Bce: «Spread più alto in Italia per effetto della Manovra»

Tra il 14 settembre e il 25 ottobre 2023 «le variazioni dei differenziali sui titoli di Stato sono state molto contenute, con l’eccezione del differenziale italiano, che si è in qualche misura ampliato, verosimilmente per effetto di fattori idiosincratici collegati, tra le altre cose, alle notizie riguardanti le misure fiscali previste dalla legge di bilancio nazionale». Lo scrive la Banca Centrale Europea nel suo bollettino mensile, analizzando l’andamento dello spread.

L’aumento dei tassi a lungo termine nell’area euro ha seguito dinamiche simili a livello globale

Il 25 ottobre, si legge più in generale nel bollettino di Francoforte, il rendimento medio ponderato per il Pil dei titoli di Stato decennali dell’area dell’euro si è collocato attorno al 3,5 per cento, circa 25 punti base al di sopra del livello registrato all’inizio del periodo in esame. Guardando agli sviluppi dei mercati dei titoli di Stato nel periodo in esame la Bce rileva come «i rendimenti dei titoli a lungo termine hanno mostrato andamenti pressoché analoghi a quelli dei tassi privi di rischio, in un contesto in cui i differenziali sui titoli di Stato si sono mantenuti complessivamente stabili». Il rendimento dei titoli di Stato statunitensi decennali è aumentato di 41 punti base, attestandosi al 4,7 per cento, mentre il rendimento dei titoli di Stato britannici è aumentato di 20 punti base al 4,5 per cento.

Caro voli: l’Ue indaga sull’aumento delle tariffe aeree in Europa

Bruxelles indaga sull’aumento delle tariffe aeree in tutta Europa, salite fino al 30 per cento nel corso dell’estate con profitti eccezionali per le compagnie. Ad annunciarlo è stata la commissaria Ue ai Trasporti, Adina Valean, in un’intervista al Financial Times.

Urso: «L’Ue si muove nella rotta indicata dall’Italia»

«Stiamo indagando» per avere «una spiegazione completa e dettagliata», ha spiegato Valean, precisando che Bruxelles non intende intervenire su un mercato “funzionante”. Il commento del ministro Adolfo Urso: «L’Ue si muove sulla rotta indicata dall’Italia a tutela degli utenti e contro il caro voli. Avanti, insieme, per un servizio migliore, in trasparenza e nel rispetto delle regole».

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori

Tim, fu Telecom, atto finale. Giudici permettendo, anche se la decisione di vendere la rete presa dal consiglio di amministrazione senza consultare i soci sembra irreversibile. Troppo squilibrio tra le forze in campo: da un lato i francesi di Vivendi, che ora forse maledicono il giorno in cui sono entrati (da allora hanno perso 3 dei 4 miliardi investiti, protagonisti in negativo di un copione già visto in Mediobanca e Mediaset). Dall’altro il governo, le banche, le fondazioni, gli americani, poteri forti e meno forti, nonostante che in molti capitoli dell’annosa vicenda telefonica si siano mostrati un’armata tutt’altro che invincibile, ma piuttosto brancaleonica. Ma oramai eravamo allo sfinimento.

Dalla sciagurata privatizzazione alle promesse tradite di Meloni

Di nazionalizzazione della rete Giorgia Meloni & C. avevano iniziato a parlare in campagna elettorale. Poi le elezioni le hanno vinte e sembrava che la partita dovesse chiudersi in un atto secondo. È durata più di un anno, con momenti di grottesca confusione dove tanta era la babele di chi voleva mettere becco che non si capiva più nulla. L’unica cosa certa è che la Tim così come l’avevano disegnata i padri fondatori (allora si chiamava Stet) e tale era rimasta prima che una sciagurata privatizzazione -citofonare Romano Prodi e poi Massimo D’Alema – la depredasse del suo valore, non stava più in piedi. Quindi delle due l’una: o si vendeva la rete, ossia il gioiello più redditizio della corona, o si vendeva tutto il resto. Che è poi la configurazione che si è delineata in queste ultime settimane con l’arrivo del fondo Marley (troppo tardi però) a contrastare l’offerta di Kkr. È finita come sappiamo a valle di un biblico cda dove il via libera agli americani ha prevalso con una maggioranza consiliare piuttosto larga.

Vivendi ha svalutato due volte l’investimento, fino a poco più di 0,2 euro ad azione

Tutto finito? Non proprio, per la gioia di quasi tutti i grandi studi legali coinvolti. Ma al di là della comprensibile rabbia per essere stati bellamente bypassati, oltre al fatto che Mef e Palazzo Chigi li hanno trattati a pesci in faccia, conviene ai francesi ragionare a mente fredda. Vogliono salvaguardare la proprietà della rete o più pragmaticamente riportare a casa i soldi spesi? La seconda che ho detto, anche se dovranno mettere in conto di perderne un bel po’. Hanno svalutato due volte il loro investimento, fino a portarlo a poco più di 0,2 euro ad azione. Tutto l’upside del titolo che ci sarà di qui in avanti, figlio di una società meno indebitata, sarà per loro oro colato. Poi, immaginiamo, non vedranno l’ora di levare le tende dall’Italia, terra per loro assai amara, non prima però di aver risolto la partita Mediaset in cui sono tuttora pesantemente invischiati.

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori
Vincent Bolloré di Vivendi (Imagoeconomica).

Il Paese perde un altro asset importante del suo sistema industriale

Errori fatti da Vivendi? Molti. In primis quello di aver sbattuto a suo tempo la porta in faccia al cda di Tim ritirando i suoi due rappresentanti. Convinti di poter combattere meglio stando fuori da una battaglia che invece richiedeva stessero dentro. Ma è niente in confronto agli errori fatti in questi anni dai governi che si sono succeduti ai quali, tutti, l’idea di politica industriale doveva suonare come qualcosa di vago e surreale. Ha ragione chi dice che con l’addio alla rete, e la probabile cessione nel tempo anche dei pezzi che restano, il Paese perde un altro asset importante del suo sistema industriale, tra l’altro proprio nei giorni in cui è diventato lampante quel che già si sapeva, ovvero che dal matrimonio tra Fiat e Peugeot a guadagnarci sono i francesi e non gli italiani.

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori
Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim (Imagoeconomica).

