Pagamento Assegno Unico a dicembre 2023: date accredito Inps e come regolarizzare l’Isee


L’assegno unico di questo mese verrà accreditato il 18, 19 e 20 dicembre 2023 alle famiglie per le quali la rata non ha subito nessuna variazione, dal 20 al 31 dicembre per chi ha subito una variazione dell'importo rispetto a novembre. I genitori che sono anche percettori del reddito di cittadinanza lo riceveranno dal 27 dicembre 2023 insieme all'Rdc. Vediamo quali nuclei potrebbero vedere ridotti gli importi e come fare per porre rimedio.
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Decreto flussi, sabato 2 dicembre il primo click day per i lavoratori stranieri

Fra sabato 2, lunedì 4 e martedì 12 dicembre avranno luogo i primi tre click day previsti dal ministero dell’Interno, relativi agli ingressi regolari per lavoratori stranieri. Saranno complessivamente 136mila i lavoratori non comunitari che potranno entrare regolarmente in Italia grazie al decreto flussi 2023, di cui 52.770 per lavoro subordinato non stagionale, 680 ingressi per lavoro autonomo e 82.550 ingressi per lavoro subordinato stagionale.

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Inoltrate già oltre 600 mila domande

Per agevolare le operazioni, dal 30 ottobre al 26 novembre 2023, era stata data la possibilità di precompilare i moduli di domanda, tramite il “Portale servizi Ali”. Al termine della fase di precompilazione, risultano inserite 607.904 istanze, delle quali, in particolare, 253.473 relative al lavoro subordinato non stagionale, 260.953 relative al lavoro stagionale, 86.074 al settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria. Le domande potranno essere trasmesse, in via definitiva, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, a decorrere dalle 9 di sabato 2 dicembre per i lavoratori non stagionale, dalle 9 del 4 dicembre per il settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria e dalle 9 del 12 dicembre per lavoro stagionale.

 

 

Fine del mercato tutelato su gas e luce: cosa accade ora, date e regole da sapere

Nel Decreto energia approvato martedì dal consiglio dei Ministri non è prevista la proroga del mercato tutelato di luce e gas, il regime in cui prezzi e condizioni contrattuali erano definite dall’Arera e non dalla concorrenza. Dopo la decisione del governo, che cosa succederà alle 15 milioni di utenze di famiglie e clienti di piccole dimensioni che ancora non hanno scelto di aderire al mercato libero? Vediamo tutte le possibilità, le date e le regole da sapere.

Le opzioni disponibili per famiglie e imprese

Le famiglie e le partite Iva dovranno sottoscrivere un nuovo contratto dal 10 gennaio per il gas, e dal primo aprile per l’elettricità, date in cui i prezzi del mercato tutelato decadranno. I clienti interessati dal passaggio dovrebbero già aver ricevuto dai rispettivi venditori una lettera in cui sono illustrate le possibili offerte e alcuni chiarimenti sulle scadenze. Si dovrà decidere se conservare l’attuale operatore accettando la nuova offerta proposta, oppure rivolgersi ad altri venditori. Anche nel mercato libero sono previste tutele per i consumatori, in quanto i fornitori dovranno indicare nelle bollette una serie di informazioni obbligatorie, e non potranno modificare in modo unilaterale un contratto senza un preavviso di almeno tre mesi. Chi non opta né per la prima né per la seconda scelta, da gennaio 2024 verrà trasferito automaticamente a una fornitura Placet (cioè a prezzo libero a condizioni equiparate di tutela) con lo stesso venditore.do

Le categorie esentate dal passaggio

Sono esentati dall’obbligo di questo passaggio i cosiddetti “vulnerabili“: gli over 75, chi gode di bonus perché in particolari condizioni economiche, chi ha in casa i macchinari salvavita e chi beneficia della legge 104. Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha comunque fatto sapere che istituirà un tavolo per studiare modalità di passaggio graduale per le famiglie.

