I sondaggi politici elettorali dell’11 novembre 2019

Per la prima volta le forze di centrodestra sfondano il muro del 50%. Fdi cresce più della Lega, ma avanza anche il Pd. Tracollo M5s. Cosa dice la rilevazione Swg.

Per la prima volta i tre partiti di centrodestra superano il 50% nelle intenzioni di voto degli italiani. È questo il dato più significativo dell’ultimo sondaggio realizzato da Swg per il TgLa7, andato in onda la sera dell’11 novembre.

LEGA PRIMO PARTITO E ANCORA IN CRESCITA

Nella rilevazione pubblicata nel corso del telegiornale condotto da Enrico Mentana, la Lega raggiunge il 34,5%, Fratelli d’Italia il 9,5% e Forza Italia il 6,2%. per un totale del 50,2%, a cui potrebbe essere aggiunto l’1,3% di Cambiamo!, la lista del governatore ligure Toti.

Nel dettaglio, si conferma a crescita del Carroccio, che guadagna uno 0,4% rispetto al sondaggio della settimana precedente. Fa meglio ancora il partito di Giorgia Meloni, cresciuto dello 0,6%, mentre Fi resta stabile.

IL PD GUADAGNA OLTRE UN PUNTO, CROLLA IL M5S

Avanza, un po’ a sorpresa, anche il Partito democratico, che guadagna oltre un punto percentuale, dal 17,5% al 18,6%. Consensi erosi, forse, all’alleato di governo, visto che il Movimento 5 stelle un punto lo lascia sul terreno, passando dal 16,8% al 15,8%. Svanisce l’effetto novità per Italia viva: il partito di Matteo Renzi scende al 5,6% dal precedente 6%. MdP, Verdi e +Europa flettono dello 0,3% ciascuno.

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La memoria corta degli ex comunisti italiani

In occasione della caduta del Muro di Berlino in molti ex si sono affannati a prendere le distanze con il loro passato. Ed è questo sentimento di vergogna una delle cause delle sconfitte della sinistra di oggi.

L’anniversario della caduta del Muro di Berlino è stato ricordato con articoli, interviste, speciali televisivi (ottimo quello di Ezio Mauro), confessioni di dirigenti del Pci e testimonianze varie. Tutti protagonisti, todos caballeros.

Accade, non so se solo in Italia, che i grandi fatti storici abbiamo ormai numerosi personaggi che rivelano di aver svolto ruoli che nell’anniversario dell’evento nessuno aveva preso in considerazione. Capita così di leggere che moltissimi italiani, e fra questi moltissimi comunisti, abbiano abbattuto il Muro assieme a quei poveri disgraziati di Berlino Est.

Mi capita spesso anche di ascoltare racconti sulla politica del Pci e su l’Unità di chi sostiene di aver vissuto da protagonista quelle pagine ed io (che c’ero) non mi ricordo della loro esistenza o soprattutto del loro ruolo. Stranezze!

C’È ANCORA CHI CONFONDE IL PCI CON IL COMUNISMO DELL’EST

Due cose mi colpiscono di questi racconti. Una è la prosopopea di intellettuali e giornalisti di destra, spesso con un netto profilo fascista, che sono saliti in cattedra come maestri di libertà. L’altro è l’imbarazzo dei comunisti, ex o post. Mi interessano questi ultimi.

Molti oggi sembrano non capire perché sono stati comunisti e si affannano o a negare di esserlo stati ovvero a pentirsi di aver fatto questa scelta di vita

Si coglie, leggendo interviste e memorie, che tutti loro (tranne ovviamente quelli che non hanno cambiato idea) non capiscono perché sono stati comunisti e si affannano o a negare di esserlo stati ovvero a pentirsi di aver fatto questa scelta di vita, talvolta giovanile. Ci sono pezzi di verità in queste imbarazzanti ricostruzioni autobiografiche. Una delle verità è che il comunismo italiano non era la fotocopia di quello dell’Est, cosa che sanno tutti tranne Matteo Salvini, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ce ne siamo fatti una ragione. Tuttavia resta il buco nell’anima di chi si ritrova con una biografia di cui oggi si imbarazza. A me non è capitato.

