Micaela Biancofiore lascia Forza Italia

La deputata se ne va nel gruppo misto dopo 26 anni di militanza: : «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone».

Passa al gruppo misto la deputata Micaela Biancofiore, 26 anni di militanza in Forza Italia. «Con la morte nel cuore, ma anche liberata. La Forza Italia nella quale sono nata e cresciuta, non esiste più». ha annunciato nella nottata della vigilia di Natale Biancofiore. La politica del Trentino Alto Adige sembra, infatti, non condividere più le scelte della dirigenza: «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone», si limita a commentare.

GIAMMANCO: «SPERO CHE BERLUSCONI NE TENGA CONTO»

Sull’addio di Biancofiore forzista di lungo corso, dalla fondazione del partito, è arrivato il commento della vicepresidente del gruppo forzista al Senato Gabriella Giammanco: «Mi auguro che il Presidente Berlusconi, al quale Micaela Biancofiore ha sempre mostrato lealtà incondizionata, tenga nella giusta considerazione un gesto e un segnale così forte da parte di chi, in passato, non avrebbe mai lontanamente immaginato un simile epilogo». «Dal ’94», ha aggiunto Giammanco, «la collega Biancofiore ha militato con grande passione e abnegazione in Forza Italia ed è, quindi, con estrema amarezza che apprendo la notizia del suo passaggio al Gruppo misto. «Michaela è sempre stata in prima fila in qualsiasi competizione elettorale, anche candidandosi in prima persona ha dimostrato di avere un suo importante seguito elettorale e con costante impegno ha tutelato le istanze del Trentino Alto Adige, mostrando una conoscenza e un’attenzione rare nei confronti del suo territorio. Il nostro partito non può e non deve perdere figure così rappresentative della nostra storia politica, accadimenti simili dovrebbero indurre tutti ad una profonda riflessione», conclude Giammanco.

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Micaela Biancofiore lascia Forza Italia

La deputata se ne va nel gruppo misto dopo 26 anni di militanza: : «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone».

Passa al gruppo misto la deputata Micaela Biancofiore, 26 anni di militanza in Forza Italia. «Con la morte nel cuore, ma anche liberata. La Forza Italia nella quale sono nata e cresciuta, non esiste più». ha annunciato nella nottata della vigilia di Natale Biancofiore. La politica del Trentino Alto Adige sembra, infatti, non condividere più le scelte della dirigenza: «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone», si limita a commentare.

GIAMMANCO: «SPERO CHE BERLUSCONI NE TENGA CONTO»

Sull’addio di Biancofiore forzista di lungo corso, dalla fondazione del partito, è arrivato il commento della vicepresidente del gruppo forzista al Senato Gabriella Giammanco: «Mi auguro che il Presidente Berlusconi, al quale Micaela Biancofiore ha sempre mostrato lealtà incondizionata, tenga nella giusta considerazione un gesto e un segnale così forte da parte di chi, in passato, non avrebbe mai lontanamente immaginato un simile epilogo». «Dal ’94», ha aggiunto Giammanco, «la collega Biancofiore ha militato con grande passione e abnegazione in Forza Italia ed è, quindi, con estrema amarezza che apprendo la notizia del suo passaggio al Gruppo misto. «Michaela è sempre stata in prima fila in qualsiasi competizione elettorale, anche candidandosi in prima persona ha dimostrato di avere un suo importante seguito elettorale e con costante impegno ha tutelato le istanze del Trentino Alto Adige, mostrando una conoscenza e un’attenzione rare nei confronti del suo territorio. Il nostro partito non può e non deve perdere figure così rappresentative della nostra storia politica, accadimenti simili dovrebbero indurre tutti ad una profonda riflessione», conclude Giammanco.

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Francesca Pascale sorride alle Sardine

In una intervista all'Huffington Post la fidanzata di Berlusconi dice di simpatizzare per il movimento di piazza. L'unico rischio? «Finire come il M5s».

Mentre Silvio Berlusconi con gli alleati di centrodestra Matteo Salvini e Giorgia Meloni cerca la quadra sui candidati alle prossime Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, Francesca Pascale guarda da tutt’altra parte. E sorride alle Sardine. Perché, ha detto la fidanzata del Cav in una intervista all’Huffington Post, nel movimento ritrova «quella libertà» che fu propria «della rivoluzione liberale» di Berlusconi. Per questo motivo non ha escluso di partecipare alla manifestazione ittica del 14 dicembre a Roma.

