La Maturità cambia ancora: come sarà nel 2020

Le buste all'orale saranno abolite. Torna il tema di storia. Le novità.

«Aboliremo le buste. Manterremo i materiali ma le buste saranno eliminate», ha annunciato in anteprima a Skuola.net il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, durante una videochat con il portale per studenti, dicendo di aver appena firmato una circolare che apporterà i nuovi cambiamenti alla maturità 2020. «Non vogliamo che l’esame di Stato sia un motivo di stress», continua Fioramonti, «questo non fa bene a nessuno. Gli studenti devono andare all’esame fieri della propria preparazione. Non vogliamo trabocchetti».

REINTRODOTTO IL TEMA STORICO

«Verrà reintrodotto il tema storico nella prima prova scritta dell’esame di Maturità», ha confermato il ministro dell’Istruzione. «Ho voluto ascoltare la voce dei docenti», ha sottolineato il ministro, precisando che il tema di storia «sarà nella seconda tipologia di tracce, obbligatoriamente come una delle opzioni».

GLI STUDENTI CONOSCERANNO PRIMA GLI ARGOMENTI

«La commissione manterrà una serie di materiali che serviranno a far partire l’esame. Ma, anziché sorteggiarlo come in una lotteria si sapranno prima quali saranno gli argomenti scelti. Che verranno proposti agli studenti per far iniziare l’orale. Quei materiali saranno a disposizione degli studenti prima dell’inizio dei colloqui», ha detto il ministro. Sopprimendo le buste, viene meno un «elemento di ulteriore nervosismo che veniva creato attorno a questa lotteria».

«NON CI SARANNO ALTRI CAMBIAMENTI»

«Non ci saranno altri cambiamenti alla maturità», ha poi assicurato, spiegando che «il decreto ufficiale con le materie e quant’altro uscirà come sempre a inizio anno». «La mia idea di scuola è quella di non cambiare ma di mantenere. Ho voluto mantenere l’impianto generale dell’esame. Evitiamo che ogni ministro che si siede al Ministero cambi qualcosa».

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Come potrebbero cambiare i dl sicurezza col nuovo governo

A breve la ministra Lamorgese presenterà in Cdm le modifiche ai pacchetti voluti di Salvini. Sul tavolo ritocchi alle maxi multe per le ong e alle disposizioni in materia di oltraggio a pubblico ufficiale. I dettagli.

È uno dei temi divisivi del governo M5s-Pd. Per il momento è stato accantonato dando priorità alla manovra ed alle altre urgenze. Ma entro la fine dell’anno un nuovo decreto cambierà i dl sicurezza voluti dall’ex ministro Matteo Salvini e diventati legge.

«È già pronto», ha annunciato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, «uno schema di provvedimento, ne devo parlare in Consiglio dei ministri. Posso già dire che nel testo saranno inserite modifiche connesse alle osservazioni pervenute dal presidente della Repubblica». Illustrando le sue linee programmatiche in commissione Affari costituzionali della Camera, Lamorgese non si è sbottonata sui contenuti del provvedimento.

Ma ha fatto sapere di aver messo al lavoro gli uffici legislativi del Viminale, che hanno già prodotto un primo testo di decreto. Naturalmente, prima di essere portato in Consiglio dei ministri, dovrà essere condiviso dagli alleati di governo e dal premier Giuseppe Conte. E qui la ministra dovrà fare ricorso alle capacità di mediazione sviluppate nella sua carriera da prefetto per trovare una formulazione che stia bene al Pd, che chiede un segnale netto di discontinuità rispetto al precedente Governo ed ai Cinquestelle e Conte, che invece sono per mantenere comunque una linea di rigore sull’immigrazione.

LE MODIFICHE AL PRIMO DL

La stella polare della ministra nell’opera di revisione dei due dl è rappresentata dalle osservazioni vergate da Mattarella al momento di firmare i provvedimenti. Quello è il perimetro entro cui si muoverà il nuovo testo. Col primo decreto Salvini ha sostanzialmente cancellato la protezione umanitaria ed il capo dello Stato ha tenuto a sottolineare che, in materia, «restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia». Proprio la formula «restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato», a quanto si apprende, sarà inserita nel nuovo decreto. Ad indicare una gerarchia delle leggi cui anche questa norma deve sottostare.

INTERNVENTI SULLE MAXI MULTE ALLE ONG

Più articolate e circostanziate le critiche di Mattarella al secondo dl sicurezza, quello che conteneva la stretta contro le navi ong che fanno soccorso nel Mediterraneo. La revisione messa a punto dai tecnici del Viminale interviene così in particolare sulla maxi-multa da un milione di euro alla nave che viola il divieto di ingresso nelle acque italiane e sulla confisca della stessa, non subordinata alla reiterazione della condotta. Nella nuova formulazione la sanzione torna quella compresa tra 10mila e 50mila euro prima dell’emendamento che ne ha innalzato l’importo e la confisca può scattare solo se la violazione viene reiterata. In ossequio al principio della necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti. Per l’applicazione delle multe, inoltre, si farà distinzione tra le diverse tipologie di natanti.

IL CASO DELLA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

L’altra modifica riguarda l’articolo che ha tolto la causa di non punibilità per la «particolare tenuità del fatto» alle ipotesi di resistenza, oltraggio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Col nuovo testo sarà ripristinata la discrezionalità del magistrato in merito alla valutazione se il fatto è tenue o meno. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri il decreto sarà all’esame del parlamento per l’ok definitivo entro due mesi. La Lega ha già annunciato battaglia: «Lamorgese non si preoccupa di trovare i fondi per le Forze dell’Ordine ma annuncia di modificare i Decreti Salvini che così diventeranno Decreti insicurezza, filo-ong e contro le donne e gli uomini in divisa. Siamo pronti alle barricate, in Aula e nelle piazze», hanno fanno sapere Stefano Candiani e Nicola Molteni.

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Governo, pronta la squadra che si occuperà delle nomine

Il team, composto dai dem Franceschini e Marcucci, i pentastellati Fraccaro e Buffagni, i renziani Boschi e Marattin, nella prima riunione avrebbe già deciso di non riconfermare Marcegaglia all'Eni. Ma il tavolo dovrà fare i conti anche con LeU. E con il convitato di pietra D'Alema.

Sei, più un convitato di pietra e il presidente del Consiglio. È questa la squadra che, se il governo Conte bis tiene al giro parlamentare della legge di Bilancio e all’esito del voto di fine gennaio in Emilia-Romagna, si occuperà di fare le nomine nelle società a partecipazione statale. Il tavolo è formato da due esponenti del Pd, il ministro Dario Franceschini e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci; da altrettanti dei 5 stelle, peraltro tra loro distanti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Riccardo Fraccaro e il parlamentare semplice ma con delega alle questioni di potere da parte di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, Stefano Buffagni; e per Italia viva da Maria Elena Boschi e Luigi Marattin, fedelissimi di Matteo Renzi

D’ALEMA CONVITATO DI PIETRA

Questi sei hanno già fatto una prima riunione, che si sono giurati sarebbe rimasta segreta, nella quale hanno cercato di darsi un metodo di lavoro e hanno iniziato a ragionare su scenari e nomi. Un primo approccio, è ovvio, ma nel quale qualche situazione in negativo si è già delineata, tipo la non riconferma di Emma Marcegaglia alla presidenza dell’Eni. Ma il tavolo dei sei dovrà fare i conti anche con un’altra forza di maggioranza, la sinistra di LeU, e segnatamente con Massimo D’Alema che, in proprio e per conto del partito da lui creato con Pier Luigi Bersani, è già attivamente al lavoro sui dossier più scottanti. È lui il convitato di pietra, con cui prima o poi i sei dovranno fare i conti. Così come dovranno confrontarsi anche con Giuseppe Conte, che ha mandato segnali inequivocabili circa l’intenzione di dire la sua.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Governo, pronta la squadra che si occuperà delle nomine

Il team, composto dai dem Franceschini e Marcucci, i pentastellati Fraccaro e Buffagni, i renziani Boschi e Marattin, nella prima riunione avrebbe già deciso di non riconfermare Marcegaglia all'Eni. Ma il tavolo dovrà fare i conti anche con LeU. E con il convitato di pietra D'Alema.

Sei, più un convitato di pietra e il presidente del Consiglio. È questa la squadra che, se il governo Conte bis tiene al giro parlamentare della legge di Bilancio e all’esito del voto di fine gennaio in Emilia-Romagna, si occuperà di fare le nomine nelle società a partecipazione statale. Il tavolo è formato da due esponenti del Pd, il ministro Dario Franceschini e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci; da altrettanti dei 5 stelle, peraltro tra loro distanti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Riccardo Fraccaro e il parlamentare semplice ma con delega alle questioni di potere da parte di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, Stefano Buffagni; e per Italia viva da Maria Elena Boschi e Luigi Marattin, fedelissimi di Matteo Renzi

D’ALEMA CONVITATO DI PIETRA

Questi sei hanno già fatto una prima riunione, che si sono giurati sarebbe rimasta segreta, nella quale hanno cercato di darsi un metodo di lavoro e hanno iniziato a ragionare su scenari e nomi. Un primo approccio, è ovvio, ma nel quale qualche situazione in negativo si è già delineata, tipo la non riconferma di Emma Marcegaglia alla presidenza dell’Eni. Ma il tavolo dei sei dovrà fare i conti anche con un’altra forza di maggioranza, la sinistra di LeU, e segnatamente con Massimo D’Alema che, in proprio e per conto del partito da lui creato con Pier Luigi Bersani, è già attivamente al lavoro sui dossier più scottanti. È lui il convitato di pietra, con cui prima o poi i sei dovranno fare i conti. Così come dovranno confrontarsi anche con Giuseppe Conte, che ha mandato segnali inequivocabili circa l’intenzione di dire la sua.

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Di Maio: «La riforma del Mes stritola l’Italia». Ma difende Conte

Il capo politico del M5s dice che il vertice dei deputati grillini non era contro di lui. E sul premier: «Non ha firmato nulla».