IL PCI È STATA UNO SCUOLA POLITICA E DI VITA

Io sono stato comunista e comunista nel Pci. Ho anche avuto un breve trascorso nel Psiup, militando in una segreteria nazionale dei giovani in cui c’erano Mauro Rostagno, Luigi Bobbio e Pietro Marcenaro, e da quel partito ne sono uscito dopo i carri armati di Praga che i dirigenti pisuppini non criticavano abbastanza. L’intera mia vita di cittadino ha coinciso con quella del mio partito, quando decisi, adolescente, che era arrivato il momento di schierarmi con la sinistra e formarmi, da solo, alla cultura marxista e leninista. Metto la “e” e non il trattino.

Alcuni momenti della ‘Festa de l’Unità’ di Firenze nell’edizione del 1948.

Nessuno mi ha ingannato, come sembrano dire molti comunisti pentiti di oggi, e tornassi indietro farei le stesse cose, più o meno. Diventai comunista perché al Sud l’alternativa era la destra neofascista, aggressivissima, e l’altra alternativa era la “clientela” democristiana, ma soprattutto perché il comunismo e il suo partito sembravano il luogo e il mezzo del riscatto. Mi/ci muoveva l’ansia per una società diversa, egualitaria, solidale e internazionalista.

Nel Pci ho imparato a essere un cittadino rispettoso della Costituzione e delle legalità

Non c’è una sola battaglia, un solo sciopero, un solo corteo che non rifarei. Nessuno dei miei compagni e compagne dell’epoca è stato un incontro inutile. Nel Pci ho imparato a essere un cittadino rispettoso della Costituzione e delle legalità. Ho imparato anche che per lasciare libere le ambizioni bisognava anche disciplinarsi e tener conto degli altri. Ho imparato a obbedire e comandare. A provare la gioia della promozione e l’amarezza della caduta. Ho imparato che in questa gara per diventare dirigente era fondamentale studiare molto e non aver paura, fisicamente, di niente.

I COMUNISTI ITALIANI NON SI SENTIVANO STRANIERI IN PATRIA

Non butto via niente di quel passato. Tutto ciò non è avvenuto per una “fede”. Non siamo stati un gruppo neo-catacumenale. La fidelizzazione verso il partito era molto laica. Lo rispettavamo, era casa nostra e questo partito, a differenza di quello che accadeva ai ragazzi di destra, non ci spingeva a considerarci estranei alla nostra patria rinata con la Liberazione e la Costituzione. Quando il partito ci impose di mettere sempre accanto alla bandiera rossa quella italiana, pochissimi di noi recalcitrono.

Enrico Berlinguer nel 1984 durante una manifestazione del Pci.

Siamo cresciuti, noi che fummo poi quelli del ’68, avendo di fronte un gruppo dirigente comunista ineguagliabile, con intellettuali-politici di straordinaria cultura (ascoltare Paolo Bufalini, Alessandro Natta: che vi siete persi!), persone che stavano in mezzo al popolo e ti giudicavano in base al fatto che anche tu sapevi stare lì. E poi il carisma inspiegabile di Enrico Berlinguer, che era forse un gradino al di sotto di Giorgio Amendola e Pietro Ingrao sul piano della profondità culturale, ma rappresentava i valori di tenacia, generosità, onestà che volevamo fossero le nostre bandiere.

LE SCONFITTE DELLA SINISTRA PARTONO DALLA VERGOGNA VERSO IL PASSATO

Ecco io sono stato comunista. Di che mi dovrei pentire? Posso elencare gli errori del partito (dal legame con l’Urss fino ai pessimi rapporti con Bettino Craxi) ma che cosa c’è oggi che sia superiore a quel che eravamo? La nostra fine è stata una malattia autoprodotta.

Massimo D’Alema con Achille Occhetto e Piero Fassino in un’immagine d’archivio del 3 febbraio 1991 a Rimini, durante il 20/mo e ultimo congresso del Pci, che sarebbe diventato Pds.

Non abbiamo visto che il mondo accelerava, molte cose non le abbiamo percepite, siamo arrivati alla scelta della Bolognina tardi e male. Ma noi ci siamo arrivati. Tanti saccenti di oggi, comunisti pentiti, intellettuali liberali, addirittura “destri” che ci governeranno nel prossimo futuro non hanno mai messo in discussione le proprie certezze, la propria storia come abbiamo fatto noi.