Lavoratori introvabili: le figure professionali più cercate in Italia

Nel 2023 le imprese mostrano una propensione all’assunzione più elevata rispetto all’anno precedente, ma riscontrano difficoltà nel reperire lavoratori con le competenze richieste. Il Bollettino annuale 2023 del Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, fornisce uno sguardo approfondito sulla situazione. Il report evidenzia che le aziende hanno programmato oltre 5,5 milioni di assunzioni nel 2023, sia con contratti a tempo indeterminato sia determinato, registrando un aumento di 330 mila unità rispetto al 2022 (+6,4 per cento) e quasi 894 mila rispetto al 2019 (+19,4 per cento). Tuttavia, il problema per i datori di lavoro è il cosiddetto mismatch, ovvero il disallineamento tra domanda e offerta.

Tra gli “introvabili” spiccano ingegneri e operatori sanitari

Analizzando i settori, si osserva che la filiera del turismo guida le assunzioni con oltre un milione e 100 mila contratti previsti (+160 mila rispetto al 2022 e +291 mila rispetto al 2019), seguita dal commercio con quasi 749 mila contratti (+77 mila e +59 mila rispettivamente), dalle costruzioni (+40 mila e +177 mila, per un totale di 549 mila assunzioni) e dalle industrie manifatturiere (con 957 mila entrate, +22 mila sul 2022 e +103 mila sul 2019). Si registra, però, una quota di criticità del 60,3 per cento per gli operai specializzati. Tra le figure professionali introvabili spiccano gli ingegneri (con un 80,7 per cento di criticità su quasi 5 mila assunzioni programmate), le professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche (all’80,3 per cento su 42 mila ricerche delle imprese) e i tecnici delle costruzioni civili (con il 79,3 per cento di difficoltà rispetto alle oltre 8 mila assunzioni).

Le difficoltà di reperimento più significative al Nord-Est

La richiesta è elevata, ma la disponibilità di lavoratori è limitata per varie ragioni, dalle dinamiche demografiche ai salari contenuti, dalla formazione inadeguata alle prospettive di carriera più favorevoli (non solo in termini salariali) all’estero. Si legge nel report: «Le difficoltà di reperimento più significative si registrano nell’area del Nord-Est (50,4 per cento). Prossime al valore medio le criticità che emergono nel Nord-Ovest (al 45,9 per cento), mentre i dati sono più contenuti per il Centro (43,2 per cento) e per il Sud e Isole (40,9 per cento). Tutte le aree condividono comunque difficoltà di reperimento in aumento rispetto al 2022».

Enel intende chiudere tutti gli impianti a carbone entro il 2027

Il Gruppo Enel intende proseguire con la riduzione delle proprie emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra, in linea con l’accordo di Parigi e con lo scenario di 1,5 gradi centigradi, come certificato dalla Science based targets initiative. Lo ha fatto sapere il gruppo energetico indicando il proprio piano di riduzione nella strategia 2024-2026, specificando che conferma «l’obiettivo di chiudere tutti i rimanenti impianti a carbone entro il 2027, previa autorizzazione delle autorità competenti».

Per la riconversione Enel valuterà le migliori tecnologie disponibili

I rimanenti impianti a carbone di Enel in Italia sono cinque, e il gruppo energetico aveva precedentemente annunciato l’intenzione di chiuderli entro il 2025, un obiettivo mancato anche a causa della necessità di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico italiano a seguito della guerra in Ucraina. Per quanto riguarda la riconversione degli impianti a carbone, Enel valuterà «le migliori tecnologie disponibili, sulla base delle esigenze indicate dai gestori delle reti di trasmissione. Il gruppo, infine, ha confermato la sua ambizione di raggiungere zero emissioni in tutti gli Scope entro il 2040». Le emissioni vengono suddivise in tre categorie: scope 1, che comprende le emissioni dirette controllate dall’organizzazione; scope 2, che riguarda le emissioni indirette legate alla produzione di elettricità, vapore o calore; scope 3, che include le emissioni indirette provenienti dalla catena del valore dell’azienda.

