Niente multe a chi non installa i seggiolini antiabbandono

La maggioranza sta pensando a una moratoria per dare tempo alle famiglie di adeguarsi fino a marzo o giugno 2020.

Niente multe per chi non installa subito i seggiolini antiabbandono per i bimbi fino a 4 anni. O meglio, è previsto uno slittamento e, forse, anche la possibilità di vedersi restituire quanto pagato per chi, nel frattempo, incappa nella sanzione. Come promesso dal ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, la maggioranza si prepara a varare una moratoria per consentire alle famiglie di adeguarsi al nuovo obbligo sottoforma di emendamento al decreto fiscale collegato alla manovra. Il Pd pensa infatti a mettere in stand by le sanzioni almeno fino a marzo del 2020, mentre il Movimento 5 Stelle propone uno slittamento fino a giugno e, appunto, la possibilità di richiedere indietro i soldi pagati per le multe prese dal 7 novembre fino alla conversione del decreto, quando la moratoria diventerà effettivamente operativa.

EMENDAMENTI FINO ALL’11 NOVEMBRE

Ma quella sui seggiolini anti-abbandono non è l’unica modifica proposta dalla stessa maggioranza al decreto fiscale: per gli emendamenti c’è tempo fino a lunedì 11 novembre 2019 e sul fronte fisco dovrebbero arrivare le correzioni alla stretta sulle ritenute negli appalti, dopo l’allarme lanciato dalle imprese, e qualche ritocco sulle compensazioni (si potrebbero escludere i soggetti in credito d’imposta ‘strutturale’, come ad esempio i professionisti).

SCUDO PENALE PER L’EX ILVA

Ma in ballo, per la parte non strettamente fiscale del provvedimento, c’è anche lo scudo penale per l’ex Ilva, legato però all’evolversi della trattativa con Arcelor Mittal. Per venire incontro ai problemi dell’acciaieria di Taranto il governo sta peraltro pensando a un fondo, da inserire questa volta in manovra, per il sostegno dei lavoratori già in Cassa integrazione (oltre 1.500) e per le opere di bonifica dall’amianto.

VERSO LA CONFERMA DELLA CEDOLARE AL 21% SUGLI AFFITTI

Per avere la lista delle richieste di modifica alla legge di Bilancio bisogna comunque attendere almeno fino a sabato 16 novembre. Salgono, intanto, le chance di una conferma della cedolare secca al 21% sugli affitti commerciali, come negozi e capannoni. La tassazione agevolata è stata introdotta con l’ultima manovra ma vale solo per gli immobili affittati nel 2019 e al momento la legge di Bilancio non prevede una proroga. Ma «ci stiamo lavorando, penso che si farà», ha detto il presidente della commissione Bilancio del Senato, Daniele Pesco, che sta esaminando in prima lettura la manovra, raccogliendo il plauso di Confedilizia che preme per una riconferma della misura.

LA PLASTIC TAX SEMBRA INEVITABILE

Resta aperta, intanto, la partita sulle micro-tasse, dal prelievo di un euro al chilo sulla plastica, all’aumento della tassazione sulle auto aziendali: per azzerare le due misure servirebbe almeno un miliardo e mezzo che sale a 1,7-1,8 miliardi se si volesse eliminare anche la sugar tax, come chiede Italia Viva. I renziani ipotizzano per le coperture un rinvio del taglio del cuneo fiscale a settembre o un intervento su quota 100, entrambi finora esclusi dal resto della maggioranza. Difficile, quindi, che queste tasse possano essere cancellate: si lavora piuttosto a una revisione che potrebbe portare, ad esempio, a uno slittamento a luglio per sugar e plastic tax, che ora scatterebbero a partire da aprile.

NON CI SONO FONDI PER FINCANTIERI

Scoppia intanto anche un ‘caso Fincantieri‘: in manovra ci si aspettava lo stanziamento dei circa 500 milioni necessari per avviare i lavori per ampliare il cantiere navale di Sestri Ponente (il ribaltamento in mare di Fincantieri), e consentire la costruzione di grandi navi da crociera. Fondi che al momento non ci sarebbero ma, assicura il sottosegretario al Mit Roberto Traversi, «c’è un emendamento governativo già pronto».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Conte sull’ex Ilva: «Troveremo una soluzione»

Dopo la visita a Taranto del presidente del Consiglio, il governo potrebbe trattare sugli esuberi secondo quanto riportato dall'HuffingtonPost.

È terminata dopo l’una della notte tra l’8 e il 9 novembre la visita a Taranto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il premier che ha incontrato prima cittadini e portavoce di comitati e movimenti, poi ha avuto un confronto con lavoratori e sindacati nel consiglio di fabbrica dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal, quindi si è recato in prefettura e dopo un punto stampa ha incontrato il procuratore, Carlo Maria Capristo, i sindaci dell’area tarantina e gli ambientalisti. Infine, si è recato al rione Tamburi, il più esposto alle emissioni del Siderurgico. Le associazioni hanno consegnato al premier copia del ‘Piano Taranto‘, una piattaforma di rivendicazioni che chiede la chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica del territorio con il reimpiego degli stessi operai e lo sviluppo di una economia alternativa.

«Ho visto lavoratori che lavorano ma allo stesso tempo pensano di fare qualcosa di sbagliato e vivono con disagio nella comunità dei parenti che li attacca perché contribuiscono a tener vivo uno stabilimento che altri in famiglia vorrebbero chiudere. Si deve aprire un cantiere e tutti dobbiamo lavorare per portare contenuti», ha detto il presidente del Consiglio. Quando ha terminato la sua visita Conte ha scritto un post su Facebook precisando di aver deciso di incontrare lavoratori e cittadini per rendersi conto personalmente della situazione che vive la comunità tarantina.

Sono venuto a Taranto per rendermi conto personalmente e vedere con i miei occhi. Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe. Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero “sistema-Paese”, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto.Sto rientrando adesso a Roma. Ma tornerò presto a Taranto.

Posted by Giuseppe Conte on Friday, November 8, 2019

«Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe», si legge nel post. «Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero ‘sistema-Paese’, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto». Per poi assicurare: «Tornerò presto a Taranto».

IL GOVERNO PRONTO A TRATTARE SUGLI ESUBERI

Qualche ora dopo, nella mattinata del 9 novembre, una fonte di governo di primo livello avrebbe detto all’HuffingtonPost: «Stiamo lavorando, non c’è ancora una proposta definitiva, ma è evidente che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella di trattare anche sugli esuberi». Un segnale che potrebbe sbloccare la trattativa con ArcelorMittal dopo che l’ultimatum di 48 ore lanciato il 6 novembre da Giuseppe Conte al colosso franco-indiano dell’acciaio è caduto nel vuoto. 

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le parole di Renzi al Festival de Linkiesta

Il leader di Italia Viva allontana il voto e auspica che il governo vada avanti. Poi si rivolge a Mara Carfagna: «Porte aperte per tutti, è solo questione di tempo».

Il governo non deve morire. Perché «andare a votare ora significa consegnare il Paese a Salvini, si chiama masochismo». Ad affermarlo è stato Matteo Renzi, leader di Italia Viva, dal palco di Linkiesta Festival. «Se il Pd e il M5s scelgono di andare a votare oggi di fatto disintegrano la propria rappresentanza in parlamento», ha aggiunto. «Spero che il governo non crolli, lavoro perché vada avanti. Se ci sarà una crisi di governo seguiremo la Costituzione ma ora dobbiamo pensare a risolvere i problemi».

«ITALIA VIVA, UN GRANDE CAMBIAMENTO»

Renzi ha rivendicato il ruolo svolto dal suo partito nel portare «un grande cambiamento nella politica italiana». Italia Viva, ha detto, «sta provocando scossoni più profondi di quello che sembra. Quando sarà chiaro cosa accadrà a febbraio e marzo, sarà sempre più evidente che è in corso un riposizionamento anche nella destra». Persino «Salvini, che ha fatto i conti, sa perfettamente che non si va a votare. Noi cresceremo molto, ed è il motivo per cui sono molto preoccupati». E «siccome si aprirà, Italia Viva emulerà ciò che ha fatto Macron negli anni scorsi, indipendentemente da me. Lo ha capito Salvini e non l’ha capito qualche mio ex compagno di partito…».

PORTE APERTE ALLA CARFAGNA

L’idea di allargare Italia Viva non esclude nessuno: «Porte aperte a chi vorrà venire a far parte del progetto non come ospite ma come dirigente», ha detto Renzi, «vale per Mara Carfagna e altri dirigenti, ma non tiriamo la giacchetta. Italia Viva è l’approdo naturale per tutti, è questione di tempo». Le parole di Renzi sono arrivate poco dopo quelle di Mara Carfagna: «Se Renzi dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra ma di avere altre ambizioni, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione. Oggi io e Renzi siamo in due metà campo diverse. Non so cosa accadrà nei prossimi giorni, ma molti dopo 25 anni non si sentono a proprio agio in Forza Italia, oggi si sentono a casa d’altri».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Salvini: «Ho ricevuto un altro proiettile»

Il leader della Lega rivela nuove minacce a chi gli chiede se sia più a rischio lui o Liliana Segre. E smentisce di aver incontrato la senatrice.