Il popolo comunista non c’è più, il Pd non è la sua ultima ridotta,

Oggi persino dire “noi” è esagerato. Il popolo comunista non c’è più, il Pd non è la sua ultima ridotta, siamo sparsi nella società ma, a modo nostro, ci siamo. Ecco perché ogni volta che vedo un compagno (spesso si tratta solo di maschi) che si ri-pente, che si vergogna di quel che è stato, che raffigura la sua/nostra storia secondo categorie ridicole (una chiesa, una struttura autoritaria, un mondo di conservatori) capisco le ragioni delle sconfitte di oggi e domani. Mi chiedo solo come sia potuto succedere che un partito che ha avuto alcuni milioni di iscritti e oltre una decina di milioni di voti sia stato così affollato di idioti che erano capitati lì per caso.

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Niente multe a chi non installa i seggiolini antiabbandono

La maggioranza sta pensando a una moratoria per dare tempo alle famiglie di adeguarsi fino a marzo o giugno 2020.

Niente multe per chi non installa subito i seggiolini antiabbandono per i bimbi fino a 4 anni. O meglio, è previsto uno slittamento e, forse, anche la possibilità di vedersi restituire quanto pagato per chi, nel frattempo, incappa nella sanzione. Come promesso dal ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, la maggioranza si prepara a varare una moratoria per consentire alle famiglie di adeguarsi al nuovo obbligo sottoforma di emendamento al decreto fiscale collegato alla manovra. Il Pd pensa infatti a mettere in stand by le sanzioni almeno fino a marzo del 2020, mentre il Movimento 5 Stelle propone uno slittamento fino a giugno e, appunto, la possibilità di richiedere indietro i soldi pagati per le multe prese dal 7 novembre fino alla conversione del decreto, quando la moratoria diventerà effettivamente operativa.

EMENDAMENTI FINO ALL’11 NOVEMBRE

Ma quella sui seggiolini anti-abbandono non è l’unica modifica proposta dalla stessa maggioranza al decreto fiscale: per gli emendamenti c’è tempo fino a lunedì 11 novembre 2019 e sul fronte fisco dovrebbero arrivare le correzioni alla stretta sulle ritenute negli appalti, dopo l’allarme lanciato dalle imprese, e qualche ritocco sulle compensazioni (si potrebbero escludere i soggetti in credito d’imposta ‘strutturale’, come ad esempio i professionisti).

SCUDO PENALE PER L’EX ILVA

Ma in ballo, per la parte non strettamente fiscale del provvedimento, c’è anche lo scudo penale per l’ex Ilva, legato però all’evolversi della trattativa con Arcelor Mittal. Per venire incontro ai problemi dell’acciaieria di Taranto il governo sta peraltro pensando a un fondo, da inserire questa volta in manovra, per il sostegno dei lavoratori già in Cassa integrazione (oltre 1.500) e per le opere di bonifica dall’amianto.

VERSO LA CONFERMA DELLA CEDOLARE AL 21% SUGLI AFFITTI

Per avere la lista delle richieste di modifica alla legge di Bilancio bisogna comunque attendere almeno fino a sabato 16 novembre. Salgono, intanto, le chance di una conferma della cedolare secca al 21% sugli affitti commerciali, come negozi e capannoni. La tassazione agevolata è stata introdotta con l’ultima manovra ma vale solo per gli immobili affittati nel 2019 e al momento la legge di Bilancio non prevede una proroga. Ma «ci stiamo lavorando, penso che si farà», ha detto il presidente della commissione Bilancio del Senato, Daniele Pesco, che sta esaminando in prima lettura la manovra, raccogliendo il plauso di Confedilizia che preme per una riconferma della misura.

LA PLASTIC TAX SEMBRA INEVITABILE

Resta aperta, intanto, la partita sulle micro-tasse, dal prelievo di un euro al chilo sulla plastica, all’aumento della tassazione sulle auto aziendali: per azzerare le due misure servirebbe almeno un miliardo e mezzo che sale a 1,7-1,8 miliardi se si volesse eliminare anche la sugar tax, come chiede Italia Viva. I renziani ipotizzano per le coperture un rinvio del taglio del cuneo fiscale a settembre o un intervento su quota 100, entrambi finora esclusi dal resto della maggioranza. Difficile, quindi, che queste tasse possano essere cancellate: si lavora piuttosto a una revisione che potrebbe portare, ad esempio, a uno slittamento a luglio per sugar e plastic tax, che ora scatterebbero a partire da aprile.