Bonus occhiali 2023 in scadenza: cos’è, a chi spetta e come richiederlo

Fino al 31 dicembre 2023, coloro che fanno parte di un nucleo familiare con Isee non superiore a 10 mila euro hanno la possibilità di richiedere un bonus di 50 euro destinato all’acquisto di occhiali da vista o lenti a contatto. Nonostante i fondi siano in fase di esaurimento, la piattaforma per la presentazione delle domande rimane operativa.

Bonus occhiali: cos’è e come funziona

Il bonus occhiali, o bonus vista, è stato istituito dalla legge di Bilancio 2021 e successivamente regolamentato attraverso il decreto del ministro della Salute, in accordo con il ministro dell’Economia e delle Finanze, datato 21 ottobre 2022. Si tratta di un contributo sotto forma di voucher una tantum del valore di 50 euro, destinato all’acquisto di occhiali da vista o lenti a contatto correttive. In particolare, l’articolo 6 ha stabilito che per gli acquisti effettuati dal primo gennaio 2021 fino al 4 maggio l’agevolazione potesse essere erogata tramite rimborso diretto di 50 euro sulla spesa sostenuta. L’articolo 7, invece, prevede che i dati relativi ai rimborsi erogati ai richiedenti siano successivamente comunicati all’Agenzia delle entrate per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.

Bonus occhiali: come richiederlo

Per presentare la richiesta, è sufficiente connettersi al sito www.bonusvista.it e compilare in modalità telematica il modulo utilizzando Spid di livello 2 o superiore, Carta d’identità elettronica 3.0 (Cie) o Carta nazionale dei servizi (Cns). È inoltre necessario allegare la Dichiarazione Sostitutiva Unica (Dsu), il documento comprovante la spesa, specificare la Partita Iva del rivenditore, l’Iban del conto corrente del richiedente o del beneficiario, nonché la data e l’importo della spesa sostenuta (comprensiva di Iva). Il rimborso sarà effettuato dopo la verifica dei dati forniti. È possibile monitorare lo stato di avanzamento accedendo alla piattaforma e visualizzando lo stato della richiesta.

Best global brands 2023, Apple marchio più influente: nella lista anche Gucci, Prada e Ferrari

La classifica Best global brands 2023, stilata da Interbrand, ha incoronato Apple come marchio più influente al mondo per l’undicesimo anno di fila. L’Italia è rappresentata da Gucci (34esimo), Ferrari (70esimo) e Prada (86esimo) che rientrano nella classifica, guidata da Airbnb, dei marchi con il più ampio margine di crescita in un anno.

Il comparto tech domina la classifica

Dal 1988 Interbrand stila la propria classifica dei 100 marchi più influenti analizzando, per ogni azienda, il valore finanziario, la capacità di influenza sulla scelta dei consumatori e la sua competitività. Subito dopo Apple, nella top 10 di quest’anno ci sono Microsoft, Amazon, Google, Samsung, Toyota, Mercedes-Benz, Coca-cola,Nike, Bmw. Rispetto al 2022 Disney non compare più tra i migliori 10, sostituita da Bmw e superata da Nike. Le aziende automobilistiche Mini e Land Rover sono state invece estromesse dalla lista da Oracle (19esimo) e Nespresso (98esimo). Ma a caratterizzare la classifica del 2023 è il comparto tech, che costituisce quasi il 50 per cento del valore complessivo dei marchi analizzati. Sono 11 i colossi tecnologici che compongono la lista: Apple, Microsoft, Amazon, Google, Samsung, Adobe, Intel, Airbnb, Philips, Xiaomi e Huawei.

Best global brands 2023: è Apple il marchio più influente. Nella lista anche Gucci, Prada e Ferrari
Microsoft è il secondo marchio più influente al mondo nella lista di Interbrand (Getty Images).

