Mes, Salvini chiede a Conte di riferire e il M5s richiama Di Maio

I deputati pentastellati domandano al capo politico un vertice di maggioranza. E la Lega va all'attacco del governo: «Le precisazioni di Palazzo Chigi sono ancora più preoccupanti».

Prosegue la polemica sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il tassello della riforma dell’Eurozona voluto soprattutto dai Paesi del Nord e che prevede una ristrutturazione per i debiti pubblici troppo elevati. Il 19 novembre sono stati i deputati della commissione finanze del Movimento 5 stelle a prendere posizione, richiamando all’ordine il loro capo politico Luigi Di Maio, promosso intanto ministro degli Esteri.

Italian Foreign Minister Luigi Di Maio delivers brief remarks to members of the news media after the Meeting of Small Group of the Global Coalition to Defeat ISIS (ISIL), at the State Department in Washington, DC, USA, 14 November 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

«Il parlamento aveva dato un preciso mandato al presidente del Consiglio. La discussione sul Mes deve essere trasparente, il parlamento non può essere tenuto all’oscuro dei progressi nella trattativa e non è accettabile alcuna riforma peggiorativa. Oggi è chiaro, invece, che la riforma del Mes sta andando proprio nella direzione che il parlamento voleva scongiurare. Chiediamo al capo politico di far convocare un vertice di maggioranza, perché sul Mes noi non siamo d’accordo», hanno affermato in una nota i deputati M5s della commissione Finanze.

SALVINI: «CONTE RIFERISCA IN PARLAMENTO»

E su Facebook ha preso la palla al balzo il leader dell’opposizione Matteo Salvini: «Conte subito in parlamento a dire la verità, il Sì alla modifica del Mes sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale». Poco prima il presidente della Commissione bilancio della Camera, il leghista Claudio Borghi, aveva commentato le precisazioni del governo sulla riforma. Palazzo Chigi ha infatti spiegato che il pacchetto sarà votato a dicembre e che il parlamento ha diritto di veto. «Le precisazioni di Palazzo Chigi sul Mes non hanno chiarito un bel nulla. Anzi, hanno aumentato la preoccupazione. Come si fa a dire che il parlamento potrà esprimersi “in sede di ratifica”? Il testo è ormai pubblico e l’Italia doveva e deve opporsi prima, in sede di Eurogruppo e Consiglio. Perché non l’ha fatto a fronte di un testo che comporta “rischi enormi” (parole del governatore di Bankitalia)?», ha detto Borghi.

L’ACCUSA DI BORGHI: «SCUDO PER IL MES E NOI NON COINVOLTI»

«Conte», ha proseguiuto Borghi, «ha spiegato al M5s che questo trattato – al quale lui, contrariamente al mandato, non si è opposto – include l’immunità totale da qualsiasi forma di processo giudiziario (articoli 32 e 35)? Il governo toglie l’immunità all’Ilva per darla al Mes? Perché poi Palazzo Chigi afferma che la riforma è stata discussa con i “presidenti di commissione competenti”, quando invece il sottoscritto – essendo il presidente di commissione competente per la Camera – a giugno non ha avuto il piacere di incontrare in proposito il presidente del Consiglio? Non sono permaloso. Basta che il presidente Conte dica chiaro e tondo che l’Italia non approverà mai la riforma del Mes per fugare qualsiasi dubbio. Attendiamo con fiducia queste semplici parole», ha concluso.

IL 27 NOVEMBRE GIÀ IN CALENDARIO L’AUDIZIONE DI GUALTIERI

Fonti del ministero dell’Economia hanno spiegato che «il ministro Roberto Gualtieri ha inviato il 7 novembre al presidente della Commissione Finanze Alberto Bagnai la richiesta di essere audito in merito alla riforma del Mes, della quale è stata programmata la firma in dicembre sulla base dell’intesa raggiunta dal Consiglio europeo nello mese di giugno. L’audizione è stata calendarizzata per il 27 novembre».

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Gabrielli contro Salvini per i commenti sul caso Cucchi

Anche il capo della polizia Franco Gabrielli interviene sulle frasi pronunciate da Matteo Salvini dopo le sentenze di condanna dei..

Anche il capo della polizia Franco Gabrielli interviene sulle frasi pronunciate da Matteo Salvini dopo le sentenze di condanna dei carabinieri responsabili della morte di Stefano Cucchi. «Credo che quanti, negli anni, hanno dato giudizi avventati sulla vicenda Cucchi dovrebbero oggi chiedere scusa ai familiari», ha detto Gabrielli, «ma vedo un approccio manicheo e giudizi espressi con l’emotività del momento». «La sentenza»- ha aggiunto Gabrielli – «dovrà passare al vaglio dell’Appello e della Cassazione e tutti dovrebbero avere rispetto prima di fare affermazioni. Chi ha espresso giudizi avventati dovrebbe chiedere scusa. Ma l’enfasi contraria dovrebbe essere contrastata».

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Ora Salvini vuole andare in piazza con le Sardine

Dopo il boom di Modena, il leader della Lega prova a parare il colpo e sfida i contestatori: «A Rimini andrò in mezzo a loro».

Dopo il successo di Bologna, anche piazza Grande a Modena ha replicato la straordinaria partecipazione alla manifestazione delle Sardine contro Matteo Salvini. Costretto a riparare in una location diversa da quella designata in origine per non sfigurare, ora Salvini ha dichiarato di essere pronto a mischiarsi tra i manifestanti in vista della prossima adunata.

«QUASI QUASI IN PIAZZA CI VADO ANCH’IO»

«Quasi quasi in piazza con loro ci vado anche io», ha detto il leader leghista con riferimento alla manifestazione prevista per domenica 24 novembre a Rimini. Replicando a chi gli chiedeva un commento sulla mobilitazione nata a Bologna e approdata a Modena, Salvini ha sottolineato che «a Modena ho preferito le aziende alle Sardine: con tutto il rispetto delle sardine ci sono più problemi in aziende in difficoltà, che in piazza». «Sardine a Rimini?», ha poi aggiunto, «la prossima volta ci vado anche io in piazza con loro». Senza scontri. «Io vado a proporre perché queste sono piazze contro, io vengo a Rimini per, vado a Firenze per, sono stato a Modena per. Le piazze contro» – ha concluso Salvini – «sono rispettabili e sono curioso di sapere qual è la proposta».

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Salvini è indagato per il caso Open Arms

Secondo Repubblica, le ipotesi di reato sono sequestro di persona e omissione d'atti d'ufficio. L'allora ministro si oppose allo sbarco di 164 migranti. È il bis del caso Diciotti, quando il leader leghista fu salvato dal parlamento.

Matteo Salvini è indagato per il caso Open Arms. Secondo quanto riporta Repubblica, la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo sul leader leghista, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno, con le ipotesi di reato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio. I pm hanno passato il fascicolo alla Dda di Palermo, che ha il compito di verificare le ipotesi di reato – può confermarle, riformularle o chiedere l’archiviazione – prima del giudizio del tribunale dei ministri. Parlamento permettendo. La vicenda risale ad agosto, quando 164 migranti salvati in zona Sar libica furono costretti a restare per 20 giorni sulla nave umanitaria in mare, a mezzo miglio da Lampedusa.

A MARZO IL PARLAMENTO NEGÒ L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

«L’Autorità pubblica aveva consapevolezza della situazione d’urgenza e il dovere di porvi fine ordinando lo sbarco delle persone», scrisse allora la procura di Agrigento. Che prima del caso Open Arms indagò Salvini per una vicenda simile, quella della Diciotti. In quell’occasione, il leader leghista fu salvato dal parlamento, che negò l’autorizzazione a procedere.

Il M5s voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini

Mario Giarrusso (M5s) sul caso Diciotti

Era marzo 2019 e il Carroccio governava col Movimento 5 stelle, che prese le parti del ministro: «Annuncio con orgoglio», disse il Aula il senatore Mario Giarrusso, «che il Movimento 5 stelle, dopo aver condiviso con i cittadini e i propri iscritti questa decisione, voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini». Otto mesi più tardi, gli equilibri a Palazzo Chigi sono cambiati. E non è detto che, se il caso Open Arms dovesse arrivare in parlamento, l’epilogo sarà lo stesso.

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Lo scontro Salvini-Conte sul fondo salva Stati (Mes)

Il leader della Lega accusa il premier di «alto tradimento» per aver dato il via libera al nuovo meccanismo europeo di stabilità. Ma al momento della firma il Carroccio era al governo. E manca ancora l'ok del parlamento.

«Pare che Conte abbia firmato un accordo per cambiare il fondo salva-Stati (Mes), di notte, di nascosto, un fondo ‘ammazza-Stati’. I giornalisti chiedano a Conte e Tria, se, senza l’autorizzazione del parlamento, hanno dato l’ok dell’Italia, perché in quel caso sarebbe alto tradimento» Matteo Salvini, via Facebook, parte all’attacco sul nuovo accordo che il governo Conte avrebbe firmato in Ue «senza chiedere il via libera del parlamento». A dare la notizia della firma è stato per primo LaVerità.

Piovono tasse…….Nonostante tutto, buona settimana Amici.

Posted by Matteo Salvini on Monday, November 18, 2019

«Se qualcuno ci infila in questa gabbia del Mes, i titoli di Stato rischiano di valere sempre meno», aggiunge Salvini: «Se qualcuno ha firmato all’oscuro del popolo e del parlamento lo dica adesso, altrimenti sarà alto tradimento e per i traditori in pace e guerra il posto giusto è la galera».

LA FIRMA DURANTE IL GOVERNO M5S-LEGA

Salta subito all’occhio che l’accusa di Salvini è diretta anche all’ex ministro Tria, titolare dell’Economia quando anche la Lega era al governo. Il “tradimento” sarebbe stato fatto, secondo l’accusa del leader del Carroccio, proprio sotto al naso del partito di Salvini. Il quale, tra l’altro, si indigna lasciando pensare che il via libera del governo sia definitivo, mentre il parlamento deve comunque ratificare l’eventuale decisione presa.

COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL FONDO SALVA STATI

«La riforma del Fondo salvastati», spiega Federico Giuliani su InsideOver, «intende trasformare il Mes in una sorta di meccanismo di stabilizzazione dei rischi sui debiti sovrani, facendo in modo che le procedure e le condizioni per ricorrere agli aiuti dello stesso siano automatiche. Tutto questo contribuisce ad acuire le diseguaglianze tra i vari Paesi dell’Eurozona, con paletti molto duri per gli Stati che devono fare i conti con le finanze pubbliche più disastrate, come ad esempio l’Italia. A proposito del nostro Paese, se Roma dovesse perdere l’accesso al mercato e chiedere aiuto, dovrebbe essere sottoposta alla Dsa, cioè a un’analisi di sostenibilità del debito: alcuni tecnici stileranno una pagella sul debito italiano. A seconda del voto, potrebbe scattare la ristrutturazione e un conseguente massacro per banche e sottoscrittori». 

MELONI: «IL MES SARÀ UNA SUPER TROIKA»

A Salvini si sono subito aggiunti gli altri partiti di opposizione, a partire da Fratelli d’Italia. «All’Eurosummit dello scorso giugno il presidente Conte ha dato l’ok alla riforma del Fondo salva-Stati senza coinvolgere il parlamento, che entro il mese di dicembre sarà chiamato a ratificare questa nuova eurofollia», ha dichiarato la presidente Giorgia Meloni, «la riforma del Mes impone in sintesi una maxi patrimoniale per gli Stati che non rispettano i parametri stabiliti, e ovviamente l’Italia è fuori da questi. Il Mes si trasformerà in un super troika onnipotente che avrà come unico scopo quello di agire nell’esclusivo interesse della speculazione finanziaria. Fratelli d’Italia annuncia sin da ora le barricate in parlamento contro l’ennesimo atto di tradimento nei confronti del nostro popolo».

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Al potere Salvini e i sovranisti dureranno come il Conte 1

Dopo aver abolito temi come “costruire”, “fare” “dialogare”, questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. Sogna e vuole solo lo scontro frontale.

Non c’è dubbio che la destra abbia intercettato una maggioranza di italiani. È una destra divisa in tre che vede la Lega dominare, nelle singolari sembianze non più secessioniste ma sovraniste.

Al suo inseguimento, che si farà via via più asfissiante, la destra di tradizione di Giorgia Meloni che attrae gli elettori scappati dopo Gianfranco Fini. Poi si sono i resti di Silvio Berlusconi, un personaggio che si è buttato via poco dignitosamente in questo squallido suo finale d’opera.

Questa destra dice di rappresentare il popolo perché la sua campagna anti-immigrati ha sfondato nei sondaggi e nel voto reale e ha conquistato le periferie urbane. Tanti soloni di sinistra sono convinti che tutto ciò sia vero e cioè che la forza della destra, e parallelamente la debolezza della sinistra, sia rappresentata da questa identità popolare fondata su una paura da comprendere.

LA BORGHESIA RICCA E IMPRENDITORIALE HA MOLLATO LA SINISTRA

A me sembra che il dato rilevante della destra italiana sia il fatto che pezzi fondamentali di borghesia imprenditoriale e degli affari abbiano deciso di chiudere con la sinistra e soprattutto con i suoi sogni industrialisti. Antipolitica e sovranismo sono stati la miscela di un movimento, partito dall’alto e sceso verso il basso, cementato dall’idea che bisognasse rassegnarsi a Paese più piccolo (più disinvolto nelle alleanze internazionali) e fuori dal circuito dei grandi Stati industrializzati.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

Il popolo, quello che vota nelle periferie, conta poco: bisogna guardare alla sala di comando. Scriveva in modo geniale Alessandro Leogrande, analizzando il popolo infuriato che seguiva Giancarlo Cito a Taranto, che il cuore del malcontento era nella borghesia ricca della città dei due mari, la rivolta era partita da lì. La destra ha un popolo, ma non è il popolo a spiegare il successo della destra. È storia, questa.

QUESTA DESTRA NON HA IDEE PER L’ITALIA

Ho scritto più volte che trovo stupefacente le tesi di quei commentatori annunciano la vigilia di una importante vittoria elettorale della destra (molto probabile), ma soprattutto immaginano che stia per iniziare un’epoca. Stavo per scrivere un ventennio, ma vorrei evitare polemichette.
Personalmente credo che la destra che vincerà le elezioni durerà poco al governo come è accaduto con il Conte 1.

Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità

C’è più di una malattia nel sangue della destra. La prima è la fragilità umana e culturale della sua leadership. Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità, quando si tratterà di governare vedremo lo stesso spettacolo che conosciamo dai tempi della nipote di Mubarak.

Il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, e la candidata a governatore dell’Emilia Romagna per la Lega Lucia Bergonzoni.

La malattia più grave della destra non è però solo la sua leadership (la sinistra ne è immune perché ha soppresso il problema). La malattia più grave è che la destra (a differenza di tutte le destre di tutti i Paesi del mondo e anche delle esperienze conservatrici italiane), non ha la minima idea di quel che deve fare con l’Italia.

CON I SOVRANISTI AL POTERE SCOPPIERANNO NUOVE PROTESTE

Mi colpiscono queste cose: ogni volta che la sinistra all’opposizione si imbatte nel tema del governo altrui, soprattutto in caso di calamità nazionali, è tutto un discutere di quel che bisogna fare, di come essere sinistra “per” e non sinistra “contro”. Poi spesso le cose restano uguali al passato, ma il dibattuto ferve e investe anche tanti intellettuali e politici di rango. La destra non si pone questo problema, non c’è un solo intellettuale di destra che sa uscire dal “diciannovismo”, parlo anche dei migliori, di quelli i cui testi commentano le vicende politiche spesso con acume.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle

La destra ha abolito il tema “costruire”, “fare” “dialogare”. Ritiene probabilmente che il tempo del dialogo sia finito e che si avvicinino tempi cupi. È una destra che sogna e vuole solo lo scontro frontale. C’è l’illusione dei pieni poteri, frase di Salvini non sfuggitagli dal cuore perché è essa stessa il cuore di un disegno. Del resto è inquietante questo riferimento costante dello stesso Matteo Salvini al fatto di essere pronto a donare la vita per l’Italia: a cosa pensa, alla guerra civile? Credo che la sua cultura sia in quell’orizzonte spaventoso.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. E quel che è più grave è che quella borghesia degli affari che l’appoggia, al Nord come al Sud, non ha alcuna voglia di elaborare progetti, di fare squadra. Vuole sopravvivere nel declino, questo il filo che unisce destra e poteri forti. In mezzo c’è il popolo che li vota, che ha creduto al sogno berlusconiano, che sarà felice di cacciare un po’ di migranti ma che alla fine scoprirà che da questa Versailles sovranista e populista non verranno neppure brioches. Non so guidato da chi, ma vedremo presto sollevarsi un altro popolo infuriato contro tutto questo. Fra molto meno di vent’anni.

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Mattia Santori sulle sfide e il futuro delle Sardine di Bologna

Dopo il successo di Piazza Maggiore a Bologna, il flashmob trasloca nelle altre città emiliano-romagnole in vista delle elezioni di gennaio. «Se Salvini prende la nostra Regione», spiega uno degli organizzatori a L43, «vorrà dire che non ci sono più argini. E la gente deve rendersene conto».

Sono riusciti a portare in piazza Maggiore a Bologna 14 mila persone contro Matteo Salvini. E ora Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti, gli organizzatori di 6 mila Sardine, sono pronti a replicare il flashmob in tutte le città dell’Emilia-Romagna in vista delle Regionali del 26 gennaio. A partire, lunedì 18 novembre, da Modena. Manifestazioni senza bandiere e simboli di partito, ma aperte a tutti. «Per dimostrare», dice Santori a Lettera43.it, «che esiste un’alternativa. E per chiedere alle persone se sono davvero disposte a lasciare che le cose accadano senza fare niente».

Un’immagine tratta dal profilo Facebook di Mattia Santori.



DOMANDA: Intanto siete riusciti a battere Matteo Salvini: al Paladozza c’erano poco più di 5 mila simpatizzanti.
RISPOSTA. Matteo Salvini è il primo rappresentante di una politica populista fatta di slogan, che parla alla pancia delle persone. E, per quanto si sforzi di mostrarsi vicino alla gente, la sua è finzione. Costruisce un teatro al quale ci hanno già abituati sia Berlusconi sia Renzi. Riempie il PalaDozza, ma lo fa con trentini, lombardi e veneti. Quella non è politica, è marketing. Noi abbiamo voluto lanciare un modello diverso, fatto di partecipazione e di relazioni umane. 

Avete detto che non vi definite anti-politici né criticoni. Cosa significa?
La nostra piazza non è contro la politica, ma a favore della politica buona. Crediamo nel ritorno di una politica seria, articolata e complessa. Fatta di testa, non di pancia. Non a caso, l’inno delle sardine è Come è profondo il mare di Lucio Dalla. Una canzone bellissima, quasi poetica, ma che al contempo ha un testo lungo e non immediato. 

Crediamo nel ritorno di una politica seria, articolata e complessa. Fatta di testa, non di pancia. Non a caso, l’inno delle Sardine è Come è profondo il mare di Dalla

Molti politici, dal Pd al M5s, hanno messo il cappello sul vostro successo. Vi siete sentiti strumentalizzati?
Sinceramente non abbiamo percepito nulla del genere, né da parte dei partiti di centrosinistra né dal Movimento 5 stelle. A parte la Lega, che come al solito ha un modo di comunicare abbastanza bieco, abbiamo avuto l’impressione che il nostro messaggio sia passato in maniera netta. 

Il centrodestra e la Lega però alle urne sembrano inarrestabili. Cosa si aspetta in Emilia-Romagna?
Non lo so. Ci siamo limitati a lanciare un messaggio. Però vi sembra normale che contro anni di buon governo che parte da un radicamento sul territorio e da proposte concrete ci sia una candidata famosa soltanto per aver indossato in parlamento una maglietta con su scritto “Parlateci di Bibbiano”? Questo messaggio è arrivato così forte e chiaro che anche tanti nostri amici di destra, dopo aver visto ciò che abbiamo fatto, ci hanno detto: «Mai con la Lega». 

Qual è il futuro delle Sardine?
Questo dipenderà dalle Sardine. Dobbiamo capire che i primi responsabili della deriva populista siamo noi, in quanto cittadini. Se la risposta delle piazze sarà numerosa come quella di Bologna sicuramente andremo lontano. Ma dobbiamo mettere in conto che, essendo un movimento spontaneo, c’è il rischio che chi lo porta avanti commetta degli errori. 