L’incontro con Liliana Segre? A quanto pare non c’è stato. In compenso Matteo Salvini non sembra avere alcuna intenzione di abbassare i toni del dibattito e pur confermando la proprio solidarietà alla senatrice messa sotto scorta dopo la denuncia delle centinaia di minacce e insulti antisemiti ricevute, informa di essere lui stesso esposto all’odio: «A me è appena arrivato un altro proiettile, non piango», ha detto Salvini al suo arrivo a Eicma a chi gli chiedeva se fosse più a rischio lui o la senatrice sopravvissuta ai campi di sterminio, «in un Paese civile non dovremmo rischiare né io né la Segre».

INCONTRO NON CONFERMATO

Il leader della Lega non ha confermato l’incontro dell’8 novembre a Milano con la senatrice: «Io gli incontri che ho li comunico. Gli incontri che non comunico io, per quanto mi riguarda, non ci sono», ha detto l’ex ministro dell’Interno. «L’incontro con la Segre l’avrò più avanti. Lo chiedo io. Quando avverrà? Presto», ha aggiunto. A chi gli ha chiesto quali saranno i temi che affronterà con Segre, Salvini ha risposto: «Io ascolto ascolto, è una donna estremamente intelligente. Sono giovane, ho voglia di capire, di imparare e di ascoltare». Quanto alla presidenza della commissione contro l’odio, la senatrice «farà le sue scelte a prescindere da quello che suggerisce Salvini. Ritengo che sia una donna estremamente intelligente quindi non ha assolutamente bisogno dei miei consigli».

LEGA IN PIAZZA IL 10 DICEMBRE

La Lega sarà comunque presente in piazza a Milano il 10 dicembre per la manifestazione dei sindaci in sostegno a Segre: «Sì», ha confermato Salvini, «quando c’è qualcosa di democratico che riguarda il futuro lo sosteniamo». Ma «il dibattito tra fascismo e comunismo che sono sepolti dal passato, non mi appassiona» e se Forza nuova e CasaPound si candidano alle elezioni «vuol dire che rispettano la legge e la Costituzione».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La vera minaccia è la politica dei Mastrolindo

Slogan, promesse irrealizzabili, jingle. Da Berlusconi a Salvini, Di Maio e Renzi, i leader sono pubblicitari pronti a offrire soluzioni in stile Trivago o Facile.it. Ma così il disastro è dietro l'angolo.

La democratizzazione del desiderio. Ovvero tutti hanno diritto a tutto. Cose serie e frivole, bisogni e sogni allo stesso modo. Perché l’erba voglio oggi cresce dappertutto e con una velocità che riesce addirittura a divorare se stessa. Desiderare il desiderio è diventato perfino più importante dell’oggetto desiderato

DESIDERI ILLIMITATI, RISORSE LIMITATISSIME

Chi ricorda «Il tuo prossimo desiderio» (spot dell’Ariston) oggi fa i conti con una realtà in cui non si fa in tempo a soddisfarne uno che ce ne sono altrettanti, se non di più, che attendono soddisfazione.

Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

Certo per la società dei consumi – ha scritto John Seabrook in Nobrow: The Culture of Marketing, the Marketing of Culture – «nulla potrebbe essere più minaccioso del fatto che la gente si dichiarasse soddisfatta di quel che ha». Però è drammatico, per riprendere alcune considerazioni della volta scorsa, che i desideri siano diventati illimitati, che tutto sia desiderabile e teoricamente ottenibile. Senza curarsi, anche distrattamente, se si hanno le indispensabili risorse economiche, ma anche intellettuali, culturali, professionali.

DALLA INSODDISFAZIONE SI GENERA IL POPULISMO

Perché l’inevitabile scarto fra desiderio e realtà, mediamente grande per tutti, è generatore alla lunga di una profonda insoddisfazione sociale. Della quale i populisimi, variamente espressi nel mondo occidentale, ne sono l’espressione aggiornata. Con il loro carico di protesta, rabbia, ribellismo che si gonfiano fino a esplodere nei confronti di tutto ciò che viene identificato come responsabile delle promesse mancate, dei desideri inevasi, delle attese frustrate. Ciò che qui interessa però è come abbiamo potuto ridurci così. Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

SIAMO SOMMERSI DA SPOT

La risposta è presto detta. Sono stati i pubblicitari e la pubblicità a ridurci così. Ma senza poteri occulti che hanno tramato e senza un disegno ideologico o una pianificata strategia. La circonvenzione d’incapaci – noi tutti – è avvenuta quasi spontaneamente, con tanta più forza persuasiva quanto più quella ideologia ha lavorato instancabilmente. Entrando in tutte le trame del vivere quotidiano, installandosi al centro del sistema massmediale, estendendo il paesaggio pubblicitario nei tanti modi oggi osservabili guardandosi intorno, camminando per la città, spostandosi in metro, muovendosi in auto.

La pubblicità non è né di sinistra né di destra. È la neutralità che la rende efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe

Ovunque si sia o si vada non manca mai un’immagine o un messaggio promozionale. Siamo letteralmente sommersi dalla pubblicità. Si stima che veniamo raggiunti in media da 3.000 messaggi al giorno. Ma non ci facciamo più caso. Perché quest’azione di avvolgimento e coinvolgimento è avvenuta in modo dolce. È partita da lontano, ha lavorato per anni, giorno per giorno, Come la goccia che scava il sasso ci siamo alla fine convinti che «Impossible is nothing» (Adidas) e che «Per tutto il resto c’è Mastercard».

LA PUBBLICITÀ È NEUTRALE E PER QUESTO EFFICACE

La pubblicità si è installata al centro del sistema, senza resistenze, se non timide nei decenni 60 e 70 di contestazione del sistema consumistico. Perché come tutte le ideologie forti, funziona non venendo percepita come tale. Nel pensiero corrente la pubblicità non è né di sinistra né di destra e nemmeno di centro. È la neutralità che la rende comunicazione efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe. D’altra parte è stata ed è proprio la politica, se non la prima, la più grande vittima della pubblicità. Al punto di arrivare a identificarsi con essa. Assumendone stile e modalità comunicativa, facendone proprie strategie e tecniche persuasive. In ossequio al principio che in pubblicità non bisogna dirle giuste ma bene. E che spararle grosse non solo si può ma si deve.

LEGGI ANCHE: Italia Viva e il primato del marketing sulla politica

Dal momento che un annuncio non ha alcun obbligo di verità: è comunicazione non informazione. Peraltro a chi interessa, ammesso sia verificabile, se «Scavolini è la cucina più amata dagli italiani»? Ciò che conta, come dicono i pubblicitari, è che si fissi il concetto, che passi il messaggio

FORZA ITALIA, LA SOTTOMISSIONE DELLA POLITICA ALLA RECLAME

Questo processo di sovrapposizione e nel contempo di sottomissione della politica alla pubblicità ha in Italia una data ufficiale: la nascita di Forza Italia, il partito creato dal nulla, modellato su Publitalia e impostosi alle prime elezioni nelle quali si presentò forte di una campagna pubblicitaria sulle reti Mediaset che per pressione, ovvero numero di spot trasmessi nei 40 giorni di campagna elettorale (1.127 con punte di 61 al giorno) era un’assoluta novità; che equiparava il partito di Silvio Berlusconi ai brand del largo consumo. Il promesso «nuovo miracolo italiano» si impose all’attenzione dei consumatori/elettori con forza persuasiva simile a «Se non ci fosse bisognerebbe inventarla» (Nutella) e «Dove c’è Barilla c’è casa». 

SI È IMPOSTA LA LOGICA ALLA «O COSÌ O POMÌ»

Ciò che però va sottolineato non è il carattere imbonitorio del messaggio politico, nel momento in cui diventa tout court pubblicitario, ma il fatto che promettere miracoli, palingenesi della domenica, risoluzione di problemi ed emergenze epocali è diventato normale. Credibile, evidentemente, per gli elettori/consumatori. Ma alla lunga deleterio e distruttivo per l’intera società. In primo luogo perché si è imposta la logica semplificatoria della pubblicità, che non conosce mezze misure: «O così o Pomì».

LEGGI ANCHE: Chi rappresenta chi e cosa? La grande crisi della politica

La personalizzazione e l’attuale leaderismo che ne conseguono s’accompagnano alla speculare scomparsa dei partiti come portatori di visioni collettive e concezioni condivise del mondo e della società. Ora ogni partito è il suo leader. Che la canta e la suona come vuole. O meglio che se la twitta e se la posta (a pagamento), con propensione personalistica massima nel caso di Matteo Salvini e della Lega. Sull’account personale da marzo a ottobre sono stati spesi 161.608 mila euro, in quello del partito 845.

PROMESSE ROBOANTI E DIETROFRONT SDOGANATI

L’incrudelimento del confronto politico è causa ed effetto dell’esagerato aumento di tono delle promesse, tanto roboanti e giocate sull’emozione anziché sulla ragione, da colpire nell’immediato, a caldo, ma da svanire velocemente. È così che, annunciata la cancellazione della povertà per decreto o l’abolizione delle accise sulla benzina, si può senza pudore alcuno contraddirsi o addirittura smentirsi. Dimenticarsi delle promesse fatte. Ma non di aizzare i propri gruppi d’acquisto e fan club. Perché la pubblicità non conosce, né riconosce smentite o contraddizioni. Per dirla in pubblicitariese «mente sapendo di mentine».