Debito monstre ormai insostenibile dopo una storia di sperperi

Ma Tim era finita in un vicolo cieco e non c’erano santi per salvaguardarne l’integrità, specie da quando la salita dei tassi di interesse ha reso ancora più insostenibile il suo debito monstre. Quella della compagnia telefonica è stata, dalla fine degli Anni 90 in avanti, una saga di errori, furbizie, rapine, omissioni, passaggi di mano dove chi usciva lasciava i cocci a chi entrava. Bisognava, in un modo o nell’altro, staccare le macchine e interrompere la lunga agonia per non rischiare l’accanimento. E altro sperpero di denaro per un’azienda che nella sua storia ha arricchito pochi privilegiati e impoverito troppi malcapitati. Sempre, ovviamente, che sia davvero finita. Ipotesi di fronte a cui la borsa, alla riapertura dei mercati, si è mostrata invero scettica.

Il “re delle criptovalute” Sam Bankman-Fried giudicato colpevole di frode

L’imprenditore delle criptovalute Sam Bankman-Fried è stato giudicato colpevole di sette capi d’imputazione di frode, associazione a delinquere per commettere frode e associazione a delinquere per riciclare il denaro. Il processo, iniziato un mese fa a New York, ha stabilito che l’inaspettata bancarotta della sua piattaforma di scambio Ftx sia stata causata da una gestione illecita dei fondi. La sentenza è stata fissata per il 28 marzo del 2024, Bankman-Fried e rischia svariati decenni di carcere.

Ha rubato miliardi di dollari a Ftx accelerando il collasso del settore

Si è conclusa così una straordinaria caduta in disgrazia per l’ex miliardario 31enne, uno dei volti più riconosciuto del settore delle criptovalute. «Sam Bankman-Fried ha perpetrato una delle più grandi frodi finanziarie della storia americana: uno schema multimiliardario progettato per renderlo il re delle criptovalute», ha dichiarato l’avvocato americano Damian Williams in una dichiarazione dopo il verdetto riportata dal Bbc. I pubblici ministeri avevano accusato Bankman-Fried di aver mentito a investitori e istituti di credito e di aver rubato miliardi di dollari dall’exchange di criptovalute Ftx, contribuendo ad accelerarne il collasso. Il giovane imprenditore si è dichiarato non colpevole di tutte le accuse, sostenendo che, pur avendo commesso degli errori, aveva agito in buona fede. Bankman-Fried avrebbe usato i soldi che i clienti affidavano a Ftx per vivere una vita lussuosa, acquistare proprietà da milioni di dollari alle Bahamas, dove nel 2022 è stato arrestato, e per coprire un gigantesco buco nel bilancio di un fondo di investimento di sua proprietà, Alameda Research. Ma il processo non è stato molto seguito solo per l’entità della frode e la celebrità del personaggio, ma anche perché che tre dei suoi ex amici intimi e colleghi, inclusa la sua ex fidanzata Caroline Ellison, si sono dichiarati colpevoli e hanno accettato di testimoniare contro di lui nella speranza di ridurre la propria pena.

Le implicazioni del caso nell’industria delle criptovalute

Il caso di Bankman-Fried è stato seguito da vicino anche per le sue implicazioni per l’industria delle criptovalute nel suo insieme, che non è riuscita a riprendersi dalle turbolenze del mercato dello scorso anno. Il caso è stato preso ad esempio dai regolarti negli Stati Uniti che sostengono come il mercato delle criptovalute sia pieno di illeciti. Il New York Times ha scritto che Sam Bankman-Fried «è emerso come simbolo dell’arroganza sfrenata e dei giri di affari loschi che hanno trasformato le criptovalute in un’industria multimiliardaria durante la pandemia», che ha attirato milioni di investitori inesperti, molti dei quali hanno perso i propri risparmi quando il mercato è crollato. Tuttavia, è improbabile che il Congresso approvi nuove regole per le criptovalute in tempi brevi, e saranno i tribunali statunitensi a continuare ad essere i principali attori nella regolamentazione del settore.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo

La risposta europea alla Nuova via della seta cinese, la Belt and Road Initiative, è finalmente in marcia, tra ambiziosi progetti e lati ancora poco chiari. Il Global Gateway dell’Unione europea, un piano di sviluppo infrastrutturale rivolto al Sud del mondo, ha vissuto una tappa importante del suo percorso il 25 e 26 ottobre con un business forum che si è svolto a Bruxelles e durante il quale la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha incontrato 40 alti rappresentanti istituzionali di alcuni Paesi in via di sviluppo per discutere opportunità di investimento. Ma di cosa si tratta?

Al centro infrastrutture, energia, materie prime e vaccini

Il piano europeo al centro del vertice vuole mobilitare globalmente 300 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati entro il 2027, di cui la metà andranno all’Africa. Non saranno per la maggior parte investimenti diretti – perché il piano non ha ancora soldi propri, lì avrà forse dal prossimo bilancio -, ma un insieme di fondi e strumenti per sbloccare l’equivalente di questa somma. Nel continente africano 136 miliardi su 150 saranno privati, si stima. Dal suo lancio, al programma europeo afferiscono 89 progetti, di cui molti già avviati in precedenza, in America Latina, Caraibi, Medio Oriente, Asia, Pacifico e Africa subsahariana, per un valore di 66 miliardi di euro. I settori di intervento prioritari del piano saranno le infrastrutture, la connettività, lo sviluppo di nuove fonti di energia, l’approvvigionamento di materie prime e la crescita dei sistemi sanitari, con la produzione locale di vaccini.

LEGGI ANCHE: Cosa c’è dietro il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, l’anti via della Seta

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen col primo ministro egiziano Mostafa Madbouly (Getty).

Un progetto nato dalla crisi durante la pandemia di Covid-19

Il Global Gateway è stato fortemente voluto da von der Leyen che l’aveva annunciato nel 2021 durante il suo discorso sullo stato dell’unione. Maddalena Procopio, senior policy fellow del Programma Africa dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr), ha detto che il progetto «nasce dalla crisi delle catene di approvvigionamento durante la pandemia di Covid-19 e ha l’obiettivo di soddisfare le esigenze interne europee di resilienza economica». Procopio ha parlato durante l’evento “Global Gateway Africa: Geopolitica, investimenti e prospettive per l’Italia” che il think tank ha organizzato in concomitanza del forum di Bruxelles allo Spazio Europa di Roma insieme alla rivista Africa e Affari. La pandemia, insieme poi con la guerra tra Russia e Ucraina e alla contemporanea forte ascesa sulla scena internazionale di altri attori come la Cina o la Turchia, hanno contribuito a isolare l’Europa in ambito geopolitico ed economico.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
Personale sanitario in America Latina durante i mesi più duri del Covid (Getty).