Possiamo definire le Sardine un movimento di resistenza?
In qualche modo sì. Perché quella che stiamo subendo in Emilia-Romagna è un’invasione. Un’invasione dei messaggi di Salvini e della Lega. E sappiamo benissimo che se la nostra regione, che è una terra fatta di confronto, di volontariato e di associazionismo, capitola allora daremo un messaggio preciso a tutta Italia e anche a tutta Europa. Cioè che non c’è più un argine. E la gente deve rendersene conto. 

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Lilli Gruber su machismo, politica, Salvini e Südtirol

La conduttrice di Otto e mezzo, autrice di Basta!, punta il dito contro l'Internazionale del testosterone. E sul leader della Lega dice: «Chi non è in grado di passare dallo stile sbracato a quello istituzionale ha un problema nel gestire certi ruoli». L'intervista.

La «recrudescenza del machismo è la spia di una paura diffusa, quella di perdere il controllo e il potere». Così Lilli Gruber spiega Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone (Solferino), l’ultimo libro scritto per rispondere a quella che la giornalista definisce «l’Internazionale del testosterone». 

Lilli Gruber alla presentazione del suo libro ‘Basta’.

DOMANDA. L’ondata di leader “testosteronici” è una sorta di autodifesa del potere maschile davanti alla richiesta sempre più insistente di politiche femminili?
RISPOSTA. Attenzione, il problema non è il potere maschile ma il potere machista che si perpetua per cooptazione. Che trova nell’insulto, nella legge del branco e nella violenza il collante per generare lealtà. E che è pericoloso perché è privo di ideali, persino di ideologie: ha solo lo scopo distruggere le strutture della convivenza democratica, che tutelano la libertà dei cittadini.

L’opinionista francese Éric Zemmour sostiene che il vero problema sta nella femminilizzazione eccessiva della società. Cosa ne pensa?
Zemmour ha diritto alle sue opinioni, io sono andata a cercare i fatti. Mi sembra difficile definire “femminilizzata” una società in cui parlamenti, governi, palazzi presidenziali, consigli d’amministrazione, redazioni di grandi media sono ancora in larghissima maggioranza gestiti da dirigenti uomini. I numeri parlano, il resto sono appunto opinioni che non ci portano granché lontano.

Se la struttura politica e sociale in cui viviamo è strutturata per promuovere uomini, è chiaro che le poche donne arrivate ai vertici hanno dovuto adattarsi

Non sono esistite e non esistono anche leader donne “testoteroniche”?
Il punto non sta nell’opporre femminile e maschile: discussioni come quella sull’essenza della leadership saranno interessanti per la filosofia ma sono piuttosto sterili. Più interessante, invece, analizzare la struttura del potere e le regole su cui si basa. Si vede che questa struttura è stata creata da maschi e oggi è gestita da maschi. Lo dicono i dati e lo dicono millenni di storia. A quante condottiere, cape di stato, scienziate e artiste riusciamo a ricordare? Ebbene, se la struttura politica e sociale in cui viviamo è strutturata per promuovere uomini, è chiaro che le poche donne arrivate ai vertici hanno dovuto adattarsi. Non hanno ancora avuto il potere di cambiare le regole. Ma se al potere ci fosse un numero di donne pari a quello degli uomini, questa struttura cambierebbe. 

Dai cda alla strada: qualche esempio nella vita quotidiana?
I farmaci verrebbero sperimentati anche sul corpo femminile invece che quasi esclusivamente su quello maschile e avremmo un diverso sistema sanitario. Le città verrebbero riprogettate per le esigenze di chi da sempre deve muoversi per commissioni multiple nel corso della giornata – scuole, genitori anziani – e avremmo un diverso sistema di mobilità urbana. Il lavoro domestico e di cura, oggi svolto al 75% dalle donne, verrebbe redistribuito generando un diverso modello di lavoro e di convivenza. E così via. Io desidero vedere questo cambiamento strutturale. Perché sarà un mondo più giusto.

Lei si è occupata del machismo di leader come Donald Trump, Matteo Salvini, Recep Tayyp Erdoğan, Vladimir Putin. Perché non ha approfondito anche casi che coinvolgono personaggi più vicini alla sinistra come Strauss-Kahn, Assange, Chávez?
Perché non sono più al potere, e Julian Assange non lo è mai stato. In un pamphlet che si occupa dell’attualità avrebbero avuto un interesse piuttosto limitato. Per ragioni di spazio, se è per quello, non ho parlato nemmeno di Viktor Orbán o del primo ministro indiano Nanendra Modi, che pure sono al potere e piuttosto pericolosi. Ma soprattutto, nulla lega fra loro tutti gli uomini citati: è un semplice elenco. Invece a fare da collante alla lega l’internazionale machista è una rete tessuta con interessi ben precisi e che minaccia la tenuta delle nostre democrazie. È molto evidente se guardiamo in modo sistemico alla loro azione politica e alle forze che li finanziano. È questo che trovo pericoloso e che dovrebbe spaventare tutti noi.

I toni delle paginate di critiche che mi hanno riservato i quotidiani diretti da maschi, tra cui Feltri, sono un perfetto esempio della deriva del linguaggio e del comportamento che trovo pericolosa

Lei ha raccontato che l’idea del libro è nata dopo la polemica con Salvini. Più recentemente ha battibeccato anche con Vittorio Feltri a causa di un articolo che la riguardava…
L’articolo polemico è del tutto legittimo. Quella che io notavo, con interesse, era la levata di scudi di tutta la stampa di destra il giorno dopo l’uscita del mio libro. Paginate di critiche su quotidiani diretti da maschi, tra cui Feltri, i cui toni sono un perfetto esempio della deriva del linguaggio e del comportamento che trovo pericolosa. Ma fa piacere vedere che quando assumono una dose della loro medicina sessista il livore di questi opinionisti si trasforma in un singhiozzo politicamente corretto: forse possono essere redenti.

Restando alla comunicazione: come è cambiata in questi decenni quella dei politici?
La comunicazione è cambiata per tutti, è diventata più veloce, molti dicono che ormai non ci sono più contenuti ma solo slogan. In realtà non credo che la comunicazione del passato mancasse di slogan: quante parole d’ordine democristiane o comuniste abbiamo sentito ripetere a pappagallo? Però noto che la comunicazione tra politico ed elettore oggi tende a rifugiarsi in un’idea di mimesi: votami perché io sono come te. Ma io non voglio che chi mi rappresenta sia “come me”, voglio che sappia fare cose che io non so fare, per esempio gestire l’economia di un sistema complesso come l’Italia. Voglio la competenza. Ecco, il difetto della comunicazione politica oggi è la pigrizia di sostituire all’idea della competenza l’ideologia dell’identificazione.

La peculiarità di Salvini è l’incapacità di passare dalla forma sbracata a quella istituzionale. Chi non è in grado di fare questo ha un problema nel gestire un ruolo istituzionale

Salvini è “campione” nella comunicazione, sovraesposto sia sui social sia sui media tradizionali.
La sovraesposizione è di tutti, i social hanno sdoganato un certo modo di autorappresentarsi, di mettere in piazza la propria vita privata. È evidente che tutti abbiamo spazi di relax, di déshabillé e di relazione, ma oggi questi spazi sono diventati strumento di azione politica. Non si può tornare indietro ed è stupido ripetere: «Si stava meglio quando si stava peggio», ormai è così. Però la forma è sostanza: la peculiarità di Salvini è l’incapacità di passare dalla forma sbracata a quella istituzionale. Chi non è in grado di fare questo ha un problema nel gestire un ruolo istituzionale.

E quali sono i problemi della comunicazione della sinistra, visto che continua a perdere?
La sinistra non perde per mancanza di comunicazione, ma per mancanza di coraggio. E perché non ha saputo valorizzare i talenti femminili al proprio interno, lasciandosi incredibilmente superare a destra nella corsa alla parità dato che oggi il partito che guadagna più consensi è guidato da una donna: Giorgia Meloni.

Ma esistono poi ancora destra e sinistra, o sono categorie superate?Come molte altre categorie, nel postmoderno destra e sinistra sono diventate più liquide, per dirla nei termini di Zygmunt Bauman. Ma destra e sinistra esistono ed esisteranno sempre: guardiamo la campagna elettorale negli Stati Uniti dove una delle candidate al top, Elizabeth Warren, è portatrice di una proposta politica che viene definita “socialista”. Se capiamo ancora cosa significa questo aggettivo, è perché la distinzione tra destra e sinistra è ancora chiara e pregnante.

Lei è probabilmente la sudtirolese più famosa d’Italia, e alla sua terra ha dedicato una intensa trilogia. Che pensa dell’ultima polemica sul nome Südtirol/Alto Adige?
Ho scritto tre libri per cercare di far capire meglio anche a chi non conosce la storia del Sud Tirolo quali ferite storiche si porti addosso quel fazzoletto di terra. Dalle reazioni e dalle lettere dei lettori, credo di esserci in parte riuscita. Le polemiche sulla toponomastica sono un portato di quella storia, la storia di un popolo che ha visto il fascismo cancellare i nomi dei propri padri dalle tombe di famiglia e non è ancora riuscito a dimenticare. Per superare questi traumi è stato fatto molto, ma una parte e dall’altra occorrono ancora buonsenso e generosità.

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Il j’accuse del gesuita Sorge: «Ruini con Salvini come la Chiesa ai tempi di Mussolini»

L'ex direttore di Civiltà Cattolica contro l'ex numero uno della Cei: «Sbaglia a benedirlo». E poi lancia l'idea di un Sinodo: «Non possiamo più tacere di fronte a odio e razzismo».

Ruini si comporta con Salvini come già fece la Chiesa con Mussolini. Il j’accuse arriva da Padre Bartolomeo Sorge, autorevole rappresentante dei Gesuiti, lo stesso ordine di Papa Francesco, già direttore della rivista Civiltà Cattolica. «Il cardinale Ruini sbaglia a benedire Salvini. Lo stesso fece il Vaticano con Mussolini», ha affermato il teologo e politologo in un’intervista a Marco Damilano per l’Espresso.

«RUINI, L’ULTIMO EPIGONO DELLA STAGIONE DI PAPA WOJTYLA»

«Nella storia della Chiesa italiana, Ruini è l’ultimo epigono autorevole della stagione di papa Wojtyla. Giovanni Paolo II, dedito totalmente alla sua straordinaria missione evangelizzatrice a livello mondiale, di fatto rimise nelle mani di Ruini le redini della nostra Chiesa, nominandolo per 5 anni segretario generale della Cei, per 16 anni presidente dei vescovi e per 17 anni vicario generale della diocesi di Roma», dice Sorge. «Per quanto riguarda il suo atteggiamento benevolo verso Salvini, dobbiamo dire che è del tutto simile a quello che altri prelati, a suo tempo, ebbero nei confronti di Mussolini. Purtroppo la storia insegna che non basta proclamare alcuni valori umani fondamentali, giustamente cari alla Chiesa, se poi si negano le libertà democratiche e i diritti civili e sociali dei cittadini», ha aggiunto.