BASTA CON I CAPITAN FINDUS E I MASTROLINDO

Ora cambiare registro, smettere con la politica del «pulito sì, fatica no», e ritornare a promesse realistiche, sarebbe auspicabile. Sommamente. Però non è all’ordine del giorno. Pensare che basti proibire la pubblicità della politica, come ha annunciato Twitter, è una pia illusione. Anche perché Facebook non lo farà. Allo stato attuale sarebbe già un risultato se si facesse strada, almeno, la consapevolezza che più la politica diventa annuncio, teatrino in streaming, offerta di soluzioni in stile Trivago o Facile.it, più il disastro si avvicina.

Non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia «non è come il vino che invecchiando migliora»

Però non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia, con le sue libertà e difese dei diritti civili e personali, «non è come il vino che invecchiando migliora». Lo scrive l’ultimo numero di The Economist citando una ricerca apparsa sull’American Political Science Review che ammonisce «a non dare per scontata la democrazia». Che anzi, in Italia, è più che mai in pericolo se i vari Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi continuano a travestirsi da Capitan Findus, Omino Bianco e Mastrolindo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Segre, lo stupore per la scorta e l’incontro con Salvini

La senatrice a vita: «Mai l'ho chiesta e mai me la sarei aspettata». A casa sua riceve il leader della Lega accompagnato dalla figlia. E il futuro della Commissione contro l'odio resta incerto.

E alla fine Matteo Salvini incontrò Liliana Segre. Il senatore faccia a faccia con la senatrice a vita sopravvissuta ai lager nazisti. Dopo le polemiche per l’astensione del centrodestra nel voto che ha istituito la Commissione contro odio, antisemitismo e razzismo. E dopo quell’uscita infelice del leghista in seguito all’assegnazione della scorta proprio alla Segre: «Le minacce contro lei, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», aveva detto l’ex vicepremier parlando di se stesso in terza persona. Per poi aggiungere: «Anche io ne ricevo quotidianamente». Nel pomeriggio i due si sono visti nell’abitazione della Segre: Salvini si è presentato con la figlia, ma c’è massimo riserbo sui contenuti del loro colloquio.

MATTARELLA RICHIAMA AL SENSO DI RESPONSABILITÀ

Di certo quei 200 messaggi di odio che giungono quotidianamente alla Segre non sono passati inosservati e il capo dello Stato Sergio Mattarella è intervenuto richiamando alla «convivenza» e al «senso di responsabilità» come mezzo per contrastare «intolleranza» e «contrapposizione».

Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta


Liliana Segre

Sul caso che la vede suo malgrado protagonista la Segre ha rotto il silenzio in cui si era blindata: «Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta», ha detto ai microfoni di Rainews24. Quanto alla Commissione parlamentare da lei voluta, non ha sciolto il nodo se la presiederà o se comunque ne farà parte: «Vedremo quale sarà il mio ruolo». Su un punto però è stata molto chiara: «Non ho voluto la Commissione contro l’antisemitismo, ma assolutamente contro l’odio e come tale vorrei fosse programmata. C’è un’atmosfera di odio e odio è una parola orribile». Mentre i partiti continuano a litigare tra di loro anche su temi che non dovrebbero essere divisivi.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Conte fuori dall’Ilva a Taranto tra cori e contestazione

Ad accoglierlo una folla di operai, cittadini e ambientalisti: «Vogliamo la chiusura dell'impianto, qui ci sono più morti che nascite». Il premier: «Parlerò con tutti».

L’avvocato del popolo circondato dal popolo. A Taranto, fuori dallo stabilimento ex Ilva. Dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è presentato per parlare con gli operai, accompagnato da alcuni dirigenti del siderurgico. E dalla folla sono partiti cori, richieste, anche qualche contestazione.

Il premier ha in programma anche di partecipare al consiglio di fabbrica permanente di Fim, Fiom e Uilm. È entrato dalla portineria D, quella riservata all’ingresso degli operai. Lì c’erano rappresentanti di comitati e movimenti con striscioni che hanno chiesto la riconversione economica del territorio.

Molti hanno scandito cori inneggianti alla chiusura dell’impianto. Conte, un po’ travolto dalla confusione in mezzo alla ressa, ha reagito promettendo: «Parlerò con tutti, ma con calma».

Un cittadino gli ha urlato: «Dovete conoscere la situazione». E lui ha risposto: «Sono qui per questo». Un altro ha detto: «Mi sento in colpa perché ogni volta che vado al lavoro sto facendo del male alla mia famiglia».

Molti erano cittadini del vicino quartiere Tamburi, nel quale si contano i maggiori danni ambientali e alla salute. «Qui ci sono più morti che nascite», ha detto una madre. «Abbiamo fiducia nelle istituzioni, ma non fatela perdere a noi», ha aggiunto un altro. E ancora: «Questa città richiede altro, perché continuate a insistere su questa fabbrica?».

Il presidente del Consiglio ha dialogato con alcuni. Riportando il tema sul lavoro. «Tu lavori?», ha domandato a un cittadino. «Ora sono disoccupato», è stata la risposta. E quando gli è stato chiesto un giudizio sulla società che ora gestisce l’impianto, ha replicato al premier: «Mittal non si è comportata mica tanto bene».

Nella calca c’erano anche ambientalisti. Il premier a molti cittadini ha chiesto: «Cosa volete, la riconversione?». Ma il gruppo che lo ha assediato all’esterno prima che potesse entrare ha avuto una parola d’ordine: chiusura. Solo qualcuno ha accennato alla possibilità di una riconversione, impiegando per questo gli operai per la bonifica. Conte ha rivendicato attenzione all’ambiente: «Stiamo lavorando tanto per l’energia pulita».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La polemica sulla Lega e i 300 mila euro in bond ArcelorMittal

Il M5s all'attacco per i presunti investimenti del Carroccio nel colosso indo-francese. Di Maio: «Ora ho capito perché il partito di Salvini si schierava con l'azienda». Ma la notizia è uscita in aprile, quando i due erano alleati.

La vicenda ex Ilva-Arcelor Mittal prende un nuovo risvolto tutto politico che potrebbe gettare altre ombre sui conti della Lega. A far scoppiare la polemica è stato il viceministro M5s al Mise Stefano Buffagni.

«La Lega», ha sostenuto, «ha investito 300 mila euro in bond di ArcelorMittal. Mi auguro pensi a difendere gli italiani e non le multinazionali».

L’INCHIESTA SUI SOLDI DELLA LEGA

Buffagni fa riferimento a una notizia pubblicata sull’Espresso da Giovanni Tizian e Stefano Vergine ad aprile. Secondo i due giornalisti, la Lega avrebbe investito in titoli negli anni scorsi 1.200.000 euro. Dei quali 300 mila euro in bond della multinazionale che aveva comprato Ilva e che ora si vuole ritirare.

Lega, dai diamanti ai bond di Arcelor Mittal

Dai diamanti in Tanzania ai bond di Arcelor Mittal. Salvini che si dice, a parole, contro l’Europa delle banche, dovrebbe spiegarci, perché il suo partito avrebbe investito, a scopo di lucro, 300 mila euro in obbligazioni dell’azienda franco-indiana che ha acquistato l’Ilva e che ora minaccia di recedere, unilateralmente, dal contratto firmato con lo Stato. Infatti, quella stessa Lega, a parole sovranista, che chiede di reintrodurre l’immunità penale per Arcelor Mittal, secondo diversi organi di stampa, avrebbe investito 300 mila euro proprio in un bond corporate di Arcelor Mittal. Cioè dice di essere dalla parte dei cittadini, dei lavoratori, contro i poteri forti, ma investe soldi in obbligazioni di multinazionali straniere. Da “prima gli italiani!” a “prima i franco-indiani”, in questo caso. A parole fa finta di combattere l’Europa “serva di banche e multinazionali", salvo poi schierarsi sempre dalla parte di quest’ultime. È forse per questo che la Lega, invece di prendersela con la multinazionale franco-indiana, e difendere i lavoratori come sta facendo l’esecutivo, si è scagliata contro il Governo? Salvini scappa e non risponde, come sempre, come ieri mattina, a precisa domanda, dice di chiedere all’amministratore della Lega su questi investimenti. Quindi investono a sua insaputa i soldi del partito? È chiaro, quindi, il motivo per cui l'ex sottosegretario leghista al Mise, Edoardo Rixi, dimessosi per lo scandalo delle spese pazze in Liguria, si spendesse così tanto per Arcelor. Ed è curioso che Arcelor, a luglio del 2018, assunse come capo comunicazione proprio l'ex portavoce di un leghista d'annata, Roberto Maroni. Insomma fra l'azienda franco-indiana e la Lega ci sono molti rapporti e molti contatti. E chissà cosa avrà detto loro Salvini, da vicepremier, quando ha incontrato i vertici di Arcelor Mittal. Forse si è passati da prima i lavoratori a prima gli investimenti, quelli del partito verde.Ma la domanda è: ritenete normale che la Lega, come emerge dalle inchieste, investa soldi pubblici (ricordate i famosi 49 milioni di rimborsi elettorali con i quali acquistarono diamanti in Tanzania), non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali, come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo? Non c’è un macroscopico conflitto d’interessi se parliamo di un partito che è in Parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?