Il piano Ue ha quindi tra i suoi principali obiettivi quello di accorciare le catene del valore, per disporre più facilmente di energia e materie prime, ma è anche «uno strumento per rilanciare l’immagine e le relazioni dell’Ue con una parte di mondo, stabilendo con questa un rapporto paritetico», come ha detto Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dello Ecfr. A livello geopolitico, secondo l’esperto, il piano arriva alla sua implementazione in un momento in cui in particolare l’Africa sta vivendo una nuova ondata anticoloniale della quale stanno risentendo le potenze europee. Per questo, ha spiegato, è un’opportunità per dare nuovo slancio al loro posizionamento.

Cambio di paradigma rispetto a logiche di aiuto ed estrattivismo neocoloniale

Il Global Gateway, nell’idea delle istituzioni europee, oltre a rafforzare l’autonomia strategica dell’Ue in politica ed economia, dovrebbe infatti rappresentare un cambio di paradigma netto nei rapporti con il Sud del mondo rispetto sia alle logiche dell’aiuto che dell’estrattivismo neocoloniale. In quest’ottica, ancora secondo Procopio, il Global Gateway «è un’occasione per inaugurare un nuovo modello di cooperazione che risponda meglio alle necessità africane mantenendo saldi gli interessi europei». Sarà il “volto esterno” dell’Unione per proporre uno sviluppo più sostenibile e reciprocamente conveniente per le parti. Per Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, il piano rappresenterà anche un tentativo di rispondere in modo globale alle sfide di oggi, ma non in ordine sparso come fatto finora in ambito di politiche di sviluppo. Altro passo cruciale sarà poi quello di favorire l’apporto del settore privato con l’apertura di mercati per aziende italiane ed europee soprattutto in Africa.

I partner della Cina pagano un pezzo alto su indebitamento e sostenibilità

Von der Leyen, aprendo il forum di Bruxelles, ha spiegato che «Global Gateway significa dare ai Paesi una scelta, e una scelta migliore, senza condizioni scritte in piccolo», sostenendo che in molti casi, in cambio dello sviluppo infrastrutturale promesso, questi pagano un prezzo alto in termini di indebitamento, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale e sovranità nazionale. Il riferimento è ovviamente al modus operandi della Cina che ha festeggiato i risultati della sua Belt and Road Initiative da quasi 1 trilione di dollari con un vertice a cui hanno partecipato, tra gli altri, anche il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro ungherese Viktor Orban e diversi leader africani. Nonostante la scala minore degli investimenti promessi e il ritardo ormai di 10 anni con l’iniziativa di Pechino, il forum di Bruxelles ha assistito alla firma di ulteriori accordi per 3,2 miliardi di euro tra Africa, Asia e vicinato europeo. Tra questi, l’Ue ha siglato partnership su materie prime con la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia. Inoltre, secondo Josep Borrell, il capo della politica estera europea intervenuto durante il secondo giorno del vertice, altri 100 progetti saranno annunciati entro la fine del 2023.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
Josep Borrell (Getty).

Perplessità e critiche: rischio di un colonialismo 2.0

L’ambizioso piano, come si vede da questi sviluppi, è in divenire, ma non sono mancate in questi mesi perplessità e critiche. Alcuni Paesi si sono per esempio lamentati del fatto che le offerte dell’Ue non vengono decise in coordinamento con le autorità statali e non tengono conto delle reali esigenze locali. D’altra parte nel Global Gateway Business Advisory Group, il gruppo che comprende 60 delle più grandi aziende europee, tra cui Total Energies, Volvo, Bayer e Sparkle come unica italiana, non compare però alcuna impresa pubblica o privata dei Paesi del Sud del mondo. Jean Saldanha, direttrice della Rete europea sul debito e lo sviluppo (Eurodad), citata da EuObserver, ha criticato a questo proposito la mancanza di impegni chiari a investire nella creazione di valore nei Paesi ricchi di risorse, paventando un colonialismo 2.0. Molto meno netta l’analista Procopio che, collegata da Bruxelles con Roma, ha sottolineato però il bisogno di «maggiore coordinamento, dialogo e collaborazione tra istituzioni e privati».

Faib, in Italia un pieno di benzina costa 11 euro più che in Europa

Nel mese di agosto 2023, i prezzi dei carburanti in Italia sono aumentati del +9,5 per cento (benzina) e +2,7 per cento (gasolio), rispetto allo stesso mese del 2022. Il Gpl è sceso del -11,5 per cento. Sono i dati forniti a Roma dalla Faib Confesercenti, associazione di categoria dei benzinai, in occasione della sua assemblea per il 60/o di fondazione, in corso mercoledì 27 settembre. Nei primi sette mesi del 2023 sono cresciuti i consumi dei carburanti sulla rete ordinaria, sia per la benzina (+431 milioni di litri rispetto allo stesso periodo del 2022), sia per gasolio e Gpl (rispettivamente +140 milioni e +21 milioni). Da gennaio a luglio si è registrata una diminuzione sull’extra rete, (-8 milioni di litri per la benzina, -374 milioni per il gasolio).

Le differenze con la media europea

Tradotto dunque, per un pieno di 50 litri di benzina gli italiani hanno pagato 11 euro in più della media europea, aggravio quasi totalmente dovuto alla componente fiscale. Ipotizzando una media di 4 pieni nel mese, i consumatori italiani hanno speso 388,2 euro, oltre 45 euro in più della media europea, di cui più di 44 euro di imposte. Da gennaio a luglio del 2023, secondo i dati Faib, il costo dei carburanti in Italia è stato superiore rispetto alla media europea di 22,4 centesimi di euro al litro per la benzina e di 18,3 centesimi al litro per il gasolio, il più alto dal 2018.

Quanto pesa il carico fiscale

Nel prezzo al consumo della benzina e del gasolio, sempre nei primi sette mesi dell’anno, nel nostro Paese la quotazione internazionale pesa per il 32 per cento per la benzina e per il 35 per cento per il gasolio (nel 2021 il peso era del 26,6 per cento e del 28 per cento). Il ricavo industriale (margine lordo della compagnia) e il ricavo lordo del gestore (pari a 3,5 centesimi di euro, l’1,9 per cento del prezzo della benzina e il 2 per cento di quello del gasolio) insieme costituiscono tra il 10 e l’11 per cento del prezzo finale. Il carico fiscale (Iva e accisa) pesa per il 57 per cento del prezzo della benzina e il 53 per cento del prezzo del gasolio (erano il 48 per cento e il 42 per cento nel 2022).