«SERVE UN SINODO, LA CHIESA NON PUÒ PIÙ TACERE SUL’ ODIO»

«Credo che nella Chiesa italiana si imponga ormai la convocazione di un Sinodo», dice ancora padre Sorge. «I cinque Convegni nazionali ecclesiali, che si sono tenuti a dieci anni di distanza uno dall’altro, non sono riusciti – per così dire – a tradurre il Concilio in italiano. C’è bisogno di un forte scossone, se si vuole attuare la svolta ecclesiale che troppo tarda a venire», spiega. Secondo il gesuita, ex direttore di Civiltà Cattolica e di Aggiornamenti Sociali, «solo l’intervento autorevole di un Sinodo può avere la capacità di illuminare le coscienze sulla inaccettabilità degli attacchi violenti al papa, sulla natura anti-evangelica dell’antropologia politica, oggi dominante, fondata sull’egoismo, sull’odio e sul razzismo, che chiude i porti ai naufraghi e nega solidarietà alla senatrice Segre, testimone vivente della tragedia nazista della Shoah, sull’assurda strumentalizzazione politica dei simboli religiosi, usati per coprire l’immoralità di leggi che giungono addirittura a punire chi fa il bene e salva vite umane». «La Chiesa non può più tacere. Deve parlare chiaramente. È suo preciso dovere non giudicare o condannare le persone, ma illuminare le coscienze», conclude.

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Il j’accuse del gesuita Sorge: «Ruini con Salvini come la Chiesa ai tempi di Mussolini»

L'ex direttore di Civiltà Cattolica contro l'ex numero uno della Cei: «Sbaglia a benedirlo». E poi lancia l'idea di un Sinodo: «Non possiamo più tacere di fronte a odio e razzismo».

Ruini si comporta con Salvini come già fece la Chiesa con Mussolini. Il j’accuse arriva da Padre Bartolomeo Sorge, autorevole rappresentante dei Gesuiti, lo stesso ordine di Papa Francesco, già direttore della rivista Civiltà Cattolica. «Il cardinale Ruini sbaglia a benedire Salvini. Lo stesso fece il Vaticano con Mussolini», ha affermato il teologo e politologo in un’intervista a Marco Damilano per l’Espresso.

«RUINI, L’ULTIMO EPIGONO DELLA STAGIONE DI PAPA WOJTYLA»

«Nella storia della Chiesa italiana, Ruini è l’ultimo epigono autorevole della stagione di papa Wojtyla. Giovanni Paolo II, dedito totalmente alla sua straordinaria missione evangelizzatrice a livello mondiale, di fatto rimise nelle mani di Ruini le redini della nostra Chiesa, nominandolo per 5 anni segretario generale della Cei, per 16 anni presidente dei vescovi e per 17 anni vicario generale della diocesi di Roma», dice Sorge. «Per quanto riguarda il suo atteggiamento benevolo verso Salvini, dobbiamo dire che è del tutto simile a quello che altri prelati, a suo tempo, ebbero nei confronti di Mussolini. Purtroppo la storia insegna che non basta proclamare alcuni valori umani fondamentali, giustamente cari alla Chiesa, se poi si negano le libertà democratiche e i diritti civili e sociali dei cittadini», ha aggiunto.

«SERVE UN SINODO, LA CHIESA NON PUÒ PIÙ TACERE SUL’ ODIO»

«Credo che nella Chiesa italiana si imponga ormai la convocazione di un Sinodo», dice ancora padre Sorge. «I cinque Convegni nazionali ecclesiali, che si sono tenuti a dieci anni di distanza uno dall’altro, non sono riusciti – per così dire – a tradurre il Concilio in italiano. C’è bisogno di un forte scossone, se si vuole attuare la svolta ecclesiale che troppo tarda a venire», spiega. Secondo il gesuita, ex direttore di Civiltà Cattolica e di Aggiornamenti Sociali, «solo l’intervento autorevole di un Sinodo può avere la capacità di illuminare le coscienze sulla inaccettabilità degli attacchi violenti al papa, sulla natura anti-evangelica dell’antropologia politica, oggi dominante, fondata sull’egoismo, sull’odio e sul razzismo, che chiude i porti ai naufraghi e nega solidarietà alla senatrice Segre, testimone vivente della tragedia nazista della Shoah, sull’assurda strumentalizzazione politica dei simboli religiosi, usati per coprire l’immoralità di leggi che giungono addirittura a punire chi fa il bene e salva vite umane». «La Chiesa non può più tacere. Deve parlare chiaramente. È suo preciso dovere non giudicare o condannare le persone, ma illuminare le coscienze», conclude.

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L’antipolitica è finita, ora si combatta la destra anti italiana

Salvini e Meloni, vecchi rottami di governo, si sconfiggono solo con una vera svolta a sinistra radicale e riformista. Lasciamo loro il sovranismo, noi prendiamoci la Patria.

Il lento e inesorabile declino del Movimento 5 stelle testimonia che la lunga stagione dell’antipolitica e del populismo, né di destra né di sinistra, è finita.

Forse per qualche anno ancora ci sarà una pattuglia di deputati grillini, è probabile che una parte di cittadini incazzatissimi resti con i suoi capi attuali o con quelli che manderanno via Luigi Di Maio, ma la ricreazione è finita.

Arrivati al governo, cioè nel cuore della politica, i pentastellati si sono spenti e le loro idee, trasformate in proposte dell’esecutivo, si sono rivelate inquietanti dalla Tav all’Italsider.

L’ANTIPOLITICA HA CREATO UNA DESTRA ESTREMISTA

La fine dell’antipolitica restituisce la scena allo scontro fra destra e sinistra, come era prevedibile. Sono entrambe cambiate. La destra è quella che è mutata di più perdendo definitivamente ogni traccia di moderatismo e rivelandosi la componente più avventurosa ed estremista della scena italiana. È anche quella componente che ha radunato la classe dirigente più chiassosa, più indifferente di fronte ai dati della realtà, più propensa alla bugia soprattutto se clamorosa.

La stagione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, oggi alleati domani concorrenti, prepara il Paese per il definitivo salto nel buio

Dimentichiamo tutte le destre italiane che abbiamo combattuto noi di sinistra. La stagione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, oggi alleati domani concorrenti, prepara il Paese per il definitivo salto nel buio. Meloni, che è più intelligente di Salvini, lo sa e per questo dichiara di avere crisi d’ansia quando pensa a un governo fatto da loro.

MELONI E SALVINI SONO DUE ROTTAMI DELL’ANCIEN RÉGIME

Questa destra rifiuta la sua storia e usa il fascismo come un take away, prende quando e quel che serve. Stiamo parlando di una destra anti-italiana che è diventata sovranista, di una destra antimeridionale che ha i suoi dirigenti al Sud, stiamo parando di una destra che predica moralità ma è fin dal suo vertice impelagata in contese giudiziarie senza precedenti, stiamo parlando di una destra che ha governato male l’Italia per decenni e in particolare ha ucciso Venezia.

Da sinistra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (foto Roberto Monaldo / LaPresse).

Gli stessi leader, Salvini e Meloni, sono vecchi rottami di governo. Eppure una grandissima parte di italiani che fu indifferente al conflitto di interesse e alla questione morale sollevata contro Silvio Berlusconi, oggi si schiera a protezione di Salvini e Meloni dimenticando i danni che la tragica coppia ha già provocato. È, per l’appunto, il prevalere della logica destra-sinistra, che fa scegliere l’avversario del tuo avversario anche se un pò fa schifo anche a te.

QUESTA DESTRA RAPPRESENTA L’AREA RICCA E PANCIUTA DEL PAESE

Molte tesi sociologiche attorno al successo della destra sono culturalmente fragili. Per esempio non è vero che la destra è popolo ed è il popolo sconfitto dalla crisi. La destra è soprattutto quell’area ricca e panciuta della borghesia italiana che vuole lucrare sulla crisi utilizzando la plebe come propria massa di manovra. Tutte le destre sono così. Queste destre hanno bisogno di una vera prova di governo. La sinistra che intende rinviare questo appuntamento attraverso giochetti parlamentari danneggia se stessa e il Paese, soprattutto quando il giochetto fallisce, come il governo Conte 2.

Io sono convinto che Salvini premier dura pochissimo. Non ce la fa, ha la cazzata incorporata

Contrastateli, cercate persino di batterli, conteneteli ma se una maggioranza di italiani li vuole, se li prenda. Io sono convinto che Salvini premier dura pochissimo. Non ce la fa, ha la cazzata incorporata. L’esistenza della destra, e di questa destra, non può spingere la sinistra al richiamo della nostalgia sotto la voce “antifascismo”. È troppo ed è troppo poco. Né, a differenza di quel che si pensava alcuni mesi fa, incoraggia grandi schieramenti con tutti dentro.

LA SINISTRA DEVE CAMBIARE RADICALMENTE

La sinistra ha perso gravemente per ragioni che ormai è inutile indagare perché sono chiare: a) si è ubriacata di blairismo e di clintonismo, b) ha dimenticato che si può convivere col capitalismo ma facendo a cazzotti con esso, c) che occorre una visione, cioè quella roba per cui una sinistra si fa nazionale in quanto incarna una vocazione del Paese, ad esempio un nuovo industrialismo tecnologico e sostenibile, e) che deve tornare fra le persone, costruendo e aiutando l’associazionismo, f) che deve mutare tutta, dicasi tutta, la propria classe dirigente.

La manifestazione pacifica di Piazza Maggiore a Bologna contro la Lega di Salvini.

Credo che anche voi quando vedete i “:” e subito dopo le virgolette aperte prima del nome di un ministro di sinistra, abbiate la certezza che state per leggere la dichiarazione più stupida della giornata. Questa sinistra deve essere radicale e riformista, non ha paura del proprio passato, non lo vuole far tornare in vita ma non saranno Salvini secessionista e Meloni con quei bubboni alle spalle a rimproverare le tragedie della sinistra.