Il ruolo etico e geopolitico dei marchi

Nonostante la congiuntura economica di generale stagnazione che ha caratterizzato il mercato globale dopo la pandemia di Covid-19, alcuni brand sono riusciti a registrare margini di crescita. Secondo Lidi Grimaldi, la chief operating officer di Interbrand a Milano, questi risultati dipendono dalla capacità delle aziende di fare leva sulle nuove sensibilità sociali. In un’intervista a Wired, ha spiegato: «Oggi i concetti di etica e sostenibilità comunicati dal marchio sono gli elementi di base per conquistare la fiducia dei consumatori». Ma il settore tech sta comunque registrando una crescita contenuta, a causa sia della scarsità della circolazione delle materie prime dopo la pandemia, sia delle tensioni geopolitiche attuali, in primis la guerra in Ucraina e le tensioni tra Stati Uniti e Cina. In particolare, Grimaldi ha ricordato a Wired quando ad agosto del 2023 Pechino ha vietato ai propri funzionali di utilizzare i prodotti di Apple, durante l’apice dello scontro diplomatico tra Cina e Usa. Nelle due giornate successive all’annuncio del divieto, Apple ha perso circa 200 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato.

L’Italia si conferma eccellenza europea nel settore del riciclo dei rifiuti

L’Italia si conferma eccellenza europea nel settore del riciclo dei rifiuti, pienamente in corsa per il raggiungimento degli obiettivi Ue al 2025 e al 2035. Il riciclo dei rifiuti urbani ha raggiunto quota 51,4 per cento (l’obiettivo del 2025 è 55 per cento), quello degli imballaggi il 72,8 per cento (ben oltre il target del 65 per cento al 2025). Maggiore impegno servirà per dimezzare, di qui al 2035 la quota di rifiuti che oggi finiscono in discarica, il 20,1 per cento.

L’Italia è tra i nove stati Ue più virtuosi nel riciclo dei rifiuti

Lo ha rivelato il rapporto annuale L’Italia che ricicla di Assoambiente, l’associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo e bonifiche. L’Italia di fatto rientra tra i nove Stati membri dell’Ue virtuosi nella gestione dei rifiuti. Sono ben 18 (tra cui anche Francia, Spagna, Portogallo e Svezia) quelli che risultano ancora lontani dal raggiungimento dei target definiti. Addirittura otto Stati membri collocano ancora in discarica più del 50 per cento dei propri rifiuti urbani. Nel report di quest’anno Assoambiente ha inserito dieci richieste per le istituzioni nazionali ed europee: sostegno ai materiali riciclati, quote di riciclato nei prodotti, Iva agevolata per le materie ottenute dal riciclo, recupero energetico complementare al riciclo, iter autorizzativi più rapidi e certi, ecodesign, nuovi schemi di responsabilità del produttore di beni, decreti End of Waste, regole comuni nella Ue sul trasporto dei rifiuti, e una maggiore chiarezza nell’impianto di regole disegnato da Arera e applicato dalle varie amministrazioni pubbliche.

Pil, Confindustria: «La crescita dell’Italia è ferma, colpa dei tassi ai massimi»

All’indomani della valutazione di Moody’s, che ha confermato il rating dell’Italia a Baa3 e alzato l’outlook da negativo a stabile, Confindustria ha lanciato l’allarme sulla crescita del nostro Paese. «Il Pil è rimasto fermo nel terzo trimestre e gli indicatori dicono che all’inizio del quarto l’attività nei servizi è in lieve calo, come nell’industria», si legge nella congiuntura flash. Anche se l’inflazione in Italia è tornata sotto il 2,0 per cento, i tassi sono infatti ai massimi e bloccano il canale del credito, frenando consumi e investimenti, mentre l’export aiuta poco. «Con le guerre in corso sale l’incertezza, ma non il costo dell’energia (finora), che è però ben più alto del pre-crisi energetica», continua il rapporto.