Posted by MoVimento 5 Stelle on Thursday, November 7, 2019

Secondo i due, autori anche de Il libro nero della Lega,  «sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali».

IL M5S ALL’ATTACCO

Il M5s, che quando queste notizie sono uscite era alleato della Lega, ha deciso ora di attaccare il Carroccio a testa bassa. «Ogni volta che io provavo a essere duro, la Lega si schierava con Arcelor. Ora ho capito perché: hanno investito in Arcelor e stanno battagliando ancora per la multinazionale e non per i lavoratori. Abbiamo smascherato il finto sovranismo. Abbiamo gli unici sovranisti al mondo che perorano le battaglie delle multinazionali anziché i cittadini e i lavoratori», ha detto venerdì il ministro degli Esteri e capo del M5s, Luigi Di Maio.

«NON C’È UN MACRO CONFLITTO D’INTERESSI»

Un’accusa rimbalzata anche sui social del Movimento e richiamata dai parlamentari pentastellati. «Perché la Lega di Salvini ha investito 300 mila euro in obbligazioni di Arcelor Mittal? Salvini, come al solito, piuttosto che rispondere preferisce scappare. Eppure, secondo diversi organi di stampa, il suo partito avrebbe investito soldi pubblici, cioè soldi di tutti i cittadini, non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali mondiali (…) Ma viene da chiedersi: non c’è forse un macroscopico conflitto d’interessi per un partito che è in parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?», si legge in una nota dei portavoce del MoVimento 5 Stelle in commissione Attività produttive alla Camera.

LA REPLICA DI SALVINI: «NON ABBIAMO BOND»

«Io querelo poco e niente, ma oggi un po’ di gente la querelo, visto che dicono che abbiamo azioni o bond di Arcelor Mittal: roba assolutamente fantasiosa», ha replicato Salvini, incontrando la stampa a Firenze. A onor del vero, nessuno ha detto che la Lega ha in portafogli attualmente le obbligazioni, ma che le ha avute.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

In Campania continua il braccio di ferro tra Anpal e Regione sui navigator

La giunta regionale non ha ancora dato il via libera alla convenzione. «L'impegno sottoscritto da De Luca non corrisponde ai fatti».

Stallo senza fine tra Regione Campania e Anpal sui navigator. L’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro ha fatto sapere che è ancora tutto bloccato. «Apprendiamo con rammarico e stupore», si legge in una nota, «che la giunta regionale della Campania non ha approvato la convenzione tra Anpal Servizi e Regione Campania che definiva le modalità di assistenza tecnica dei navigator», senza la quale non si può procedere all’assunzione dei 471 navigator campani vincitori della selezione pubblica.

«In questi 15 giorni», hanno sottolineato Anpal e Anpal Servizi, «abbiamo accolto le molteplici modifiche richieste dagli uffici regionali per favorire l’avvio delle attività. Abbiamo operato con senso di responsabilità, forti dell’impegno sottoscritto con il presidente della giunta Vincenzo De Luca lo scorso 17 ottobre».

«Dobbiamo constatare che all’impegno sottoscritto e diffuso a mezzo stampa sui media non corrisponda la volontà fattuale del presidente di far partire le attività dei navigator in Regione Campania, che potrebbero essere avviate come avvenuto nelle altre 19 Regioni un attimo dopo la stipula della convenzione».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Buia e Salini: la ministra De Micheli tra due fuochi

La titolare delle Infrastrutture da un lato si è schierata dalla parte dei piccoli costruttori capitanati dal presidente dell'Ance, dall'altro non riesce a sottrarsi al fascino di Progetto Italia. Ma il suo tentativo di districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre sta destando qualche malumore.

Paola De Micheli non sa che pesci prendere. Da un lato, la ministra delle Infrastrutture si è schierata a favore dei piccoli imprenditori delle costruzioni, che hanno nel presidente dell’Ance, il parmense Gabriele Buia il loro punto di riferimento. Dall’altro, non riesce a sottrarsi al fascino di un potere forte come Progetto Italia, il nuovo super raggruppamento che unisce Impregilo e Astaldi sotto la guida di Pietro Salini con la decisiva partecipazione nel capitale di Cdp. Peccato che Buia e Salini siano come cane e gatto, l’un contro l’altro armati in una guerra che contrappone migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni a un colosso che la fa da padrone in un mercato interno che è già povero di suo per l’influenza nefasta del “partito del No” a tutte le infrastrutture esistenti in Italia.

DE MICHELI STRETTA TRA INTERESSI CONTRAPPOSTI

Eppure, la ministra nata all’ombra di Pier Luigi Bersani, passata poi con Matteo Renzi e ora diventata fervente paladina di Nicola Zingaretti, non si è persa d’animo: prima è andata all’assemblea dell’Ance del 30 ottobre convocata per denunciare che ci sono ben 749 opere ancora bloccate per un valore complessivo di 62 miliardi, e si conquistata gli applausi assicurando la platea che la sua volontà è quella di concentrarsi sulla rigenerazione urbana e sulla casa, temi che interessano i piccoli costruttori. Poi ha incontrato i plenipotenziari di Salini e quelli di Cdp dicendo loro che non sarebbe certo rimasta insensibile agli interessi del neonato polo di Progetto Italia. Insomma, la ministra cerca districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre in un settore come quello delle costruzioni dall’alto tasso di litigiosità, destando qualche malumore al ministero di piazza della Croce Rossa già provato dalle giravolte del suo ineffabile predecessore Danilo Toninelli.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un'intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se si andasse a elezioni ora per lui sarebbe finita.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Assegnata la scorta a Liliana Segre

Dopo i continui messaggi d'odio sui social, le autorità hanno deciso di garantire la protezione alla senatrice a vita. Salvini: «Anch'io ricevo minacce ogni giorno».

I carabinieri del Comando provinciale di Milano garantiranno la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel gennaio del 1944 dal binario 21 della stazione Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, e sopravvissuta all’Olocausto. Lo fa sapere il Corriere della Sera. La misura di protezione, da tempo sotto esame, è stata disposta nel pomeriggio di mercoledì, durante il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico presieduto dal prefetto Renato Saccone e con al tavolo i vertici cittadini delle forze dell’ordine.

SALVINI: «ANCH’IO RICEVO MINACCE OGNI GIORNO»

«Le minacce contro Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», ha detto il leader della Lega Matteo Salvini lasciando una manifestazione di Coldiretti in corso in piazza Montecitorio. «Anche io ne ricevo quotidianamente», ha aggiunto.

LA COMUNITÀ EBRAICA: «L’ANTISEMITISMO C’È»

«Il fatto che una senatrice sopravvissuta ad Auschwitz abbia bisogno della scorta indica che il Paese ha fallito e che l’antisemitismo c’è. Dopo l’attentato nell’82 a Roma le comunità ebraiche hanno iniziato ad essere sorvegliate, esigenza che non è mai venuta meno. Il rabbino Toaff era scortato, il rabbino Di Segni è scortato, come le presidenti di Roma, Dureghello, dell’Ucei, Di Segni. I nostri bambini entrano nelle nostre scuole scortati», ha dichiarato il vicepresidente della comunità di Roma Ruben Della Rocca.

SOLIDARIETÀ DAL PD

«A Liliana Segre, una delle ultime sopravvissute italiane alle camere a gas di Auschwitz-Birkenau, oggi lo Stato assegna una scorta perché la deve difendere da nuove minacce. È un terribile segnale, è un mondo che corre all’indietro. Difendere oggi chi ha attraversato l’inferno ieri è un dovere ma è anche una sconfitta»: così in una nota il deputato Pd Emanuele Fiano. Per la sottosegretaria ai rapporti con il parlamento Simona Malpezzi, «la decisione di mettere sotto tutela la senatrice Segre, per le continue minacce che riceve, rende l’idea del pericolo che corrono tutte le persone civili e democratiche nel nostro Paese. C’è un clima sociale e politico pesante in Italia che viene spesso sottovalutato, da oggi non deve essere più possibile tollerare qualsiasi manifestazione o cedimento verso posizioni razziste e fasciste. È un impegno che tutti i gruppi parlamentari devono assumere con chiarezza. Lo dobbiamo a Lilliana Segre, lo dobbiamo alla democrazia che va difesa senza alcuna ambiguità».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva

Conte in una drammatica conferenza stampa: «Richiesta inaccettabile, offrano soluzioni che ci rassicurino». Il governo è disponibile a ripristinare l'immunità. Altre 48 ore per trattare, ma lo scenario è fosco.