NESSUNA IDEA PER RISOLVERE I DRAMMI DI TARANTO E VENEZIA

Questa sinistra non ha bisogno di Matteo Renzi con cui non deve neppure più litigare. Renzi provi a fare quello che sogna senza più i voti di quelli che prima votavano il Pci. Renzi si faccia un suo bel partito di centro e decida se mettersi accanto alla sinistra che aborrisce o a Savini che non gli sta antipatico. L’unica possibilità che la sinistra ha è di rifondarsi dopo aver buttato giù quello che c’è e poi, armata da un trattino gigantesco, affiancarsi a una forza di centro e così tentare l’impresa.

Tuttora non vedo quartieri popolari affollati di gente di sinistra

Tutto ciò non deve avvenire in laboratorio. Tuttora non vedo quartieri popolari affollati di gente di sinistra, vedo che il dramma di Taranto non commuove perché l’anima ambientalista recalcitra di fronte al sogno della fabbrica sostenibile, non vedo nulla che non sia una raccolta di denari che dica come concretamente aiutare Venezia. Senza questo nuovo spirito fra gli italiani, senza questa italianità vera non si va avanti. Loro si tengono il sovranismo, noi prendiamoci la Patria.

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Non accettare TikTok dagli sconosciuti

Matteo Salvini si è registrato sul celebre social cinese che sta conquistando sempre più adolescenti. E la sua iscrizione è una mossa politica che strizza l'occhio agli elettori del futuro.

TikTok, le lancette corrono. E i giovanissimi utenti del social prima o poi diventeranno maggiorenni. Ed elettori. Matteo Salvini sembra averlo capito prima dei suoi competitor. E così ha deciso di iscriversi alla comunità virtuale popolata soprattutto dalla Generazione Z, cioè i nati dopo il 2000. L’età media degli iscritti va infatti dai 14 ai 16 anni: un bacino di fan che il leader della Lega non vuole perdere.

MICROVIDEO E SFIDE: LA COMUNICAZIONE SU TIKTOK

Ma facciamo un passo indietro. TikTok è un social network da 1 miliardo di utenti lanciato in Cina nel 2016 e approdato in Italia nel 2018. Con le sue challenge (sfide a colpi di coreografie, karaoke e balli), e i suoi microvideo di 15 secondi massimo, ha inaugurato una comunicazione ancor più rapida e diretta di quella su Instagram e Facebook.

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ORDINE E LOTTA ALL’IMMIGRAZIONE

Sul suo nuovo profilo Salvini – o la “sua” Bestia – ha inserito l’hashtag #primagliitaliani, seguito da un tricolore, se non fosse chiaro il concetto. Al momento conta 2.001 follower e 1.233 Mi piace. Tra i post pubblicati, un video in cui stringe con fierezza la mano alle forze dell’ordine e un intervento a Non è l’arena sull’immigrazione. «In Italia si arriva con i documenti e se si ha il permesso di arrivare altrimenti si arriva da dove si è venuti», sentenzia.

Il profilo di Matteo Salvini su TikTok

GLI UTENTI NON SEMBRANO APPREZZARE

Nonostante lo sforzo, i diretti interessati non sembrano apprezzare. Almeno a giudicare dalla gran parte dei feedback. Sotto il post in cui invitava a guardare la puntata di Di Martedì in cui è stato ospite il 12 novembre, sono piovuti commenti trachant: «Non voglio sprecare minuti preziosi della mia vita», «potevi lasciarmi almeno TikTok libero da te», «che bello poterti insultare anche qui», «vai via da questo social». Nel marasma, c’è anche chi lo ha invitato a esibirsi in un balletto. Ma non è mancato chi si è chiesto se fosse legale «fare propaganda politica su una piattaforma usata principalmente da minori».

Matteo Salvini su TikTok
Alcuni dei commenti ricevuti da Matteo Salvini sul suo profilo di TikTok

COSÌ LA LEGA “COLTIVA” IL SUO ELETTORATO

Un problema che certamente Salvini non si pone, anzi. Come evidenziato da Report (puntata del 28 ottobre), i post del leader della Lega a pagamento hanno tra i target anche gli under18. La sponsorizzazione si rivolge per il 20% (13% al pubblico maschile e 7% al pubblico femminile) agli adolescenti tra i 13 e i 17 anni. Del resto Salvini è stato tra i primi ad aver sostenuto l’allargamento del voto ai 16enni (proposta che a dire il vero è stata appoggiata trasversalmente da quasi tutti i partiti).

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«CON I SOCIAL SI TRASMETTONO I PRIMI ELEMENTI IDEOLOGICI»

Politicizzare i giovani con strumenti che sembrano non aver nulla a che fare con la politica non è una tecnica nuova. Lo spiega Paolo Barcella, docente di Storia contemporanea all’Università di Bergamo e autore del saggio Percorsi leghisti. «Salvini attraverso i social sta cercando di intercettare gli adolescenti e trasmettere i primi elementi ideologici su cui poi costruirà un discorso politico», conferma il professore a Lettera43.it. «Ma stringere un rapporto con i futuri elettori è una strategia che tutte le più grandi forze politiche di massa hanno attuato, molto prima dei social». I leader, è il ragionamento, «hanno sempre trovato dei luoghi in cui formare l’ideologia, un pacchetto di valori, prima di entrare direttamente nel merito del discorso politico». E il capo del Carroccio sta facendo la stessa identica cosa. «Il luogo in cui porta avanti questa strategia è il mondo dei social, perché è il nuovo spazio pubblico. Difficile pronosticare quali saranno i risultati che porterà a casa. Ma, di sicuro, quando i 16enni di oggi andranno a votare, avranno molta più familiarità con il volto di Salvini che con quello di altri leader politici».

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Vox, la destra spagnola “contesa” da Salvini e Meloni

Il partito di Abascal per storia e valori è più vicino a Fratelli d'Italia che alla Lega. Ad allontanare gli iberici dal Carroccio pesano soprattutto le radici indipendentiste dei leghisti e il loro sostegno alla Catalogna.

Giorgia Meloni non ha nemmeno aspettato lo spoglio delle elezioni spagnole e, basandosi sugli exit poll, ha sottolineato la «grande affermazione di Vox» 14 minuti dopo la chiusura dei seggi.

I complimenti di Matteo Salvini sono arrivati un po’ più tardi, alle 21.36, corredati dalla foto con il leader del partito Santiago Abascal.

Dai temi cardine alla retorica, sia la Lega sia Fratelli d’Italia hanno molto in comune con Vox, la formazione di estrema destra che in meno di un anno è passata da 0 a 52 deputati in parlamento, diventando con il suo 15% la terza forza politica del Paese. E tutto l’interesse a trovare una sponda al di là dei Pirenei.

LA DESTRA IN SPAGNA SI È ALLINEATA AI SOVRANISTI SUI MIGRANTI

Come evidenzia il think tank Carr (Centre for Analysis of the Radical Right), la Spagna è stata per anni immune all’affermazione di partiti di destra radicale, secondo molti perché le istanze dell’elettorato più reazionario erano già incarnate dal Partido Popular (Pp). Dal 2014, però, un manipolo di dissidenti del Pp ha scelto di abbandonare la «derechita cobarde» (piccola destra codarda, ndr): secondo loro i popolari erano troppo moderati e succubi della sinistra, troppo timidi nel difendere i valori storici della destra spagnola.

In maniera simile a quella della Lega e di Fratelli d’Italia, la narrazione di Vox tende a dipingere come «anti-spagnolo» chi non persegue idee nazionaliste

La crescita repentina di Vox ricalca quella di tanti partiti di destra in Europa e nel mondo, compresi quelli italiani. Molto simile è il repertorio di temi e narrazioni, con qualche variazione. Si parte dalla questione migratoria, un tema che in Spagna come in Italia risulta parecchio divisivo, e vi si associa un attacco costante alle non meglio specificate «oligarchie di Bruxelles», suggerendo così una relazione fra le politiche dell’Unione europea e i fenomeni migratori e in contrapposizione agli interessi dei cittadini. Un’operazione pienamente riuscita nell’Ungheria di Viktor Orbán e che sta dando i suoi frutti in Francia, Italia e Germania.

Sulla sinistra, il leader di Vox Santiago Abascal saluta i suoi sostenitori durante la nottata elettorale.

L’insistenza ossessiva sulle «radici cristiane dell’Europa» non è certo una novità e nemmeno il lemma España lo primero, che ricorda da vicino sia l’America First di Trump che il nostrano Prima gli italiani. In maniera simile a quella della Lega e di Fratelli d’Italia, la narrazione di Vox tende a dipingere come «anti-spagnolo» chi non persegue idee nazionaliste e, per contrapposizione, a identificare il partito come autentico rappresentante della volontà popolare, soffocata dai media mainstream e dalle élite culturali del Paese. Quelli che per Salvini sono «i giornaloni e i professoroni», nella retorica di Abascal diventano la «dictadura progresista» che allunga le mani su stampa e televisione. Alle aspirazioni sovraniste si aggiungono temi culturali specifici della Spagna, come la difesa della caccia o della corrida, considerati patrimoni tradizionali messi in pericolo dalle ingerenze straniere.

FRATELLI D’ITALIA, IL PARTITO PIÙ VICINO ALLE POLITICHE DI VOX

Oltre alle convergenze generali, ci sono quelle particolari. I tre deputati di Vox eletti al Parlamento europeo appartengono al gruppo Conservatori e Riformisti (Erc), lo stesso di Fratelli d’Italia. Come il partito della Meloni, quello di Abascal fa della «difesa della famiglia tradizionale» un punto cardine del suo progetto politico. In Spagna, dove il movimento femminista ha molto più seguito rispetto all’Italia, questo si traduce non solo nei rifiuti di aborto, eutanasia e matrimoni omosessuali, ma anche con la contestazione della Legge sulla violenza di genere del 2004, che per Vox concede troppo spazio a denunce false e vittimizzazioni.

Con toni ancora più accesi dei nazionalisti italiani, Vox lancia spesso l’allarme per una presunta «invasione islamica»

Il nazionalismo di Vox va di pari passo con un approccio molto discusso alla storia patria. Ferme restando le ovvie differenze fra Italia e Spagna e fra i rispettivi regimi autoritari del Novecento, appare chiaro il trait d’union con la destra del nostro Paese. Fratelli d’Italia non difende apertamente il lascito del fascismo, (come invece fanno movimenti quali CasaPound e Forza Nuova), ma ritiene il 25 aprile una «festa divisiva» e ha candidato alle ultime Europee un pronipote di Benito Mussolini. Per molti questi sono esempi di una strategia volta ad accattivarsi le simpatie dei nostalgici del Ventennio.