«LE SARDINE PESCANO ANCHE TRA CHI NON HA MAI VOTATO A SINISTRA»

Le Sardine, continua Pascale, sono un «fenomeno spontaneo, dilagante, animato da giovani, quindi va guardato con rispetto, interesse e soprattutto non va sottovalutato. Un errore che a suo tempo è stato commesso con i 5 stelle ed il risultato è quello che è oggi sotto gli occhi di tutti». La loro rivolta pacifica contro un «linguaggio pericoloso» e «in grado di innescare odio» fa sì, spiega la first lady di Arcore, che le Sardine «peschino anche tra coloro che non hanno mai votato e che mai voteranno a sinistra, incarnano l’esigenza di un cambiamento».

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Il rischio è che questo movimento di piazza e spontaneo subisca la stessa metamorfosi toccata al Movimento 5 stelle, «prima anti-sistema, oggi in giacca e cravatta attaccati alla poltrona». Il consiglio? «Restate indipendenti, restate liberi, siate l’anima rivoluzionaria che alberga in tutti i partiti e che pertanto non ha bisogno di etichette».

SANTORI: «DIAMO IL BENVENUTO A CHIUNQUE SI DISCOSTI DAL SOVRANISMO»

E la risposta delle Sardine non si è fatta attendere. «La Pascale tra noi?», ha detto all’Adnkronos uno dei leader del movimento Mattia Santori. «Diamo il benvenuto a chiunque si discosti dal sovranismo. Non abbiamo bandiere proprio perché accettiamo chiunque voglia prendere posizione contro la retorica sovranista divisiva professata da una parte della destra». Poi ha sottolineato: «Rimane il fatto che in Emilia-Romagna e non solo Forza Italia è alleata proprio con i principali artefici di questa retorica. Ma se viene con una sardina bella colorata, chiuderemo un occhio».

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Berlusconi cade a Zagabria nella ressa per i selfie

Per il leader di Forza Italia solo uno spavento, ma nessuna frattura. Accertamenti all'ospedale San Raffaele di Milano.

Terminato il congresso del Ppe, Silvio Berlusconi ha aspettato la proclamazione di Antonio Tajani a vicepresidente, poi, uscendo dall’arena di Zagabria, si è concesso ai selfie. Nella ressa ha sbattuto. Per questa ragione, una volta tornato in Italia il 21 novembre, i medici hanno disposto alcuni accertamenti, eseguiti all’ospedale San Raffaele di Milano, dai quali è emerso un ematoma intramuscolare. Non ci sono, invece, fratture, come confermato da fonti azzurre che hanno negato un rientro urgente. Ora si sta proseguendo con altri controlli alle costole tenuto conto della rilevanza della caduta. Quindi ci saranno altri esami per verificare se ci siano fratture o microfratture alle piccole ossa.

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Carfagna in tregua con Berlusconi decide sulla Campania

L'azzurra sponsorizza il fedelissimo Paolo Russo al posto di Caldoro. Ma il suo tira e molla ha esacerbato gli animi in Forza Italia. E più d'uno si chiede perché, se tiene tanto al suo territorio, non si candidi lei a governatrice.

Forza Italia alla resa dei conti con le Regionali in Campania e Calabria. Dalle scelte che si faranno per le candidature dipende il destino, o la fine, del movimento di Silvio Berlusconi. Grande segnale di forza agli altri partiti della coalizione: quando a indicare il candidato presidente è il partito del Cavaliere scoppiano le liti e si perde tempo per la campagna elettorale.

LO STALLO IN CALABRIA

In Calabria, dove si vota il 26 gennaio e un gruppo di colonnelli locali era pronto alla battaglia, tutto è fermo perché Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza con grande consenso ma anche qualche problema giudiziario, non va bene alla Lega di Matteo Salvini e anche il fratello, Roberto, vice capogruppo di Mariastella Gelmini alla Camera dei deputati, non convince: inviso al cerchio magico di Arcore perché troppo vicino a Mara Carfagna. Dunque la corrente di qualche deputato vicino agli Occhiuto minaccia la scissione, ma sono al massimo tre: lo stesso Roberto, il suo sodale Francesco Cannizzaro e forse la coordinatrice regionale Jole Santelli.