Il premier Giuseppe Conte ha confermato in conferenza stampa che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi – su un totale di 10.777 dipendenti, di cui 1.200 già in cassa integrazione – per tenersi l’ex Ilva, che ogni giorno a Taranto perde 2,5 milioni di euro. Una condizione durissima, che il governo ritiene «inaccettabile». L’esecutivo, ha detto Conte, «è disponibile al ripristino dell’immunità sul piano ambientale, per sgombrare il campo da un falso problema. Ma nella discussione con l’azienda è venuto fuori che non è questa la vera causa del disimpegno. Lo dico senza timore di essere smentito: lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che ArcelorMittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili per remunerare gli investimenti. Dunque non ritiene possibile garantire l’occupazione».

In diretta da Palazzo Chigi

Posted by Giuseppe Conte on Wednesday, November 6, 2019

LEGGI ANCHE: Quanto pesa la possibile chiusura dall’ex Ilva sull’indotto

Sul dossier scatta ufficialmente «un allarme rosso» ed è necessario che «il Paese regga l’urto di questa sfida». Ma secondo il premier «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale, 24 ore su 24. Invitiamo ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni per offrire soluzioni che ci rassicurino sulla continuità dei livelli occupazionali, dei livelli produttivi e sul piano di risanamento ambientale». Ma quali strumenti concreti ha il governo per tentare di convincere l’azienda a tornare sui suoi passi, senza finire in Tribunale? Ben pochi. E Conte lo ha ammesso: «Ho offerto lo scudo penale, è stato rifiutato. Ho quindi chiesto di aprire un tavolo di negoziazione». Ma le mani del governo sono sostanzialmente vuote, a meno di non voler immaginare un ricorso massiccio alla cassa integrazione o un costosissimo subentro dello Stato. «Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata», ha aggiunto il premier.

PATUANELLI: «LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE È STRUTTURALE»

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, visibilmente scosso, ha ribadito il concetto: «Questa è una vertenza industriale. ArcelorMittal vuole ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate e vuole 5 mila persone in meno. Ma ha vinto la gara promettendo 6 milioni di tonnellate e 8 milioni dal 2024. C’è un altro problema: se non si produce, non si investe nemmeno sul risanamento ambientale. Noi siamo disponibili ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive. Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile, il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto nel 2017, di fatto sono dentro da un anno».

SINDACATI CONVOCATI PER IL 7 NOVEMBRE

Conte ha promesso che gli operai e le comunità locali non saranno lasciati soli: «Domani convocheremo i sindacati. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare l’ex Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, le polemiche politiche sono assolutamente inutili». Oltre agli esuberi, ArcelorMittal avrebbe chiesto anche una norma ad hoc per tenere in vita l’altoforno 2, che non è a norma e che rischia di essere spento dalla magistratura. Le organizzazioni dei lavoratori sono pronte alla mobilitazione. La Fim-Cisl si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato, mentre in serata la Fiom e la Uilm hanno proclamato una giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre e una manifestazione a Roma, «di fronte all’arroganza» di ArceloMittal e alla «totale incapacità della politica».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

M5s: nuova fumata nera per elezione capogruppo Camera

Niente da fare in casa grillina per il successore di D'Uva. Fazioni ancora bloccate su due nomi: Silvestri e Crippa.

Nuova fumata nera, a quanto si apprende, per l’elezione del capogruppo del M5s alla Camera. Al termine dello spoglio nè Francesco SilvestriDavide Crippa hanno ottenuto la maggioranza assoluta richiesta dallo statuto del gruppo. Silvestri ha incassato 95 voti, Crippa 83.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il Garante della privacy contro l’archiviazione integrale delle fatture elettroniche

Secondo l'authority i dati memorizzati dall'Agenzia delle entrate comprendono anche informazioni non rilevanti ai fini tributari. Parlamento invitato a modificare la norma contenuta nel decreto fiscale.

L’archiviazione integrale per otto anni di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute da parte dell’Agenzia delle entrate, compresi i dati non fiscalmente rilevanti e quelli relativi alle prestazioni fornite, per il Garante delle privacy è «sproporzionata». L’authority ha quindi invitato il parlamento a «vagliare l’effettiva necessità» di questa norma, valutando la possibilità di sostituirla con procedure «meno invasive» per i cittadini o semplicemente di «oscurare i dati non fiscalmente rilevanti».

LA NORMA È CONTENUTA NEL DECRETO FISCALE

Nella memoria che il Garante ha trasmesso alla commissione Finanze della Camera, dove sono in corso le audizioni sul decreto fiscale, ci si concentra sull’articolo 14 del provvedimento, che consente per l’appunto all’Agenzia delle entrate di memorizzare i file delle fatture elettroniche per gli otto anni successivi alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

ARCHIVIAZIONE FINALIZZATA ALL’ANALISI DEL RISCHIO-EVASIONE

L’archiviazione è finalizzata all’analisi del rischio-evasione e all’esecuzione di controlli sia da parte della stessa Agenzia delle entrate, sia da parte della Guardia di finanza in caso di inchieste giudiziarie. Ma secondo il Garante per la privacy, quantità e qualità dei dati archiviati sarebbero eccessive. Anche perché l’intero patrimonio di informazioni sarebbe esposto a rischi di «esfiltrazione o attacchi informatici», per fronteggiare i quali servirebbero apposite leggi.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il consiglio regionale della Lombardia dice no alla commissione Segre

Proposta dal Pd per contrastare intolleranza, razzismo e antisemitismo su modello di quella del Senato, è stata respinta con 42 no e 30 sì. Contrari Lega, Fdi, Forza Italia e tutto il centrodestra.

Il Consiglio regionale della Lombardia ha respinto con 42 No e 30 Sì la proposta del Pd di istituire una commissione consiliare speciale «per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza» sul modello di quella approvata in Senato su proposta della senatrice a vita Liliana Segre. Contrari Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, il gruppo Misto e gli altri esponenti del centrodestra, favorevoli Pd, M5S e gli altri consiglieri di opposizione.

RESTA L’INVITO PER UNA VISITA NEL GIORNO DELLA MEMORIA

La richiesta era stata inserita su proposta del consigliere Pd Pietro Bussolati tra i punti della mozione urgente presentata da Monica Forte del Movimento 5 Stelle, che è stata votata per parti separate. Gli altri punti sono stati approvati da tutte le forze politiche tranne Fratelli d’Italia e Viviana Beccalossi del Gruppo Misto, ma con alcune modifiche richieste dalla maggioranza. In sintesi il testo definitivo votato dall’Aula impegna la giunta regionale a invitare la senatrice Segre a una visita istituzionale in Consiglio regionale, «con l’auspicio – aggiunto da Forza Italia – che tale visita avvenga in una data vicina al giorno della memoria». Inoltre, a «manifestare a Liliana Segre la stima e la profonda solidarietà per le ignobili aggressioni di cui è stata oggetto e il nostro profondo rispetto per la sua storia personale sulla quale non è tollerabile alcuna forma di negazionismo e sottovalutazione». Su richiesta della Lega, infine, nelle premesse è stato posto un accenno di condanna alle contestazioni subite dalla Brigata Ebraica nel corso del corteo del 25 Aprile a Milano

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Scajola accusato di truffa aggravata allo Stato per l’uso delle auto blu

Il sindaco di Imperia ed ex ministro si sarebbe servito delle macchine del Comune per scopi non istituzionali. Gli inquirenti gli contestano rimborsi spese illegittimi. E a Reggio Calabria rischia 4 anni e mezzo per procurata inosservanza della pena in favore dell'ex parlamentare di Forza Italia Matacena.

Nuovi guai giudiziari per Claudio Scajola, accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato per l’utilizzo dell’auto di servizio del Comune per scopi non istituzionali. Nell’ambito della stessa inchiesta il sindaco di Imperia ed ex ministro era già stato indagato dalla procura della Repubblica di Imperia per peculato d’uso. A investigare sono stati i militari della guardia di finanza, coordinati dal procuratore aggiunto Grazia Pradella e dal sostituto procuratore Luca Scorza Azzarà.

VIAGGI NELLA TRATTA IMPERIA-AEROPORTO DI GENOVA

Nel mirino delle Fiamme gialle alcuni viaggi di Scajola a bordo dell‘auto blu in Lombardia e in Liguria, nella tratta Imperia-aeroporto di Genova. Nel corso degli accertamenti compiuti dai finanzieri, sarebbero emersi elementi che hanno portato gli inquirenti a contestare il rimborso di spese di viaggio e soggiorni in hotel, considerato illegittimo.

CHIESTA LA CONDANNA ANCHE PER IL PROCESSO BREAKFAST

In concomitanza si sono tenute anche le udienze del processo Breakfast in cui Scajola è imputato, e per il quale il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha chiesto il 4 novembre una condanna a 4 anni e 6 mesi per il reato di procurata inosservanza della pena in favore dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai, con esclusione dell’aggravante mafiosa.