Il flirt con i «nietos de Franco», i nipoti di Franco, come sono chiamati in Spagna i sostenitori del dittatore spagnolo, risulta ancora più evidente nel caso di Vox: uno dei suoi cavalli di battaglia è l’abrogazione della Legge di memoria storica, una normativa volta a condannare il regime franchista e a riconoscere forme di compensazione alle vittime. L’opposizione alla riesumazione della salma di Francisco Franco, un tema caldo della campagna elettorale, è solo l’ultima delle prese di posizione in questo senso: normale allora che il discorso di Santiago Abascal dopo le elezioni venga accolto dagli Arriba España e che a qualche manifestazione di partito faccia capolino una bandiera franchista, proibita dalla costituzione spagnola.

Pur rifiutando l’etichetta di partito xenofobo, Vox non manca di suggerire la classica associazione fra immigrazione e criminalità

Con toni ancora più accesi dei nazionalisti italiani, Vox lancia spesso l’allarme per una presunta «invasione islamica» del territorio nazionale. In Spagna questo messaggio si appropria dell’epica della Reconquista, il periodo storico culminato nel 1492 in cui gli Arabi vennero cacciati dalla penisola iberica. Pur rifiutando l’etichetta di partito xenofobo, come del resto fanno le formazioni politiche italiane, Vox non manca di suggerire la classica associazione fra immigrazione e criminalità, in alcuni casi fornendo dati parziali o scorretti.

ABASCAL E SALVINI: UNA RELAZIONE COMPLICATA

Se l’asse con Fratelli d’Italia è lineare, quello con la Lega presenta invece un profilo più problematico. Fra Salvini e Abascal c’è piena sintonia rispetto al tema dell’immigrazione: rimpatri forzati, difesa delle frontiere e precedenza ai connazionali sono parole d’ordine per entrambi i partiti. Anche le boutade si assomigliano: quando il leader della Lega paventava il blocco navale per fermare le partenze dall’Africa, quello di Vox proponeva la realizzazione di un «muro impenentrabile» nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla. Quasi speculare è pure la campagna per la sicurezza: Abascal, come Salvini, ritiene la difesa sempre legittima e afferma orgoglioso di portare una pistola con sé.

Il partito di Abascal è fortemente centralista, propone la soppressione degli statuti autonomici e auspica il ritorno allo Stato di tutte le competenze. Una visione che stride con quella della Lega

Al di là delle politiche condivise, ad accomunare Salvini e Abascal sono strategie comunicative e artifici retorici molto simili. Al pari del suo omologo, il leader di Vox non ha paura di sfidare il politicamente corretto e anzi ne fa un suo punto di forza, come quando sostiene la necessità di rimpatriare perfino i minori non accompagnati che sono entrati illegalmente nel territorio spagnolo. E come quella della Lega, la comunicazione di Vox punta in una duplice direzione: conquistare passo dopo passo l’elettorato moderato, senza alienarsi le simpatie di quello più oltranzista. Per farlo Abascal propone spesso frasi che si prestano a molteplici interpretazioni. Dire «non siamo né fascisti né antifascisti», lascia aperte molte porte, così come citare il comunismo per “neutralizzare” l’accusa di fascismo, un espediente molto caro pure al leader italiano. Entrambi vogliono trasmettere l’idea dell’uomo forte che guida la nazione, una concezione che as sume una sfumature “militare” grazie all’ostentato (e sempre ben divulgato) cameratismo con gli agenti delle forze dell’ordine.

Fra Vox e Lega esiste però un problema di fondo, che si ripresenta ciclicamente. Il partito di Abascal è fortemente centralista, propone la soppressione degli statuti autonomici (soprattutto in riferimento a Catalogna e Paesi Baschi) e auspica il ritorno allo Stato di tutte le competenze. Una visione che stride con quella della Lega, nata come un partito secessionista e ancora federalista nello spirito. In Spagna non è passato inosservato il «pensiero al popolo catalano» che Salvini ha espresso nella recente manifestazione delle destre unite di Roma. La presunta simpatia dei leghisti per l’indipendentismo (in realtà retaggio molto vago e sconnesso dei tempi della Lega Nord) viene usata come arma dai detrattori di destra di Vox, come accaduto anche nel dibattito pre-elettorale. Su questo tema, vitale per Vox e fonte di parte del suo consenso, Abascal ha risposto a muso duro, chiedendo a Salvini di «non comportarsi come un burocrate e di non intromettersi nella sovranità spagnola». Un ringhio che nasconde un ghigno: Vox è entrato a pieno titolo nel club della destra europea e terrà fede al suo nome facendosi sentire ancora più forte.

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L’opposizione sta portando consiglio a Matteo Salvini?

Prima la svolta europeista (fuori tempo massimo), poi l'apertura a Draghi come futuro presidente della Repubblica. Il segretario della Lega, per convenienza, sembra aver cambiato registro. Sempre che non si tratti solo di un bluff per rassicurare i mercati e gli elettori.

Stare un poco all’opposizione ha qualche vantaggio per un politico perché aiuta a riflettereMatteo Salvini sta riflettendo? Alcuni segnali recenti lo indicano, ma tuttavia sono al momento insufficienti per chi ritiene che la Lega salviniana abbia causato seri danni al Paese con le sue stentoree e spesso futili polemiche anti-Ue e anti-euro. 

LA CONVERSIONE EUROPEISTA NELL’INTERVISTA AL FOGLIO

Il primo segnale è arrivato a metà ottobre con un’intervista a Il Foglio dove Salvini sottoscriveva in modo esplicito sia il carattere irreversibile dell’euro sia l’interesse dell’Italia a restare nella Ue non «per passione ideale» ma perché «nel mondo di oggi l’Italia, fuori dall’Europa, è destinata a non contare nulla, a essere una provincia del mondo». Era facile rilevare, e Lettera43.it lo ha fatto, come parlando così Salvini si allineasse ma con 70 anni circa di ritardo a quanto i cosiddetti padri dell’Europa, da Robert Schuman a Jean Monnet ad Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, più molti altri di quella generazione e delle successive, avevano sempre pensato e capito ben prima di lui. Per loro il progetto europeo poteva anche essere un sogno, ma era soprattutto e in modo urgente una necessità.

AFFAMATA E INERME: ECCO L’EUROPA DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Bisognerebbe masticare un po’ di storia ogni tanto, e avere un’idea di che cos’era l’Europa dopo la Seconda Guerra mondiale: poco più di un nulla, affamata, inerme e smarrita, compresa alla fine anche la rovinata finanziariamente Gran Bretagna. A questo si era ridotto in 30 anni, dal 1914 al 1945, il piccolo continente che aveva dominato il mondo. Nell’universo del 1945-50, con la preminenza di una superpotenza a tutto tondo come gli Stati Uniti e di una potenza militare come l’Unione Sovietica, gli Stati nazionali europei a parte le loro miserevoli circostanze avevano una precisa caratteristica valida per tutti, quanto a dimensioni: erano obsoleti.

LA “RESISTENZA” DI BORGHI & CO

Salvini ci ha messo il suo tempo per arrivarci, ma chissà, forse – speriamo – ci sta arrivando.  Subito dopo il riconoscimento implicito da parte del segretario della Lega delle buone ragioni storiche del progetto europeo, il fidatissimo Gian Marco Centinaio, ex ministro dell’Agricoltura e a un certo punto fra i papabili come candidato italiano alla Commissione Ue, lo confermava: su euro e Ue «la parentesi è del tutto chiusa». Claudio Borghi e  pochi altri protestavano e ricordavano che l’opposizione alla perfida Ue e la sfiducia, a dir poco, nell’euro erano nell’anima e nelle carte leghiste, e immarcescibili; e invitavano a non dare peso a «manovre giornalistiche»  di basso rango.  

Salvini potrebbe aprire per finta a Draghi per non spaventare i mercati in caso di voto anticipato, per esempio dopo una sperata smagliante vittoria in Emilia-Romagna

L’APERTURA NEI CONFRONTI DI DRAGHI

Parlare di manovre giornalistiche diventa però impossibile dopo che il Capitano in persona, Matteo Salvini, ha sdoganato in tivù (Fuori dal coro di Mario Giordano del 6 novembre) con il suo why not, perché no, l’ipotesi di Mario Draghi presidente della Repubblica, alla scadenza fra due anni del mandato di Sergio Mattarella

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Mario Draghi, ex presidente della Bce.

Potrebbe anche essere una mossa solo tattica, “aprire” per finta a Draghi per non spaventare i mercati nel caso di voto anticipato, per esempio dopo una sperata smagliante vittoria in Emilia-Romagna il prossimo 26 gennaio. Ma intanto Draghi, la “bestia nera” che ci ha affamato con il suo stramaledetto euro “moneta sbagliata”, Draghi nemico del popolo e simbolo delle élite anti-democratiche del denaro, Draghi il peggio dei peggio insomma, ora sembra un buon candidato a simbolo e garante dell’unità nazionale. E, date le opinioni e il curriculum, certamente della piena appartenenza dell’Italia a euro e  Unione europea. 

UN DURO COLPO PER GIORGIA MELONI

Spiazzata, l’alleata Giorgia Meloni non ha potuto solo ribadire quanto già detto da Salvini, sull’ipotesi però di Draghi non al Quirinale ma a Palazzo Chigi, e cioè che per diventare capo politico occorre farsi eleggere dal popolo. Per Meloni chi va al Quirinale «deve avere alle spalle una storia di difesa dell’economia reale e dei nostri interessi nazionali» e Draghi, proveniente dice lei «dal mondo della grande finanza internazionale», non ce l’ha. Meloni, a differenza della Lega, discende da una precisa filiera nazionalista e mussoliniana per lei mai obsoleta, e non potrà mai digerire il crescente passaggio di sovranità a Bruxelles e a Strasburgo, in una dimensione europea che a suo avviso non esiste, è una truffa. Meloni vive in un mondo di sacri confini. Draghi non avrà mai i voti di Fratelli d’Italia, ha ribadito.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

ADDIO ALLE BATTAGLIE ELETTORALI

Il colpo per Giorgia Meloni è stato doloroso perché più che di una parentesi, come l’ha definita Centinaio benevolmente, il duro no all’euro, le infinite dichiarazioni di morte imminente della Ue nella campagna per il voto europeo del maggio scorso e gli attacchi allo stesso Draghi presidente Bce sono stati una precisa linea non strettamente leghista ma certamente molto salviniana, e codificata nei documenti congressuali. Su questo fronte anti-europeo Salvini ha costruito il 40% almeno della sua campagna elettorale del 2017-2018 e di quella campagna elettorale bis che sono stati i suoi 14 mesi di governo; il restante 60% è stato giocato sull’immigrazione.