CARFAGNA ALLE PRESE CON L’AFFAIRE CAMPANIA

Nel frattempo, e facendo arrabbiare tutti, Carfagna ha fatto pace con il vecchio Silvio e gestirà personalmente l’affaire Campania, pur senza candidarsi. In forse l’ipotesi Caldoro, che comunque resta la prima opzione del Cav con il gradimento di Salvini, visto che l’azzurra punta sul fedelissimo Paolo Russo, uomo a L’Avana, anzi a Napoli. In cambio di questo, cercherà di convincere anche i calabresi a cedere il passo a una outsider. Donna, che fa sempre bene: Caterina Chiaravalloti, dalla società civile, magistrato, ma figlia d’arte. Suo padre Giuseppe fu governatore della Calabria dal 2000 al 2006. 

L’INSOFFERENZA DELLE AZZURRE PER IL TIRA E MOLLA DI MARA

E vissero tutti felici e contenti? Non proprio. Il tira e molla carfagnesco ha esacerbato gli animi in Forza Italia. Le donne del partito non la sopportano più. Un tira e molla continuo, di Mara e del suo compagno sempre presente Alessandro Ruben, senza sapere neanche bene cosa vuole. La Regione davvero? La vicepresidenza di Forza Italia, che tanto non conta niente, sulle ceneri di Antonio Tajani? Continuare a fare la bella statuina istituzionale nei salotti romani, con l’obiettivo del salto in quelli internazionali? Perché, si chiedono in molti tra gli azzurri, Mara non va a fare la governatrice nella sua terra, se davvero le interessano il territorio, il partito e vuole metterci la faccia?

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Berlusconi suggerisce di nazionalizzare l’ex Ilva

Il Cav, ospite al Maurizio Costanzo Show, ha suggerito che l'unica soluzione per l'impianto di Taranto sia quello di intervenire con soldi pubblici.

«Non sono riuscito a farlo smettere…Ho anche organizzato un attentato, con una bomba, ma niente…». Silvio Berlusconi ha aperto così la sua ospitata al Maurizio Costanzo Show, durante il quale ha affrontato tutti i temi caldi dell’attualità politica.

L’ex presidente del Consiglio, che in passato si trovò ad affrontare la crisi di Alitalia, ha parlato anche dei problemi intorno all’ex Ilva e del passo in dietro di Arcelor Mittal:«Dall’Ilva come se ne esce? Entrandoci, con i soldi di tutti noi. Non credo ci sia altra soluzione», ha aggiunto.

Parlando di eredità politica il Cav si è soffermato anche su Matteo Salvini e Matteo Renzi, riferendosi in particolare all’ex sindaco di Firenze: «Di Mattei ce ne sono molti, forse troppi…Auguri a Renzi che però gioca nell’altra metà di campo, la sinistra. Tra noi c’è una distanza assolutamente incolmabile», ha spiegato. Mentre sul leader della Lega si è limitato a una battuta: «Avete visto che Salvini comincia ad avere la barba grigia…Non piace alle donne».

«LA MANOVRA? PERSINO LA MAGGIORANZA CONTRO IL GOVERNO»

Conversando coi cronisti al termine del programma Berlusconi ha parlato anche del governo e in particolare della manovra: «Si tratta», ha spiegato, «di una manovra negativa tutta tasse e manette che non contiene nulla per imprese, lavoro e famiglie. Il dato dei moltissimi emendamenti della maggioranza dimostra che la maggioranza è in totale contrasto con il governo». E

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Mara Carfagna smetta di illudere i moderati

L'azzurra, al netto dell'errore di legarsi a Toti, è una stella politica. Ma rischia di sparire se resta alla finestra e non si propone come leader di un centrodestra alternativo al duo Salvini-Meloni.

Ogni tanto riemerge la candidatura di Mara Carfagna per qualcosa di importante. È stata una delle berlusconiane di ferro tuttavia priva di eccessiva piaggeria, quando arrivò in parlamento aveva gli occhi puntati su di sé (indubbiamente era, ed è, la più bella) ma vestì i panni dell’austera parlamentare e dette prova immediata di serietà e di capacità di lavoro. Molto spesso a destra hanno pensato a lei come al vero personaggio che avrebbe potuto prendere il posto di Silvio Berlusconi. A mano a mano le sue posizioni si sono anche fatte più limpide e spesso si sono discostate dal suo benefattore facendola diventare una icona del moderatismo politico. Infine è per tanti la candidata ideale per battere Vincenzo De Luca nella gara per la presidenza della Campania. Pur essendo una giovane politica ha, insomma, accumulato molte aspettative ma non sappiamo quanti meriti

L’ERRORE DI LEGARSI A GIOVANNI TOTI

Carfagna ha anche commesso alcuni errori evidenti, l’ultimo dei quali è stato legarsi a Giovanni Toti il presidente per caso della Liguria, avendo perso di vista Berlusconi, alla ricerca di una paterna mano sulle spalle da parte di Matteo Salvini. Questo errore Carfagna l’ha compensato schierandosi con grande nettezza come l’esponente di Forza Italia, o quel che resta, che osteggia ogni estremismo di destra (oggi in pratica tutta la destra, si potrebbe dire) e in particolare il sovranismo di Matteo Salvini.

