ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva

Conte in una drammatica conferenza stampa: «Richiesta inaccettabile, offrano soluzioni che ci rassicurino». Il governo è disponibile a ripristinare l'immunità. Altre 48 ore per trattare, ma lo scenario è fosco.

Il premier Giuseppe Conte ha confermato in conferenza stampa che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi – su un totale di 10.777 dipendenti, di cui 1.200 già in cassa integrazione – per tenersi l’ex Ilva, che ogni giorno a Taranto perde 2,5 milioni di euro. Una condizione durissima, che il governo ritiene «inaccettabile». L’esecutivo, ha detto Conte, «è disponibile al ripristino dell’immunità sul piano ambientale, per sgombrare il campo da un falso problema. Ma nella discussione con l’azienda è venuto fuori che non è questa la vera causa del disimpegno. Lo dico senza timore di essere smentito: lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che ArcelorMittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili per remunerare gli investimenti. Dunque non ritiene possibile garantire l’occupazione».

In diretta da Palazzo Chigi

Posted by Giuseppe Conte on Wednesday, November 6, 2019

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Sul dossier scatta ufficialmente «un allarme rosso» ed è necessario che «il Paese regga l’urto di questa sfida». Ma secondo il premier «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale, 24 ore su 24. Invitiamo ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni per offrire soluzioni che ci rassicurino sulla continuità dei livelli occupazionali, dei livelli produttivi e sul piano di risanamento ambientale». Ma quali strumenti concreti ha il governo per tentare di convincere l’azienda a tornare sui suoi passi, senza finire in Tribunale? Ben pochi. E Conte lo ha ammesso: «Ho offerto lo scudo penale, è stato rifiutato. Ho quindi chiesto di aprire un tavolo di negoziazione». Ma le mani del governo sono sostanzialmente vuote, a meno di non voler immaginare un ricorso massiccio alla cassa integrazione o un costosissimo subentro dello Stato. «Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata», ha aggiunto il premier.

PATUANELLI: «LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE È STRUTTURALE»

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, visibilmente scosso, ha ribadito il concetto: «Questa è una vertenza industriale. ArcelorMittal vuole ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate e vuole 5 mila persone in meno. Ma ha vinto la gara promettendo 6 milioni di tonnellate e 8 milioni dal 2024. C’è un altro problema: se non si produce, non si investe nemmeno sul risanamento ambientale. Noi siamo disponibili ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive. Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile, il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto nel 2017, di fatto sono dentro da un anno».

SINDACATI CONVOCATI PER IL 7 NOVEMBRE

Conte ha promesso che gli operai e le comunità locali non saranno lasciati soli: «Domani convocheremo i sindacati. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare l’ex Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, le polemiche politiche sono assolutamente inutili». Oltre agli esuberi, ArcelorMittal avrebbe chiesto anche una norma ad hoc per tenere in vita l’altoforno 2, che non è a norma e che rischia di essere spento dalla magistratura. Le organizzazioni dei lavoratori sono pronte alla mobilitazione. La Fim-Cisl si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato, mentre in serata la Fiom e la Uilm hanno proclamato una giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre e una manifestazione a Roma, «di fronte all’arroganza» di ArceloMittal e alla «totale incapacità della politica».

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L’Ue taglia le stime sul Pil dell’Italia nel 2020

Dal +0,7% previsto d'estate, Bruxelles passa al +0,4%. Invariate, invece, quelle per il 2019, confermate al +0,1%.

Nelle previsioni economiche d’autunno in arrivo giovedì 7 novembre, secondo quanto anticipato dall’Ansa, salvo sorprese dell’ultima ora la Commissione Ue lascerà a +0,1% la stima sul Pil italiano 2019, invariata rispetto alle sue ultime previsioni di luglio. Rivedrà invece al ribasso la stima sul 2020: dal +0,7% previsto d’estate, a +0,4%.

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Come il governo pensa di modificare la flat tax nella manovra

In vista dell'esame parlamentare tra la maggioranza spunta l'ipotesi di un dimezzamento. Si valuta anche l'ipotesi si posticipare a luglio il via alla norma previsto per aprile.