L’ANTI-EUROPEISMO NON CONVINCE LA BASE STORICA DELLA LEGA

L’anti-europeismo spinto e soprattutto le polemiche anti-euro, campione Claudio Borghi portato da Salvini a un ruolo importante alla Camera dei deputati, non hanno però mai convinto, tanto per cominciare, la base storica leghista, quella imprenditoriale del Nord in particolare. Sono aziende e aziendine che spesso hanno un mercato europeo importante e non vogliono intoppi su quel fronte. L’euro poi anche in Italia è più popolare che impopolare. E il voto europeo ha mostrato i limiti del sovranismo, sempre forza di tutto rispetto ma che non ha sfondato.  È comprensibile che Salvini, e soprattutto persone più attente a questi aspetti e di cui lui si fida, abbiano cominciato a trarne le conseguenze. Se la linea verrà confermata ben oltre qualche rapida dichiarazione che potrebbe anche essere insincera e strumentale, si tratta di un passaggio molto significativo. E Meloni non può farci molto perché non romperà su questo l’asse con Salvini che potrebbe portarla al governo. 

claudio borghi vendita btp
Claudio Borghi.

IL TRUCE CAPITANO SI STA RAFFINANDO?

Il “truce” Salvini, come viene spesso definito, si sta affinando un po’?  L’ipotesi di Draghi al Quirinale, un ruolo che forse l’ex presidente Bce non  rifiuterebbe a differenza di Palazzo Chigi, avrebbe numerose e grosse implicazioni per lo più positive, soprattutto se Salvini tornasse al governo. Draghi sarebbe una grossa copertura sul fronte Ue e dei mercati e sarebbe, ancor più importante, il chiaro segnale che le due anime dell’Italia, quella più sovranista e quella più europea, si parlano, collaborano e scendono a ragionevoli compromessi, sulla linea del «cambiamo l’Europa, ma teniamocela ben stretta». Sarebbe una mossa giusta sul terreno migliore della politica, che è quello pragmatico del possibile. Avrebbe tuttavia delle chiare implicazioni per qualsiasi governo, poiché difficilmente Draghi accetterebbe senza l’impegno politico ad affrontare finalmente il debito pubblico, cominciando a farlo scendere non solo sul Pil, ma in cifra assoluta. Un’impresa da far tremare i polsi ma che paradossalmente, stando così come oggi i rapporti di forza, solo un esecutivo a sfondo sovranista, o neo sovranista, potrebbe affrontare.

L’ANNUNCIATO DIETROFRONT SOVRANISTA

Comunque, in attesa di conferme sul nuovo corso europeo di Salvini e soprattutto della conferma che non si tratta di bugie per cercare di tranquillizzare i mercati e più della metà degli elettori, si può aggiungere un’annotazione: c’era da aspettarselo. Era prevedibile e previsto (si veda su Lettera43.it del 24 febbraio I sovranisti italiani faranno presto dietrofront  su ue, debito ed euro). Chi non vince la partita, se lungimirante, in genere scende a patti. Se dovrà ammettere che Salvini è lungimirante, mezza Italia lo farà certamente volentieri. 

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Salvini in Emilia-Romagna: «Facciamo cadere il secondo Muro di Berlino»

L'appello del leader della Lega agli elettori durante un comizio a Carpi.

Matteo Salvini ha chiesto agli elettori dell’Emilia-Romagna di aiutarlo in quella che lui considera un’impresa storica: «Datemi una mano a far sì che qui possa cadere il secondo Muro di Berlino, tutti insieme ce la faremo». È stato questo il passaggio più applaudito dell’intervento del leader della Lega a Carpi, in provincia di Modena, davanti a qualche centinaio di sostenitori. Il riferimento, ovviamente, è alle prossime elezioni regionali, in programma il 26 gennaio del 2020.

Poi, rivolto a un gruppo di contestatori, Salvini ha aggiunto: «L’Emilia è una terra che merita molto di più. Non vedo l’ora che arrivi il 26 gennaio, quando finalmente dopo 50 anni si potrà scegliere il cambiamento. I contestatori non sono l’Emilia, sono una trentina di nostalgici che non si sono resi conto che il Muro è crollato».

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Salvini: «Ho ricevuto un altro proiettile»

Il leader della Lega rivela nuove minacce a chi gli chiede se sia più a rischio lui o Liliana Segre. E smentisce di aver incontrato la senatrice.

L’incontro con Liliana Segre? A quanto pare non c’è stato. In compenso Matteo Salvini non sembra avere alcuna intenzione di abbassare i toni del dibattito e pur confermando la proprio solidarietà alla senatrice messa sotto scorta dopo la denuncia delle centinaia di minacce e insulti antisemiti ricevute, informa di essere lui stesso esposto all’odio: «A me è appena arrivato un altro proiettile, non piango», ha detto Salvini al suo arrivo a Eicma a chi gli chiedeva se fosse più a rischio lui o la senatrice sopravvissuta ai campi di sterminio, «in un Paese civile non dovremmo rischiare né io né la Segre».

INCONTRO NON CONFERMATO

Il leader della Lega non ha confermato l’incontro dell’8 novembre a Milano con la senatrice: «Io gli incontri che ho li comunico. Gli incontri che non comunico io, per quanto mi riguarda, non ci sono», ha detto l’ex ministro dell’Interno. «L’incontro con la Segre l’avrò più avanti. Lo chiedo io. Quando avverrà? Presto», ha aggiunto. A chi gli ha chiesto quali saranno i temi che affronterà con Segre, Salvini ha risposto: «Io ascolto ascolto, è una donna estremamente intelligente. Sono giovane, ho voglia di capire, di imparare e di ascoltare». Quanto alla presidenza della commissione contro l’odio, la senatrice «farà le sue scelte a prescindere da quello che suggerisce Salvini. Ritengo che sia una donna estremamente intelligente quindi non ha assolutamente bisogno dei miei consigli».

LEGA IN PIAZZA IL 10 DICEMBRE

La Lega sarà comunque presente in piazza a Milano il 10 dicembre per la manifestazione dei sindaci in sostegno a Segre: «Sì», ha confermato Salvini, «quando c’è qualcosa di democratico che riguarda il futuro lo sosteniamo». Ma «il dibattito tra fascismo e comunismo che sono sepolti dal passato, non mi appassiona» e se Forza nuova e CasaPound si candidano alle elezioni «vuol dire che rispettano la legge e la Costituzione».

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La vera minaccia è la politica dei Mastrolindo

Slogan, promesse irrealizzabili, jingle. Da Berlusconi a Salvini, Di Maio e Renzi, i leader sono pubblicitari pronti a offrire soluzioni in stile Trivago o Facile.it. Ma così il disastro è dietro l'angolo.

La democratizzazione del desiderio. Ovvero tutti hanno diritto a tutto. Cose serie e frivole, bisogni e sogni allo stesso modo. Perché l’erba voglio oggi cresce dappertutto e con una velocità che riesce addirittura a divorare se stessa. Desiderare il desiderio è diventato perfino più importante dell’oggetto desiderato

DESIDERI ILLIMITATI, RISORSE LIMITATISSIME

Chi ricorda «Il tuo prossimo desiderio» (spot dell’Ariston) oggi fa i conti con una realtà in cui non si fa in tempo a soddisfarne uno che ce ne sono altrettanti, se non di più, che attendono soddisfazione.

Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

Certo per la società dei consumi – ha scritto John Seabrook in Nobrow: The Culture of Marketing, the Marketing of Culture – «nulla potrebbe essere più minaccioso del fatto che la gente si dichiarasse soddisfatta di quel che ha». Però è drammatico, per riprendere alcune considerazioni della volta scorsa, che i desideri siano diventati illimitati, che tutto sia desiderabile e teoricamente ottenibile. Senza curarsi, anche distrattamente, se si hanno le indispensabili risorse economiche, ma anche intellettuali, culturali, professionali.

DALLA INSODDISFAZIONE SI GENERA IL POPULISMO

Perché l’inevitabile scarto fra desiderio e realtà, mediamente grande per tutti, è generatore alla lunga di una profonda insoddisfazione sociale. Della quale i populisimi, variamente espressi nel mondo occidentale, ne sono l’espressione aggiornata. Con il loro carico di protesta, rabbia, ribellismo che si gonfiano fino a esplodere nei confronti di tutto ciò che viene identificato come responsabile delle promesse mancate, dei desideri inevasi, delle attese frustrate. Ciò che qui interessa però è come abbiamo potuto ridurci così. Come abbiamo potuto farci abbagliare da promesse di benessere e felicità così grossolane, così splendenti da non indurci nel sospetto che anziché d’oro siano di latta?

SIAMO SOMMERSI DA SPOT

La risposta è presto detta. Sono stati i pubblicitari e la pubblicità a ridurci così. Ma senza poteri occulti che hanno tramato e senza un disegno ideologico o una pianificata strategia. La circonvenzione d’incapaci – noi tutti – è avvenuta quasi spontaneamente, con tanta più forza persuasiva quanto più quella ideologia ha lavorato instancabilmente. Entrando in tutte le trame del vivere quotidiano, installandosi al centro del sistema massmediale, estendendo il paesaggio pubblicitario nei tanti modi oggi osservabili guardandosi intorno, camminando per la città, spostandosi in metro, muovendosi in auto.

La pubblicità non è né di sinistra né di destra. È la neutralità che la rende efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe

Ovunque si sia o si vada non manca mai un’immagine o un messaggio promozionale. Siamo letteralmente sommersi dalla pubblicità. Si stima che veniamo raggiunti in media da 3.000 messaggi al giorno. Ma non ci facciamo più caso. Perché quest’azione di avvolgimento e coinvolgimento è avvenuta in modo dolce. È partita da lontano, ha lavorato per anni, giorno per giorno, Come la goccia che scava il sasso ci siamo alla fine convinti che «Impossible is nothing» (Adidas) e che «Per tutto il resto c’è Mastercard».