NON CI SONO FONDI PER FINCANTIERI

Scoppia intanto anche un ‘caso Fincantieri‘: in manovra ci si aspettava lo stanziamento dei circa 500 milioni necessari per avviare i lavori per ampliare il cantiere navale di Sestri Ponente (il ribaltamento in mare di Fincantieri), e consentire la costruzione di grandi navi da crociera. Fondi che al momento non ci sarebbero ma, assicura il sottosegretario al Mit Roberto Traversi, «c’è un emendamento governativo già pronto».

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Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un'intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se si andasse a elezioni ora per lui sarebbe finita.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

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Salvini, ma soprattutto Meloni, si stanno bevendo il governo Conte

La maggioranza è spaccata e non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Così le destre si rafforzano. Il Pd prenda coraggio, rompa con M5s e Italia viva e proponga una coalizione di salvezza nazionale guidata da Draghi.

Le cronache politiche raccontano che il Pd è molto arrabbiato per lo stato delle cose e vorrebbe rompere con M5s e Italia viva.

Poi leggi l’intervista a Dario Franceschini sul Corriere della Sera e ti trovi improvvisamente catapultato in una crisi politica che assomiglia a quelle che piacevano tanto ai democristiani.

Franceschini propone che fra gli alleati ci sa lealtà, un comune mission politica, vanta successi inesistenti del governo, elogia Giuseppe Conte, sostiene che si supererà gennaio fino ad arrivare alla fine legislatura e, forse con una punta di macabro umorismo, dice che vincendo le prossime elezioni questo mostro Pd-M5s-Italia Viva possa andare ancora più lontano. Solo del prossimo inquilino del Quirinale non vuole parlare perché, come si dice, de te fabula narratur.

IL GOVERNO GIALLOROSSO NON PARLA AGLI ITALIANI

È bene che il Pd si incazzi di meno e faccia più fatti, a mente fredda. L’impopolarità del governo è il termometro che decide se tenerlo in vita o no. L’impopolarità è nata dal fatto che l’operazione “cambio di maggioranza” non è piaciuta ed è enfatizzata dalla circostanza che non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Avevo sperato che si potesse dire che Roberto Gualtieri aveva abbattuto il cuneo fiscale mettendo soldi nelle tasche dei lavoratori. Oggi spero che si possa dire che Taranto (ragazzi: Taranto , cioè una delle maggiori città italiane), possa essere salvata in un connubio possibile fra lavoro e sicurezza. Invece la Mittal scappa, quella indefinibile ex ministra Barbara Lezzi dice cose da manicomio, il grillismo diffuso è felice di trasformare la città operaia in un grande giardinetto per poveri e anziani.

SERVE UNA COALIZIONE DI SALVEZZA NAZIONALE GUIDATA DA DRAGHI

Se le cose stanno così e andranno così, ed io sono sicuro che andranno persino peggio, il Pd deve smettere di incazzarsi perché deve dire al Paese: «Ci abbiamo provato, con Luigi Di Maio e Matteo Renzi non si costruisce nulla, Matteo Salvini sapete dove vi stava portando, io (nel senso di io-Pd) propongo alle persone di buona volontà di fare una coalizione di salvezza nazionale chiedendo a Mario Draghi di guidarla. Vogliamo rottamare tutto quello che c’è e che viene tutto da lontano, Pd compreso». Questo sarebbe un discorso che agli italiani potrebbe piacere.

Da sinistra, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Siamo in un Paese che ha dimenticato la Prima repubblica e si è rotto le scatole della Seconda e ormai anche di grillismo e fra un po’ presenterà il conto a Salvini preferendogli Giorgia Meloni. Che fa il Pd? Chiede un vertice di governo, vuole una cabina di regia, pensa a un caminetto? Suvvia! Io sono un ammiratore ex post della Dc a cui dobbiamo tante belle cose ma anche tanti guai attuali, ma la cultura democristiana era ben più profonda della caricatura con cui la propone il caro Franceschini. Vuole fare un patto con Di Maio e Renzi? E perché mai loro dovrebbero farlo. Uno è alla canna del gas, l’altro vuole la rovina comune per lucrare sulle macerie del Pd. È arrivato il momento di rubare l’idea a Beppe Grillo: un bel vaffa (ovviamente anche a lui).

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Il consiglio regionale della Lombardia dice no alla commissione Segre

Proposta dal Pd per contrastare intolleranza, razzismo e antisemitismo su modello di quella del Senato, è stata respinta con 42 no e 30 sì. Contrari Lega, Fdi, Forza Italia e tutto il centrodestra.