LE VOCI SU UN POSSIBILE ACCORDO CON ITALIA VIVA

Nascono da qui le ricorrenti voci sul possibile incontro politico con Matteo Renzi solitamente accompagnate dall’odioso pettegolezzo che solo Maria Elena Boschi, invidiosa, impedisca che l’accordo si faccia. Insomma Carfagna è una stella politica che non è ancora scomparsa dall’orizzonte ma che rischia di sparire se questi andirivieni dal palcoscenico parlamentare non la vedranno finalmente dentro un progetto vero.

PER UNA COME CARFAGNA IL PROGETTO VERO È IL CENTRO

Il progetto vero per una come lei è quella cosa che in tempi meno selvaggi chiamavamo “centro”, cioè il luogo ideale del moderatismo italiano, nella consapevolezza che è vero che fra gli italiani l’animo di destra è molto forte, ma è anche vero che dopo un po’ gli italiani si stancano dei contafrottole e di chi vuole dividerli in bande che si odiano e anelano a un partito moderatissimo. La Dc non si può rifare, resta però l’ipotesi di lanciare una chiamata alle armi di chi non si rassegna, anche nel campo del centrodestra, all’affermarsi del duo Salvini-Meloni che non ci porterebbe al fascismo ma certamente darebbe il Paese nelle mani di persone ancora più inadeguate di quelle che oggi lo governano. Salvini in particolare è, e sarà sempre, quello del Papeete. Per quanti sforzi possa fare l’intelligente Giancarlo Giorgetti non si cava sangue dalle rape, come si usava dire. Ecco, quindi, che la sfida, se lanciata in grande, per una leadership moderata potrebbe, passo dopo passo, spingere molti italiani, tranne quelli come me che voteranno sempre a sinistra, a scegliere l’offerta centrista sia che si voglia far da sponda per una sinistra dissanguata sia che vogliano temperare i facinorosi del populismo sovranista.

GLI AUTOCANDIDATI ALLA LEADERSHIP MODERATA

I candidati a questo ruolo sono stati tanti. Diciamo, gli autocandidati. Gli ultimi Carlo Calenda, troppo GianBurrasca, Renzi, troppo antipatico, Urbano Cairo che molti invocano o temono, infine Mara Carfagna. Lei potrebbe farcela ma dovrebbe prendere dalle donne che hanno guidato i vari Paesi del mondo quel tanto di decisionismo, di amore per il rischio, di linguaggio diretto che ancora le mancano. Le manca soprattutto decidere quel che farà da grande. Può scegliere di correre per la Campania. Può scegliere invece la battaglia, inizialmente minoritaria e solitaria, per diventare il punto di riferimento di chi non vuole che l’Italia faccia parte del gruppo di Visegrad. Può deciderlo solo lei. Ma se resta alla finestra ancora a lungo, la dimenticheranno. 

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Trattativa Stato-mafia, Berlusconi non risponde ai giudici

L'ex premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Era stato convocato dai legali del suo vecchio braccio destro, Marcello Dell'Utri.

L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula. «Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha detto l’ex premier alla corte. Citato dagli avvocati dell’imputato Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro, doveva essere sentito come testimone assistito.

IL SILENZIO GARANTITO DAL PROCESSO PARALLELO

Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti «probatoriamente collegati» a quelli oggetto del processo «trattativa». La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto «l’ufficio di testimone», quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.

DI MAIO: «SONO SENZA PAROLE»

«Questo Paese non chiuderà mai i conti con il passato, se una persona che ha fatto per tre volte il Presidente del Consiglio si avvale della facoltà di non rispondere in un processo per mafia. Sono veramente senza parole», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri e capo politico del M5s, Luigi Di Maio.

