Lilli Gruber su machismo, politica, Salvini e Südtirol

La conduttrice di Otto e mezzo, autrice di Basta!, punta il dito contro l'Internazionale del testosterone. E sul leader della Lega dice: «Chi non è in grado di passare dallo stile sbracato a quello istituzionale ha un problema nel gestire certi ruoli». L'intervista.

La «recrudescenza del machismo è la spia di una paura diffusa, quella di perdere il controllo e il potere». Così Lilli Gruber spiega Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone (Solferino), l’ultimo libro scritto per rispondere a quella che la giornalista definisce «l’Internazionale del testosterone». 

Lilli Gruber alla presentazione del suo libro ‘Basta’.

DOMANDA. L’ondata di leader “testosteronici” è una sorta di autodifesa del potere maschile davanti alla richiesta sempre più insistente di politiche femminili?
RISPOSTA. Attenzione, il problema non è il potere maschile ma il potere machista che si perpetua per cooptazione. Che trova nell’insulto, nella legge del branco e nella violenza il collante per generare lealtà. E che è pericoloso perché è privo di ideali, persino di ideologie: ha solo lo scopo distruggere le strutture della convivenza democratica, che tutelano la libertà dei cittadini.

L’opinionista francese Éric Zemmour sostiene che il vero problema sta nella femminilizzazione eccessiva della società. Cosa ne pensa?
Zemmour ha diritto alle sue opinioni, io sono andata a cercare i fatti. Mi sembra difficile definire “femminilizzata” una società in cui parlamenti, governi, palazzi presidenziali, consigli d’amministrazione, redazioni di grandi media sono ancora in larghissima maggioranza gestiti da dirigenti uomini. I numeri parlano, il resto sono appunto opinioni che non ci portano granché lontano.

Se la struttura politica e sociale in cui viviamo è strutturata per promuovere uomini, è chiaro che le poche donne arrivate ai vertici hanno dovuto adattarsi

Non sono esistite e non esistono anche leader donne “testoteroniche”?
Il punto non sta nell’opporre femminile e maschile: discussioni come quella sull’essenza della leadership saranno interessanti per la filosofia ma sono piuttosto sterili. Più interessante, invece, analizzare la struttura del potere e le regole su cui si basa. Si vede che questa struttura è stata creata da maschi e oggi è gestita da maschi. Lo dicono i dati e lo dicono millenni di storia. A quante condottiere, cape di stato, scienziate e artiste riusciamo a ricordare? Ebbene, se la struttura politica e sociale in cui viviamo è strutturata per promuovere uomini, è chiaro che le poche donne arrivate ai vertici hanno dovuto adattarsi. Non hanno ancora avuto il potere di cambiare le regole. Ma se al potere ci fosse un numero di donne pari a quello degli uomini, questa struttura cambierebbe. 

Dai cda alla strada: qualche esempio nella vita quotidiana?
I farmaci verrebbero sperimentati anche sul corpo femminile invece che quasi esclusivamente su quello maschile e avremmo un diverso sistema sanitario. Le città verrebbero riprogettate per le esigenze di chi da sempre deve muoversi per commissioni multiple nel corso della giornata – scuole, genitori anziani – e avremmo un diverso sistema di mobilità urbana. Il lavoro domestico e di cura, oggi svolto al 75% dalle donne, verrebbe redistribuito generando un diverso modello di lavoro e di convivenza. E così via. Io desidero vedere questo cambiamento strutturale. Perché sarà un mondo più giusto.

Lei si è occupata del machismo di leader come Donald Trump, Matteo Salvini, Recep Tayyp Erdoğan, Vladimir Putin. Perché non ha approfondito anche casi che coinvolgono personaggi più vicini alla sinistra come Strauss-Kahn, Assange, Chávez?
Perché non sono più al potere, e Julian Assange non lo è mai stato. In un pamphlet che si occupa dell’attualità avrebbero avuto un interesse piuttosto limitato. Per ragioni di spazio, se è per quello, non ho parlato nemmeno di Viktor Orbán o del primo ministro indiano Nanendra Modi, che pure sono al potere e piuttosto pericolosi. Ma soprattutto, nulla lega fra loro tutti gli uomini citati: è un semplice elenco. Invece a fare da collante alla lega l’internazionale machista è una rete tessuta con interessi ben precisi e che minaccia la tenuta delle nostre democrazie. È molto evidente se guardiamo in modo sistemico alla loro azione politica e alle forze che li finanziano. È questo che trovo pericoloso e che dovrebbe spaventare tutti noi.