Il rallentamento dell’inflazione e i tassi Usa e Bce

L’analisi si è concentrata sull’inflazione italiana, «che si è ridotta a ottobre a +1,7 per cento annuo (da +5,3 per cento a settembre) grazie a un “effetto base” molto favorevole sui prezzi energetici, crollati al -19,7 per cento annuo (+26,8 per cento nello stesso mese del 2022 a causa del picco del gas)». I prezzi core di beni e servizi continuano a frenare, ma solo lentamente (+3,7 per cento), come quelli alimentari (+6,3 per cento), grazie alla parziale moderazione delle commodity. Sono valori non ancora pienamente in linea con la soglia del +2,0 per cento. Per quanto riguarda i tassi, a inizio novembre la Fed ha tenuto, per la seconda volta, fermo quello statunitense (a 5,50 per cento) e lo stesso ha fatto la Bce a fine ottobre (4,50 per cento): «Lo scenario base è che i tassi sono giunti ai massimi, come indicano i future che scontano i primi tagli nel 2024. Tuttavia, Powell ha sottolineato il rischio di nuovi rialzi se la crescita Usa non frena e l’inflazione resta alta. E Lagarde (ndr la presidente della Bce) ha ribadito che altri rialzi potrebbero esserci anche nell’Eurozona, in caso di nuovi shock che modifichino lo scenario».

Moody’s conferma il rating dell’Italia a Baa3 e alza l’outlook da negativo a stabile

L’agenzia di rating Moody’s ha confermato il rating dell’Italia a Baa3 e alzato l’outlook da negativo a stabile. Un taglio alla valutazione avrebbe portato l’Italia al cosiddetto livello junk, ovvero spazzatura. Come si legge in una nota, le prospettive di breve termine dell’Italia «sono sostenute dall’attuazione del Pnrr, ma anche dai recenti miglioramenti del settore bancario. I rischi legati alle forniture energetiche sono diminuiti in parte per il clima buono dello scorso inverno, ma anche per le azioni del governo per la diversificazione delle forniture e del rafforzamento dell’infrastruttura energetica». L’agenzia ha sottolineato anche che la forza del settore bancario italiano è migliorata significativamente: «Un lento ma graduale consolidamento nel sistema bancario ha portato a una migliore efficienza operativa e a complessivi miglioramenti della redditività».

Soddisfatto il ministro Giorgetti: «Conferma che stiamo operando bene»

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha così commentato la valutazione di Moody’s: «Accolgo con molta soddisfazione la pronuncia di questa sera (ndr venerdì 17 novembre). È una conferma che, seppure tra tante difficoltà, stiamo operando bene per il futuro dell’Italia. Quindi, alla luce del giudizio espresso da Moody’s e delle altre agenzie di rating, ci auguriamo che le prudenti, responsabili e serie politiche di bilancio del governo, pur nelle legittime critiche di un sistema democratico, siano confermate anche dal Parlamento». Nelle settimane precedenti le valutazioni di S&P, Dbrs e Fitch avevano lasciato immutato il rating e anche l’outlook sul debito sovrano dell’Italia.

Pagamento Assegno Unico a novembre 2023: date accredito Inps e per chi scatta il taglio degli importi


L'assegno unico di questo mese verrà accreditato il 16, 17, 20 novembre 2023 a quelle famiglie che l'hanno già ricevuto nei mesi scorsi e per i quali la rata non ha subito nessuna variazione. Mentre i genitori che percepiscono anche il reddito di cittadinanza e che, nelle scorse settimane, non hanno ricevuto nessun messaggio dall'Inps con l'avviso di sospensione riceveranno l'assegno unico dal 27 novembre 2023. Vediamo quali nuclei potrebbero vedere ridotti gli importi.
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Boeri a Fanpage: “Pnrr è stata ubriacatura collettiva, presi troppi soldi senza sapere cosa farci”


La Corte dei Conti ha certificato grossi ritardi nella spesa pubblica, per i progetti del Pnrr. Tito Boeri e Roberto Perotti hanno scritto il libro "Pnrr, la grande abbuffata", che analizza nel dettaglio la nascita e l'andamento del piano di ripresa italiano. Intervistato da Fanpage.it, Boeri spiega: sono stati commessi errori di fondo almomento della sua ideazione.
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Istat: «Prospettive incerte, l’economia potrebbe rallentare»

Le prospettive economiche internazionali restano molto incerte, condizionate dall’acuirsi delle tensioni geopolitiche e dalle condizioni finanziarie sfavorevoli per famiglie e imprese. Nel terzo trimestre il Pil italiano è stato stabile rispetto al secondo, registrando un risultato migliore della Germania ma peggiore rispetto a quello di Francia e Spagna. La variazione acquisita della crescita del Pil per il 2023 è pari a 0,7 per cento. A ottobre 2023, la fiducia di famiglie e imprese ha continuato a calare, suggerendo che l’economia italiana potrebbe rallentare nei prossimi mesi. Lo scrive l’Istat nella nota mensile sull’economia.