L’INTERVISTA SULLA TRATTATIVA

«Non abbiamo ricevuto nel 1994, né successivamente nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti. Vorrei ricordare che i miei governi hanno sempre operato nella direzione di un contrasto fortissimo nei confronti della mafia, abbiamo incrementato la pena del 41 bis rendendola più dura e l’abbiamo anche spostata sino alla fine della detenzione invece che per un certo più stretto periodo. Abbiamo individuato nuovi strumenti giuridici tra cui il codice antimafia che ha consentito da un lato la cattura di 32 dei più pericolosi latitanti capimafia, 32 su 34», era uno stralcio delle dichiarazioni rese dall’ex premier in una intervista video rilasciata il 20 aprile del 2018, dopo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. I legali di Dell’Utri avevano chiesto di far vedere il video in aula, ma i giudici hanno negato la riproduzione del filmato in aula. «L’intervista è già acquisita agli atti», hanno detto i giudici, «quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula».

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La vera minaccia è la politica dei Mastrolindo

Slogan, promesse irrealizzabili, jingle. Da Berlusconi a Salvini, Di Maio e Renzi, i leader sono pubblicitari pronti a offrire soluzioni in stile Trivago o Facile.it. Ma così il disastro è dietro l'angolo.

La democratizzazione del desiderio. Ovvero tutti hanno diritto a tutto. Cose serie e frivole, bisogni e sogni allo stesso modo. Perché l’erba voglio oggi cresce dappertutto e con una velocità che riesce addirittura a divorare se stessa. Desiderare il desiderio è diventato perfino più importante dell’oggetto desiderato

DESIDERI ILLIMITATI, RISORSE LIMITATISSIME

Chi ricorda «Il tuo prossimo desiderio» (spot dell’Ariston) oggi fa i conti con una realtà in cui non si fa in tempo a soddisfarne uno che ce ne sono altrettanti, se non di più, che attendono soddisfazione.

Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

Certo per la società dei consumi – ha scritto John Seabrook in Nobrow: The Culture of Marketing, the Marketing of Culture – «nulla potrebbe essere più minaccioso del fatto che la gente si dichiarasse soddisfatta di quel che ha». Però è drammatico, per riprendere alcune considerazioni della volta scorsa, che i desideri siano diventati illimitati, che tutto sia desiderabile e teoricamente ottenibile. Senza curarsi, anche distrattamente, se si hanno le indispensabili risorse economiche, ma anche intellettuali, culturali, professionali.

DALLA INSODDISFAZIONE SI GENERA IL POPULISMO

Perché l’inevitabile scarto fra desiderio e realtà, mediamente grande per tutti, è generatore alla lunga di una profonda insoddisfazione sociale. Della quale i populisimi, variamente espressi nel mondo occidentale, ne sono l’espressione aggiornata. Con il loro carico di protesta, rabbia, ribellismo che si gonfiano fino a esplodere nei confronti di tutto ciò che viene identificato come responsabile delle promesse mancate, dei desideri inevasi, delle attese frustrate. Ciò che qui interessa però è come abbiamo potuto ridurci così. Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

SIAMO SOMMERSI DA SPOT

La risposta è presto detta. Sono stati i pubblicitari e la pubblicità a ridurci così. Ma senza poteri occulti che hanno tramato e senza un disegno ideologico o una pianificata strategia. La circonvenzione d’incapaci – noi tutti – è avvenuta quasi spontaneamente, con tanta più forza persuasiva quanto più quella ideologia ha lavorato instancabilmente. Entrando in tutte le trame del vivere quotidiano, installandosi al centro del sistema massmediale, estendendo il paesaggio pubblicitario nei tanti modi oggi osservabili guardandosi intorno, camminando per la città, spostandosi in metro, muovendosi in auto.

La pubblicità non è né di sinistra né di destra. È la neutralità che la rende efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe

Ovunque si sia o si vada non manca mai un’immagine o un messaggio promozionale. Siamo letteralmente sommersi dalla pubblicità. Si stima che veniamo raggiunti in media da 3.000 messaggi al giorno. Ma non ci facciamo più caso. Perché quest’azione di avvolgimento e coinvolgimento è avvenuta in modo dolce. È partita da lontano, ha lavorato per anni, giorno per giorno, Come la goccia che scava il sasso ci siamo alla fine convinti che «Impossible is nothing» (Adidas) e che «Per tutto il resto c’è Mastercard».