«CARTELLO ACCUSATORIO CADUTO NELLA RICHIESTA DEL PM»

L’ex ministro ha commentato: «Siamo arrivati finalmente alle conclusioni del pubblico ministero che non ha assolutamente guardato l’esito delle udienze e delle testimonianze. Di positivo, se così possiamo dire, c’è che il castello accusatorio principale nei miei confronti è già caduto nella stessa richiesta del pm. Sul resto, ribadiremo punto per punto, con i miei avvocati, tutto ciò che non è stato considerato da parte del rappresentante della pubblica accusa».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Inchiesta sul nuovo stadio della Roma, Centemero e Bonifazi a rischio processo

Il tesoriere della Lega e l'ex del Pd sono indagati per finanziamento illecito da parte del costruttore Luca Parnasi. Bonifazi, oggi in Italia Viva, è anche accusato di false fatture.

Rischio processo per Giulio Centemero, tesoriere della Lega e Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd ora passato a Italia Viva. La procura di Roma ha chiuso il filone di indagine, atto che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma. Nei confronti di Centemero è contestato il reato di finanziamento illecito così come per Bonifazi. Per quest’ultimo c’è anche l’emissioni di fatture per operazioni inesistenti.

FONDI A FONDAZIONE EYU DEL PD E ALL’ASSOCIAZIONE ‘PIÙ VOCI’ DEL CARROCCIO

Al centro dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, i finanziamenti dell’ imprenditore Luca Parnasi. In particolare i 150 mila euro destinati alla fondazione Eyu, vicina al Pd, e i 250 mila euro all’associazione Più Voci presieduta all’epoca dei fatti da Centemero. Nei confronti di Parnasi, già sotto processo nel filone principale dell’inchiesta, l’accusa è di concorso in finanziamento illecito.

GLI UOMINI DI SALVINI E RENZI NELL’INCHIESTA

I finanziamenti da parte di Parnasi alla associazione Più Voci sono stati elargiti nel 2015 e nel 2016. Per quanto riguarda la fondazione Eyu il finanziamento risale al 2018. Nel capo di imputazione dell’atto di chiusura delle indagini che riguarda il tesoriere della Lega, Centemero e Parnasi, l’accusa di finanziamento illecito è contestata anche al commercialista Andrea Manzoni, che viene definito dai pm «l’attuale revisore legale del gruppo Lega-Salvini al Senato». Nel segmento di indagine che riguarda Bonifazi, il finanzimanto illecito è contestato anche a Gianluca Talone, commercialista di Parnasi e a Domenico Petrolo,​ responsabile delle relazioni esterne «nonchè ‘fundraising‘ di Eyu». Petrolo, così come Bonifazi, risponde pure dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

FUNZIONARIA DELLA SOPRINTENDENZA SOTTO ACCUSA

Infine rischia di finire sotto processo, per una tentata concussione ai danni di Parnasi avvenuta nel gennaio del 2018, anche Anna Buccellato, funzionaria della soprintendenza archeologica. La funzionaria è accusata di avere tentato di imporre ad Eurnova, società all’epoca dei fatti guidata da Parnasi, alcuni archeologi per sondaggi preventivi nell’area dello stadio, arrivando a minacciare «una vera e propria guerra» al gruppo Parnasi se non fosse stata cambiata la persona indicata dalla società.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

E ora i consiglieri comunali di Verona vogliono denunciare Balotelli

Dopo gli insulti razzisti al giocatore, mozione firmata da Lega e lista civica del sindaco contro «chi diffama la città».

Prima i versi della scimmia in Curva, poi il tentantivo di minimizzare da parte del sindaco. Ora il Comune di Verona potrebbe persino adire le vie legali nei confronti di Mario Balotelli e di chi ha diffamato la città. È quello che hanno proposto quattro consiglieri comunali in una mozione che ha come primo firmatario Andrea Bacciga, eletto con “Battiti“, la lista civica del sindaco Federico Sboarina. Gli altri firmatari sono i consiglieri della Lega Alberto Zelger, Paolo Rossi e Anna Grassi. Mentre il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito dagli stadi fino al 2030.

«CAMPAGNA MEDIATICA E FANGO»

Nella mozione è scritto: «Nessuno presente allo stadio durante la partita Brescia-Verona udiva ululati: né il pubblico, né la panchina del Brescia, né i giornalisti di Sky a bordo campo». Poi i consiglieri hanno proseguito: «Iniziava da subito una campagna mediatica contro la città di Verona sia da alcuni politici, come risulta dal comunicato del Partito democratico, sia da alcuni giornalisti che, seppur non presenti allo stadio, non hanno perso l’occasione di gettare fango sulla nostra città».

«ALLO STADIO NON È SUCCESSO NULLA»

Considerato quindi che «non è accettabile che Verona sia messa sul banco degli imputati, pur quando, come in questo caso, non è successo nulla (ma anche nel video qui sotto i versi da scimmia si sentono chiaramente, ndr)», i quattro consiglieri comunali con questa mozione hanno impegnato «il sindaco, l’assessore a gli uffici legali del Comune a diffidare legalmente e/o adire le vie giudiziali nei confronti del calciatore e di tutti coloro che attaccano Verona diffamandola ingiustamente».

SALVINI: «DA SEGRE POSSO IMPARARE, DA MARIO NO»

Intanto il leader della Lega Matteo Salvini, nel corso di un appuntamento politico a Napoli, è tornato sulla vicenda attaccando ancora il giocatore ex Milan: «Penso che chi nega l’Olocausto va curato da uno bravo bravo. Ma sul fatto di mettere in mano a una commissione partitica il giudizio di cosa è razzismo ho qualche dubbio. Sull’antisemitismo nessun problema: vanno curati sia quelli che vanno in giro con la svastica sia quelli con falce e martello. Di sicuro Liliana Segre può insegnarmi qualcosa, Balotelli no».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

«Io sono Giorgia», storia del tormentone ispirato a Giorgia Meloni

«Genitore 1, genitore 2». Il remix del discorso della leader di FdI in piazza San Giovanni è una hit virale. Grazie alle versioni che sono fiorite sui social. Eccone una carrellata.

«Sono una donna, sono una cristiana, sono una madre e non me lo toglierete. No a genitore uno e genitore due, noi difendiamo i nostri nomi perché non siamo codici». Il “manifesto” di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, gridato dal palco di piazza San Giovanni a Roma ha fatto centro, non c’è che dire. Ma forse non proprio come Giorgia si aspettava. Già, perché dopo la vittoria del centrodestra «Io sono Giorgia» è diventata una hit, un tormentone virale declinato sui social in numerose versioni. Tutte sul remix di Mem&J.

Così è nata la #iosonoGiorgiaChallenge: c’è chi ha fatto ballare sulle note di Meloni cartoni animati – imperdibili Bear, l’orso della grande casa Blu e i Teletubbiesattrici di Bollywood e persino Willy il principe di Bel-Air. Abbiamo raccolto qui le versioni più divertenti.

WILLY SULLE NOTE DI GENITORE 1, GENITORE 2

Questa #GiorgiaChallenge ormai sta prendendo un brutta piega…Vai Will!!

Posted by FitZia, Mirto e Scivolizia on Sunday, November 3, 2019

IL FLASH MOB

BEYONCÉ

L’ORSO BEAR

Genitore uno, genitore due *tunz tunz

Come saprete, questa pagina è seria e l'admin che la gestisce pure!#iosonogiorgiachallenge

Posted by Koogai. on Sunday, November 3, 2019

GIORGIA GOES TO BOLLYWOOD

RAGAZZI, VI PREGO, FATEMI SMETTERE. È DIVENTATA LA MIA NUOVA DIPENDENZA!ORA ANCHE IN VERSIONE BOLLYWOOD #IoSonoGiorgiaChallenge

Posted by Adam Internätional on Monday, November 4, 2019

I TELETUBBIES

Addio.

Posted by INPS per la Famiglia Tradizionale on Monday, November 4, 2019

IN VERSIONE DISNEY

#iosonogiorgiachallenge

Posted by Crudelia Memon on Saturday, November 2, 2019

POTEVA MANCARE UN CROSSOVER CON “MATTARELLA ASCOLTA COSE”?

Mattarella ascolta:

Io Sono Giorgia (Giorgia Meloni Remix)

Posted by Mattarella ascolta cose on Monday, November 4, 2019

BRANDAN JORDAN

BALLANDO SOTTO LA PIOGGIA

View this post on Instagram

#iosonogiorgiachallenge @bitchyf.it

A post shared by SiGNOR MARiO (@signormario) on

I PASSI DI JOKER

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Emendamento di Renzi per ripristinare lo scudo penale all’ex Ilva

Il leader di Italia viva attacca ArcelorMittal: «Ritengo che se ne voglia andare e stia cercando pretesti». L'ex premier punterebbe su una cordata alternativa.

È «già pronto» l’emendamento di Italia viva per ripristinare lo scudo penale all’ex Ilva di Taranto, ovvero la scriminante che consente agli attuali amministratori dell’acciaieria di non essere imputabili durante la realizzazione del piano ambientale, messo a punto per porre rimedio ai gravissimi problemi di inquinamento che si trascinano fin dagli Anni 70.

LEGGI ANCHE: Il caso Ilva riapre lo scontro nel governo

RENZI ATTACCA ARCELORMITTAL

Ma il leader del partito, Matteo Renzi, attacca ArcelorMittal: «Ritengo che se ne voglia andare e stia cercando pretesti. Il problema è capire se qualcuno vuole chiudere Taranto per togliersi dai piedi un potenziale concorrente. È un rischio che molti hanno evocato fin dai tempi della gara, nel 2017. Ma proprio per questo credo che si possa agevolmente recuperare la questione dello scudo penale anche con un emendamento al decreto fiscale che sta per arrivare in parlamento. Lo ha già preparato la collega Lella Paita e lo firmeranno molti di noi».