I toni delle paginate di critiche che mi hanno riservato i quotidiani diretti da maschi, tra cui Feltri, sono un perfetto esempio della deriva del linguaggio e del comportamento che trovo pericolosa

Lei ha raccontato che l’idea del libro è nata dopo la polemica con Salvini. Più recentemente ha battibeccato anche con Vittorio Feltri a causa di un articolo che la riguardava…
L’articolo polemico è del tutto legittimo. Quella che io notavo, con interesse, era la levata di scudi di tutta la stampa di destra il giorno dopo l’uscita del mio libro. Paginate di critiche su quotidiani diretti da maschi, tra cui Feltri, i cui toni sono un perfetto esempio della deriva del linguaggio e del comportamento che trovo pericolosa. Ma fa piacere vedere che quando assumono una dose della loro medicina sessista il livore di questi opinionisti si trasforma in un singhiozzo politicamente corretto: forse possono essere redenti.

Restando alla comunicazione: come è cambiata in questi decenni quella dei politici?
La comunicazione è cambiata per tutti, è diventata più veloce, molti dicono che ormai non ci sono più contenuti ma solo slogan. In realtà non credo che la comunicazione del passato mancasse di slogan: quante parole d’ordine democristiane o comuniste abbiamo sentito ripetere a pappagallo? Però noto che la comunicazione tra politico ed elettore oggi tende a rifugiarsi in un’idea di mimesi: votami perché io sono come te. Ma io non voglio che chi mi rappresenta sia “come me”, voglio che sappia fare cose che io non so fare, per esempio gestire l’economia di un sistema complesso come l’Italia. Voglio la competenza. Ecco, il difetto della comunicazione politica oggi è la pigrizia di sostituire all’idea della competenza l’ideologia dell’identificazione.

La peculiarità di Salvini è l’incapacità di passare dalla forma sbracata a quella istituzionale. Chi non è in grado di fare questo ha un problema nel gestire un ruolo istituzionale

Salvini è “campione” nella comunicazione, sovraesposto sia sui social sia sui media tradizionali.
La sovraesposizione è di tutti, i social hanno sdoganato un certo modo di autorappresentarsi, di mettere in piazza la propria vita privata. È evidente che tutti abbiamo spazi di relax, di déshabillé e di relazione, ma oggi questi spazi sono diventati strumento di azione politica. Non si può tornare indietro ed è stupido ripetere: «Si stava meglio quando si stava peggio», ormai è così. Però la forma è sostanza: la peculiarità di Salvini è l’incapacità di passare dalla forma sbracata a quella istituzionale. Chi non è in grado di fare questo ha un problema nel gestire un ruolo istituzionale.

E quali sono i problemi della comunicazione della sinistra, visto che continua a perdere?
La sinistra non perde per mancanza di comunicazione, ma per mancanza di coraggio. E perché non ha saputo valorizzare i talenti femminili al proprio interno, lasciandosi incredibilmente superare a destra nella corsa alla parità dato che oggi il partito che guadagna più consensi è guidato da una donna: Giorgia Meloni.

Ma esistono poi ancora destra e sinistra, o sono categorie superate?Come molte altre categorie, nel postmoderno destra e sinistra sono diventate più liquide, per dirla nei termini di Zygmunt Bauman. Ma destra e sinistra esistono ed esisteranno sempre: guardiamo la campagna elettorale negli Stati Uniti dove una delle candidate al top, Elizabeth Warren, è portatrice di una proposta politica che viene definita “socialista”. Se capiamo ancora cosa significa questo aggettivo, è perché la distinzione tra destra e sinistra è ancora chiara e pregnante.

Lei è probabilmente la sudtirolese più famosa d’Italia, e alla sua terra ha dedicato una intensa trilogia. Che pensa dell’ultima polemica sul nome Südtirol/Alto Adige?
Ho scritto tre libri per cercare di far capire meglio anche a chi non conosce la storia del Sud Tirolo quali ferite storiche si porti addosso quel fazzoletto di terra. Dalle reazioni e dalle lettere dei lettori, credo di esserci in parte riuscita. Le polemiche sulla toponomastica sono un portato di quella storia, la storia di un popolo che ha visto il fascismo cancellare i nomi dei propri padri dalle tombe di famiglia e non è ancora riuscito a dimenticare. Per superare questi traumi è stato fatto molto, ma una parte e dall’altra occorrono ancora buonsenso e generosità.