LA PUBBLICITÀ È NEUTRALE E PER QUESTO EFFICACE

La pubblicità si è installata al centro del sistema, senza resistenze, se non timide nei decenni 60 e 70 di contestazione del sistema consumistico. Perché come tutte le ideologie forti, funziona non venendo percepita come tale. Nel pensiero corrente la pubblicità non è né di sinistra né di destra e nemmeno di centro. È la neutralità che la rende comunicazione efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe. D’altra parte è stata ed è proprio la politica, se non la prima, la più grande vittima della pubblicità. Al punto di arrivare a identificarsi con essa. Assumendone stile e modalità comunicativa, facendone proprie strategie e tecniche persuasive. In ossequio al principio che in pubblicità non bisogna dirle giuste ma bene. E che spararle grosse non solo si può ma si deve.

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Dal momento che un annuncio non ha alcun obbligo di verità: è comunicazione non informazione. Peraltro a chi interessa, ammesso sia verificabile, se «Scavolini è la cucina più amata dagli italiani»? Ciò che conta, come dicono i pubblicitari, è che si fissi il concetto, che passi il messaggio

FORZA ITALIA, LA SOTTOMISSIONE DELLA POLITICA ALLA RECLAME

Questo processo di sovrapposizione e nel contempo di sottomissione della politica alla pubblicità ha in Italia una data ufficiale: la nascita di Forza Italia, il partito creato dal nulla, modellato su Publitalia e impostosi alle prime elezioni nelle quali si presentò forte di una campagna pubblicitaria sulle reti Mediaset che per pressione, ovvero numero di spot trasmessi nei 40 giorni di campagna elettorale (1.127 con punte di 61 al giorno) era un’assoluta novità; che equiparava il partito di Silvio Berlusconi ai brand del largo consumo. Il promesso «nuovo miracolo italiano» si impose all’attenzione dei consumatori/elettori con forza persuasiva simile a «Se non ci fosse bisognerebbe inventarla» (Nutella) e «Dove c’è Barilla c’è casa». 

SI È IMPOSTA LA LOGICA ALLA «O COSÌ O POMÌ»

Ciò che però va sottolineato non è il carattere imbonitorio del messaggio politico, nel momento in cui diventa tout court pubblicitario, ma il fatto che promettere miracoli, palingenesi della domenica, risoluzione di problemi ed emergenze epocali è diventato normale. Credibile, evidentemente, per gli elettori/consumatori. Ma alla lunga deleterio e distruttivo per l’intera società. In primo luogo perché si è imposta la logica semplificatoria della pubblicità, che non conosce mezze misure: «O così o Pomì».

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La personalizzazione e l’attuale leaderismo che ne conseguono s’accompagnano alla speculare scomparsa dei partiti come portatori di visioni collettive e concezioni condivise del mondo e della società. Ora ogni partito è il suo leader. Che la canta e la suona come vuole. O meglio che se la twitta e se la posta (a pagamento), con propensione personalistica massima nel caso di Matteo Salvini e della Lega. Sull’account personale da marzo a ottobre sono stati spesi 161.608 mila euro, in quello del partito 845.

PROMESSE ROBOANTI E DIETROFRONT SDOGANATI

L’incrudelimento del confronto politico è causa ed effetto dell’esagerato aumento di tono delle promesse, tanto roboanti e giocate sull’emozione anziché sulla ragione, da colpire nell’immediato, a caldo, ma da svanire velocemente. È così che, annunciata la cancellazione della povertà per decreto o l’abolizione delle accise sulla benzina, si può senza pudore alcuno contraddirsi o addirittura smentirsi. Dimenticarsi delle promesse fatte. Ma non di aizzare i propri gruppi d’acquisto e fan club. Perché la pubblicità non conosce, né riconosce smentite o contraddizioni. Per dirla in pubblicitariese «mente sapendo di mentine».

BASTA CON I CAPITAN FINDUS E I MASTROLINDO

Ora cambiare registro, smettere con la politica del «pulito sì, fatica no», e ritornare a promesse realistiche, sarebbe auspicabile. Sommamente. Però non è all’ordine del giorno. Pensare che basti proibire la pubblicità della politica, come ha annunciato Twitter, è una pia illusione. Anche perché Facebook non lo farà. Allo stato attuale sarebbe già un risultato se si facesse strada, almeno, la consapevolezza che più la politica diventa annuncio, teatrino in streaming, offerta di soluzioni in stile Trivago o Facile.it, più il disastro si avvicina.