Cerca di rassicurare Luigi Di Maio, chiamato in causa nella polemica sul Mes, il meccanismo europeo di stabilità direttamente dai suoi parlamentari. Il premier «non ha firmato nulla», e il vertice che i parlamentari M5s chiedono non è contro di lui, ma è giusto fare il punto. Luigi Di Maio interviene con un’ intervista in apertura del Corriere sulla vicenda del meccanismo di stabilizzazione finanziaria europea: «una riforma del Mes che stritola l’Italia non è fattibile». E dopo le parole del leader dem Zingaretti che sollecitava a ‘trovare un’anima’, dice di vedere un clima positivo, ma invita a non rovinarlo con slogan per l’elettorato. Dopo la manovra, spiega, nel 2020 avanti su salario minimo, conflitto di interessi e riforma della sanità.

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Di Maio: «La riforma del Mes stritola l’Italia». Ma difende Conte

Il capo politico del M5s dice che il vertice dei deputati grillini non era contro di lui. E sul premier: «Non ha firmato nulla».

Cerca di rassicurare Luigi Di Maio, chiamato in causa nella polemica sul Mes, il meccanismo europeo di stabilità direttamente dai suoi parlamentari. Il premier «non ha firmato nulla», e il vertice che i parlamentari M5s chiedono non è contro di lui, ma è giusto fare il punto. Luigi Di Maio interviene con un’ intervista in apertura del Corriere sulla vicenda del meccanismo di stabilizzazione finanziaria europea: «una riforma del Mes che stritola l’Italia non è fattibile». E dopo le parole del leader dem Zingaretti che sollecitava a ‘trovare un’anima’, dice di vedere un clima positivo, ma invita a non rovinarlo con slogan per l’elettorato. Dopo la manovra, spiega, nel 2020 avanti su salario minimo, conflitto di interessi e riforma della sanità.

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Dal vertice di maggioranza via libera alla riforma del processo civile

Il ministro della Giustizia Bonafede: «A giorni anche il penale, due proposte sul tavolo». Ma sulla prescrizione è ancora fumata nera.

La riforma del processo civile su cui è arrivato il via libera dei partiti di maggioranza «è una riforma importantissima che chiedono i cittadini e le imprese e che è fondamentale che per gli investimenti». Così il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che ricorda: «È una riforma che dimezza di tempi del processo». Bonafede si è inoltre augurato che «nei prossimi giorni» possa essere varata anche la riforma del penale.

LE DUE PROPOSTE DI BONAFEDE

Il Guardasigilli ha portato al tavolo della maggioranza due proposte di riforma per quanto riguarda il processo penale. La prima, ha spiegato il ministro, prevede «la possibilità per chi è assolto in primo grado di fare richiesta per avere una corsia preferenziale» per accedere in appello. La seconda prevede una forma di agevolazione dell’indennizzo, già previsto dalla legge, nel caso di sforamento dei termini previsti dalla riforma.

FUMATA NERA SULLA PRESCRIZIONE

«Si continua ad approfondire la parte sul penale, sull’elezione del Csm e sulla riforma ordinamentale», ha detto al termine del vertice di maggioranza il senatore di Leu Pietro Gasso che annuncia: «Sul penale andiamo in Consiglio dei Ministri». Sulla prescrizione, infine, dice: «Non siamo né vicini né lontani».

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Mes, Salvini chiede a Conte di riferire e il M5s richiama Di Maio

I deputati pentastellati domandano al capo politico un vertice di maggioranza. E la Lega va all'attacco del governo: «Le precisazioni di Palazzo Chigi sono ancora più preoccupanti».

Prosegue la polemica sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il tassello della riforma dell’Eurozona voluto soprattutto dai Paesi del Nord e che prevede una ristrutturazione per i debiti pubblici troppo elevati. Il 19 novembre sono stati i deputati della commissione finanze del Movimento 5 stelle a prendere posizione, richiamando all’ordine il loro capo politico Luigi Di Maio, promosso intanto ministro degli Esteri.

Italian Foreign Minister Luigi Di Maio delivers brief remarks to members of the news media after the Meeting of Small Group of the Global Coalition to Defeat ISIS (ISIL), at the State Department in Washington, DC, USA, 14 November 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

«Il parlamento aveva dato un preciso mandato al presidente del Consiglio. La discussione sul Mes deve essere trasparente, il parlamento non può essere tenuto all’oscuro dei progressi nella trattativa e non è accettabile alcuna riforma peggiorativa. Oggi è chiaro, invece, che la riforma del Mes sta andando proprio nella direzione che il parlamento voleva scongiurare. Chiediamo al capo politico di far convocare un vertice di maggioranza, perché sul Mes noi non siamo d’accordo», hanno affermato in una nota i deputati M5s della commissione Finanze.

SALVINI: «CONTE RIFERISCA IN PARLAMENTO»

E su Facebook ha preso la palla al balzo il leader dell’opposizione Matteo Salvini: «Conte subito in parlamento a dire la verità, il Sì alla modifica del Mes sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale». Poco prima il presidente della Commissione bilancio della Camera, il leghista Claudio Borghi, aveva commentato le precisazioni del governo sulla riforma. Palazzo Chigi ha infatti spiegato che il pacchetto sarà votato a dicembre e che il parlamento ha diritto di veto. «Le precisazioni di Palazzo Chigi sul Mes non hanno chiarito un bel nulla. Anzi, hanno aumentato la preoccupazione. Come si fa a dire che il parlamento potrà esprimersi “in sede di ratifica”? Il testo è ormai pubblico e l’Italia doveva e deve opporsi prima, in sede di Eurogruppo e Consiglio. Perché non l’ha fatto a fronte di un testo che comporta “rischi enormi” (parole del governatore di Bankitalia)?», ha detto Borghi.

L’ACCUSA DI BORGHI: «SCUDO PER IL MES E NOI NON COINVOLTI»

«Conte», ha proseguiuto Borghi, «ha spiegato al M5s che questo trattato – al quale lui, contrariamente al mandato, non si è opposto – include l’immunità totale da qualsiasi forma di processo giudiziario (articoli 32 e 35)? Il governo toglie l’immunità all’Ilva per darla al Mes? Perché poi Palazzo Chigi afferma che la riforma è stata discussa con i “presidenti di commissione competenti”, quando invece il sottoscritto – essendo il presidente di commissione competente per la Camera – a giugno non ha avuto il piacere di incontrare in proposito il presidente del Consiglio? Non sono permaloso. Basta che il presidente Conte dica chiaro e tondo che l’Italia non approverà mai la riforma del Mes per fugare qualsiasi dubbio. Attendiamo con fiducia queste semplici parole», ha concluso.

IL 27 NOVEMBRE GIÀ IN CALENDARIO L’AUDIZIONE DI GUALTIERI

Fonti del ministero dell’Economia hanno spiegato che «il ministro Roberto Gualtieri ha inviato il 7 novembre al presidente della Commissione Finanze Alberto Bagnai la richiesta di essere audito in merito alla riforma del Mes, della quale è stata programmata la firma in dicembre sulla base dell’intesa raggiunta dal Consiglio europeo nello mese di giugno. L’audizione è stata calendarizzata per il 27 novembre».

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Dalla plastic tax all’Imu: raffica di emendamenti alla manovra

Sono oltre 400 le proposte di modifica presentate dal M5s. Che rilancia la battaglia sul pagamento dell'imposta da parte della Chiesa.

Escludere dalla nuova plastic tax i prodotti monouso in plastica biodegradabile o quelli che contengono almeno il 25% o il 50% di plastica riciclata. E far pagare alla Chiesa l’Imu, arretrati inclusi. Sono alcuni degli emendamenti del Movimento 5 stelle alla manovra, parte di un pacchetto di oltre 400 proposte di modifica pronte a essere depositate in commissione Bilancio al Senato.

DETRAZIONI PER CHI INSTALLA I FILTRI PER L’ACQUA

Si chiede anche di esentare tutti i dispositivi sanitari monouso, non solo le siringhe, e di ridurre al 5% l’imposizione sulla cancelleria di plastica (come le penne). E ancora: vuoto a rendere non solo per il vetro ma anche per i contenitori di plastica per acqua e bibite, saponi, detersivi, shampoo, e pure per le lattine. Tra gli emendamenti anche una detrazione fino a 1.000 euro per chi installa a casa i filtri per l’acqua (e 5 mila per chi li mette in bar e ristoranti), un ecobonus per alberghi e strutture ricettive ‘eco-sostenibili’ e un programma ‘Mangiaplastica’ con incentivi ai Comuni che installano ecocompattatori. Quanto all’emendamento sull’Imu, la richiesta è che la Chiesa la paghi sui suoi immobili adibiti a bar, ristoranti, alberghi e anche sugli ospedali. Nella proposta di modifica sono compresi gli arretrati tra il 2006 e il 2012.

MISIANI (PD): «RIPENSEREMO PROFONDAMENTE ALCUNE MISURE»

«In parlamento lavoreremo per migliorare una serie di norme del decreto fiscale e del disegno di legge di bilancio, dialogando con i gruppi parlamentari e le forze economiche e sociali», ha detto da parte sua Antonio Misiani, viceministro Pd all’economia. «Ripenseremo profondamente alcune misure come quelle sulla tassazione delle auto aziendali e la plastica monouso». «Cercheremo di aiutare gli enti locali, che beneficeranno di stanziamenti senza precedenti per gli investimenti ma continuano a soffrire difficoltà per la parte corrente dei loro bilanci», ha aggiunto Misiani.

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Di Maio tra taglio delle tasse e sintonia col Pd

Rimandare lo ius soli e tagliare le tasse. Sono le due “priorità” di Luigi Di Maio in vista dei prossimi..

Rimandare lo ius soli e tagliare le tasse. Sono le due “priorità” di Luigi Di Maio in vista dei prossimi lavori del governo. Il ministro degli Esteri, ospite di Rtl, ha parlato a tutto tondo delle prossime mosse del governo e dei rapporti non semplici con il Partito democratico.

SINTONIA CON CONTE SUL TAGLIO DELLE TASSE

Per quanto riguarda la partita della manovra, che sta affrontando il passaggio parlamentare, il leader grillino si è limitato a dire di sostenere le posizioni del premier Conte sulla pressione fiscale: «Sento di poter accogliere l’appello del presidente consiglio, che ha detto: dobbiamo fare di più sull’abbassamento tasse, è un obiettivo ambizioso però io ci sto», ha spiegato Di Maio. «Dobbiamo ridurre le tasse aumentando il taglio degli sprechi, oggi pomeriggio ho una riunione con i ministri del movimento, abbiamo delle idee da mettere sul tavolo».

