Perché le tensioni tra Usa e Iran possono rafforzare la Russia

Mosca non vuole l'escalation. E potrebbe ergersi a mediatore tra Washington e Teheran. Sfruttando il ruolo di pivot delle crisi mediorientali conquistato in seguito alla campagna siriana. Un ruolo che questa mossa di Trump contribuisce a rafforzare.

È esattamente il tipo di «azione sconsiderata» che la diplomazia di Mosca temeva da parte di un Donald Trump nervoso per l’impeachment e teso a rafforzare il suo gradimento interno anche con mosse imprevedibili sull’arena internazionale. Ora ci si aspetta una pericolosa escalation. La Russia potrebbe offrire la sua mediazione per frenarla.

«Consideriamo l’uccisione di Qassem Soleimani in seguito al raid missilistico Usa nelle vicinanze di Baghdad come un passo all’insegna dell’avventurismo che porterà a un aumento della tensione in tutta la regione», è stato il primo commento del ministero degli Esteri russo. Secondo il presidente della Commissione esteri del senato Konstantin Kosachev «si è realizzato lo scenario più pessimistico possibile». La conseguenza immediata sarà quella di «nuovi scontri fra gli americani e il radicalismo sciita in Iraq», ha detto Kosachev in un’intervista all’agenzia Ria Novosti. Sottolineando poi su Facebook che gli Usa «hanno bombardato» ogni speranza di un controllo sul programma nucleare iraniano, e che Teheran potrebbe ora andare avanti nella costruzione di armi nucleari «anche se prima non ne aveva l’intenzione».

Uno dei maggiori esperti russi di politica internazionale, Dmitri Trenin prevede un surriscaldamento: «L’uccisione di Soleimani non sarà un deterrente per l’Iran», ha scritto su Twitter. «Molto più probabilmente, intensificherà i conflitti nella regione, a partire dall’Iraq». Trenin nota come, dopo essersi sostanzialmente ritirato dai conflitti mediorientali, Trump ora rischi un coinvolgimento militare diretto in luoghi che per gli Usa hanno «meno significato di quanto lo avesse in passato».

LA COLLABORAZIONE MILITARE TRA IRAN E RUSSIA

Con l’Iran la Russia ha stabilito una stretta collaborazione militare fin dall’inizio del suo intervento in Siria a supporto del regime di Bashar al-Assad. Negli ultimi giorni dello scorso anno, i due paesi hanno effettuato manovre navali congiunte insieme alla Cina nell’Oceano Indiano e nel golfo di Oman. Nella guerra siriana, le truppe di Hezbollah armate e dirette da Teheran e la stessa Guardia Rivoluzionaria di cui fanno parte le forze speciali dell’unità Qods di cui il generale ucciso era al comando hanno combattuto sotto la copertura aerea fornita da Mosca. Soleimani era stato coinvolto in prima persona dagli esperti militari russi nella messa a punto delle operazioni. «È andato a più riprese sul fronte, per assicurare il coordinamento con gli alleati», ha confermato una fonte del ministero della Difesa russo al quotidiano Vedemosti.

È improbabile che si arrivi a una guerra su vasta scala, ma Teheran, oltre ad annullare ogni accordo sul suo programma nucleare, potrebbe per esempio reagire bloccando lo stretto di Hormuz

Fonti diplomatiche sentite dallo stesso giornale definiscono «imprevedibili» le conseguenze dell’uccisione di Soleimani: «È improbabile che si arrivi a una guerra su vasta scala, ma Teheran, oltre ad annullare ogni accordo sul suo programma nucleare, potrebbe per esempio reagire bloccando lo stretto di Hormuz». Nell’azione statunitense «non c’è una logica visibile». Secondo Maxim Shepovalenko, analista del think tank moscovita Cast e coautore del volume Persian Bastion sul potenziale militare dell’Iran,  gli Stati Uniti non possono certo illudersi che l’Iran non sia in grado di sostituire adeguatamente Soleimani, e l’obiettivo del raid è stato probabilmente quello di «dimostrare la forza di Trump sullo sfondo dell’impeachment».

L’ARMA DELLA DIPLOMAZIA

L’attacco americano all’aeroporto di Baghdad «non sposta niente nei rapporti tra la Russia e Teheran», dice a Lettera43 Nikolay Kozhanov, docente all’Istituto del Medio Oriente di Mosca. Nel caso di un conflitto aperto tra Usa e Iran, il Cremlino non potrebbe che appoggiare diplomaticamente e semmai con aiuti militari indiretti il partner persiano. Ma «non ha a disposizione le risorse che sarebbero necessarie per un vero e proprio coinvolgimento bellico». Quindi cercherà di arginare per quanto possibile l’escalation «perché non sarebbe in linea con gli interessi russi». Mosca, pur condannando sonoramente ogni azione di Washington contro Teheran,   potrebbe mediare «offrendo canali di comunicazione» per impedire il peggio, sfruttando il ruolo di pivot delle crisi mediorientali conquistato in seguito alla campagna siriana. Un ruolo che questa mossa di Trump potrebbe paradossalmente contribuire a rafforzare. 

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