LA PUBBLICITÀ È NEUTRALE E PER QUESTO EFFICACE

La pubblicità si è installata al centro del sistema, senza resistenze, se non timide nei decenni 60 e 70 di contestazione del sistema consumistico. Perché come tutte le ideologie forti, funziona non venendo percepita come tale. Nel pensiero corrente la pubblicità non è né di sinistra né di destra e nemmeno di centro. È la neutralità che la rende comunicazione efficacissima. Ed è la sua efficacia che l’ha resa linguaggio principe. D’altra parte è stata ed è proprio la politica, se non la prima, la più grande vittima della pubblicità. Al punto di arrivare a identificarsi con essa. Assumendone stile e modalità comunicativa, facendone proprie strategie e tecniche persuasive. In ossequio al principio che in pubblicità non bisogna dirle giuste ma bene. E che spararle grosse non solo si può ma si deve.

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Dal momento che un annuncio non ha alcun obbligo di verità: è comunicazione non informazione. Peraltro a chi interessa, ammesso sia verificabile, se «Scavolini è la cucina più amata dagli italiani»? Ciò che conta, come dicono i pubblicitari, è che si fissi il concetto, che passi il messaggio

FORZA ITALIA, LA SOTTOMISSIONE DELLA POLITICA ALLA RECLAME

Questo processo di sovrapposizione e nel contempo di sottomissione della politica alla pubblicità ha in Italia una data ufficiale: la nascita di Forza Italia, il partito creato dal nulla, modellato su Publitalia e impostosi alle prime elezioni nelle quali si presentò forte di una campagna pubblicitaria sulle reti Mediaset che per pressione, ovvero numero di spot trasmessi nei 40 giorni di campagna elettorale (1.127 con punte di 61 al giorno) era un’assoluta novità; che equiparava il partito di Silvio Berlusconi ai brand del largo consumo. Il promesso «nuovo miracolo italiano» si impose all’attenzione dei consumatori/elettori con forza persuasiva simile a «Se non ci fosse bisognerebbe inventarla» (Nutella) e «Dove c’è Barilla c’è casa». 

SI È IMPOSTA LA LOGICA ALLA «O COSÌ O POMÌ»

Ciò che però va sottolineato non è il carattere imbonitorio del messaggio politico, nel momento in cui diventa tout court pubblicitario, ma il fatto che promettere miracoli, palingenesi della domenica, risoluzione di problemi ed emergenze epocali è diventato normale. Credibile, evidentemente, per gli elettori/consumatori. Ma alla lunga deleterio e distruttivo per l’intera società. In primo luogo perché si è imposta la logica semplificatoria della pubblicità, che non conosce mezze misure: «O così o Pomì».

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La personalizzazione e l’attuale leaderismo che ne conseguono s’accompagnano alla speculare scomparsa dei partiti come portatori di visioni collettive e concezioni condivise del mondo e della società. Ora ogni partito è il suo leader. Che la canta e la suona come vuole. O meglio che se la twitta e se la posta (a pagamento), con propensione personalistica massima nel caso di Matteo Salvini e della Lega. Sull’account personale da marzo a ottobre sono stati spesi 161.608 mila euro, in quello del partito 845.

PROMESSE ROBOANTI E DIETROFRONT SDOGANATI

L’incrudelimento del confronto politico è causa ed effetto dell’esagerato aumento di tono delle promesse, tanto roboanti e giocate sull’emozione anziché sulla ragione, da colpire nell’immediato, a caldo, ma da svanire velocemente. È così che, annunciata la cancellazione della povertà per decreto o l’abolizione delle accise sulla benzina, si può senza pudore alcuno contraddirsi o addirittura smentirsi. Dimenticarsi delle promesse fatte. Ma non di aizzare i propri gruppi d’acquisto e fan club. Perché la pubblicità non conosce, né riconosce smentite o contraddizioni. Per dirla in pubblicitariese «mente sapendo di mentine».

BASTA CON I CAPITAN FINDUS E I MASTROLINDO

Ora cambiare registro, smettere con la politica del «pulito sì, fatica no», e ritornare a promesse realistiche, sarebbe auspicabile. Sommamente. Però non è all’ordine del giorno. Pensare che basti proibire la pubblicità della politica, come ha annunciato Twitter, è una pia illusione. Anche perché Facebook non lo farà. Allo stato attuale sarebbe già un risultato se si facesse strada, almeno, la consapevolezza che più la politica diventa annuncio, teatrino in streaming, offerta di soluzioni in stile Trivago o Facile.it, più il disastro si avvicina.

Non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia «non è come il vino che invecchiando migliora»

Però non è il fascismo che minaccia di ritornare, ma qualcosa di perfino peggio, anche se allegro come un jingle. Perché la democrazia, con le sue libertà e difese dei diritti civili e personali, «non è come il vino che invecchiando migliora». Lo scrive l’ultimo numero di The Economist citando una ricerca apparsa sull’American Political Science Review che ammonisce «a non dare per scontata la democrazia». Che anzi, in Italia, è più che mai in pericolo se i vari Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi continuano a travestirsi da Capitan Findus, Omino Bianco e Mastrolindo.

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Segre, lo stupore per la scorta e l’incontro con Salvini

La senatrice a vita: «Mai l'ho chiesta e mai me la sarei aspettata». A casa sua riceve il leader della Lega accompagnato dalla figlia. E il futuro della Commissione contro l'odio resta incerto.

E alla fine Matteo Salvini incontrò Liliana Segre. Il senatore faccia a faccia con la senatrice a vita sopravvissuta ai lager nazisti. Dopo le polemiche per l’astensione del centrodestra nel voto che ha istituito la Commissione contro odio, antisemitismo e razzismo. E dopo quell’uscita infelice del leghista in seguito all’assegnazione della scorta proprio alla Segre: «Le minacce contro lei, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», aveva detto l’ex vicepremier parlando di se stesso in terza persona. Per poi aggiungere: «Anche io ne ricevo quotidianamente». Nel pomeriggio i due si sono visti nell’abitazione della Segre: Salvini si è presentato con la figlia, ma c’è massimo riserbo sui contenuti del loro colloquio.

MATTARELLA RICHIAMA AL SENSO DI RESPONSABILITÀ

Di certo quei 200 messaggi di odio che giungono quotidianamente alla Segre non sono passati inosservati e il capo dello Stato Sergio Mattarella è intervenuto richiamando alla «convivenza» e al «senso di responsabilità» come mezzo per contrastare «intolleranza» e «contrapposizione».

Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta


Liliana Segre

Sul caso che la vede suo malgrado protagonista la Segre ha rotto il silenzio in cui si era blindata: «Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta», ha detto ai microfoni di Rainews24. Quanto alla Commissione parlamentare da lei voluta, non ha sciolto il nodo se la presiederà o se comunque ne farà parte: «Vedremo quale sarà il mio ruolo». Su un punto però è stata molto chiara: «Non ho voluto la Commissione contro l’antisemitismo, ma assolutamente contro l’odio e come tale vorrei fosse programmata. C’è un’atmosfera di odio e odio è una parola orribile». Mentre i partiti continuano a litigare tra di loro anche su temi che non dovrebbero essere divisivi.

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Salvini, ma soprattutto Meloni, si stanno bevendo il governo Conte

La maggioranza è spaccata e non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Così le destre si rafforzano. Il Pd prenda coraggio, rompa con M5s e Italia viva e proponga una coalizione di salvezza nazionale guidata da Draghi.

Le cronache politiche raccontano che il Pd è molto arrabbiato per lo stato delle cose e vorrebbe rompere con M5s e Italia viva.

Poi leggi l’intervista a Dario Franceschini sul Corriere della Sera e ti trovi improvvisamente catapultato in una crisi politica che assomiglia a quelle che piacevano tanto ai democristiani.

Franceschini propone che fra gli alleati ci sa lealtà, un comune mission politica, vanta successi inesistenti del governo, elogia Giuseppe Conte, sostiene che si supererà gennaio fino ad arrivare alla fine legislatura e, forse con una punta di macabro umorismo, dice che vincendo le prossime elezioni questo mostro Pd-M5s-Italia Viva possa andare ancora più lontano. Solo del prossimo inquilino del Quirinale non vuole parlare perché, come si dice, de te fabula narratur.

IL GOVERNO GIALLOROSSO NON PARLA AGLI ITALIANI

È bene che il Pd si incazzi di meno e faccia più fatti, a mente fredda. L’impopolarità del governo è il termometro che decide se tenerlo in vita o no. L’impopolarità è nata dal fatto che l’operazione “cambio di maggioranza” non è piaciuta ed è enfatizzata dalla circostanza che non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Avevo sperato che si potesse dire che Roberto Gualtieri aveva abbattuto il cuneo fiscale mettendo soldi nelle tasche dei lavoratori. Oggi spero che si possa dire che Taranto (ragazzi: Taranto , cioè una delle maggiori città italiane), possa essere salvata in un connubio possibile fra lavoro e sicurezza. Invece la Mittal scappa, quella indefinibile ex ministra Barbara Lezzi dice cose da manicomio, il grillismo diffuso è felice di trasformare la città operaia in un grande giardinetto per poveri e anziani.

SERVE UNA COALIZIONE DI SALVEZZA NAZIONALE GUIDATA DA DRAGHI

Se le cose stanno così e andranno così, ed io sono sicuro che andranno persino peggio, il Pd deve smettere di incazzarsi perché deve dire al Paese: «Ci abbiamo provato, con Luigi Di Maio e Matteo Renzi non si costruisce nulla, Matteo Salvini sapete dove vi stava portando, io (nel senso di io-Pd) propongo alle persone di buona volontà di fare una coalizione di salvezza nazionale chiedendo a Mario Draghi di guidarla. Vogliamo rottamare tutto quello che c’è e che viene tutto da lontano, Pd compreso». Questo sarebbe un discorso che agli italiani potrebbe piacere.

Da sinistra, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Siamo in un Paese che ha dimenticato la Prima repubblica e si è rotto le scatole della Seconda e ormai anche di grillismo e fra un po’ presenterà il conto a Salvini preferendogli Giorgia Meloni. Che fa il Pd? Chiede un vertice di governo, vuole una cabina di regia, pensa a un caminetto? Suvvia! Io sono un ammiratore ex post della Dc a cui dobbiamo tante belle cose ma anche tanti guai attuali, ma la cultura democristiana era ben più profonda della caricatura con cui la propone il caro Franceschini. Vuole fare un patto con Di Maio e Renzi? E perché mai loro dovrebbero farlo. Uno è alla canna del gas, l’altro vuole la rovina comune per lucrare sulle macerie del Pd. È arrivato il momento di rubare l’idea a Beppe Grillo: un bel vaffa (ovviamente anche a lui).

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