Non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia «non è come il vino che invecchiando migliora»

Però non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia, con le sue libertà e difese dei diritti civili e personali, «non è come il vino che invecchiando migliora». Lo scrive l’ultimo numero di The Economist citando una ricerca apparsa sull’American Political Science Review che ammonisce «a non dare per scontata la democrazia». Che anzi, in Italia, è più che mai in pericolo se i vari Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi continuano a travestirsi da Capitan Findus, Omino Bianco e Mastrolindo.

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Nessuno crede nella sopravvivenza di Forza Italia. Nemmeno gli azzurri

Mara Carfagna, reduce dal fallimentare tentativo di scalata ai vertici, sarebbe pronta ad allearsi con Toti. Renato Brunetta è ormai diventato renziano. Eppure per sollevare il partito basterebbe saper fare politica. Evidentemente questa classe dirigente nei 25 anni berlusconiani non ha imparato nulla.

Forza Italia è ormai l’asilo Silviuccia. Mai Silvio Berlusconi avrebbe pensato di rimpiangere i vecchietti di Cesano Boscone, l’ospizio dove prestò la condanna ai servizi sociali. Loro almeno erano teneri. Dentro al partito, invece, sono diventate tutte arpie. Mostri che lui stesso ha generato e che, a onor del vero, si diverte a osservare. 

LEGGI ANCHE: La Lega sfonda la soglia del 34%, Fi intorno al 6%

MARA CARFAGNA HA FATTO IL PASSO PIÙ LUNGO DELLA GAMBA

Mara Carfagna si dice disinteressata a salvare il suo seggio invece è l’unica cosa che ha a cuore. Più lo negano – lei, le altre e gli altri – più è il pensiero dominante. Ma andare con Matteo Renzi proprio no: su Mara pende il veto di Maria Elena Boschi e comunque non avrebbe senso spostarsi in un partito che, ben che vada, prenderà la stessa percentuale di Forza Italia, ma in cui lei e i suoi sono gli ultimi arrivati, mentre nel partito del Cavaliere erano in pole position. Ha fatto il passo più lungo della gamba e si è già pentita.

Mara Carfagna.

IL FALLIMENTARE TENTATIVO DI SCALATA

Sanno tutti che le sue posizioni sulla mozione Segre sul razzismo e la sua vicinanza alla Comunità ebraica, entrambe ammirevoli, sono molto influenzate dal suo compagno Alessandro Ruben, ex consigliere dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Lo stesso che le ha sciaguratamente consigliato la mal riuscita scalata al vertice di Fi. Ormai in un angolo, ora è disposta a fondersi anche con Giovanni Toti, che però quanto a salvinismo, che è il punto dirimente di tutta questa faccenda, è lontano da lei anni luce. Come fai a lasciare Silvio perché troppo vicino a Salvini e andare con Toti che si vuole alleare, tra l’altro a maggior fatica, con lo stesso Matteo padano? Sarebbe un problema, se ormai non fosse consentito di tutto e di più. 

LEGGI ANCHE: Berlusconi riconosce la leadership di Salvini. Anche in Mediaset

ANCHE RENATO BRUNETTA È DIVENTATO RENZIANO

Perfino Renato Brunetta è diventato renziano. In una dichiarazione ai telegiornali di qualche settimana fa ha addirittura affermato che se l’Iva non aumenta è merito di Matteo Renzi. A quasi 60 anni anche lui, già duro e puro, fa di tutto per salvare la poltrona. Stessa strategia di Mariastella Gelmini che, se in cuor suo pensa che il Cavaliere è ormai troppo vecchio ed è diventato una zavorra, si erge a sua amazzone. Che lo faccia di malavoglia si vede lontano anni luce. Per camuffare, ha messo in piedi una squadra di comunicazione che vorrebbe fosse la Bestia ma le procura solo follower turchi su Twitter.

Renato Brunetta.

NESSUNO HA LA FORZA E IL CORAGGIO DI SOLLEVARE IL PARTITO

La realtà è che nessuno ha la forza e il coraggio di sollevare Forza Italia. Sono gli stessi azzurri i primi a non credere nella sopravvivenza e nella rinascita. Eppure lo spazio a cui punta Renzi è anche il loro, basterebbe un nulla per recuperarlo. Basterebbe saper fare politica. Evidentemente in 25 anni non hanno imparato nulla. Non ci hanno neanche provato, si stava così bene quando Silvio c’era.  

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