Presidio dei lavoratori La Perla a Roma: «Ci avete lasciato senza mutande»

Un centinaio di lavoratrici e lavoratori di La Perla sono in presidio a Roma davanti al ministero delle Imprese e del made in Italy. Nello striscione si legge la scritta: «Ci avete lasciato senza mutande». Dalla manifestazione, a sostegno del tavolo ministeriale sul marchio di corsetteria bolognese, si alzano canti tradizionali riadattati a sostegno della vertenza come Romagna mia che diventa: La Perla mia, la Perla in fiore, tu sei la vita, tu sei passione, quando ti penso vorrei restare fino alla pensione qui a lavorare. C’è spazio anche per la musica pop con La Perla special, sulle note dei Lunapop, che ha molti problemi.

«Ci sentiamo presi in giro»

«Noi ci sentiamo presi in giro dai capoccia silenziosi che non si presentan mai» – intona un gruppo di lavoratrici – «e ci rendono nervosi. La Perla non va, le promesse son tante però se tu sganci che cosa succederà? Che la Perla un futuro lo avrà e risorgerà, risorgerà». La Uiltec Emilia Romagna ha dichiarato su Facebook: «Abbiamo bisogno di risposte definitive per questa azienda che rappresenta un pezzo storico della moda e dell’industria italiana. Un’azienda che da troppo tempo è in balia di scelte imprenditoriali poco responsabili». Al tavolo sono convocati i rappresentanti dell’azienda, di proprietà del fondo Tennor, controllato dal finanziere tedesco Lars Windhorst, delle parti sociali e i sindacati per fare il punto sulla crisi dell’azienda. La Perla ha pagato gli stipendi di luglio in ritardo, solo negli ultimi giorni e a breve dovrebbe versare quelli di agosto.

Le mosse di Mosca dopo il crollo del rublo per salvare l’economia e aggirare le sanzioni

Dopo avere subito una caduta libera nelle ultime settimane, il rublo ha toccato il 14 agosto i livelli più bassi da marzo 2022, poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Il dollaro ha sfondato la barriera psicologica dei 100 rubli e l’euro quella dei 110 rubli: dopo l’annuncio la valuta americana è scesa sotto i 99 rubli e quella europea sotto i 108. Ma non si può certo dire che l’allarme sia cessato. Per arginare il crollo, la Banca centrale della Federazione russa è corsa ai ripari aumentando i tassi di interesse, mentre nel Paese è scattata la (criticata) sperimentazione del rublo digitale.

Crollo del rublo, le mosse di Mosca per salvare l'economia russa e aggirare le sanzioni occidentali.
Russia, continua la svalutazione del rublo (Getty Images).

Riduzione delle esportazioni e aumento delle importazioni: i motivi del crollo

Nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina, il rublo si era fortemente svalutato, toccando un picco di 140 per un dollaro. Poi aveva registrato un periodo di performance positivo di circa sei mesi, nel corso dei quali aveva raddoppiato il suo valore raggiungendo il range dei 50-60 rubli per dollaro. Nel corso del 2023 ha però perso oltre il 30 per cento. Il Cremlino, da parte sua, ha attribuito la caduta libera alla «politica monetaria accomodante» della Banca di Russia. Nella riunione di emergenza del 15 agosto, la direttrice Elvira Nabiullina ha spiegato invece che l’indebolimento della moneta nazionale è provocato dalla forte riduzione del surplus delle partite correnti: in particolare a pesare è (causa sanzioni) la riduzione delle esportazioni di petrolio e gas, principali fonti di guadagno dall’estero per il Paese, e l’aumento delle importazioni dovuto allo sforzo bellico.

Crollo del rublo, le mosse di Mosca per salvare l'economia russa e aggirare le sanzioni occidentali.
Elvira Nabiullina (Getty Images).

La mossa della Banca Centrale di Russia: su i tassi di interesse

Vladimir Milov, ex viceministro attualmente in esilio, ha detto che Mosca si trova ad affrontare sorta di «carestia valutaria», poiché è sempre meno – appunto – la valuta che entra nel Paese. Nabiullina, salutata nel 2022 come l’artefice del salvataggio delle finanze russe di fronte alle sanzioni senza precedenti imposte dai Paesi occidentali, ha annunciato l’innalzamento dei tassi di interesse dall’8,5 al 12 per cento, provando a convincere tutti che l’economia di Mosca non è comunque in crisi. L’obiettivo è riportare l’inflazione al 4 per cento nel 2024, per poi stabilizzarla in futuro.

Crollo del rublo, le mosse di Mosca per salvare l'economia russa e aggirare le sanzioni occidentali.
Crollo del rublo, il Cremlino corre ai ripari (Getty Images).

Le elezioni si avvicinano, Putin teme il malcontento dei cittadini

Di tutto pur di arginare il crollo del rublo, che sta provocando un aumento dell’inflazione, con forte rialzo dei prezzi e abbassamento del tenore di vita dei cittadini russi. È già sceso molto e potrebbe scendere ancora. Molto banalmente, un rublo più debole significa cittadini più poveri. E questo è qualcosa che Vladimir Putin vuole evitare, in vista delle elezioni del 2024. Le sicurezze politiche dello zar non possono vacillare. Per proteggere il rublo dagli effetti delle sanzioni, la Russia ha cercato di sviluppare rapidamente alternative al sistema di pagamenti globali Swift – da cui le sue banche sono state in gran parte bandite – dedollarizzando le sue transazioni. Da qui il lancio del rublo digitale.

Crollo del rublo, le mosse di Mosca per salvare l'economia russa e aggirare le sanzioni occidentali.
Russia, avviata la sperimentazione del rublo digitale (Getty Images).

Al via la sperimentazione del rublo digitale

Mosca ha appena avviato la fase di prova di una versione digitale della sua valuta basata sulla tecnologia blockchain. La sperimentazione coinvolge con 13 banche russe e 600 cittadini volontari, con pagamenti possibili in 30 punti vendita dislocati in 11 città del Paese. «Vtb è stata la prima banca a condurre con successo transazioni con rubli digitali nella sua applicazione mobile», ha annunciato il secondo istituto bancario di Russia. «Le operazioni saranno gratuite per i cittadini e con una commissione minima per le imprese», ha detto la Bcr. A differenza delle criptovalute, anch’esse basate sulla blockchain (tecnologia che consente transazioni dirette da un libro mastro decentralizzato), il rublo digitale fa parte della Cbdc (“Central bank digital currency”), ampiamente controllata. Viene emesso direttamente dalla Banca centrale russa e conservato in portafogli elettronici. A supervisionare la sicurezza del sistema è direttamente l’Fsb e questo è un aspetto fortemente criticato: se le autorità dicono di volere un rublo digitale per rendere i pagamenti più sicuri, in molti ritengono invece che l’introduzione di una tale forma di moneta consentirà al governo di controllare ancora di più i cittadini. Fatto sta che la Russia è diventato il 21esimo Paese al mondo ad aver avviato la sperimentazione di una moneta digitale (11 quelli che hanno già introdotto una Cbdc): Mosca spera di estendere il rublo digitale a tutti i russi che lo desiderano «entro il 2025-2027», ha fatto sapere la Banca centrale.