«BENE IL LAVORO IL PD, MA RIMANDIAMO LO IUS SOLI»

Per quanto riguarda il rapporto coi dem il titolare della Farnesina ha spiegato che «stiamo lavorando bene sui punti concreti come la legge di bilancio, abbiamo mantenuto la promessa di non aumentare l’iva, tolto il superticket, aumentiamo un pochino il netto in busta paga. Quando si tratta di affrontare temi concreti il governo provvede e anche i gruppi parlamentari stanno lavorando bene». Dove però manca l’intesa è lo ius soli: «Chiaro che abbiamo l’Italia sott’acqua, a causa del dissesto idrogeologico, il problema dei cambiamenti climatici e la corruzione, un’emergenza come la questione Ilva…in questo momento se sento che rilanciano temi» come lo ius soli «credo di avere il diritto di essere sconcertato perché la priorità è l’emergenza dei lavoratori che rischiano di perdere posto. Lo Ius soli non è neanche nel programma di governo», ha tagliato corto.

«MAI PIÙ UN CONTRATTO CON LA LEGA»

Di Maio ha poi chiarito quanto conti un “contratto di governo“: «è più efficace, anche con il Pd siamo forze che hanno storie diverse, il contratto ti permette di scrivere cosa fare e cosa no», in particolare rispondendo ad una domanda sulla formula del contratto di governo stilato con il leader della Lega Matteo Salvini. Con il quale però Di Maio ha assicurato di aver chiuso l’esperienza politica: «Nella vita come in politica io mi fido fino a prova contraria: l’8 agosto è arrivata la prova di slealtà nei confronti del paese, la prova è arrivata e con me ha chiuso».

INACCETTABILE CHE TRENTA MANTENGA LA CASA

Di Maio ha affrontato anche un’altra grana, tutta interna al M5s, quella della casa dell’ex minitra Elisabetta Trenta: «Questa cosa dal mio punto di vista non è accettabile, ha smesso di fare la ministra due mesi fa, ha avuto il tempo per lasciare la casa, è bene che ora la lasci e se il marito in quanto militare ha diritto ad un alloggio può fare domanda e lo otterrà. Questa cosa fa arrabbiare i cittadini e anche noi perché siamo quelli che si tagliano gli stipendi».

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La polemica su Di Maio e gli stipendi degli otto fedelissimi alla Farnesina

Secondo un'inchiesta del Giornale, il leader M5s avrebbe portato con sé agli Esteri un gruppo di affezionati: «Un cerchio magico da 700 mila euro».

Luigi Di Maio, il ministro dei viaggi in economy, è finito al centro di una polemica sugli stipendi al Ministero degli Esteri. Secondo un’inchiesta del Giornale, il leader del M5s avrebbe fatto assumere alla Farnesina otto fedelissimi con stipendi variabili, alcuni dei quali decisamente alti. Si tratta – scrive il quotidiano – di otto persone equiparate a dirigenti e funzionari, fatti assumere agli Esteri a partire dal 6 settembre scorso con scadenza fissata al “termine del mandato governativo”.

I collaboratori sono:

Augusto Rubei, inquadrato come “consigliere del ministro per gli aspetti legati alla comunicazione”, stipendio lordo di 140 mila euro l’anno;

Pietro Dettori, “consigliere del ministro per la cura delle relazioni con le forze politiche inerenti le attività istituzionali”, stipendio 120 mila euro;

Cristina Belotti, “capo segretaria e segretario particolare del ministro”, 120 mila euro;

Sara Mangieri, “consigliere per i rapporti con la stampa”, 90 mila euro;

Daniele Caporale, “consigliere del ministro per le comunicazioni digitali”, 80 mila euro;

Carmine America, “esperto in questioni internazionali di sicurezza e difesa”, 80 mila euro;

Giuseppe Marici, “consigliere per le informazioni diffuse attraverso i media”, 70 mila euro;

Alessio Festa, “consigliere per le relazioni istituzionali”, 11.580 euro.

Il totale dei compensi lordi è di 711 mila euro. «Finché Di Maio resta ministro, restano lì pure loro», scrive il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, «non è solo la quantità di fedelissimi imposti da Di Maio ma anche l’entità dei loro compensi a creare fastidio alla Farnesina, dove una gola profonda ci racconta che “all’ufficio del personale sono inorriditi, dicono di non avere mai visto prima degli stipendi così alti, forse l’ultimo che aveva fatto qualcosa del genere era stato De Michelis (ministro Psi, ndr) ma erano altri tempi e comunque non queste cifre”».

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Il governo costretto a prendere tempo sull’Ilva

ArcelorMittal non mostra segnali d'apertura. Conte rinvia al 18 novembre il Consiglio dei ministri. Il M5s conferma il no allo scudo penale. E i commissari non hanno ancora depositato il ricorso contro la ritirata della multinazionale. Intanto i primi 50 operai dell'indotto sono rimasti senza paga.

La soluzione della crisi dell’Ilva passa per ArcelorMittal, che rappresenta il piano «a, b, c e d».

O almeno, questa rimane la posizione ufficiale del governo.

Anche se l’azienda, per ora, non mostra alcun segnale di apertura e si prepara a dire addio a Taranto e agli altri stabilimenti italiani.

LEGGI ANCHE: Chi è Lakshmi Mittal, il Paperone indiano che vuole lasciare l’Ilva

Per l’esecutivo, tuttavia, gli estremi per il recesso dal contratto d’affitto con obbligo d’affitto non ci sono. A decidere saranno i giudici: la prima udienza al Tribunale di Milano è fissata per il 6 maggio. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha ribadito in conferenza stampa che la multinazionale «deve mantenere gli impegni presi» e «deve tornare a sedersi al tavolo». Anche passando per il potere giudiziario, se necessario, visto che i commissari straordinari dell’Ilva entro venerdì 15 novembre intendono depositare un ricorso d’urgenza con cui provare a fermare la ritirata di ArcelorMittal.

A TARANTO I PRIMI OPERAI DELL’INDOTTO SENZA PAGA

La situazione a Taranto, intanto, peggiora di ora in ora: in città si registra la prima cinquantina di operai dell’indotto rimasti senza paga. E otto consigli di fabbrica, riuniti a Genova, invocano uno sciopero europeo per la crisi della siderurgia. Nella maggioranza la tensione è altissima: gli emendamenti presentati da Italia viva al decreto fiscale per reintrodurre lo scudo penale sono stati giudicati inammissibili dalla presidente della commissione Finanze, la pentastellata Carla Ruocco. E nel M5s i senatori – soprattutto quelli pugliesi, a partire da Barbara Lezzi – non mollano.

IL MANDATO DI PATUANELLI E IL NO DI CINQUE SENATORI M5S

Tanto che Patuanelli, dopo la riunione fiume a Palazzo Madama, è costretto a presentarsi anche dai deputati per spuntare almeno quella che lui stesso definisce una «disponibilità a discuterne», se nel corso della trattativa o del processo dovesse riemergere la necessità dell’immunità. Cinque senatori, in ogni caso, hanno votato contro il documento proposto dal ministro dello Sviluppo, negandogli il mandato a tracciare la linea sull’Ilva. Patuanelli ha proposto di slegare il dossier dalla tenuta del governo, escludendo voti di fiducia. E ha tratteggiato un piano di medio periodo che punti alla decarbonizzazione dell’acciaieria, valutanto anche l’ipotesi di una legge speciale per Taranto per accelerare gli interventi sul territorio.

RINVIATO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Di sicuro la trattativa con ArcelorMittal per il momento non esiste. Si aspetta, probabilmente, l’esito del ricorso, non ancora depositato. E il premier Giuseppe Conte è costretto a prendere tempo, rinviando a lunedì 18 novembre il Consiglio dei ministri chiamato a mettere in fila le proposte per il cosiddetto Cantiere Taranto, cioè gli interventi a più ampio raggio per il rilancio della città, al di là delle vicende legate alla fabbrica.

IL NODO DEGLI ESUBERI

Il governo punta a ridurre al minimo, se non ad azzerare, la richiesta di 5 mila esuberi avanzata dall’azienda per rimanere in Italia. Duemila potrebbero essere gestibili attraverso la cassa integrazione, ma andrebbe riscritto il piano industriale di dieci mesi fa che, come sottolineato più volte da Patuanelli, «non è stato rispettato». L’esecutivo potrebbe mettere sul piatto anche un ingresso di Cassa depositi e prestiti, con l’8-10%, a puntellare l’operazione.

LA STRADA DELLA NAZIONALIZZAZIONE TEMPORANEA

Sempre Cdp potrebbe essere, d’altra parte, il perno attorno a cui ricreare una nuova cordata di privati. Per il subentro potrebbe rendersi necessario prima un passaggio dell’Ilva alla gestione commissariale, poi una nuova gara. Ma la legge Marzano potrebbe consentirebbe di saltare questo passaggio. Resta infine la strada della nazionalizzazione ‘a tempo’, coinvolgendo controllate di Cdp per superare i vincoli di statuto della Cassa: un’operazione che l’Unione europea potrebbe consentire, visto che gli aiuti di Stato interverrebbero in un’area economicamente “depressa”.

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Lo scudo penale per ArcelorMittal accende lo scontro nel governo

Di Maio avverte Renzi e il Pd sul dossier Ilva: «Un emendamento per reintrodurre l'immunità sarebbe un problema enorme per la maggioranza». E l'azienda «deve restare». Pentastellati pugliesi contro il premier Conte. Ma l'acciaieria va verso la chiusura.

Un emendamento di Italia viva o del Pd per reintrodurre lo scudo penale a favore di ArcelorMittal «sarebbe un problema enorme per la maggioranza». Luigi Di Maio interviene a gamba tesa nel delicatissimo dossier Ilva, mentre l’azienda va dritta per la sua strada e deposita in Tribunale l’atto con cui chiede il recesso del contratto. Il leader del M5s, durante la trasmissione televisiva Fuori dal coro condotta da Mario Giordano su Rete4, ha lanciato un esplicito avvertimento a Matteo Renzi: «Se cominciamo con gli sgambetti, Italia viva è quella che ha più da perdere».