LEGGI ANCHE: Chi è Lucia Morselli, amministratore delegato di ArcelorMittal Italia

L’IPOTESI DI UNA CORDATA ALTERNATIVA

Come riportato da quotidiano la Repubblica, Renzi punterebbe su una cordata alternativa. Come scrive Annalisa Cuzzocrea, «una sorta di replica della cordata che, ai tempi del governo Gentiloni, aveva perso la gara contro ArcelorMittal. Con dentro Sajjan Jindal, già proprietario delle ex acciaierie Lucchini di Piombino (nel cda c’è l’amico fraterno del leader di Italia viva Marco Carrai), il gruppo Arvedi di Cremona e Cassa depositi e prestiti». L’ex premier, intanto, dice di essere «pronto a tutto pur di trovare una soluzione». E dichiara che a Italia viva «non interessa ottenere visibilità», bensì «salvare oltre 10 mila posti di lavoro».

PER IL MIINISTRO COSTA LO SCUDO NON SERVE

Sul tema dello scudo penale è intervenuto anche il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa: «Finché tu rispetti il piano ambientale, non ti devi preoccupare di avere o non avere l’immunità penale. ArcelorMittal lo sta rispettando, quindi l’immunità penale per l’aspetto ambientale non ha ragion d’essere».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Nessuno crede nella sopravvivenza di Forza Italia. Nemmeno gli azzurri

Mara Carfagna, reduce dal fallimentare tentativo di scalata ai vertici, sarebbe pronta ad allearsi con Toti. Renato Brunetta è ormai diventato renziano. Eppure per sollevare il partito basterebbe saper fare politica. Evidentemente questa classe dirigente nei 25 anni berlusconiani non ha imparato nulla.

Forza Italia è ormai l’asilo Silviuccia. Mai Silvio Berlusconi avrebbe pensato di rimpiangere i vecchietti di Cesano Boscone, l’ospizio dove prestò la condanna ai servizi sociali. Loro almeno erano teneri. Dentro al partito, invece, sono diventate tutte arpie. Mostri che lui stesso ha generato e che, a onor del vero, si diverte a osservare. 

LEGGI ANCHE: La Lega sfonda la soglia del 34%, Fi intorno al 6%

MARA CARFAGNA HA FATTO IL PASSO PIÙ LUNGO DELLA GAMBA

Mara Carfagna si dice disinteressata a salvare il suo seggio invece è l’unica cosa che ha a cuore. Più lo negano – lei, le altre e gli altri – più è il pensiero dominante. Ma andare con Matteo Renzi proprio no: su Mara pende il veto di Maria Elena Boschi e comunque non avrebbe senso spostarsi in un partito che, ben che vada, prenderà la stessa percentuale di Forza Italia, ma in cui lei e i suoi sono gli ultimi arrivati, mentre nel partito del Cavaliere erano in pole position. Ha fatto il passo più lungo della gamba e si è già pentita.

Mara Carfagna.

IL FALLIMENTARE TENTATIVO DI SCALATA

Sanno tutti che le sue posizioni sulla mozione Segre sul razzismo e la sua vicinanza alla Comunità ebraica, entrambe ammirevoli, sono molto influenzate dal suo compagno Alessandro Ruben, ex consigliere dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Lo stesso che le ha sciaguratamente consigliato la mal riuscita scalata al vertice di Fi. Ormai in un angolo, ora è disposta a fondersi anche con Giovanni Toti, che però quanto a salvinismo, che è il punto dirimente di tutta questa faccenda, è lontano da lei anni luce. Come fai a lasciare Silvio perché troppo vicino a Salvini e andare con Toti che si vuole alleare, tra l’altro a maggior fatica, con lo stesso Matteo padano? Sarebbe un problema, se ormai non fosse consentito di tutto e di più. 

LEGGI ANCHE: Berlusconi riconosce la leadership di Salvini. Anche in Mediaset

ANCHE RENATO BRUNETTA È DIVENTATO RENZIANO

Perfino Renato Brunetta è diventato renziano. In una dichiarazione ai telegiornali di qualche settimana fa ha addirittura affermato che se l’Iva non aumenta è merito di Matteo Renzi. A quasi 60 anni anche lui, già duro e puro, fa di tutto per salvare la poltrona. Stessa strategia di Mariastella Gelmini che, se in cuor suo pensa che il Cavaliere è ormai troppo vecchio ed è diventato una zavorra, si erge a sua amazzone. Che lo faccia di malavoglia si vede lontano anni luce. Per camuffare, ha messo in piedi una squadra di comunicazione che vorrebbe fosse la Bestia ma le procura solo follower turchi su Twitter.

Renato Brunetta.

NESSUNO HA LA FORZA E IL CORAGGIO DI SOLLEVARE IL PARTITO

La realtà è che nessuno ha la forza e il coraggio di sollevare Forza Italia. Sono gli stessi azzurri i primi a non credere nella sopravvivenza e nella rinascita. Eppure lo spazio a cui punta Renzi è anche il loro, basterebbe un nulla per recuperarlo. Basterebbe saper fare politica. Evidentemente in 25 anni non hanno imparato nulla. Non ci hanno neanche provato, si stava così bene quando Silvio c’era.  

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Vedo il dramma dell’ex Ilva di Taranto e odio questi politicanti

La città culla del movimento operaio pugliese ha conosciuto ben prima del fenomeno Salvini e 5 stelle l’irruenza selvatica di un populismo straccione che ha distrutto ogni connessione cittadina. E ora è in mano a incapaci locali e nazionali. Ecco perché da qui deve partire la riscossa di una vera e nuova sinistra.

Leggo le tragiche notizie sull’ex Ilva di Taranto e mi vengono tanti pensieri. Uno è per Alessandro Leogrande, giovane, straordinario intellettuale, morto due anni fa che tanto scrisse su Taranto con una lucidità e una passione incredibili. Non l’ho mai conosciuto, e solo da poco tempo sto leggendo tutto ciò che ha scritto. Sono testi fondamentali. Uno straordinario cronista che ha spiegato una crisi industriale, una città lasciata sola, la deriva di un popolo, la débâcle di una classe dirigente. Se ci fosse oggi, e tutti noi avremmo voluto che ci fosse, avrebbe scritto articoli da levare la pelle a tutti questi ciarlatani che affollano la politica italiana e pugliese.

LEGGI ANCHE: La storia infinita della crisi dell’Ilva di Taranto in cinque tappe

IL TIRA E MOLLA SULL’ACCIAIO HA STRONCATO TARANTO

L’altro pensiero che mi viene in mente è per la mia povera Puglia. Una regione straordinaria. Una eccentricità nel Mezzogiorno, la definì Antonio Gramsci. E tuttora lo è. Si fabbricano addirittura aerei, ci sono imprese in ogni settore, università importanti, è uno straordinario set cinematografico (merito di tanti e soprattutto di Nichi Vendola), è meta di vacanzieri generalmente soddisfatti. In Puglia, però, c’è la più grande crisi industriale italiana con questo tira e molla sull’acciaio che ha stroncato una città che non sa scegliere fra il lavoro e la salute (ma perché bisogna fare questa scelta?). 

LEGGI ANCHE: Chi è Lucia Morselli, la lady d’acciaio che vuole restituire l’ex Ilva allo Stato

IN PUGLIA LA SINISTRA È SPARITA

In Puglia la risorsa maggiore, l’oliveto, è stata distrutta, o quasi, in una gran parte del Salento per una malattia come la xylella che i governanti e qualche magistrato volevano curare con una specie di “modello Panzironi” applicato all’agricoltura. In Puglia la sinistra è sparita perché se l’è presa un uomo gigantesco, fisicamente, pieno di vita, disinvolto come Matteo Salvini, e cinico come Luigi Di Maio, che ha annichilito amici e avversari e ha ammorbato l’aria con alleanze politicamente torbide che sono il vero cancro della democrazia meridionale. Questo signore si chiama Michele Emiliano. Simpatico è simpatico, ma sotto il suo regno Italsider e xylella sono diventati un dramma inaccettabile. Sono convinto che almeno sull’Italsider vi siano colpe anche di Vendola che comunque ora è fuori dalla politica. Emiliano è invece lì, pronto a chiedere un altro mandato per finire di sfasciare quello che è rimasto in piedi.

La mia speranza è che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di fare e che dopo Leogrande, sulla strada tracciata da lui, ci siano tanti giovani che prendano la sua bandiera 

Quando ho chiesto a Nicola Zingaretti di sciogliere il suo partito  chiamando forze nuove per fondarne un altro, pensavo proprio a una azione che ci liberasse degli Emiliano, senza cacciarli ma solamente costringendoli a fare da soli. Il dramma pugliese è che a destra c’è addirittura peggio. È lo stesso dramma emiliano-romagnolo con quella improbabile candidata leghista contrapposta a un diligente funzionario del Pd.