Dimezzare la tassa sulla plastica: è questa una delle ipotesi su cui sta lavorando il governo in vista dell’esame parlamentare della manovra. Attualmente è prevista una tassa di un euro al chilogrammo e, secondo quanto si è appreso, si starebbe lavorando sia per restringere la gamma dei prodotti coinvolti sia sull’entità del prelievo e si starebbero facendo simulazioni su tre “scalettature” tra i 60 e i 40 centesimi al chilo. Si valuta anche l’ipotesi di rinviare a luglio l’entrata in vigore della norma, che ad ora scatterebbe a partire dal primo aprile.

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L’ex Ilva è la punta dell’iceberg della crisi dell’acciaio europeo

Non solo l'impianto di Taranto: la produzione in Italia nel 2019 subirà un calo del 4,1% e in Ue del 3,1%. La minaccia arriva da Cina e Usa, ma anche da Turchia e India.

L’industria europea dell’acciaio arranca, sotto il pressing di competitor come la Cina e gli Stati Uniti, ma anche la Turchia e l’India. E il caso del tracollo dell’ex Ilva di Taranto non è che la punta dell’iceberg di una crisi che accusa il colpo delle manovre sui dazi e del rallentamento dell’economia mondiale che ha innescato la brusca frenata di un mercato cruciale per la crescita e lo sviluppo come quello dell’automobile. Per l’Italia, la produzione di acciaio dell’intero 2019 è vista in calo del 4,1%, contro un ribasso medio per i Paesi dell’Unione europea pari al 3,1%.

LE MINACCE DALLA CINA E DAGLI USA

E se la Cina rappresenta una minaccia soprattutto in termini di dumping sui prezzi e boom produttivo – nei primi otto mesi il gigante asiatico ha già incassato un aumento della produzione del 9% – va detto che la produzione statunitense continua a crescere. Dal rapporto dell’American Iron and Steel Institute (Aisi) emerge che la settimana scorsa, la produzione di acciaio grezzo degli Stati Uniti è stata di 1.888.000 tonnellate, in aumento dell’1,2% rispetto alla settimana precedente e dello 0,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel dettaglio, spiega l’Aisi «la produzione aggiornata dall’inizio dell’anno fino al 2 novembre è stata di 81.599.000 tonnellate ed è perciò aumentata del 2,5% rispetto alle 79.581.000 tonnellate nette registrate nello stesso periodo dell’anno scorso».

CALO DEI CONSUMI DELL’ACCIAIO UE

Tutt’altra l’aria che si respira nel Vecchio Continente, anche per colpa di una normativa europea sull’import, basata su un sistema di “quote libere”, troppo blanda per arginare l’ondata di acciaio a prezzi stracciati. Eurofer, l’associazione europea dell’industria siderurgica, registra ancora numeri in flessione per l’acciaio Ue: nel rapporto diffuso il 31 ottobre scorso segnala infatti un calo del 7,7% del consumo apparente nel secondo trimestre di quest’anno dopo un ribasso dell’1,6% nel primo trimestre. Per il 2020 vede un lieve miglioramento seppure con un trend assai moderato per i contraccolpi della flessione del settore manifatturiero dell’Ue che, tra guerra dei dazi e le incognite sulla Brexit, non si fermerà prima del secondo trimestre del prossimo anno. Prima dell’estate proprio ArcelorMittal, il colosso siderurgico che ha appena deciso di sfilarsi dal progetto dell’ex Ilva, aveva annunciato tagli alla produzione negli stabilimenti europei per due volte nel solo mese di maggio.

LA MANCATA FUSIONE TRA THYSSEN E TATA

Altro inequivocabile sintomo di forte malessere è stato il naufragio dei progetti di fusione fra ThyssenKrupp e Tata Steel. Un merger era l’estremo tentativo di salvataggio dell’acciaio europeo per scongiurare la chiusura di stabilimenti e decine di migliaia di licenziamenti, senza contare l’impatto sull’indotto.

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Nella bozza del bilancio Ue il contributo dell’Italia sale di 2,5 miliardi

Aumenti sono previsti per tutti gli Stati membri. Le cause? La Brexit ma non solo.

Se la proposta della Commissione Ue verrà approvata, il contributo dell’Italia al bilancio 2021-2027 dell’Ue sarà in media di 15,27 miliardi di euro l’anno, per un totale di 106,9 miliardi. Si tratta di 2,52 miliardi in più rispetto al 2014-2020, durante il quale l’Italia versa in media 14,91 miliardi l’anno. È quanto risulta dai dati pubblicati dalla Commissione Ue, che non fornisce però i dettagli su quante risorse Ue tornano ogni anno nei vari Paesi. Aumenti sono previsti per tutti gli Stati membri.