Il debito pubblico cresce ancora: a giugno 2.843 miliardi

A giugno 2023 il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 27,8 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.843,1 miliardi. Lo ha reso noto la Banca d’Italia.

Crescono le disponibilità liquide del Tesoro e il fabbisogno delle amministrazioni

Da Palazzo Koch fanno sapere che: «L’incremento riflette la crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (14,2 miliardi, a 41,8), il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (12,3 miliardi), nonché l’effetto degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (1,3 miliardi)».

 

Trenitalia: accordo per duemila assunzioni e rinnovo del contratto a Italo

Trenitalia ha chiuso l’accordo che prevede duemila assunzioni, che superano del 50 per cento il turn over nei settori degli equipaggi, della manutenzione rotabili, del commerciale e degli uffici. «È stata mantenuta la promessa» ha commentato il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, che ha espresso «grande soddisfazione» per l’intesa raggiunta. Con Italo è stata siglata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto collettivo aziendale, scaduto a dicembre 2021, che avrà durata fino al 31 dicembre 2024.

Minimi: previsto aumento di 110 euro

Dal punto di vista economico sui minimi è previsto un aumento di 110 euro in due step, 80 euro a settembre e 30 euro ad agosto 2024 come quanto stabilito nel rinnovo del contratto nazionale delle attività Ferrovie che si applica al gruppo Fs. «Questo» – spiega Filt Cgil – «rappresenta un altro passo importante per equiparare condizioni contrattuali e salariali tra le due aziende ferroviarie». Il rinnovo del contratto di Italo prevede 800 euro di una tantum per la vacanza contrattuale ad agosto e 200 euro in welfare a settembre. Aumenti anche per le indennità di trasferta staff e la diaria per il personale degli equipaggi.

Fitch taglia il rating degli Usa da AAA a AA+

Fitch ha tagliato il rating a lungo termine degli Stati Uniti da AAA a AA+, con outlook stabile. Ora Moody’s è rimasta l’unica agenzia ad assegnare ancora la tripla A agli Usa. La decisione riporta alla memoria il downgrade choc di Standard & Poor nel 2011, nel mezzo del braccio di ferro per l’aumento del tetto del debito. La reazione della Casa Bianca, che ha parlato di «taglio che sfida la realtà», non si è fatta attendere. «Decisione arbitraria e obsoleta», ha dichiarato la segretaria al Tesoro Janet Yellen. Le Borse europee, in scia alle piazze asiatiche, hanno aperto in calo dopo che Fitch ha tagliato a sorpresa il rating Usa.

Fitch, le motivazioni del taglio al rating Usa

Il declassamento del rating «riflette il previsto deterioramento di bilancio nei prossimi tre anni», afferma Fitch, sottolineando come «i ripetuti stalli politici sul limite del debito» e le «risoluzioni dell’ultimo minuto» abbiano eroso la fiducia nella gestione del bilancio. Secondo Fitch, l’inasprimento delle condizioni di credito, l’indebolimento degli investimenti delle imprese e il rallentamento dei consumi potrebbero portare a una lieve recessione dell’economia a stelle e strisce nel quarto trimestre del 2023 e nel primo del 2024. Il pil Usa, stima l’agenzia, crescerà quest’anno dell’1,2 per cento, in deciso rallentamento rispetto al +2,1 per cento del 2022, per poi fermarsi al +0,5 per cento nel 2024. Fitch prevede poi per gli States un debito al 112,9 per cento del pil nel 2023, al di sopra dei livelli pre-pandemia e della media del 39,3 per cento dei Paesi con rating AAA. In questo quadro rientra anche l’aumento dei tassi di interesse da parte della Fed a settembre, per Fitch praticamente scontato.

Fitch taglia il rating degli Usa da AAA a AA+. La decisione riporta alla memoria il downgrade choc di S&P nel 2011.
Janet Yellen (Getty Images).

La Casa Bianca: «Profondamente in disaccordo»

La Casa Bianca è «profondamente in disaccordo con la decisione di Fitch», afferma la portavoce Karine Jean-Pierre, sottolineando che il downgrade «sfida la realtà in un momento in cui il presidente Joe Biden ha ottenuto la ripresa più veloce fra le maggiori economie». La modifica di Fitch Ratings annunciata oggi «è arbitraria e basata su dati obsoleti», si legge in una nota diffusa dalla segretaria al Tesoro Yellen. «La decisione non cambia ciò che gli americani, gli investitori e le persone di tutto il mondo già sanno: che i titoli del Tesoro rimangono il principale asset sicuro e liquido del mondo e che l’economia americana è fondamentalmente forte».

Fitch taglia il rating degli Usa da AAA a AA+. La decisione riporta alla memoria il downgrade choc di S&P nel 2011.
Borsa di Parigi (Ansa).

Le borse di Asia ed Europa aprono in calo 

Borse di Asia e Pacifico in rosso dopo che Fitch ha tagliato a sorpresa la tripla A agli Usa. Giù Tokyo che frenata dai tecnologici, lascia sul terreno il 2,3 per cento. Male, a scambi in corso, anche Hong Kong (-2,35 per cento). Più contenuta la flessione di Shanghai (-1 per cento) e Shenzhen (-0,4 per cento). Anche le Borse europee, in scia alle Piazze asiatiche, hanno aperto in calo: Parigi cede l’1,26 per cento, Francoforte lascia sul terreno l’1,31 per cento, mentre Londra perde lo 0,87 per cento.

Ita Airways chiude in perdita ma Lazzerini si prende il premio

Ita Airways, ovvero l’incubo di tutti i contribuenti, destinata si spera prima possibile a finire tutta nelle mani di Lufthansa, ha chiuso il 2022 con quasi 500 milioni di perdite. Cosa che però non ha impedito al suo ad Fabio Lazzerini di prendersi per quell’esercizio (sulla busta paga di fine giugno) il Premio di Risultato (MBO). Poco più di 300 mila euro, ovvero l’80 per cento della sua Ral che è di circa 400 mila euro l’anno. E questo nonostante la compagnia continui a perdere 1,5 milioni al giorno. E lo Stato ci debba ancora mettere 250 milioni per tenerla in piedi e poterla consegnare ai tedeschi. Ma il Mef e il suo titolare Giancarlo Giorgetti lo sanno o sono azionisti a loro insaputa?