IL DRAMMA DI UNA CITTÀ DIMENTICATA

Tutti questi pensieri però si fermano di fronte al tema che sanguina. Taranto è una città dimenticata, ma è stata una delle più belle e operose città del Paese. Per un lungo tratto è stata più importante di Bari, di Lecce, era una vera Capitale: ha avuto operai, classe media, eccellenze navali militari, addirittura ha due mari e infine ha creato anche un modo di cucinare il pesce che solo ora nel Salento copiano, appropriandosene. Taranto è una città che trova le tracce della sua esistenza talmente lontano nella storia che solo per questo andrebbe rispettata. Taranto ha conosciuto ben prima del fenomeno Salvini e 5 stelle l’irruenza selvatica di un populismo straccione che ha distrutto ogni connessione cittadina. Taranto era la città del movimento operaio pugliese, con i suoi dirigenti duri e spesso schematici ma vere rocce a tutela del popolo. Taranto oggi è nelle mani di un gruppo di incapaci, locali e nazionali, del movimento 5 stelle che vuole fare esperimenti su di lei. Ve lo ripeto: voi non sapete che cos’è Taranto per il Paese come vi siete dimenticati cos’era Genova per il Paese.

DAL SUD E DA TARANTO DEVE PARTIRE LA RISCOSSA

Noi abbiamo il dovere di difendere le nostre città industriali, dobbiamo metterle al centro dell’attenzione nazionale, dobbiamo curare quelle popolazioni come figli preferiti. Ma è dal Sud, da Taranto e da altri territori che deve partire la riscossa. Non bisogna spettarsi niente dal Nord per come è politicamente ora. Non bisogna aspettarsi niente da una classe dirigente indigena che non ha mantenuto un solo impegno. Non possiamo assistere a un voto meridionale che rischia di andare ai nemici del Mezzogiorno o in un non lontano futuro alle liste neo-borboniche. La mia speranza è che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di fare e che dopo Leogrande, sulla strada tracciata da lui, ci siano tanti giovani che prendano la sua bandiera

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ex Ilva: la mossa di ArcelorMittal riapre lo scontro nel governo

L'annuncio dell'addio del gruppo indo-francese scatena un nuovo botta e risposta tra M5s e Pd. Il premier giura di dare battaglia al colosso dell'acciaio.

Una “bomba“, che va a sovrapporsi ad un percorso sulla manovra già accidentato. L’annuncio dell’addio di ArcelorMittal all’ex Ilva aumenta ben sopra il livello di guardia le tensioni interne ad una maggioranza che mai come in questi giorni appare sfilacciata. La lettera della multinazionale dell’acciaio scatena una serie di botta e risposta tra Pd, M5s e Italia viva, che sembrano diretti più alla ricerca del colpevole che a quella di una soluzione.

CONTE PRONTO ALLA BATTAGLIA CON ARCELORMITTAL

E l’allarme arriva a Palazzo Chigi, dove il premier Giuseppe Conte passa al contrattacco, mettendo in campo una duplice strategia: una battaglia senza esclusione di colpi a ArcelorMittal e, parallelamente, la ricerca di una via alternativa per salvare lo stabilimento. «Il problema è che l’azienda vuole andarsene perché perde 2,5 milioni di euro al giorno. Vuole almeno 5 mila esuberi», sbottano fonti del governo vicine al dossier a tarda sera, inquadrando quello che, a loro parere, è il reale pomo della discordia: «ArcelorMittal non ce la fa a mantenere la produzione richiesta e, approfittando di un quadro politico incerto ha preso l’assenza dello scudo penale come alibi per andar via».

L’INCONTRO A PALAZZO CHIGI CON IL COLOSSO INDO-FRANCESE

Un ragionamento che, probabilmente, domani Conte e il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli recapiteranno all’azienda nell’incontro del pomeriggio. Sarà l’inizio di una partita a scacchi che, qualcuno, nel governo, paragona a quella appena (parzialmente) conclusasi con la Whirlpool su Napoli. Da un punto di vista strettamente giuridico il governo potrebbe sventolare ai vertici dell’azienda quell’articolo 51 del codice penale secondo il quale «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità». Di fatto, secondo il governo, l’articolo esclude che ArcelorMittal sia punibile nel momento in cui attua, come da contratto, il piano ambientale previsto fino al 2023. Il tema, si ragiona nella maggioranza, per ArcelorMittal è duplice: da un lato l’azienda non può sostenere il livello occupazionale concordato, dall’altro si pretende la bonifica necessaria di uno dei due forni o i finanziamenti necessari per realizzarla.

L’IPOTESI CASSA DEPOSITI E PRESTITI

Allo stesso tempo, nel governo si cerca già di correre ai ripari. E nelle ore più calde del dossier ex Ilva, oltre al progetto di un decreto su Ilva, torna l’idea di una nazionalizzare. A Palazzo Chigi, nel corso della giornata, sarebbe stato consultato il neo presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini. Un eventuale intervento per sostituire ArcelorMittal dovrebbe tuttavia prevedere una cordata industriale e finanziaria, nella quale la quota di Cdp sia minoritaria e marginale. Al momento si tratta solo di ipotesi. Ma Conte non vuole perdere tempo. Anche perché il caso ex Ilva potrebbe costare consenso al Pd e al M5s. La richiesta di riferire in Aula inoltrata da Italia viva ha sorpreso e non è piaciuta a più di un membro del governo.

SALVINI CERCA DI SFRUTTARE LA CRISI

Mentre, nel M5s, c’è chi punta il dito contro quella fronda, capitanata da Barbara Lezzi, che qualche settimana fa al Senato ha voluto lo stralcio dello scudo penale “a scadenza” sul quale Luigi Di Maio aveva, nei mesi scorsi, siglato una tregua con ArcelorMittal. Il tema, si sfoga una fonte del governo, è che se una cosa del genere accade in Germania la politica si unisce contro l’azienda, non ci si incolpa a vicenda. Già, ma Matteo Salvini, intanto, ha innalzato l’ennesima trincea. E la paura di perdere, a fine gennaio, EmiliaRomagna e Calabria tra i Dem e nel M5s aumenta. Tanto che, nel Movimento, c’è chi guarda allo scenario peggiore non legando il voto in Emilia-Romagna alla tenuta del governo. Anche se una sconfitta del Pd dovesse provocare le dimissioni di Nicola Zingaretti.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il 26 gennaio possibile election day in Calabria e Emilia Romagna

Il presidente Mario Oliverio propone il 26 gennaio come data per il voto. Ma è rebus sulle candidature.

Calabria al voto per eleggere il nuovo presidente e rinnovare il Consiglio regionale in concomitanza con l’Emilia Romagna? É la data di domenica 26 gennaio quella che pare ormai delinearsi – sebbene in materia di candidature e schieramenti la situazione rimanga ancora piuttosto incerta – per le prossime regionali in Calabria. A rompere gli indugi è stato il presidente uscente della Regione, Mario Oliverio, sempre più determinato a riproporre la propria candidatura – malgrado i reiterati “niet” di Roma e del commissario regionale dem Stefano Graziano – contando sul sostegno di circoli, sindaci e amministratori del partito.

LE POLEMICHE SULLA DATA PER SFRUTTARE IL VANTAGGIO

«In questi giorni, tra domani e dopodomani – ha detto Oliverio parlando con i giornalisti a margine della conferenza programmatica della sua coalizione ribattezzata la “Leopolda calabrese” – chiederò un incontro ai presidenti di Corte d’Appello e mi determinerò. Presumo che proporrò la data del 26 gennaio perché ritengo che sia necessario dare il giusto tempo». Oliverio, tra un passaggio e l’altro ai tavoli tematici per la costruzione del programma di governo della coalizione, ha respinto con forza l’accusa di voler modulare la decisione sulla data del voto in base alle proprie convenienze. «Non sono per utilizzare il mio vantaggio – ha aggiunto – come se si trattasse di giocare una partita a scacchi. Qui stiamo parlando della Calabria. Non appartiene alla mia cultura il gioco tattico sulla pelle di un territorio». Se sulla data del ritorno alle urne, dunque, pare aprirsi uno squarcio, la confusione e l’incertezza continuano invece a farla da padrone per quanto riguarda tutto il resto. E non solo per il Pd e per il centrosinistra, ma anche per gli altri possibili schieramenti in campo.

IL VETO DELLA LEGA SUL SINDACO DI COSENZA E L’INCERTEZZA 5s

In ambasce, infatti, è anche il centrodestra, che ancora è alle prese con gli effetti del veto opposto alla candidatura a presidente del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, anche lui da tempo in campagna elettorale, da parte di Matteo Salvini e della Lega. In queste ore, si fanno strada, a questo proposito, altri possibili nomi e tra questi quello del sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo. Niente di deciso, inoltre, nemmeno nel campo dei Cinquestelle, stretti tra la tentazione del disimpegno e il tramonto dell’ipotesi di quel patto con i democrat, sul modello dell’accordo di governo nazionale, le cui quotazioni sono precipitate dopo i risultati dell’Umbria. A giorni è previsto un nuovo vertice romano con Luigi Di Maio.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

1 78 79 80 81