Lo scudo penale, ancor di più se generalizzato, «piacerebbe a tanti imprenditori». Ma secondo Di Maio il messaggio che deve passare è che «se provochi un disastro ambientale devi pagare». Un ragionamento che però è difficilmente applicabile alla multinazionale guidata in Italia da Lucia Morselli, visto che ArcelorMittal ha iniziato a gestire l’impianto di Taranto nel 2018. Ma Di Maio dice no anche all’ipotesi di una nazionalizzazione. Il motivo? «Sarebbe dare un alibi agli indiani, sarebbe dire che possono andarsene. Invece devono restare qui. Andremo contro di loro in giudizio».

La posizione di Di Maio sullo scudo penale, in ogni caso, mette in imbarazzo anche il premier Giuseppe Conte. Il capo del governo ha riunito a Palazzo Chigi i parlamentari pugliesi del M5s alla presenza dello stesso Di Maio, del ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli e di quello per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà. Obiettivo: tastare il terreno sulla possibilità di reintrodurre l’immunità con una norma generale, non solo per Taranto. Secondo indiscrezioni si sarebbe trovato davanti a un muro, eretto soprattutto dalla senatrice Barbara Lezzi, autrice della norma che ha abolito lo scudo. Questa ricostruzione è stata smentita dai capigruppo pentastellati, che hanno parlato di «dialogo costruttivo». Ma è difficile credere alle loro parole, dopo quelle pronunciate in tivù dal capo politico in persona.

La tensione è altissima e il ministro Patuanelli sta incontrando i senatori del M5s a Palazzo Madama. Sul tavolo ci sarebbe una sorta di scudo temporaneo, da collegare a un progetto di decarbonizzazione degli impianti. E in serata il tema sarà discusso dall’assemblea di tutti i parlamentari pentastellati.

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Lo scontro tra Gualtieri e il Forum delle famiglie sugli asili gratis

Il ministro dell'Economia annuncia i fondi per il bonus asili nido. Gratis già da gennaio. Ma l'associazione lo attacca: «Non c'è assegno per figlio unico, sa di presa in giro».

Il ministro all’Economia Roberto Gualtieri si è rallegrato dando l’annuncio in audizione di fronte alla Camera dei deputati: il rafforzamento del bonus per gli asili nido consentirà «la sostanziale gratuità degli asili nido per la grande maggioranza delle famiglie italiane». E ha aggiunto che la misura scatterà «già dal primo gennaio». Non aveva previsto la doccia fredda arrivata dal Forum delle famiglie che ha sostanzialmente bocciato la manovra finanziaria.

Il piccolo asilo nido del reparto di oncoematologia dell?ospedale pediatrico Giannina Gaslini, che stamani e’ stato inaugurato. Genova, 30 settembre 2019. ANSA/LUCA ZENNARO

«NON C’È ASSEGNO PER FIGLIO UNICO, SA DI PRESA IN GIRO»

«Non comprendiamo il motivo per cui il ministro Gualtieri si esalti mostrando i 2,8 miliardi di euro in tre anni per le famiglie. Cifre che, in concreto, non avranno peso né consistenza nella vita quotidiana delle famiglie», ha commentato l’organizzazione, attaccando la legge di bilancio: «grigia e senza coraggio com’è ora, questa manovra non cambierà la vita a nessuno, tantomeno alle famiglie con figli». Le risorse, ha aggiunto il Forum delle famiglie «certamente non sono adeguate a realizzare l’assegno unico per figlio. Come fa a vantarsene? Sa molto di presa in giro».

«PER FAR RIPARTIRE NATALITÀ SERVE VOLONTÀ POLITICA»

«Leggiamo», ha detto il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, «cifre e concetti preoccupanti, che denotano purtroppo come per il Governo la difficoltà nel trovare i fondi per far ripartire la natalità e restituire concretamente la fiducia alle famiglie con figli del nostro Paese non sia una questione di tempo, ma di volontà politica». Le risorse, per il Forum «ci sono: i 3 miliardi del bonus ‘Epifania’ per chi compra con carta o bancomat, i 2 miliardi avanzati da quota 100 e reddito di cittadinanza. Mettiamole nelle tasche di quei nuclei familiari che ogni mese si spezzano la schiena per far crescere il futuro professionale, previdenziale, fiscale, sociale ed economico del Paese. Tra pochi giorni, quando l’Istat pubblicherà i nuovi dati sul tasso di natalità leggeremo un nuovo record negativo, peggiore rispetto a quello già drammatico fatto registrare l’anno scorso».

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Conte ha chiesto ai suoi ministri di portare nuove idee per Taranto

Il premier ha scritto una lettera indirizzata ai vari dicasteri invitandoli a presentare progetti per la città. Attacchi da Forza Italia: «Supplica imbarazzante».

Non solo l’ex Ilva, Taranto versa in «una più generale situazione emergenziale», di fronte a cui «reputo necessario aprire un ‘Cantiere Taranto‘, all’interno del quale definire un piano strategico, che offra ristoro alla comunità ferita e che, per il rilancio del territorio, ponga in essere tutti gli strumenti utili per attrarre investimenti, favorire l’occupazione e avviare la riconversione ambientale». È quanto scrive il premier Giuseppe Conte in una lettera ai ministri, il cui testo è riportato da Repubblica. «Il rilancio dell’intera area necessita di un approccio globale e di lungo periodo. La politica deve assumersi la responsabilità di misurarsi con una sfida complessa, che coinvolge valori primari di rango costituzionale, quali il lavoro, la salute e l’ambiente, tutti meritevoli della massima tutela, senza che la difesa dell’uno possa sacrificare gli altri», evidenzia Conte, che chiama i ministri a presentare subito proposte.

«TI INVITO A PRESENTARE NUOVE PROPOSTE»

«In vista del prossimo Consiglio dei ministri di giovedì 14 novembre, ti invito, nell’ambito delle competenze del tuo dicastero, ad elaborare e, ove fossi nella condizione, a presentare proposte, progetti, soluzioni normative o misure specifiche, sui quali avviare, in quella sede, un primo scambio di idee», scrive il premier. La discussione – spiega – proseguirà poi «all’interno della cabina di regia che ho intenzione di istituire con l’obiettivo di pervenire, con urgenza, a soluzioni eque e sostenibili». Conte aggiunge che già il ministro della Difesa Lorenzo Guerini «ha comunicato l’intenzione di promuovere un intervento organico per il rilancio dell’Arsenale», e il ministro per l’Innovazione Paola Pisano «ha rappresentato la volontà di realizzare un progetto di ampio respiro, affinché Taranto possa diventare la prima città italiana interamente digitalizzata».

GLI ATTACCHI DI FORZA ITALIA

«Questo è sempre più un governo di #DilettantiAlloSbaraglio. La lettera di Conte ai ministri su Taranto è imbarazzante. Non hanno alcun piano B, sono nel panico e in balia degli eventi. Il mondo ci guarda incredulo davanti a tanta superficialità gettate la spugna e andiamo al voto», ha scritto Mariastella Gelmini, presidente dei deputati di Forza Italia. «Come un bambino che si rivolge a Babbo Natale, così Conte ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi ministri una lettera da vero ‘statista’: li ha invitati, pensate, a fare il loro lavoro. C’è stato però bisogno di una supplica, imbarazzante nei modi e nel contenuto per invitare i ministri a degnarsi di concentrarsi sul dramma di Taranto, innescato da un governo e una maggioranza incapaci di occuparsi degli italiani», ha dichiarato Giorgio Mulè di Fi.

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Al gran ballo della manovra: vertice con 40 invitati su tasse e bilancio

Il premier Conte ha invitato sottosegretari e ministri, capigruppo, capi partito e capi delegazione. Tutti a Palazzo Chigi il 14 novembre per una soluzione su tasse e investimenti.

Per trovare un‘intesa su tasse e investimenti e voci di bilancio sono chiamati a riunirsi in più di 40. Maxivertice di maggioranza giovedì 14 novembre per discutere su tempi e modi della manovra finanziaria. Al vertice, che precede il termine per la presentazione degli emendamenti, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiamato ministri e sottosegretari competenti, capi delegazione dei quattro partiti, capigruppo, presidenti di commissione e capigruppo in commissione.

GUALTIERI: «OBIETTIVI DELLA LEGGE DA SALVAGUARDARE»

Il ministro dell’Economia Gualtieri auspica che il Parlamento migliori la manovra, «salvaguardando l’impianto e gli obiettivi». E spiega che la finanziaria così come è stata progettata per ora migliora il quadro della crescita del Pil: lo 0,1% nel 2019 può essere superato, lo 0,6% nel 2020 è raggiungibile.

PRIMA IL CDM SUL “CANTIERE TARANTO”

A quanto si apprende, la convocazione alla riunione indetta dal premier, è partita stamane con una email del ministero per i Rapporti con il Parlamento guidato da Federico D’Incà, diretta a tutti i sottosegretari all’Economia, ai capigruppo dei quattro partiti di maggioranza, ai capigruppo in commissione, a Carla Ruocco e Daniele Pesco, presidenti di commissione. In totale sono 37 i destinatari della missiva, tra deputati e senatori. A loro vanno sommati ovviamente il ministro dell’Economia e i capi delegazione al governo dei partiti. La riunione inizierà dopo il Consiglio dei ministri convocato alle 16.30, nel quale Conte avvierà la discussione sui progetti per il “cantiere Taranto“.

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La giravolta del M5s sulla presenza italiana in Iraq

Di Maio dice che la missione in cui sono stati feriti cinque soldati italiani «incarna tutti i nostri valori». Ma nel 2015 la pensava diversamente.

All’indomani dell’attentato in Iraq dove sono rimasti feriti cinque militari italiani, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha commentato: « La missione in Iraq è una missione di formazione ai militari iracheni che combattono contro l’Isis. È una missione che incarna tutti i valori del nostro apparato militare».

IL MESSAGGIO DI DI MAIO AI SOLDATI FERITI IN IRAQ

«I militari italiani coinvolti nell’attentato di ieri non sono in pericolo di vita, ma due hanno ferite serie», ha spiegato il ministro ricordando che i nostri contingenti sono «tra i più apprezzati» non solo per la professionalità ma anche per «il cuore» che mettono nella loro missione. Il 10 novembre, Di Maio aveva commentato a mezzo social: «Sto seguendo con dolore e apprensione quel che è accaduto in Iraq ai nostri militari, coinvolti in un attentato. Il mio primo pensiero va a loro, alle loro famiglie e a tutti i nostri uomini e donne in uniforme che ogni giorno rischiano la vita per garantire la nostra sicurezza».