Nel terzo trimestre, in zona euro, il Pil è andato a -0,1 per cento 

L’Istat sottolinea che le principali economie hanno continuato a mostrare un dinamismo differenziato: a fronte di una forte accelerazione del Pil in Cina e negli Stati Uniti, la crescita in Europa è rimasta stagnante. Nell’area euro, nel terzo trimestre, il Pil ha mostrato una marginale flessione congiunturale (-0,1 per cento dopo il +0,2 per cento dei tre mesi precedenti). E le prospettive per l’area continuano a essere poco favorevoli. In Italia, nel terzo trimestre, il Pil è rimasto, in base alla stima preliminare, invariato rispetto ai tre mesi precedenti, registrando un risultato migliore della media dell’area euro e della Germania (entrambi -0,1 per cento) ma peggiore rispetto a quello di Francia e Spagna (+0,1 per cento e +0,3 per cento). La domanda interna ha fornito un apporto negativo mentre la componente estera netta ha contribuito positivamente. Dal lato dell’offerta, l’indice destagionalizzato della produzione del settore manifatturiero a settembre è rimasto invariato dopo il lieve incremento di agosto.

L’inflazione a ottobre 2023 è stata sotto al 2 per cento

Nella media del terzo trimestre, la produzione ha registrato un aumento dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Il mercato del lavoro continua a mostrare una buona tenuta nonostante la debolezza congiunturale. A settembre, sono aumentati rispetto ad agosto gli occupati e i disoccupati men-tre gli inattivi sono diminuiti. L’inflazione si è collocata ad ottobre al di sotto del 2 per cento, ovvero un punto inferiore alla media dell’area euro per effetto della più forte discesa dei listini dei beni energetici in Italia. A fronte di un quadro debole ma stabile, la fiducia dei consumatori continua a calare per il quarto mese consecutivo, raggiungendo il valore più basso da gennaio, con un generale peggioramento di tutte le componenti dell’indicatore ad eccezione delle aspettative sulla disoccupazione e dei giudizi sulla situazione economica familiare. Anche l’indice del clima di fiducia delle imprese ha evidenziato un calo in tutti i settori economici ad eccezione di quello delle costruzioni.

Stellantis snobba l’Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco

Comandano i francesi. Il dato può essere urticante nella nuova stagione del potere sedicente sovranista, ma quando parliamo di Stellantis bisogna fare i conti con l’amara realtà. Il gruppo nato due anni fa dalla fusione di Fca con Peugeot vede la Exor della famiglia Agnelli quale socio di maggioranza con il 14,4 per cento. I transalpini possono vantare il 7,2 per cento in mano alla famiglia Peugeot, ma poi c’è il 6,2 per cento alla banca pubblica BpiFrance, che fa capo al governo di Parigi. Dunque, l’Eliseo può far valere tutto il suo peso in un’azienda che ingloba la vecchia Fiat, ma ha testa e cuore in Francia, mentre il forziere è saldamente in Olanda.

La vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, il polo del lusso voluto da Marchionne

La presenza in Italia intanto arretra. Suscita sconforto e mestizia la notizia della vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, nel Torinese, ex gioiello di quello che 11 anni fa l’allora ad Fiat, Sergio Marchionne, definiva il polo del lusso. A inizio novembre l’annuncio è apparso su Immobiliare.it, come se lo storico impianto ex Bertone fosse una mansarda o un box qualunque. Addio ai sogni di rilancio basati sul valore dei marchi, sulla qualità, sull’eccellenza delle quattro ruote che hanno fatto sognare gli appassionati di tutto il mondo. Niente da fare, troppo costoso per Carlos Tavares, Ceo di Stellantis voluto dai francesi. Mister Peugeot, evidentemente, non subisce il fascino della casa del Tridente e così le Maserati verranno assemblate a Mirafiori.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Sciopero dei lavoratori a Grugliasco (Ansa).