La precisazione del Mef

Gentilissimo direttore,
in riferimento all’articolo Ita Airways chiude in perdita ma Lazzerini si prende il premio pubblicato oggi su Lettera43, si precisa, con richiesta di rettifica, che il premio relativo al bilancio di esercizio 2022 è stato ottenuto dall’amministratore delegato e i dirigenti apicali in relazione a regole stabilite dal precedente Cda della compagnia aerea. L’attuale Cda, nominato dal Mef il 16 novembre 2022, non ha riconosciuto la totalità del premio di risultato poiché la Compagnia non ha raggiunto la totalità degli obiettivi prefissati,
Un cordiale saluto

Iva Garibaldi
Ministero Economia e Finanze
Portavoce e Capo Ufficio Stampa del ministro

 

 

 

In Confindustria è già partita la giostra per il dopo Bonomi

Ufficialmente si parte il prossimo gennaio con la nomina della commissione di designazione e la scelta dei saggi, ma il mondo confindustriale è già in ebollizione: c’è da scegliere il successore di Carlo Bonomi alla presidenza e si moltiplicano gli incontri carbonari e la visibilità dei potenziali candidati. L’opinione comune è che, questa volta, alla guida di Confindustria ci voglia un imprenditore con una azienda grande e visibili, possibilmente manifatturiera. Non certo uno di quelli che l’avvocato Agnelli chiamava «i professionisti di Confindustria», il cui peso nell’organizzazione era inversamente proporzionale a quello che avevano come imprenditori.

In Confindustria è già partita la giostra per il dopo Bonomi
Carlo Bonomi e Giorgia Meloni all’assemblea di Assolombarda (Imagoeconomica).

Per ora si scaldano i vice Marenghi e Orsini

Un presidente che possa stare al tavolo del governo senza sudditanze e senza pensare ogni momento a che lavoro dovrà fare alla scadenza del mandato. Eppure, nonostante l’identikit ipotizzato nei conciliaboli sia questo, per ora a scaldarsi sono i vice presidenti in carica: Alberto Marenghi (1976), sposato con Maddalena Morgante, eletta alla Camera nelle ultime elezioni con Fratelli d’Italia, e amministratore delegato di un paio di piccole cartiere mantovane ed Emanuele Orsini (1973), vicepresidente al Credito, anche lui titolare di una media impresa del legno. Partono entrambi con un buon supporto e molte ostilità. Il primo è il candidato favorito dell’uscente Bonomi e da mantovano può contare sul consenso di uno dei big storici, Emma Marcegaglia, che dopo la Luiss punta alla presidenza del Sole 24 Ore. Per il secondo molti pensano che se verrà candidato potrebbe ripetere un copione già visto: far confluire i suoi voti su un altro presidente, come è successo con Bonomi. Per entrambi, però, ci sono non poche incognite da superare, soprattutto se si punta, come molti auspicano, al ritorno in viale dell’Astronomia di un big del sistema industriale. Un imprenditore che, forte di fatturato e relazioni, possa risollevare Confindustria dalla crisi di rappresentanza in cui è via via precipitata. E dunque interloquire senza nessuna sudditanza con i palazzi della politica.

In Confindustria è già partita la giostra per il dopo Bonomi
Alberto Marenghi (Imagoeconomica).

Roma e Lazio puntano su Stirpe, i veneti potrebbero accordarsi su Carraro, Beltrame Giacomello o Zoppas

Dietro le quinte si lavora perciò a costruire altre candidature. La potente associazione di Roma e Lazio, con il supporto di un veterano e king maker con Luigi Abete, non nasconde il favore per Maurizio Stirpe (1958), vicepresidente per le Relazioni Industriali, imprenditore di successo alla guida di una florida azienda della filiera automotive basata a sud di Roma. Stirpe sarebbe un nome forte, ma avrebbe già espresso la sua indisponibilità dopo l’improvvisa morte del fratello che lo costringe a dedicarsi a tempo pieno alle sue aziende. I veneti, uniti per la prima volta in quella che è diventata la prima o seconda associazione italiana per iscritti e fatturato, Confindustria Veneto Est, potrebbero rivendicare una presidenza che non vedono da decenni. Ma si metteranno d’accordo sul nome? Sarà Enrico Carraro, attuale presidente di Confindustria Veneto, Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente nazionale all’Internazionalizzazione o Matteo Zoppas, che dopo aver guidato Confindustria Venezia e Veneto ora è presidente dell’Ice?

In Confindustria è già partita la giostra per il dopo Bonomi
Maurizio Stirpe (Imagoeconomica).

Avanza anche il nome di Gozzi

Ma i veti incrociati potrebbero alla fine far convergere anche su un nome, per ora rimasto sotto traccia, che coglie a pieno l’identikit gradito dalla base. Si tratta di Antonio Gozzi (1954), presidente di Federacciai, un lungo cursus onorum confindustriale e presidente della Duferco, azienda da 40 miliardi di euro di fatturato e 2.500 dipendenti. A lui i colleghi riconoscono coraggio e determinazione oltre a una forte competenza sui temi energetici e geopolitici. Tuttavia un sussurro fa ipotizzare anche altre soluzioni. Per la prima volta, una modifica dello statuto approvato tempo fa consente la nomina anche di un past president. Abete e Marcegaglia hanno già fatto sapere di non essere disponibili, ma c’è chi vede nel rinnovato attivismo di Antonio D’Amato un germe di una volontà di tornare in pista. E chi lo conosce sa che quando lui si muove le acque non rimangono calme.

In Confindustria è già partita la giostra per il dopo Bonomi
Antonio Gozzi (Imagoeconomica).

Caro voli, ultimatum del garante: spiegazioni delle compagnie aeree entro 10 giorni

A seguito degli aumenti medi dei biglietti aerei del 40% su base annua (dati Istat), il garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, ha chiesto alle principali compagnie aeree «spiegazioni precise sulle dinamiche dei prezzi e in particolare su determinate tratte che hanno visto una variazione anomala, che dovranno essere fornite entro 10 giorni».

Il garante per la sorveglianza dei prezzi ha chiesto alle principali compagnie aeree spiegazioni sugli aumenti del costo dei biglietti aerei.
Acquisto biglietti aerei (Getty Images).

Le compagnie coinvolte

La richiesta del garante è stata rivolta a Ita, Ryanair, Malta Air, Aeroitalia, Easyjet, Neos e Wizz Air. Secondo l’Istat, in un anno i prezzi sono aumentati esattamente del 43,9%. Il ministero delle imprese e del made in Italy ha reso noto che il 20 luglio si terrà la commissione per il monitoraggio dei prezzi, con l’obiettivo di confrontare i dati forniti dalle imprese con quelli già disponibili.