Il Consiglio regionale della Lombardia ha respinto con 42 No e 30 Sì la proposta del Pd di istituire una commissione consiliare speciale «per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza» sul modello di quella approvata in Senato su proposta della senatrice a vita Liliana Segre. Contrari Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, il gruppo Misto e gli altri esponenti del centrodestra, favorevoli Pd, M5S e gli altri consiglieri di opposizione.

RESTA L’INVITO PER UNA VISITA NEL GIORNO DELLA MEMORIA

La richiesta era stata inserita su proposta del consigliere Pd Pietro Bussolati tra i punti della mozione urgente presentata da Monica Forte del Movimento 5 Stelle, che è stata votata per parti separate. Gli altri punti sono stati approvati da tutte le forze politiche tranne Fratelli d’Italia e Viviana Beccalossi del Gruppo Misto, ma con alcune modifiche richieste dalla maggioranza. In sintesi il testo definitivo votato dall’Aula impegna la giunta regionale a invitare la senatrice Segre a una visita istituzionale in Consiglio regionale, «con l’auspicio – aggiunto da Forza Italia – che tale visita avvenga in una data vicina al giorno della memoria». Inoltre, a «manifestare a Liliana Segre la stima e la profonda solidarietà per le ignobili aggressioni di cui è stata oggetto e il nostro profondo rispetto per la sua storia personale sulla quale non è tollerabile alcuna forma di negazionismo e sottovalutazione». Su richiesta della Lega, infine, nelle premesse è stato posto un accenno di condanna alle contestazioni subite dalla Brigata Ebraica nel corso del corteo del 25 Aprile a Milano

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Inchiesta sul nuovo stadio della Roma, Centemero e Bonifazi a rischio processo

Il tesoriere della Lega e l'ex del Pd sono indagati per finanziamento illecito da parte del costruttore Luca Parnasi. Bonifazi, oggi in Italia Viva, è anche accusato di false fatture.

Rischio processo per Giulio Centemero, tesoriere della Lega e Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd ora passato a Italia Viva. La procura di Roma ha chiuso il filone di indagine, atto che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma. Nei confronti di Centemero è contestato il reato di finanziamento illecito così come per Bonifazi. Per quest’ultimo c’è anche l’emissioni di fatture per operazioni inesistenti.

FONDI A FONDAZIONE EYU DEL PD E ALL’ASSOCIAZIONE ‘PIÙ VOCI’ DEL CARROCCIO

Al centro dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, i finanziamenti dell’ imprenditore Luca Parnasi. In particolare i 150 mila euro destinati alla fondazione Eyu, vicina al Pd, e i 250 mila euro all’associazione Più Voci presieduta all’epoca dei fatti da Centemero. Nei confronti di Parnasi, già sotto processo nel filone principale dell’inchiesta, l’accusa è di concorso in finanziamento illecito.

GLI UOMINI DI SALVINI E RENZI NELL’INCHIESTA

I finanziamenti da parte di Parnasi alla associazione Più Voci sono stati elargiti nel 2015 e nel 2016. Per quanto riguarda la fondazione Eyu il finanziamento risale al 2018. Nel capo di imputazione dell’atto di chiusura delle indagini che riguarda il tesoriere della Lega, Centemero e Parnasi, l’accusa di finanziamento illecito è contestata anche al commercialista Andrea Manzoni, che viene definito dai pm «l’attuale revisore legale del gruppo Lega-Salvini al Senato». Nel segmento di indagine che riguarda Bonifazi, il finanzimanto illecito è contestato anche a Gianluca Talone, commercialista di Parnasi e a Domenico Petrolo,​ responsabile delle relazioni esterne «nonchè ‘fundraising‘ di Eyu». Petrolo, così come Bonifazi, risponde pure dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

FUNZIONARIA DELLA SOPRINTENDENZA SOTTO ACCUSA

Infine rischia di finire sotto processo, per una tentata concussione ai danni di Parnasi avvenuta nel gennaio del 2018, anche Anna Buccellato, funzionaria della soprintendenza archeologica. La funzionaria è accusata di avere tentato di imporre ad Eurnova, società all’epoca dei fatti guidata da Parnasi, alcuni archeologi per sondaggi preventivi nell’area dello stadio, arrivando a minacciare «una vera e propria guerra» al gruppo Parnasi se non fosse stata cambiata la persona indicata dalla società.

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