LA POSIZIONE DI M5S E DI MAIO NEL 2015

La posizione del capo politico del Movimento 5 stelle sulla presenza italiana in Iraq non è però sempre stata questa. Nel 2015, come ricorda La Stampa, l’attuale ministro degli Esteri diceva un secco «no a un intervento italiano in Iraq», schierandosi con il fondatore del Movimento Beppe Grillo contro il governo allora guidato da Matteo Renzi. La posizione del Movimento 5 stelle e di Di Maio, sottolinea il quotidiano torinese, non riguardava soltanto raid aerei, ma un intervento tout court.

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Di Maio difende la manovra: «Abbassate le tasse e sterilizzata l’Iva»

Per il ministro degli Esteri è tornato anche sul caso ArcelorMittal e sulla necessità che la multinazionale rispetti gli impegni. E per il 2020 mette nel mirino il conflitto d'interessi.

Una manovra che taglia le tasse. Potrebbe essere riassunto così l’intervento di Luigi Di Maio a Uno Mattina su Rai1.«Abbiamo abbassato le tasse e impedito che aumentasse l’Iva la cui crescita sarebbe costata mediamente 600 euro a famiglia», ha spiegato il ministro degli Esteri. Agli attacchi della Lega il leader M5s ha poi risposto così: «Voi c’eravate al Governo e potevate fare voi la riduzione delle tasse e trovare i soldi per la Flat tax ma ora non ne parlate più….».

Nel corso dell’intervista Di Maio ha affrontato anche il tema dell’ex Ilva e del passo in dietro di ArcelorMittal, confermando anche la posizione del premier Giuseppe Conte. Lo scudo penale, ha spiegato, è stato già proposto ma l’azienda ha confermato i 5 mila esuberi nonostante un contatto firmato solo un anno fa che non prevede questa soluzione. «Il tema è che l’Italia si deve far rispettare, deve far rispettare un contratto e dispiace che i sovranisti stiano dall’altra parte».

Il ministro è poi ritornato sul 30esimo anniversario del crollo del muro di Berlino definendolo un momento che ha portato al superamento delle ideologie di destra e sinistra. Un fatto non negativo, ha spiegato Di Maio, perchè ha aperto al strada, come sta facendo il movimento 5 stelle, alla gestione di fatti concreti non legati alle ideologie ma ai bisogni. Il ministro degli Esteri, in questo quadro, si è augurato anche il superamento del “Muro” del regolamento di Dublino sull’immigrazione, un tema che a suo avviso è squisitamente europeo e non affrontabile da un solo Paese. Di qui l’obiettivo del diritto di asilo unico europeo.

I PIANI DEL M5S PER IL 2020

Il leader pentastellato ha poi lanciato il cronoprogramma del governo e dei 5 stelle per il 2020 menzionando diverse nuove riforme, dopo quella già attuata del taglio dei parlamentari, a partire da quelle dell’acqua pubblica e del conflitto di interessi. «Stare al governo non ha mai portato consensi», ha affermato, «ma abbiamo deciso di stare al governo per fare le riforme e vinceremo la sfida se completeremo il programma elettorale». Di Maio ha ricordato anche il taglio del cuneo fiscale e la nuova legge sulla sanità che tra l’altro toglie alle regioni le nomine dei direttori degli ospedali» per puntare su scelte legate a competenza e preparazione. Quanto alle prossime elezioni regionali, il ministro non si è sbilanciato sul tema delle alleanze ma chiarisce che dove il Movimento sarà pronto lì si presenterà, dove non si riterrà pronto non ci sarà e questo «sarà spiegato ai cittadini», ha concluso.

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Le condizioni di Conte ad ArcelorMittal su scudo e destino dell’ex Ilva

Dura presa di posizione del presidente del Consiglio contro il colosso indiano: «Prima di ogni richiesta rispettino gli impegni». E annuncia: «Pronti alla battaglia legale».

Il futuro dell’ex Ilva e il ruolo di ArcelorMittal restano ancora sospesi. Per il momento il governo sembra voler mantenere la linea della fermezza con il gruppo indiano. Posizione confermata anche dal premier Giuseppe Conte in un’intervista a Il Fatto Quotidiano.

«Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini previsti, piena occupazione e acquisto dell’ ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo», ha spiegato il capo del gooverno.

Conte ha parlato anche di «un nuovo incontro a breve con i titolari» e annunciato una «battaglia legale: un procedimento cautelare per ottenere dal Tribunale di Milano una verifica giudiziaria sulle loro e le nostre ragioni entro 7-10 giorni».

PRESTO VERTICE COI LEADER DI MAGGIORANZA

Nel corso dell’intervista Conte ha anche tracciato le mosse della maggioranza dopo la complicata gestione della finanziaria: «Dopo il varo della manovra», ha spiegato il premier, «ho già programmato di invitare i quattro leader della maggioranza a un week-end di lavoro: tutti parleranno fuori dai denti, poi raccoglieremo i rispettivi obiettivi, metteremo giù un cronoprogramma dettagliato perché tutti si impegnino sul che fare e sul quando farlo nei prossimi tre anni e mezzo». «Ora bisogna rinunciare a dichiarazioni estemporanee, smarcamenti tattici» e «marciare compatti», ha aggiunto.

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Conte sull’ex Ilva: «Troveremo una soluzione»

Dopo la visita a Taranto del presidente del Consiglio, il governo potrebbe trattare sugli esuberi secondo quanto riportato dall'HuffingtonPost.

È terminata dopo l’una della notte tra l’8 e il 9 novembre la visita a Taranto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il premier che ha incontrato prima cittadini e portavoce di comitati e movimenti, poi ha avuto un confronto con lavoratori e sindacati nel consiglio di fabbrica dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal, quindi si è recato in prefettura e dopo un punto stampa ha incontrato il procuratore, Carlo Maria Capristo, i sindaci dell’area tarantina e gli ambientalisti. Infine, si è recato al rione Tamburi, il più esposto alle emissioni del Siderurgico. Le associazioni hanno consegnato al premier copia del ‘Piano Taranto‘, una piattaforma di rivendicazioni che chiede la chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica del territorio con il reimpiego degli stessi operai e lo sviluppo di una economia alternativa.

«Ho visto lavoratori che lavorano ma allo stesso tempo pensano di fare qualcosa di sbagliato e vivono con disagio nella comunità dei parenti che li attacca perché contribuiscono a tener vivo uno stabilimento che altri in famiglia vorrebbero chiudere. Si deve aprire un cantiere e tutti dobbiamo lavorare per portare contenuti», ha detto il presidente del Consiglio. Quando ha terminato la sua visita Conte ha scritto un post su Facebook precisando di aver deciso di incontrare lavoratori e cittadini per rendersi conto personalmente della situazione che vive la comunità tarantina.

Sono venuto a Taranto per rendermi conto personalmente e vedere con i miei occhi. Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe. Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero “sistema-Paese”, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto.Sto rientrando adesso a Roma. Ma tornerò presto a Taranto.

Posted by Giuseppe Conte on Friday, November 8, 2019

«Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe», si legge nel post. «Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero ‘sistema-Paese’, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto». Per poi assicurare: «Tornerò presto a Taranto».

IL GOVERNO PRONTO A TRATTARE SUGLI ESUBERI

Qualche ora dopo, nella mattinata del 9 novembre, una fonte di governo di primo livello avrebbe detto all’HuffingtonPost: «Stiamo lavorando, non c’è ancora una proposta definitiva, ma è evidente che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella di trattare anche sugli esuberi». Un segnale che potrebbe sbloccare la trattativa con ArcelorMittal dopo che l’ultimatum di 48 ore lanciato il 6 novembre da Giuseppe Conte al colosso franco-indiano dell’acciaio è caduto nel vuoto. 

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Il doppio fronte che rischia di mandare in crisi il governo sull’ex Ilva

Guerra aperta tra il governo e ArcelorMittal: la chiusura sarebbe un colpo mortale per il Conte 2. E sullo scudo il braccio di ferro tra M5s e Pd può riscrivere i rapporti di forza all'interno della maggioranza. Già messa alla prova dal nodo Regionali.

Il binario della guerra tra governo e ArcelorMittal è doppio. E duplice è il rischio della crisi per l’esecutivo. In primis c’è il binario del futuro dello stabilimento: una chiusura sarebbe un colpo mortale per l’esecutivo. Il secondo binario è invece prettamente politico e viaggia sul filo di quello «scudo penale» attorno al quale si consuma lo scontro tra Movimento 5 stelle e Partito democratico.

DI MAIO E FRANCESCHINI GIÀ AL LAVORO SU UN PIANO B

È uno scontro, al momento, solo verbale, al quale Luigi Di Maio e Dario Franceschini accompagnano già l’ipotesi di un piano B: quello di sedersi attorno a un tavolo, dopo la manovra, per un patto che puntelli programma e esecutivo. Quel tavolo, prima di gennaio, non vedrà la luce. Infatti, come condizione preliminare, i partiti di maggioranza sono chiamati a sotterrare l’ascia di guerra sulla manovra e, soprattutto, sull’ex Ilva. Non sarà facile. Su ArcelorMittal le posizioni sono rigide.

IL M5S IRRIGIDITO DALL’IPOTESI SCUDO

Pd e Italia viva restano ferme sulla necessità, comunque vada la trattativa, di ripristinare quello scudo che il M5s, sotto la spinta dei ribelli pugliesi, ha tolto dal dl imprese. È una posizione nei confronti della quale Di Maio si irrigidisce, sposando la causa “identitaria” cara a gran parte dei parlamentari. In realtà il capo politico ha poche alternative. Il nodo dello scudo, che ricorda ormai quello della Tav, rischia di far implodere i gruppi in un momento in cui perfino il dissenso sembra non avere una linea comune. Inutile, ragionano nel Movimento, impiccarsi al principio di uno scudo penale che, al momento, non è risolutivo neppure sull’ex Ilva. Certo, lo stallo sulla trattativa tra il governo e i Mittal potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E, nel caso lo scudo si rivelasse necessario per salvare lo stabilimento il capo politico metterebbe i suoi parlamentari di fronte a una scelta decisiva. Tra l’ex Ilva o il governo. Di Maio fa il punto della situazione con i “suoi” ministri nel pomeriggio, nell’appartamento che, solitamente, ospita i vertici più delicati. Si parla di ex Ilva, ma anche di una rivolta interna ormai permanente.