La produzione di auto in Italia è ferma a 400 mila vetture e appena sette modelli contro il milione francese

La crisi è globale, si dirà. Intanto però in Francia l’azienda produce un milione di auto l’anno con 15 modelli. In Italia 400 mila e appena sette modelli. Ma soprattutto, in vista della grande transizione che cambierà tutto, la componentistica per l’elettrico e l’ibrido viene realizzata Oltralpe al 90 per cento, in Italia soltanto il 10 per cento nell’unico stabilimento piemontese di Rivalta. Da ciò deriva un rischio di 7.500 esuberi, tutti concentrati sulla Penisola. D’altronde i numeri parlano chiaro: Stellantis in Italia ha oggi il 28 per cento della quota di mercato e Fiat, come marchio, è ridotta all’11. Nel 1989 il solo brand torinese valeva il 41 per cento. Sempre nel 1989 si raggiunse il picco dei 2 milioni di veicoli prodotti nel Bel Paese, 10 anni dopo eravamo a 1,4 milioni, ma già nel 2018 il valore si era ridotto a 670 mila e oggi Stellantis galleggia appunto attorno alle 400 mila unità. Tavares ha preso l’impegno con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, di tornare a un milione di veicoli l’anno, obiettivo che a oggi sembra una chimera. A Mirafiori si fa la 500 elettrica, ma la produzione arranca intorno alle 80 mila unità contro le 120 mila promesse. A Cassino si è crollati da 135 mila vetture del 2017 a 55 mila nel 2022. In Basilicata, a Melfi, vengono sfornate 142 mila auto, con 59 mila unità perse dal 2019. Mentre Pomigliano si difende ed è oggi il primo stabilimento di assemblaggio in Italia: 165 mila vetture nel 2022, con un +34 per cento sul 2021, ma comunque con un’emorragia del 17 per cento rispetto al periodo pre-Covid. Certo, sono dati su cui pesa la crisi esogena, anzi globale, dei chip. Ma la questione semiconduttori non può trasformarsi nel paravento di un tracollo più profondo e strutturale.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Catena di montaggio nello stabilimento di Pomigliano (Imagoeconomica).

L’indotto, il caso Magneti Marelli e la battaglia di Calenda

Oggi l’automotive dà occupazione, con l’indotto, a 270 mila persone e fa il 5,2 per cento del Pil italiano. Ma soprattutto, oltre a rappresentare uno dei settori su cui si è fondata la rinascita del Paese nel secondo Dopoguerra, intercetta e amplifica tutti i processi di innovazione e le sfide tecnologiche che cambieranno il nostro futuro: energia, intelligenza artificiale, big data, smart city. Starci dentro è dunque un’esigenza vitale per l’Italia. La crisi delle imprese dell’indotto è, in questo senso, una cartina di tornasole di ciò che sta accadendo: Lear, Martur e soprattutto Magneti Marelli, con il rischio chiusura per la sede di Crevalcore, nel Bolognese. La vicenda va a braccetto con quella di Stellantis, visto che Marelli era tra l’altro una divisione dell’ex Fiat. Tra i leader politici, sul dossier si è mosso subito Carlo Calenda che a fine settembre ha tentato di portare solidarietà ai lavoratori dell’azienda di componentistica, recandosi personalmente nella fabbrica in pericolo. La Fiom gli ha riservato un’accoglienza tutt’altro che festosa e a stretto giro il leader di Azione si è sfogato al Corriere della sera, prendendo di mira il segretario della Cgil ed ex leader dei metalmeccanici del sindacato, Maurizio Landini: «Faceva la guerra totale a Marchionne quando in Italia si produceva un milione di veicoli commerciali e auto, oggi che ne produciamo 650 mila sta zitto perché John Elkann ha fatto la mossa di comprarsi il maggior quotidiano nazionale della sinistra italiana». Il velenoso riferimento è a Repubblica, che fa capo ad Exor, e in particolare a una recente intervista rilasciata al quotidiano dal sindacalista, in cui ne dice di ogni sulla crisi del settore auto senza mai nominare Stellantis.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil (Imagoeconomica).

