Iran e Libia, perché l’Italia rischia la crisi energetica

Nel 2019 l’Iraq è stato il primo fornitore di petrolio dell’Italia (circa 12 milioni di tonnellate pari al 20% dei..

Nel 2019 l’Iraq è stato il primo fornitore di petrolio dell’Italia (circa 12 milioni di tonnellate pari al 20% dei nostri consumi). Al contrario degli americani che con il fracking, il petrolio dal gas scisto delle rocce, stanno estraendo olio nero negli Usa, gli italiani dipendono quasi totalmente dalle importazioni straniere di greggio. La fragilità dell’Italia negli attacchi tra l’Iran e gli Stati Uniti, e nella contemporanea escalation della guerra in Libia, è prima di tutto nelle conseguenze economiche che una crisi petrolifera come quelle degli Anni 70 avrebbe sul Paese a un passo dalla recessione. Dallo strike degli Usa contro il generale iraniano Qassem Soleimani, le Borse sono in calo e il prezzo del greggio è volato sopra 70 dollari al barile. La pioggia di razzi iraniani in Iraq dell’8 gennaio, in rappresaglia, ha provocato una nuova impennata.

DIPENDENTI USA VIA DAI GIACIMENTI IN IRAQ

Dopo le basi militari, i siti petroliferi degli americani in Iraq – dove c’è anche l’Eni a Zubair, vicino a Bassora – e negli altri Stati del Golfo sono i primi target degli attacchi di Teheran. Un assaggio in questo senso è stato il raid messo a segno nel settembre scorso dagli iraniani agli impianti petroliferi più grandi al mondo, in Arabia Saudita. La regia dell’attacco con droni dall’Iran o dallo Yemen, che bloccò il 6% della produzione petrolifera globale mostrando la vulnerabilità di Raid, fu con ogni probabilità del generale Soleimani, da più di 20 anni a capo delle forze d’élite all’estero (al Quds) dei pasdaran. Dopo il suo omicidio mirato del 3 gennaio, le major americane hanno imbarcato i connazionali impiegati nei campi estrattivi del Sud dell’Iraq e del Kurdistan iracheno su voli verso gli Emirati e il Qatar, ha confermato il ministero del Petrolio di Baghdad.

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Il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo turco President Recep Tayyip Erdogan discutono di Libia, Iran… e petrolio. GETTY.

LA MINACCIA DEL BLOCCO DELLO STRETTO DI HORMUZ

I mercati sono in fibrillazione anche per la minaccia iraniana, mai così concreta, di bloccare alle petroliere lo Stretto di Hormuz, controllato dai pasdaran, nel Golfo persico. Dalla più importante arteria di transito globale del greggio passa un terzo dell’export totale del petrolio via mare (il 29% verso l’Italia), da tutti i Paesi del Golfo esclusi lo Yemen e l’Oman; e anche tutto il gas naturale liquefatto del Qatar. La possibilità di una crisi energetica per l’Italia è aggravata dalla guerra in Libia diventata aperta tra potenze straniere. Forze rivali libiche e rinforzi arrivati dalla Turchia da una parte e da russi, emiratini ed egiziani dall’altra si dirigono verso la battaglia finale di Tripoli. In Libia gli introiti dell’export del greggio, redistribuite dalla Compagnia nazionale del petrolio (Noc) e dalla Banca centrale libica a tutte le fazioni in campo, sono il carburante del conflitto.

L’uscita o un’estromissione del Cane a quattro zampe dalla Libia è assai improbabile. Anche nel caso di una spartizione tra Russia e Turchia.

LO STOP DEL GREGGIO DA IRAN E VENEZUELA

Come in Iraq, i vertici delle compagnie rassicurano che le estrazioni proseguono ai livelli invariati del 2019 «attraverso il personale locale». In Libia, a dicembre la produzione nazionale di greggio era arrivata al massimo (1,25 milioni di barili al giorno) da sette anni. Cioè dalla precedente escalation tra il 2013 e il 2014 che sfociò nella battaglia all’aeroporto di Tripoli. Le turbolenze concomitanti in Nord Africa e in Medio Oriente cadono durante un import-export del greggio già rallentato da mesi per le sanzioni massime di Trump all’Iran e dall’embargo totale al Venezuela, maggiore riserva mondiale di petrolio. Se dal 2018 Eni e le altre compagnie occidentali sono uscite dai contratti di esplorazione e di sfruttamento appena avviati con Teheran, dopo l’accordo sul nucleare, in Libia l’uscita o un’estromissione del Cane a sei zampe è assai improbabile. Anche nel caso di una spartizione tra Russia e Turchia.

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Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’omologo greco Kyriakos Mitsotakis discutono del gasdotto EastMed. GETTY.

L’ACCORDO TURCO-LIBICO PER SPARTIRSI IL MEDITERRANEO

Eni è la prima e storica compagnia straniera a essere entrata ell’ex colonia italiana, negli Anni 50. Un partner strategico consolidato, sopravvissuto nell’Est all’avanzata del generale filorusso Khalifa Haftar e ben impiantato nella Tripoli islamista, sostenuta da anni dalla Turchia e dal Qatar. Con il Noc gestisce il complesso di raffineria di petrolio e gas a Mellitah, terminal del greenstream che porta il gas libico verso l’Italia, i contratti con le società petrolifere durano decenni, e parte del gas di Eni serve le centrali elettriche dei libici. In compenso gli italiani rischiano molto nella corsa alle riserve di gas nel Mediterraneo orientale. Con un colpo di spugna, a novembre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha stretto un accordo bilaterale e arbitrario con la Libia sulla giurisdizione delle acque che spacca in due il mare nostrum, violando il diritto marittimo internazionale.

La disputa sul gas si concentra soprattutto sulle riserve attorno all’isola di Cipro contesa dalla Turchia

TURCHIA CONTRO ITALIANI E FRANCESI A CIPRO

In cambio di armi e rinforzi a terra a Tripoli e Misurata, Erdogan intende accaparrarsi i giacimenti al largo della Grecia e di Cipro, nelle acque dell’Egitto dove l’Eni ha scoperto e sfrutta il grande campo offshore di Zohr, e più a Est in quelle del Leviathan a Sud di Israele. La disputa (anche di altre major straniere) si concentra soprattutto sulle riserve attorno al piccolo Stato dell’Ue conteso dalla Turchia: a ottobre Ankara aveva alzato il livello dello scontro, inviando una nave da trivellazione proprio in un blocco esplorativo affidato da Nicosia a Eni e alla francese Total. Un’entrata a gamba tesa anche nel progetto EastMed – la pipeline concorrente alla russo-turca TurkStream – che passando per Creta dovrebbe portare il gas in Europa. Non a caso, con l’Egitto l’Ue, Italia in testa, ha dichiarato illegittimo l’accordo marittimo turco-libico. Ma mentre l’Ue parla, Erdogan agisce.

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