DIFFICILE UN ACCORDO ENTRO L’ANNO

In termini di Reddito nazionale lordo, l’Italia passerebbe da un contributo medio annuo pari allo 0,85% del Rnl per il 2014-2020 allo 0,87% per il 2021-2027. Secondo i calcoli della Commissione Ue, a fronte di un versamento medio annuo di 15,27 miliardi di euro (prezzi 2018), nel 2021-27 l’Italia beneficerà di 81,63 miliardi di euro l’anno derivanti dall’appartenenza al Mercato unico, pari al 4,33% del Rnl. La Commissione Ue ha proposto per il 2021-2027 un bilancio dell’Unione pari all’1,11% del Rnl europeo. Il Parlamento europeo chiede l’1,3%, ma i Paesi membri sono ancora lontani dal trovare un accordo, come testimoniato anche dalle parole del 30 ottobre del commissario Ue al Bilancio, Gunther Oettinger: «Credo che durante il Consiglio europeo di dicembre ci saranno sicuramente dei progressi ma non ancora un’intesa sul bilancio».

NUOVE PRIORITÀ DI BILANCIO

Secondo la proposta dell’esecutivo, il primo contributore al bilancio Ue in termini relativi al Rnl diventerebbe il Lussemburgo con l’1,08% (per l’attuale periodo versa lo 0,86%), seguito da Estonia e Bulgaria, entrambi all’1,06% (oggi rispettivamente 0,86% e 0,87%). Il contributo tedesco salirebbe dallo 0,75% medio annuo del 2014-2020 allo 0,88%, quello francese dallo 0,85% allo 0,91%. Gli aumenti sono dovuti sia alla Brexit che alla definizione di nuove priorità di bilancio per l’Unione, come la sicurezza e la lotta al cambiamento climatico, oltre che alla crescita economica in molti Paesi e agli effetti dell’inflazione.

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Niente illusioni, Tavares andrà giù con l’accetta

Dopo la fusione-cessione, il futuro ad di Psa & Fca procederà con una serie di tagli replicando su più ampia scala quanto già fatto in Peugeot e Opel/Vauxhall. E i primi destinatari saranno i colletti bianchi.

Per quanto tempo John Elkann avrà in tasca un biglietto da visita con su scritto Chairman of the board di Psa & Fca N.V.? Meno o più di due anni come è successo con Partner Re, la società delle riassicurazioni che Elkann acquisì nel marzo 2016 pagando ben 6,9 miliardi di dollari? Tra l’altro, quella operazione fu condotta all’insaputa di Sergio Marchionne che notoriamente mal digerì quello sconcertante esborso di denaro che l’ad italo-canadese considerò «sottratto a Fca». 

TAVARES NON SOPPORTA IL PARAGONE CON MARCHIONNE

Sempre a proposito di apparato digerente e sistema nervoso, fonti francesi sostengono che anche il futuro ad di Psa & Fca Carlos Tavares, così come Carlos Ghosn, già ad di Renault-Nissan, del quale il dirigente d’azienda portoghese fu a suo tempo braccio destro, non sopporta essere paragonato a Sergio Marchionne e, peggio, descritto come uno scimmiottatore delle due ex “prime donne”. Si sa che l’ego dei Ceo dell’industria automobilistica non ha pari. E l’ingegner Elkann, che ha molto patito la strabordante presenza di Marchionne, dopo questa breve stagione che gli sta offrendo le luci dei riflettori e una ribalta, si prepari a dover fare un passo indietro rispetto allo strabordante Tavares.

Il Ceo di Fca Mike Manley e John Elkann.

FCA-PSA, UNA CESSIONE DESCRITTA COME “FUSIONE PARITETICA”

Ma andiamo con ordine. È chiaro che John Elkann ha fretta di chiudere e firmare la vendita di Fca a Psa. E che si tratti di una cessione, sia pure descritta come «fusione paritetica (50/50)», è dimostrato anche da quello che recita il comunicato stampa congiunto del 31 ottobre: «Il consiglio di amministrazione sarebbe composto da 11 membri. Cinque membri del cda sarebbero nominati da Fca (incluso John Elkann in qualità di presidente) e cinque da Groupe Psa (incluso il Senior independent Director e il vice presidente)». Ma attenzione a quello che segue: «Carlos Tavares sarebbe Chief executive officer, oltre che membro del cda, per un mandato iniziale di cinque anni». In altre parole: 6 consiglieri targati Psa e 5 Fca. Chiaro che non si tratta di una merger of equals.

chi è carlos tavares psa
Carlos Tavares.