IL NODO DELLE REGIONI AUMENTA LE TENSIONI

I vertici del Movimento, in un altro momento storico, forse avrebbero fatto scattare la tagliola delle epurazioni. Di Maio, per ora, opta per la “carota”: accelerare sulla riorganizzazione del Movimento e prospettare, per il 2020, degli stati generali “rifondativi” per i Cinque stelle. Non è detto che basterà, anche perché ad aumentare la tensione c’è il nodo Regionali: l’ipotesi di un’alleanza con il Pd, almeno per Emilia-Romagna e Calabria, è sepolta. E’ vivissima, invece, l’idea di non scendere in campo in alcune Regioni. Idea contro la quale si scagliano Danilo Toninelli e Barbara Lezzi. Alla fine sembra difficile che il M5s non scenda in campo in Calabria, dove la prospettiva di una campagna all’insegna del civismo non dispiace ai vertici. Ma in Emilia l’ipotesi di una desistenza, nonostante le divisioni interne in atto, è tutt’altro che da escludere. Il nodo Regionali scuote anche i rapporti Pd-M5S. Sull’Emilia-Romagna Nicola Zingaretti si gioca tutto o quasi. E non vuole arrivare al 26 gennaio con un governo ansimante. «Meno polemiche e più solidarietà», è l’invito del segretario.

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L’appello di Matteo Renzi al Pd per evitare il voto anticipato

Il leader di Italia viva si è appellato al suo ex partito chiedendo di evitare il ritorno alle urne: «Sarebbe un suicidio di massa».

Tornare al voto sarebbe «un suicidio di massa». Ne è convinto Matteo Renzi. In una lunga intervista a Repubblica il leader di Italia viva ha spiegato che l’esecutivo deve resistere e tenere duro. In particolare l’ex sindaco di Firenze si è appellato al Partito democratico: «Se il Pd vuole votare, lo dica. Se i parlamentari del Pd hanno deciso di andare contro il muro hanno il dovere di comunicarlo al Paese e palesarlo in Aula».

«Per me», ha continuato, «è una follia, un suicidio di massa. Italia viva pensa che si debba votare nel 2023, alla scadenza naturale, dopo aver eletto il nuovo Presidente della Repubblica». L’obiettivo primario per Renzi è l’abbassamento del costo degli interessi da portare a 50 miliardi, «per incidere in Europa, per costruire l’alternativa al sovranismo no euro».

Poi una stoccata, ancora una volta, alla foto di Narni e al voto regionale in Umbria: «Se qualcuno pensa di fare come in Umbria anticipando le elezioni, faccia pure: con questa scelta si perdono tutti i collegi uninominali e si causano sonore sconfitte in Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Non so che nome dare a questa ipotesi politica: in psicologia si chiama masochismo». Se sul tavolo rimane il voto anticipato, Renzi ha mostrato di non avere dubbi: «Se vogliono votare, ognuno andrà per la propria strada. Se come spero si andrà avanti, facciamo insieme un grande patto per la crescita».

RENZI E L’APPOGGIO A TEMPO A CONTE

«Questo governo non è il mio, ma è comunque meglio dell’alternativa: il voto, la destra, il Quirinale ai sovranisti, l’Italia in bilico sull’euro», ha continuato il leader di Italia viva, «Chi volendo di più vagheggia nuove elezioni, forse si mette in pace la coscienza, ma mette a terra il Paese». Poi un cenno al premier Conte: «In Italia è il parlamento che tiene in vita il governo, e quando cade un governo se ci sono i numeri si va avanti. Pensiamo a dare una mano a Conte, oggi. Del doman non v’è certezza».

«SFRUTTIAMO L’EVENTUALE INTESA USA-CINA SUI DAZI»

Nel mondo «nessuno si domanda se ci sarà una nuova recessione ma solo quando. L’Italia concentri su questo le sue attenzioni, non sulle risse quotidiane», ha esortato Renzi. «Se, come penso, Trump e Xi chiuderanno l’accordo sul commercio tra Usa e Cina, avremo mesi di tranquillità in più. Non vanno sprecati. Serve un grande patto politico per la crescita, non le polemiche di queste ore».

«ILVA? LO SCUDO PENALE È SOLO UNA SCUSA»

Poi un cenno sullo spinoso caso Ilva, «Lo scudo penale non è la causa del recesso ma l’alibi dietro al quale la proprietà indiana si nasconde, grazie anche all’appoggio inspiegabile di parte dell’establishment italiano», ha spiegato Renzi. «Non è questo il motivo che spinge Mittal ad andarsene, bensì la richiesta di cinquemila esuberi. Lo scudo penale è stato introdotto da Gentiloni e tolto dal governo Conte-Salvini, non da noi. Calenda», ha concluso replicando a una domanda sul fatto che l’ex ministro abbia parlato della responsabilità di Italia Viva sullo scudo, «fa l’avvocato difensore di Mittal, noi facciamo gli avvocati difensori dei lavoratori».

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Stallo sull’ex Ilva, Conte non esclude la nazionalizzazione

I vertici di ArcelorMittal non mandano alcun segnale. Il premier si prepara alla «battaglia legale del secolo» e valuta l'intervento pubblico. Ma i costi scoraggiano anche il ministero dello Sviluppo.

A 24 ore di distanza dalla drammatica conferenza stampa con cui il governo ha fatto sapere che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva, non si registrano passi avanti che lascino intravedere la possibilità di uscire dallo stallo.

LEGGI ANCHE: Il governo in bilico sulla partita ex Ilva

I vertici dell’azienda non arretrano di un millimetro e non mandano alcun segnale, mentre il premier Giuseppe Conte ha aperto un tavolo permanente di crisi con il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, il presidente della Provincia, Giovanni Gugliotti, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Preservare il polo siderurgico «è strategico per il Paese» e lo scontro in Tribunale andrebbe scongiurato. Ma se fosse inevitabile “l’avvocato del popolo” assicura che l’esecutivo ha «tutti gli strumenti giuridici» per affrontare quella che definisce «la battaglia legale del secolo».

PRIMO STEP LA GESTIONE COMMISSARIALE

Conte ha fatto un appello affinché «tutto il sistema-Italia risponda con una voce sola, senza polemiche o sterili disquisizioni». E non ha escluso l’ipotesi di una nazionalizzazione temporanea: «Stiamo già valutando tutte le possibili alternative». In ogni caso, come primo step, il disimpegno di ArcelorMittal porterebbe alla gestione commissariale degli impianti da parte del ministero dello Sviluppo economico con dei prestiti-ponte. I sindacati, da parte loro, giocano la carta dello sciopero: ne hanno proclamato uno di 24 ore in tutti gli stabilimenti ex Ilva, da Taranto a Genova, a partire dalle 7 di venerdi 8 novembre.

IL PESO DELL’INTERVENTO DELLO STATO SUI CONTI PUBBLICI

Ma il punto è che la trattativa con ArcelorMittal al momento non esiste. E nel governo non c’è nemmeno la volontà a piegarsi alla multinazionale. L’unica concessione resta lo scudo penale per il risanamento ambientale, cui l’azienda ha già detto no. Per questo a Palazzo Chigi si preparano al peggio e nella maggioranza si discute di nazionalizzazione. Con due appendici non di poco conto: il sì dell’Europa, tutt’altro che scontato; e il peso dell’eventuale operazione sui conti pubblici, sul quale anche al ministero dello Sviluppo economico circola un certo scetticismo.

Arcelor Mittal è una multinazionale estera che ha firmato un contratto con lo Stato impegnandosi ad assumere 10.500…

Posted by Luigi Di Maio on Thursday, November 7, 2019

PD E M5S DAVANTI A UN BIVIO

Intanto nel Pd aumentano le pressioni interne di chi vuole una rottura con il M5s subito dopo la manovra, dunque prima del voto in Emilia-Romagna. Quanto ai pentastellati, il capo politico Luigi Di Maio si ritrova con il partito a un passo dall’implosione. Non a caso Roberto Fico ha cercato di gettare acqua sul fuoco, mentre Davide Casaleggio – messo nel mirino dal dissenso interno – ha incontrato alcuni parlamentari e non è escluso nelle prossime ore un faccia a faccia con lo stesso Di Maio. Il ministro degli Esteri, la prossima settimana, riunirà tutti i deputati e i senatori. Sarà un primo assaggio del grande bivio che si pone davanti al M5s: cementare l’alleanza di governo con il Pd oppure far saltare il banco, consegnando il Paese alla Lega di Matteo Salvini.

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Salvini, ma soprattutto Meloni, si stanno bevendo il governo Conte

La maggioranza è spaccata e non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Così le destre si rafforzano. Il Pd prenda coraggio, rompa con M5s e Italia viva e proponga una coalizione di salvezza nazionale guidata da Draghi.

Le cronache politiche raccontano che il Pd è molto arrabbiato per lo stato delle cose e vorrebbe rompere con M5s e Italia viva.

Poi leggi l’intervista a Dario Franceschini sul Corriere della Sera e ti trovi improvvisamente catapultato in una crisi politica che assomiglia a quelle che piacevano tanto ai democristiani.

Franceschini propone che fra gli alleati ci sa lealtà, un comune mission politica, vanta successi inesistenti del governo, elogia Giuseppe Conte, sostiene che si supererà gennaio fino ad arrivare alla fine legislatura e, forse con una punta di macabro umorismo, dice che vincendo le prossime elezioni questo mostro Pd-M5s-Italia Viva possa andare ancora più lontano. Solo del prossimo inquilino del Quirinale non vuole parlare perché, come si dice, de te fabula narratur.