Ponte sullo Stretto, la speranza di Salini: «Pronti per marzo a iniziare»

Dopo la recente approvazione del decreto sulla realizzazione del ponte sullo Stretto, avvenuta il 16 marzo scorso da parte del Consiglio dei ministri, Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, società capofila del consorzio impegnato nella costruzione della M4, a margine dell’inaugurazione della stazione di San Babila della nuova linea a Milano, ha confermato la possibilità di iniziare i lavori per marzo 2024: «Spero di poter dire al ministro che siamo pronti per marzo a iniziare fisicamente le opere».

Ponte sullo stretto: «Un sogno per gli italiani»

Salini ha usato queste parole per definire il ponte sullo sullo Stretto: «Penso che il ponte di Messina sia un sogno per gli italiani che deve essere realizzato esattamente come abbiamo trasformato in realtà il sogno dei milanesi» riferendosi alla realizzazione  della linea 4 della metropolitana. Ha inoltre fornito ulteriori dettagli «Abbiamo già cominciato le attività di aggiornamento progettuale. Dobbiamo riuscire a fare sì che queste grandi opere non siano solo sfide di terreno politico ma diventino invece vita per i cittadini, futuro per i ragazzi e capacità di attrarre talenti».

Pietro Salini, durante l'inaugurazione della linea M4 a Milano, si è espresso sull'inizio lavori del ponte sullo Stretto.
Pietro Salini, ad Webuild (foto Imagoeconomica).

Occorre tornare a essere «leader nelle infrastrutture»

Essere attuativi per essere attrattivi potrebbe essere la sintesi della parte conclusiva del discorso dell’ad della ex Salini Impregilo diventata Webuild nel 2020: «Dobbiamo portarci presto a questa capacità che abbiamo avuto in passato di essere leader nelle infrastrutture, abbiamo insegnato al mondo a costruire le strade, bisogna solo ricordare ai romani che cosa sono stati nel mondo, e come hanno esportato civiltà attraverso i trasporti. Questo può fare oggi l’Italia ancora, insegnando alle persone come si fanno i ponti».

Scannapieco punta alla vicepresidenza della Banca mondiale

Il suo obiettivo era di tornare alla Bei, di cui era vice presidente e da cui si è staccato per rispondere alla chiamata di Mario Draghi che lo voleva alla guida di Cassa depositi e prestiti. Ma il governo ha preferito puntare su Daniele Franco, l’ex ministro dell’Economia che dopo aver lasciato via XX Settembre è in attesa di una ricollocazione (avrebbe voluto sostituire Ignazio Visco in Bankitalia, ma con Fabio Panetta non c’era partita). Così ora Dario Scannapieco, sapendo che Giorgia Meloni non ha alcuna intenzione di riconfermargli l’incarico che scadrà nel 2024, ha messo nel mirino la poltrona di vicepresidente della Banca mondiale, dove Ajay Banga, ex presidente di Exor, è appena stato eletto presidente.

Perché le rate dei mutui sono salite così tanto e non torneranno più come prima: lo spiega un economista


Nell'ultimo anno le rate dei mutui a tasso variabile sono cresciute molto rapidamente, in alcuni casi anche più del 60%. Dietro questo aumento c'è la decisione della Bce di tornare ad alzare i tassi d'interesse, dopo più di dieci anni, per mettere un freno all'inflazione. Il professor Valerio Pesic, dell'Università La Sapienza di Roma, ha spiegato a Fanpage.it cosa ci si può aspettare in futuro.
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Evasori totali in Italia, +54 per cento in 17 mesi: sono quasi 9 mila

Crescono gli evasori totali in Italia, ossia coloro che non hanno pagato nemmeno un euro di tasse. La Guardia di finanza ne ha individuati 8 mila 924 tra il primo gennaio 2022 e il 31 maggio 2023, circa 3 mila in più rispetto allo stesso periodo a cavallo tra 2021 e 2022, quando furono 5 mila 762 (variazione +54 per cento). I dati sono contenuti nel recente bilancio operativo diffuso in occasione del 249esimo anniversario della fondazione della Gdf. In crescita anche il valore dei sequestri di beni frutto delle frodi, salito da 2,2 a 4,8 miliardi di euro. Quanto alla lotta all’evasione fiscale, le Fiamme gialle hanno denunciato per reati tributari quasi 20 mila soggetti, di cui 438 arrestati. Poco oltre i mille invece i casi internazionali.

Non solo evasori totali, nel rapporto anche contraffazione e immigrazione clandestina

Nel rapporto della Guardia di finanza, si legge come i controlli abbiano individuato nello stesso lasso di tempo 45 mila lavoratori in nero oppure irregolari. Ampio anche il capitolo dedicato alla lotta contro la criminalità organizzata. Ammontano infatti a circa 3,4 miliardi di euro i beni confiscati o sequestrati. Il valore di beni mobili e immobili, aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie è invece di 3,9 miliardi di euro. Nel contrasto alle mafie, la Gdf ha sottoposto ad accertamenti patrimoniali 17 mila 783 soggetti. Tra i provvedimenti, come riporta l’Ansa, si citano anche 1159 misure di prevenzione nei confronti di individui di connotata «pericolosità economico-finanziaria», cui sono conseguiti sequestri per 1,7 miliardi e confische per 756 milioni di euro.

Il nuovo rapporto della Guardia di finanza ha riscontrato 3 mila evasori fiscali in più rispetto al 2021. Sequestrati beni per 4,8 miliardi.
Un motoscafo della Guardia di finanza (Imagoeconomica).

La Guardia di finanza ha presentato anche i dati sulla lotta all’immigrazione clandestina. Da gennaio 2022 le Fiamme gialle hanno arrestato 305 scafisti, mentre i reparti aeronavali hanno tratto in salvo circa 46 mila migranti. Quanto invece al contrasto del riciclaggio e dell’autoriciclaggio, i finanzieri hanno denunciato poco più di 5 mila persone, di cui 379 arrestate. Sequestrati beni per un valore di oltre 1,7 miliardi. Infine, le segnalazioni di operazioni sospette ammontano complessivamente a 240 mila, di cui 750 inerenti il finanziamento al terrorismo. Nel rapporto anche i dati sulla lotta alla contraffazione, per cui si registrano sequestri di oltre 700 milioni di prodotti con la falsa indicazione del Made in Italy. Fra questi, circa 15 milioni di litri di vino e spumante con marchi industriali fittizi.