D’altro canto, non è un mistero che la penuria di investimenti in nuovi prodotti e tecnologie insieme con il fiasco di nuovi modelli (tra i quali Dodge Dart, Chrysler 200, Dodge Viper, Alfa Romeo Giulia e Stelvio, Maserati Levante) della gestione improntata alla finanza di Marchionne abbiano posto Fca in una situazione di manifesta, forte debolezza.

ALFA ROMEO BRAND “LOCALE”

Quanto alla gestione dei 15 marchi (Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Dodge, Fiat, Fiat Professional, Jeep®, Lancia, Ram, Maserati, Peugeot, Citroën, DS, Opel e Vauxhall) del neo-costruttore olandese, l’ad di Fca Mike Manley ha provveduto, nella conference call di giovedì 31 ottobre, ad aggiungerne uno alla lista di quelli non globali e, dunque “regionali”: Alfa Romeo. Non un buon segnale per gli stabilimenti italiani per i quali – recita il comunicato stampa congiunto – non sono previste chiusure. Ovvio, così come scontato che le linee di montaggio continueranno a operare molto saltuariamente grazie a massicci ricorsi alla cassa integrazione. Del resto, privatizzare i guadagni e socializzare le perdite è stato un Leitmotiv della storia degli Agnelli e più in generale di molta industria italiana.

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COLLETTI BIANCHI NEL MIRINO DI TAVARES

Ma chi saranno i primi destinatari dei tagli che Tavares realizzerà molto celermente? Senza ombra di dubbio i colletti bianchi: ingegneria, marketing, comunicazione, produzione, finanza e amministrazione, risorse umane le aree notoriamente in cima alla lista di ogni cura dimagrante. I pochi sopravvissuti rimasti nella palazzina uffici del Lingotto in via Nizza e i tanti a Mirafiori si considerino avvisati. Dopotutto, Tavares replicherà, su più ampia scala, quanto già fatto in casa Psa e Opel/Vauxhall.

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Lagarde diplomatica con Schaeuble: inizio soft per la presidente Bce

La numero uno dell'Eurotower a Berlino, in casa dell'ex ministro delle finanze tedesco, non cita né la politica monetaria né la necessità di uno sforzo di bilancio. Ma con tutta probabilità sta giocando di tattica.

I richiami alla necessità di aumentare lo sforzo di bilancio non si sono sentiti. Christine Lagarde, alla sua prima uscita dal presidente della Bce, esordisce a Berlino di fronte a Wolfgang Schaeuble. Ma anziché svelare subito le sue carte spingendo per uno stimolo di bilancio, preferisce la diplomazia con uno dei referenti dell’austerity tedesca, che potrebbe rivelarsi decisivo nei prossimi mesi.

«IL SEGNO DI UN VERO UOMO DI STATO»

Durante un intervento a Berlino in lode all’ex ministro delle Finanze, ora potente presidente del Bundestag, la neopresidente della Bce ha ricordato i negoziati durissimi vissuti insieme (il pensiero va alla crisi della Grecia) ma non ha toccato esplicitamente né la politica monetaria, come atteso, né la politica di bilancio, come qualcuno invece si sarebbe aspettato. Ha riconosciuto a Schaeuble di portare «il segno di un vero uomo di Stato: la capacità di esaminare profondamente ciò che va fatto, evitando false certezze».

UN GIOCO DI TATTICA

L’ex direttrice generale del Fmi, insomma, di fronte a Schaeuble, in una Berlino sempre più critica delle politiche espansive della Bce che Lagarde eredita da Draghi, prende alla larga l’argomento scottante su cui era già intervenuta nei giorni scorsi chiedendo a Germania e Olanda di farsi avanti con uno stimolo di bilancio per sostenere l’Europa. Un esordio sotto tono, anche se diversi osservatori notano che l’approccio soft (già visto all’Europarlamento quando Lagarde non ha sottoscritto convintamente il ‘whatever it takes di Draghi) probabilmente sta giocando di tattica.