IL GOVERNO GIALLOROSSO NON PARLA AGLI ITALIANI

È bene che il Pd si incazzi di meno e faccia più fatti, a mente fredda. L’impopolarità del governo è il termometro che decide se tenerlo in vita o no. L’impopolarità è nata dal fatto che l’operazione “cambio di maggioranza” non è piaciuta ed è enfatizzata dalla circostanza che non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Avevo sperato che si potesse dire che Roberto Gualtieri aveva abbattuto il cuneo fiscale mettendo soldi nelle tasche dei lavoratori. Oggi spero che si possa dire che Taranto (ragazzi: Taranto , cioè una delle maggiori città italiane), possa essere salvata in un connubio possibile fra lavoro e sicurezza. Invece la Mittal scappa, quella indefinibile ex ministra Barbara Lezzi dice cose da manicomio, il grillismo diffuso è felice di trasformare la città operaia in un grande giardinetto per poveri e anziani.

SERVE UNA COALIZIONE DI SALVEZZA NAZIONALE GUIDATA DA DRAGHI

Se le cose stanno così e andranno così, ed io sono sicuro che andranno persino peggio, il Pd deve smettere di incazzarsi perché deve dire al Paese: «Ci abbiamo provato, con Luigi Di Maio e Matteo Renzi non si costruisce nulla, Matteo Salvini sapete dove vi stava portando, io (nel senso di io-Pd) propongo alle persone di buona volontà di fare una coalizione di salvezza nazionale chiedendo a Mario Draghi di guidarla. Vogliamo rottamare tutto quello che c’è e che viene tutto da lontano, Pd compreso». Questo sarebbe un discorso che agli italiani potrebbe piacere.

Da sinistra, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Siamo in un Paese che ha dimenticato la Prima repubblica e si è rotto le scatole della Seconda e ormai anche di grillismo e fra un po’ presenterà il conto a Salvini preferendogli Giorgia Meloni. Che fa il Pd? Chiede un vertice di governo, vuole una cabina di regia, pensa a un caminetto? Suvvia! Io sono un ammiratore ex post della Dc a cui dobbiamo tante belle cose ma anche tanti guai attuali, ma la cultura democristiana era ben più profonda della caricatura con cui la propone il caro Franceschini. Vuole fare un patto con Di Maio e Renzi? E perché mai loro dovrebbero farlo. Uno è alla canna del gas, l’altro vuole la rovina comune per lucrare sulle macerie del Pd. È arrivato il momento di rubare l’idea a Beppe Grillo: un bel vaffa (ovviamente anche a lui).

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Il governo in bilico sulla partita ex Ilva

Il premier Conte richiama la maggioranza all'unità dopo le frizioni con ArcelorMittal, che per proseguire con l'acquisizione dell'acciaieria chiede ora il taglio di 5 mila posti di lavoro.

Sull’immunità per ArcelorMittal restano intatte le tensioni nella maggioranza e nel Movimento 5 stelle. «Lo scudo penale è stato offerto ed è stato rifiutato. Il problema è industriale», sottolinea il premier Giuseppe Conte dopo l’incontro con i vertici indiani, riferendo che dall’azienda è arrivata una richiesta di «5 mila esuberi». Una condizione che l’azienda franco-indiana pone non ritenendo sostenibile un così elevato numero di dipendenti. Conte chiama poi tutto il Paese e le forze di opposizione alla compattezza: «Chi viene in Italia deve rispettare le regole», aggiunge infatti il presidente del Consiglio durante le registrazioni di Porta a Porta, «il governo non potrà mai accettare le richieste di Mittal». E ancora: «Non è un problema legale, perché una battaglia legale ci vedrebbe tutti perdenti. Ove mai fosse giudiziaria, sarebbe quella del secolo. Non si può consentire che si vada via senza rispettare gli obblighi contrattuali».

IL GOVERNO SI SPACCA SULLO SCUDO PENALE

«Chiameremo tutto il Paese a raccolta», insiste Conte ribadendo il suo messaggio alla politica: è il momento dell’unione. Una compattezza che, sul decreto offerto a ArcelorMittal sullo scudo penale, manca del tutto vista la ferma contrarietà di una parte del M5s. Tanto che, dopo tre ore e mezza di Consiglio dei ministri quel decreto non salta fuori. Avanti così, sono i commenti dal Pd, non si può andare. Già le bordate arrivano da tutte le parti, dalla Lega di Matteo Salvini a Confindustria, almeno gli alleati devono mettere da parte strappi e polemiche, perché, è l’avvertimento che manda il Partito democratico, «a forza di tirare, la corda si spezza».

LE CONDIZIONI «INACCETTABILI» DI ARCELORMITTAL

Ma per il caso Ilva ora il problema non è questo. La norma sullo scudo penale, raccontano fonti di governo, è stata di fatto messa sul tavolo nell’incontro con ArcelorMittal, al pari di altre rassicurazioni, come il pieno sostegno a un piano che renda l’ex Ilva un «hub della transizione energetica». Tutto inutile. L’azienda vuole l’addio o un taglio draconiano della forza lavoro, che costringerebbe il governo a intervenire sulla cassa integrazione. Con un’appendice: il governo non accetterà mai i 5 mila esuberi richiesti. I sindacati Fiom, Fim e Uilm, proclamando uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti ArcelorMittal, hanno definito le condizioni dell’azienda «provocatorie e inaccettabili».

PATUANELLI: «ARCELORMITTAL NON SA GESTIRE IL SUO PIANO»

Saranno 48 ore di suspense. Perché la trattativa con ArcelorMittal non è ancora definitivamente chiusa. Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli sottolinea che ArcelorMittal era a conoscenza della scadenza della «protezione legale» al marzo 2019, pur «auspicando» in una nota «che si risolvesse la criticità» della mancata estensione dello scudo fino al termine dell’esecuzione del Piano Ambientale nel 2023. Nonostante questo l’azienda «presentava offerta irrevocabile» e «palesava quindi di aderire alla misura restrittiva» relativa alla protezione legale. Secondo Patuanelli, non ci sono elementi per far scattare il recesso. «I rappresentanti di ArcelorMittal ci hanno detto chiaramente che non sono in grado di portare a termine il loro Piano industriale per rilanciare l’Ilva», dice Patuanelli.

FONTI DI GOVERNO: «PRATICAMENTE SIAMO GIÀ IN CAUSA»

«Al momento la via concreta è il richiamo alla loro responsabilità», spiega Conte che ha chiesto a Lakshmi Mittal e a suo figlio di aggiornarsi tra massimo due giorni per una nuova proposta. È una delle poche volte, da quando è a Palazzo Chigi, che Conte pone il suo accento sulla serietà del problema. Il premier, secondo alcuni quotidiani, starebbe già studiando di affidare l’azienda a un commissario. E sono parole che danno il tono della fumata nerissima registrata dopo l’incontro con i vertici di ArcelorMittal.

Nel governo si stanno cercando strade alternative. Un piano B che non includerebbe la partecipazione di Cdp ma che potrebbe concretizzarsi con una nuova cordata

«Vogliono il disimpegno o un taglio di 5 mila lavoratori» ma «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo», spiega Conte sentenziando un concetto che sa di protesta di un intero sistema: «l’Italia è un Paese serio, non ci facciamo prendere in giro». Già perché, per il governo, semplicemente ArcelorMittal non rispetta un contratto aggiudicato dopo una gara pubblica. Tanto che fonti di governo descrivono lo scontro con l’azienda in questi termini: «Praticamente siamo già in causa». E, nell’esecutivo, emerge anche un’altra considerazione: quanto conviene che l’azienda resti? Per questo, parallelamente, si stanno cercando «strade alternative». Un piano B, insomma, che non includerebbe la partecipazione di Cdp ma che potrebbe concretizzarsi con una nuova cordata. È un’ipotesi che non riguarderebbe necessariamente Jindal o AcciaItalia. Sulla questione si è espresso anche il presidente della regione Puglia Michele Emiliano, che a Tagadà, su La 7 ha detto: «Faremo di tutto per far rispettare a Mittal il suo contratto. Se ciononostante non dovessimo riuscirci, certamente l’Ilva non muore lì, e l’Italia non muore lì: questo deve essere chiaro».

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Lamorgese difende il memorandum firmato con la Libia

La ministra ha tenuto al sua informativa alla Camera e difeso l'intesa del 2017. Ma ha aperto a possibili modifiche e alla creazione di corridoi umanitari.

Il Memorandum of understanding siglato il 2 febbraio 2017 con la Libia ha contribuito a far calare i flussi migratori ed i morti in mare; ora va però cambiato per migliorare le condizioni dei centri per migranti con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per far posto a strutture gestite direttamente dall’Onu.

Lo ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, nella sua informativa alla Camera, sottolineando che la proposta italiana di rivedere il testo «è stata immediatamente e favorevolmente accolta» da Tripoli. Critico Matteo Orfini (Pd), che ha definito «imbarazzante ed ipocrita» l’intervento della ministra.

All’attacco anche il dem Fausto Raciti: «ha mancato del tutto il punto: quello del rispetto dei diritti umani. Se parti dall’idea che nei campi libici ci siano ospiti e non prigionieri, persone torturate e donne che subiscono violenza, allora il resto viene di conseguenza». Per Erasmo Palazzotto (Leu) va bene rivedere il MoU, ma serve la «chiusura immediata» dei centri. Riccardo Magi (+Europa) ha definito il sistema libico «non riformabile» e sollecitato «un piano di evacuazione e una nuova missione di salvataggio nel Mediterraneo». Gennaro Migliore (Iv) ha aperto alla rinegoziazione dell’accordo.

LA SPINTA A RINNOVARE L’INTESA FINO AL 2023

Lamorgese ha sottolineato che «al momento della sottoscrizione del Memorandum le dimensioni dei flussi erano senz’altro preoccupanti. Oggi», ha sottolineato, «sebbene la situazione sia ben diversa, sarebbe ingiustificabile un calo di attenzione sulle dinamiche migratorie che continuano a interessare il nostro Paese». L’intesa deve dunque proseguire per un altro triennio, anche perchè «ha svolto un ruolo importante per evitare l’isolamento delle autorità libiche e per coinvolgerle in comuni strategie per il contrasto al traffico di esseri umani».