L’effetto Palenzona sulla tregua nel Real Estate di Milano

LEGGI ANCHE: Palenzona ci scrive

A Milano, dopo le tensioni dei mesi passati, nell’immobiliare sembra essere arrivati a una pace per quanto, visti gli appetiti che si muovono nel settore, non si sa quanto possa essere duratura. Ma la odierna fotografia della situazione del Real Estate meneghino sembra aver consolidato i nuovi assetti e le strategie finanziarie che intorno a essi si muovono.

Immobiliare e banche, partita incrociata

L’ascesa di Fabrizio Palenzona alla guida di Fondazione Crt nonché dell’associazione che raggruppa tutte le fondazioni bancarie di Piemonte e Liguria ha prodotto effetti diversi a seconda che si parli di ambito bancario o immobiliare. Se sul primo, come si è dato conto su queste colonne, il dinamismo è notevole soprattutto sull’asse che vede Bpm perno di un possibile terzo polo nazionale, sul secondo la competizione tra grandi attori si è tramutata in cooperazione.

Le mosse di Palenzona verso Crt, tra Cirio e Lo Russo
Il banchiere Fabrizio Palenzona.

Le due cordate in campo

Banche, fondazioni e protagonisti del mattone sembrano far convergere i propri investimenti su un comune interesse di sistema, ovvero la crescita di Milano e dei suoi grandi progetti infrastrutturali ed edilizi. Nulla di ufficiale e labbra cucite tra gli operatori del mercato e della finanza, ma in quest’ottica è curiosa l’emersione di un “patto incrociato” che vincola reciprocamente le differenti cordate in campo. Tradizionalmente l’asse banche-fondazioni-real estate ne vedeva due competere per la supremazia cittadina. Da un lato, quella del sistema-Palenzona. Costituita da Unicredit, banca di cui è stato a lungo vicepresidente, dal fondo immobiliare italiano Prelios di cui l’ex politico e manager di Novi Ligure è presidente, in alleanza con Hines e Fondazione Crt. Dall’altro, l’impero Intesa San Paolo-Fondazione Cariplo affiancato da Coima, il fondo immobiliare del costruttore Manfredi Catella.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Manfredi Catella (dal sito Coima).

Verso un nuovo equilibrio

Gli accordi sul terreno per la spartizione di progetti dall’alto impatto sistemico come MilanoSesto e il Villaggio Olimpico, accelerati dopo l’ascesa di Palenzona a Crt, sono il terreno su cui si sta costruendo la possibile intesa. A cui potrebbero contribuire i nuovi assetti in Fondazione Cariplo, in cui l’elezione a presidente dell’ex rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone è l’ultimo colpo del “grande vecchio” Giuseppe Guzzetti. Che, da buon democristiano, è uomo certamente abituato a smussare conflitti e tensioni più che a cimentarsi in aspre battaglie. Per ora il riassetto nelle fondazioni, polmone e centro di confronto tra interessi, è servito da deterrente. Lo si è visto con la fine della querelle su MilanoSesto, dove a Prelios e agli americani di Hines mirava a sostituirsi in toto Manfredi Catella con Coima. Il motivo? Il fatto che il principale sostenitore del più grande progetto europeo di rigenerazione urbana fosse Intesa San Paolo, il cui l’azionista Cariplo era, tramite Redo Sgr, alleata di Coima nel tentativo di acquisto dei diritti sul progetto detenuti da Prelios e Hines.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Il render del Villaggio Olimpico (dal sito scaloportaromana).

MilanoSesto, laboratorio della tregua immobiliare milanese

«Toccherà agli storici dirimere il quesito se quella di Sesto San Giovanni», combattutasi ai primordi della primavera, «sia stata una vera guerra o solo una scaramuccia», ha scritto Dario Di Vico su Il Foglio. «Di sicuro la pace è stata raggiunta e, sembra, con reciproca soddisfazione di tutti i contendenti. Una pace imperniata, e non avrebbe potuto essere diversamente, sul ruolo di Intesa Sanpaolo che nell’operazione immobiliare aveva investito dall’inizio 900 milioni e, giustamente, voleva capire meglio in che direzione si stesse andando». Catella non ha conquistato l’intero pacchetto di MilanoSesto ma, in asse con Redo, ha ottenuto il social housing del nuovo progetto che da sempre fa molta gola a Cariplo, per un controvalore di 100 milioni di euro. A Hines e Prelios resta la parte di uffici e quella dell’edilizia a fini produttivi e economici ad alto valore aggiunto. Prelios a suo volta resta centrale nel progetto a guida Intesa di MilanoSesto. E Coima e Cariplo si muovono con attenzione su Porta Nuova, dove si trova il grattacielo sede di Unicredit, partecipata da Crt. Mentre Coima e Catella sono in prima fila in progetti come Pirelli 39 e la nuova skyline di Via Melchiorre Gioia.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Il progetto MilanoSesto (dal sito Milanosesto).

Progetti complementari tra nord e sud della città

Del resto, la Milano verticale che cresce fa gola a tutti. I piani a guida Prelios-Hines di MilanoSesto per la riqualificazione dell’area delle acciaierie Falck sono destinati a essere complementari al grande progetto di Coima, il Villaggio Olimpico nell’ex Scalo di Porta Romana. Attorno a cui sorgeranno progetti legati agli studentati, all’housing sociale delle università pubbliche e ai nuovi alloggi della Bocconi, che a due passi dal futuro Villaggio Olimpico ha il suo nuovo campus.

C’è spazio per tutti, anche per Generali e Covivio

Insomma, dopo mesi di tensioni si è giunti all’idea che a Milano ci sia spazio per tutti. Anche per l’arrivo di nuovi attori. Oltre alle suddette due cordate, infatti, gli operatori seguono con interesse anche le mosse di Generali Real Estate e Covivio. La prima sta entrando in punta di piedi tra hotel e housing, forte del legame con un’azionista chiave come Mediobanca. Il secondo è il fondo legato all’eredità dell’impero di Leonardo Del Vecchio, che sembra giocare, per ora, all’ombra di Catella. Symbiosis, il distretto direzionale di Via Adamello vicino a Fondazione Prada, e le nuove torri del quartier generale di Snam sorgeranno con Covivio all’ombra del Villaggio Olimpico. Ma il gruppo Delfin, braccio finanziario della famiglia di Agordo, intende muoversi slegandosi dai grandi giochi finanziari. Il recente annuncio dell’imminente delisting da Piazza Affari di Covivio appare un ramoscello d’ulivo che lo svincola dalle grandi partite finanziarie e fa del real estate il business chiave del gruppo. E in un certo senso sembra favorire la distensione a cui tutti stanno lavorando. Quanto durerà lo scopriremo nei prossimi mesi.

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