Ancora l’8 ottobre Calenda twittava: «Gli imprenditori sono le persone più felici del mondo con questo sindacato. Gli stipendi reali negli ultimi 30 anni sono scesi del 2 per cento contro il +30 per cento di Francia e Germania. Il tutto tramite contrattazione collettiva. Direi che sono pronti a fare un monumento a Landini. Se poi quegli stessi imprenditori possiedono un giornale, si possono anche pagare un dividendo a spese dello Stato in Olanda e diminuire la produzione del 30 per cento nel silenzio sindacale. Meglio di così». Calenda si riferisce al prestito a Fca da 6,3 miliardi di euro garantiti da Sace, risalente al 2020, durante la pandemia. Soldi poi rimborsati da Stellantis.

Landini corregge la rotta su Stellantis

Landini, dal canto suo, ha minacciato querela all’ex ministro dello Sviluppo economico. Il leader del primo sindacato italiano, in un certo senso, ha iniziato la propria scalata alla Cgil grazie allo scontro con Marchionne, sin dai tempi del referendum sull’accordo separato di Fiat Mirafiori. Ora non può certo accettare l’accusa di essere “collaterale” o morbido nei confronti dei nuovi padroni franco-italiani. Ma il suo nervosismo è apparso palese, a dimostrazione che comunque Calenda lo aveva punto nel vivo. Proprio l’altro giorno il leader cigiellino ha provato a correggere la rotta: «Stellantis sta discutendo con tutti in giro per il mondo, fuorché in Italia» e così rischiamo di «perdere interi settori manifatturieri su cui siamo capaci di lavorare». Bene, chissà se Elkann ha iniziato a tremare.

Agenzia delle Entrate, per le partite Iva il secondo acconto slitta al 2024

Per le partite Iva con ricavi o compensi fino a 170 mila euro slitta dal 30 novembre 2023 al 16 gennaio 2024 il termine per versare la seconda rata di acconto delle imposte sui redditi, con la possibilità, inoltre, di versare lo stesso importo in cinque mensilità da gennaio a maggio 2024. È quanto chiarisce l‘Agenzia delle Entrate in una circolare sulle novità introdotte dal decreto Anticipi, specificando che la norma riguarda solo le persone fisiche, non le società di capitali o gli enti non commerciali.

Resta immutato il termine per i contributi previdenziali e assistenziali

Il dl collegato alla manovra ha introdotto, solo per il periodo d’imposta 2023 il differimento dal 30 novembre 2023 al 16 gennaio 2024 della scadenza del versamento della seconda rata di acconto dovuto in base alla dichiarazione Redditi Persone fisiche 2023; la possibilità di effettuare il versamento in cinque rate mensili di pari importo, a partire da gennaio 2024, con scadenza il 16 di ogni mese (sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi pari al 4 per cento annuo). Per i contributi previdenziali e assistenziali, invece, resta fermo il termine ordinariamente previsto del 30 novembre 2023. Possono usufruire della proroga le persone fisiche titolari di partita Iva che hanno dichiarato, con riferimento al periodo d’imposta 2022, ricavi o compensi di ammontare non superiore a 170 mila euro. Per verificare il rispetto del «tetto», spiega ancora l’Agenzia, si deve far riferimento ai compensi (nonché ai ricavi di cui all’articolo 57 del Tuir), dichiarati per il 2022. Se il contribuente esercita più attività (con diversi codici Ateco), bisogna sommare i relativi ricavi e compensi; allo stesso modo nel caso della persona fisica che esercita sia un’attività di lavoro autonomo sia un’attività di impresa occorre sommare ricavi e compensi relativi ad entrambe. La circolare chiarisce infine che i contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva devono tenere in considerazione l’ammontare complessivo del fatturato 2022 (fatture e corrispettivi telematici).

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