ALLARME INFILTRAZIONI JIHADISTE TRA I MIGRANTI

Ora si punta ad un salto di qualità delle strutture di detenzione (in Libia l’immigrazione illegale è un reato punito con il carcere), nonostante, ha riconosciuto il ministro, «le difficili condizioni generali di insicurezza del Paese, che rischiano di facilitare l’opera di gruppi criminali impegnati nel traffico di esseri umani, anche con il rischio di infiltrazioni di jihadisti tra i migranti che giungono sulle nostre coste». Il conflitto in corso peraltro ha messo sulla linea del fronte anche i centri per migranti. L’obiettivo, per l’Italia, ha puntualizzato Lamorgese, «dovrà essere quello di migliorarne le condizioni, in vista della graduale chiusura di quelli attualmente esistenti, favorendo l’intervento volto alla loro trasformazione, concordata con le autorità libiche, per giungere progressivamente a prevedere centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite».

LE POSSIBILI MODIFICHE VOLUTE DAL GOVERNO

Altri punti da inserire nel rinnovato accordo, per la ministra, sono il rafforzamento dei corridoi umanitari, coinvolgendo altri Paesi europei e con il finanziamento Ue, il potenziamento della capacità di sorveglianza dei confini meridionali della Libia, nonchè il piano di sostegno alle municipalità libiche, con la distribuzione di apparecchiature mediche, materiale sanitario, materiale per scuole e farmaci. Se Tripoli ha risposto subito alla nota verbale italiana manifestando disponibilità a rivedere l’intesa, dal fronte che combatte il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, è arrivato un avvertimento. L’Italia e l’Europa «non hanno alcun vantaggio» a sostenere il governo di Tripoli, perché la capitale «è in mano alle milizie e finché sarà così arriveranno i barconi sulle vostre coste», ha detto Abdulahdi Ibrahim Lahweej, ‘ministro degli Esteri’ del governo dell’est libico, quello di Khalifa Haftar, non riconosciuto a livello internazionale.

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Sulle modifiche alla manovra s’infiamma lo scontro Zingaretti-Renzi

Il leader del Pd a testa bassa contro l'ex premier: «Polemizzare su un impianto condiviso da tutti è un'operazione di basso livello». Intanto nel governo si lavora al rinvio della plastic tax.

L’ultima critica alla manovra è arrivata da Confindustria, che non ha apprezzato troppo le misure contro l’evasione fiscale, perché rischiano «di fornire risposte semplici e demagogiche». Il nuovo terreno si è aperto proprio mentre il governo stava provando a mettere un tappo alle polemiche sulla plastic tax, lavorando all’ipotesi di tagliarla del 50%, e sulla tassa per le auto aziendali: per quest’ultima sul tavolo c’è la possibilità di dimezzare o addirittura azzerare i rincari. Tutti interventi che non sono a costo zero: la plastic tax vale un miliardo nel 2020 e 1,7 miliardi nel 2021. Mentre la stretta sulle tasse aziendali varrebbe 332 milioni di euro nel 2020 e salirebbe fino al 2022, quando raggiungerebbe i 378 milioni. Insomma, con la revisione di questi interventi, il governo dovrebbe mettersi di nuovo alla ricerca di quasi un miliardo e mezzo solo per il prossimo anno.

L’AFFONDO DI ZINGARETTI CONTRO IL LEADER DI ITALIA VIVA

Intanto, il segretario del Pd Nicola Zingaretti cambia registro e alza il tono contro Matteo Renzi: «Giusto che tutti portino il contributo in un’alleanza. Aprire una polemica su una manovra sottoscritta da tutti è un’operazione di basso livello che gli italiani giudicheranno» Con gli approdi del decreto fiscale e della manovra nelle aule del parlamento, l’esecutivo ha cominciato a mettere a punto le posizioni. Difenderà a oltranza le norme anti-evasione e non farà concessioni agli alleati né sul taglio del cuneo fiscale né su quota cento. Mentre sulla stretta per le auto aziendali e sulla plastic tax i margini di movimento ci sono tutti: i tavoli di confronto sono infatti ancora aperti. Anche sulla stretta anti abusi per gli appalti ci sono aperture. L‘Ance, vale a dire i costruttori, ha sollevato dubbi al dl fisco, chiedendo la cancellazione di un disposizione «iniqua» sulle ritenute per appalti e subappalti che, stima, costerebbe alle sole imprese edili 250 milioni di euro all’anno. «Siamo pronti a dialogare con le associazioni di categoria e con il parlamento per migliorare la norma», ha risposto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.

IL M5S APRE ALLE MODIFICHE SULLA PLASTIC TAX

Che poi è un po’ l’atteggiamento del governo sulla tassa per le auto aziendali. Inizialmente valeva per tutte, indiscriminatamente, poi è stata modulata, lasciandola com’era per quelle green, portandola dal 30% al 60% per i veicoli meno inquinanti e al 100% per quelle molto inquinanti. Sulla plastica, l’esecutivo starebbe studiando la possibilità far scendere la tassa sugli imballaggi da un euro al chilo a una cifra oscillante fra i 40 e i 60 centesimi. Potrebbe anche restringere la gamma dei prodotti su cui applicarla o rinviare a luglio, invece che ad aprile, l’entrata in vigore della norma. L’ipotesi di discutere sul contenuto della plastic tax non sembra ostacolata dal Movimento 5 stelle: «C’è stata un’apertura e riteniamo che questo orientamento sia da mantenere», ha detto il sottosegretario a Palazzo Chigi, Riccardo Fraccaro.

LA LEGGE DI BILANCIO AL BANCO DI PROVA DEL PARLAMENTO

La linea del Conte bis è questa: l’impianto della manovra non cambia, su alcune misure si può discutere, ma alla fine i conti devono tornare. Il ministro Gualtieri guarda con attenzione al passaggio parlamentare, confidando che in Aula si possano trovare accordi che migliorino gli aspetti più discussi del provvedimento: «Lo considero fisiologico e positivo», ha detto. La legge di Bilancio vale 30 miliardi: il solo stop all’aumento dell’Iva ne costa 23. E c’è un ricorso al deficit per oltre 16 miliardi. Un impianto che lascia prudente il commissario designato agli Affari economici dell’Ue, Paolo Gentiloni: «L’Italia» – ha detto – «ha bisogno ancora di disciplina di bilancio, mi spiace ma è così». Dalla lotta all’evasione fiscale, inizialmente il governo pensava di poter recuperare 7 miliardi. Ora la stima, seppur «prudente», ha spiegato Gualtieri, è di 3 miliardi. Uno dei punti qualificanti è la spinta ai pagamenti digitali. Il governo, ha spiegato Gualtieri, sta lavorando a un protocollo di intesa con le banche «per la riduzione delle commissioni e l’eliminazione totale sotto una certa» cifra. Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Conte mostra i muscoli sull’ex Ilva: «Saremo inflessibili»

La pentastellata Lezzi contro le retromarce sullo scudo: «Lo abbiamo abolito grazie alla Lega». Intanto il premier esclude il coinvolgimento di soggetti diversi da ArcelorMittal. E il ministro Patuanelli lancia otto accuse all'azienda su Facebook.

Il premier Giuseppe Conte ha escluso l’eventualità che nella partita sull’ex Ilva di Taranto possano entrare soggetti diversi da ArcelorMittal. «I nostri interlocutori sono quelli che ci sono ora e che devono rispettare gli impegni contrattuali», ha detto infatti il presidente del Consiglio, rispondendo alle indiscrezioni di stampa secondo cui Matteo Renzi starebbe lavorando per coinvolgere il gruppo Jindal, che guidava la cordata sconfitta nel 2017. «Pretendiamo che siano rispettati gli impegni per quanto riguarda le bonifiche ambientali, che sono un tassello fondamentale della complessa strategia industriale per la comunità e il polo industriale di Taranto», ha aggiunto il capo del governo.

LEGGI ANCHE: Lucia Morselli, la lady d’acciaio che vuole restituire l’ex Ilva allo Stato

L’incontro con i vertici di ArcelorMittal è previsto per il 6 novembre: «È stato stipulato un contratto e saremo inflessibili, hanno partecipato a una gara con evidenza pubblica e in Italia si rispettano le regole». Il punto, però, è che il contratto prevede la possibilità di recesso in caso di cambiamenti rilevanti delle norme di legge, tali da mettere in discussione il piano industriale. Per ArcelorMittal, l’abolizione dello scudo penale rientra in questa casistica. Di sicuro c’è che il diritto di recesso non può essere proclamato in maniera unilaterale, ma dovrà essere accertato in Tribunale se le parti non si metteranno d’accordo.

ilva taranto conte arcelormittal

Sul punto è tornato anche il leader di Iv Matteo Renzi che si era proposto per far tornare Jindal a Taranto: «Nessuno di noi di Italia Viva fa nascere cordate. È evidente che qualora si arrivasse per le norme italiane a ottenere da parte di Mittal il recesso, primo classificato nella gara, si va a chiedere al secondo (Jindal, ndr), una cordata che già esisteva, non ce la siamo inventata noi. Se il primo salta ci va il secondo. Se il premier dice che Mittal deve onorare il contratto, tutti devono stare con lui, dalla parte delle istituzioni», ha dichiarato ai giornalisti a margine della presentazione di un libro a Roma.

PATUANELLI CONTRO L’AZIENDA SU FACEBOOK

Per Conte «non si può pensare di cambiare una strategia imprenditoriale adducendo a giustificazione lo scudo». E mentre il Pd invita il presidente del Consiglio a riferire in parlamento in tempi brevi, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5s) mette sotto accusa ArcelorMittal con un lungo post su Facebook, definendola una multinazionale che «accampa scuse strumentali e prende in giro lo Stato».

Buongiorno a tutti.C’è una cosa che in Italia non cambia mai: anche quando una multinazionale accampa scuse strumentali…

Posted by Stefano Patuanelli on Tuesday, November 5, 2019

LA LEZZI RINGRAZIA LA LEGA: «GRAZIE PER LO SCUDO ABOLITO»

In Aula al Senato l’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi ha invece chiesto di non tornare indietro sullo scudo penale: «So che possono essere intraprese diverse strade, ma senza tornare indietro su quello che il Parlamento ha deciso due volte, una volta con la Lega e una con il Pd». E ha ringraziato la Lega per averlo abolito insieme: «Io sono sempre stata contraria all’ immunità e ringrazio la Lega perché grazie a loro che abbiamo abolito lo scudo. La mia posizione non è mai cambiata».

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