RICERCA DEL CONSENSO DIETRO LE QUINTE

Ha bisogno, cioè, di ammorbidire l’establishment tedesco per cercare di convincerlo a non osteggiare con troppa forza le mosse della Bce, specie se dovesse rendersi necessario un ulteriore rilancio del quantitative easing di fronte al rischio di recessione. E di cercare il consenso, dietro le quinte, per l’eventualità di uno stimolo di bilancio per la crescita che vada oltre i 54 miliardi per il clima di investimento messi sul piatto dalla cancelliera Merkel. Con Schaeuble funziona così e Lagarde l’ha imparato negli anni della grande crisi, riuscendo a costruire con lui una relazione cordiale nonostante posizioni diametralmente opposte sull’opportunità di ristrutturare il debito ellenico: il politico tedesco – con una Cdu alle prese con l’affermazione della Afd che la spinge a destra – non ama le sorprese.

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La storia della relazione amorosa che ha stravolto McDonald’s

L'amministratore delegato Easterbrook cacciato per una liaison con una dipendente. Il titolo ha perso il 2,9% in Borsa. E anche un altro top manager se n'è andato. La banca d'investimento Piper Jaffray: «Cambiamenti distruttivi».

Più che un hambruger, stavolta è stata una frittata: McDonald’s ha dovuto silurare il suo amministratore delegato protagonista di una relazione consensuale con una dipendente, in violazione delle severe norme etiche interne alla società.

UNA BUONUSCITA D’ORO

Steve Easterbrook, 52 anni, divorziato e padre di tre figli, è stato costretto così a lasciare la guida del colosso del fast food: lo ha fatto comunque portandosi a casa 675 mila dollari, una copertura assicurative per 18 mesi e mantenendo titoli azionari, ricevuti come forma di compenso per i risultati raggiunti, dal valore di 37 milioni di dollari.

A WALL STREET PERDITE FINO AL 2,9%

Per McDonald’s si è trattata di una perdita importante e improvvisa. E che non è piaciuta a Wall Street, dove la società è arrivata a perdere il 2,9%. Gli investitori hanno dimostrato preoccupazione per il dopo Easterbrook, l’architetto della rinascita online di McDonald’s con l’introduzione degli ordini sul web e le consegne di panini a domicilio.

«CAMBIAMENTI DISTRUTTIVI»

La banca d’investimento Piper Jaffray ha rivisto al ribasso la sua valutazione su McDonald’s invitando gli investitori a guardare altrove: «Cambiamenti di tale portata tendono a essere distruttivi».

AL TIMONE CI VA KEMPCZINSKI

Il posto di Easterbrook finisce a Chris Kempczinski: i due hanno lavorato insieme in questi ultimi anni per cercare di rilanciare i ristoranti McDonald’s tramite le nuove tecnologie e menù con ingredienti più freschi.

ADDIO PURE PER FAIRHURST DELLE RISORSE UMANE

Ma McDonald’s ha perso anche un altro pezzo grosso. Dicendo addio a sorpresa dopo 15 anni di carriera all’interno della società anche al top manager delle risorse umane David Fairhurst. Dopo aver lavorato con Easterbrook a McDonald’s in Gran Bretagna, Fairhurst era stato promosso con la nomina di Easterbrook alla guida della società. E ora che il suo capo ha lasciato, se n’è andato pure Fairhurst.

INDAGINE INTERNA E POLICY VIOLATA

Easterbrook è stato costretto ad abbandonare l’incarico e a dare le dimissioni al termine di un’indagine interna il cui esito non ha lasciato scampo al manager: nonostante la relazione fosse consensuale (il nome della donna non è stato reso noto) l’amministratore delegato ha violato la policy a cui deve attenersi tutto il personale e il top management dell’azienda.

VALORE DEL TITOLO RADDOPPIATO IN QUATTRO ANNI

In quattro anni Easterbrook è riuscito quasi a raddoppiare il valore del titolo di McDonald’s grazie a una ristrutturazione incentrata sull’obiettivo di dare al consumatore un prodotto di migliore qualità per non soccombere nella sfida con i fast food di nuova generazione che propongono menù più salutari e che vanno incontro di più ai gusti di una clientela che sta cambiando rapidamente. Ma una relazione amorosa ha rovinato tutto.

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