaio 2017 fu travolto da una valanga in cui morirono 29 persone. Acquistati i vini della cantina.

Ciò che resta dell’Hotel Rigopiano di Farindola, che il 18 gennaio 2017 divenne tomba per 29 persone rimaste imprigionate da una valanga sul Gran Sasso, è stato messo all’asta. Le bottiglie della cantina, la vasca idromassaggio, i lettini della Spa, i mobili, quadri, sculture, specchi e cornici. Quindici lotti che vanno da un valore di 700 euro fino ai 6 mila del gruppo elettrogeno sono stati messi in vendita dal curatore fallimentare, suscitando indignazione in chi ha subito quel lutto.

LO CHOC DELLE FAMIGLIE

«Un annuncio ha sconvolto le famiglie delle vittime dopo che il 30 ottobre, a Pescara, si è tenuta un’asta delle bottiglie di vino pregiato che si trovavano nell’hotel e che si sono salvate dalla valanga», ha reso noto l’avvocato Romolo Reboa che, insieme ai legali Gabriele Germano, Massimo Reboa, Silvia Rodaro, Maurizio Sangermano e Roberta Verginelli assiste le famiglie di quattro vittime della tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara). «Le ha messe in vendita il curatore del Fallimento 70/2010, Del Rosso srl, mentre non è conosciuto chi farà il macabro brindisi al prezzo di aggiudicazione di 1.800 euro e ha partecipato per rilanciare, dato che il prezzo base era di 700 euro. L’annuncio è apparso sul sito Aste Giudiziarie».

«UNA MACABRA ASTA»

Reboa ha sottolineato che «ciò che ha sconvolto i miei assistiti è che vi è stata una macabra asta che ha visto più persone competere per assicurarsi le bottiglie della cantina della morte», aggiungendo come «esca oggi un soggetto nuovo, il Fallimento 70/2010 Del Rosso srl, che risulta proprietario dei mobili dell’Hotel Rigopiano e che, certamente con l’autorizzazione del Giudice Delegato, li ha messi in vendita. Vi è un soggetto nuovo, un curatore fallimentare, mai ascoltato nell’inchiesta penale, che potrebbe rivelare informazioni preziose sullo stato dei luoghi, sulle autorizzazioni e che mi riservo di convocare per una audizione in sede di indagini difensive».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Gli indici di Borsa e spread dell’8 novembre 2019

Attesa per l'apertura di Piazza Affari. La giornata precedente è terminata con un +0,56%. Il differenziale Btp-Bund riparte da 140 punti base. I mercati in diretta.

Attesa per l’apertura della Borsa di Milano nella seduta dell’8 novembre 2019. La giornata precedente è terminata con un +0,56%. Mentre lo spread Btp-Bund riparte da 140 punti base, il livello più alto dal 10 ottobre. Il rendimento del decennale italiano è salito all’1,16% e ha superato, per la prima volta dal 2008, il rendimento di quello greco.

A Piazza Affari ha brillato Unicredit, salita del 5,9% dopo i conti e la cessione della quota in Mediobanca, con piazzetta Cuccia in ribasso dell’1,7%. Molto bene anche Moncler (+4,8%), Azimut (+3,6%) e Generali (+3,4%). Deboli Snam, Enel e Terna, in ribasso di oltre il 2%. In ribasso del 2,8% Salini Impregilo, dopo il lancio dell’aumento di capitale per Progetto Italia. In crescita del 16% Enervit su un accordo con Alibaba.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

1 2 3