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Perché investire nelle biblioteche è un vero atto rivoluzionario

Questi luoghi sono da sempre infrastrutture sociali fondamentali. Ma sono le prime vittime dei cronici e bipartisan tagli alla Cultura. Eppure formare cittadini consapevoli non dovrebbe avere prezzo.

Cinque miliardi in più ci vorrebbero. Ma si accontenterebbe di 3, il ministro dell’Istruzione e Università Lorenzo Fioramonti. Finirà, dopo il confronto parlamentare sulla legge di Bilancio, per avere niente. Se gli andrà bene, anzi di lusso, manterrà il bilancio che ha. Senza tagli.

L’ALLERGIA BIPARTISAN PER GLI INVESTIMENTI IN CULTURA

È da 20 anni, infatti, da quando l’allora governo Berlusconi lanciò il famoso proclama «non metteremo le mani in tasca agli italiani» che le vittime sacrificali del malgoverno nazionale, di destra, sinistra e centro più o meno allo stesso modo, sono la scuola, l’università e la cultura. L’unica differenza è che i governi di sinistra lo hanno fatto con un po’ di magone e leggero atto di contrizione, mentre quelli di destra con una dichiarata soddisfazione e un malcelato senso di liberazione.

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Se infatti Paolo Gentiloni, come premier dichiarò timidamente, fra il disappunto dell’editore Giuseppe Laterza, di essere troppo impegnato per leggere libri, Lucia Borgonzoni, allora sottosegretaria leghista ai Beni culturali del governo gialloverde, ammise candidamente di non avere letto un libro negli ultimi tre anni. In linea, peraltro, con il suo elettorato e il suo leader. Se è vero che Matteo Salvini ha fatto selfie ovunque, si è esibito sulla ruspa e più recentemente alla Fiera dei cavalli di Verona e al November Porc di Polesine Parmense, non lo si è mai visto in una biblioteca, in un museo e con un libro in mano.

Le biblioteche sono infatti infrastrutture sociali, ovvero luoghi e occasioni di incontro, fra persone di diversa estrazione sociale, ma anche di sesso, età, orientamenti ideali e convinzioni politiche

Ma aggiunto che Borgonzoni è ora candidata per la prossima sfida elettorale in Emilia-Romagna, segnaleremo che in questa regione c’è un’efficiente rete di biblioteche pubbliche. Arriviamo così al tema di oggi: le biblioteche, appunto, una delle espressioni delle istituzioni culturali più importanti, anche dal punto di vista sociale, ma fra le più colpite dai tagli economici. Perché, evidentemente fra le meno considerate come fattore essenziale di formazione della persona, del cittadino e per estensione di una comunità aperta, consapevole, solidale.

La nuova biblioteca di Helsinki costata 98 milioni.

UN DEGRADO DIMENTICATO

Le biblioteche sono infatti “infrastrutture sociali”, ovvero luoghi e occasioni di incontro, fra persone di diversa estrazione sociale, ma anche di sesso, età, orientamenti ideali e convinzioni politiche. Che per ragioni contingenti entrano in relazione, dunque imparano a conoscersi, dovendo condividere uno spazio comune secondo precise regole: minime e banali, ma da tutti rispettate. Come stare in silenzio e concentrarsi, aspettare che si liberi un posto di lettura o una postazione internet, mettersi in fila per richiedere un libro. Ce lo ricorda uno splendido articolo del sociologo Eric Klinenberg della New York University, recentemente riproposto dall’aggregatore civico City Lab: «Preoccupati di meno delle buche nelle strade e di più del degrado delle biblioteche». 

VIVERE SENZA LIBRI: I NUMERI DELL’ITALIA

Certo il titolo è paradossale nel momento in cui Venezia va sott’acqua, a Napoli s’aprono voragini nelle strade e le buche di Roma continuano a fare notizia. Ma che nulla toglie, anzi sottolinea i danni sociali generati dalla trascuratezza dei luoghi fisici deputati alla formazione culturale e allo sviluppo di legami e relazioni sociali. Certo il degrado di ponti, viadotti e scuole pubbliche è visibile, i danni cognitivi e formativi di chi vive in assenza di libri no. Solo in apparenza però e se lo sguardo è distratto. Perché la povertà educativa, che è effetto ma anche causa della povertà economica e lavorativa, è figlia diretta di chi non legge e di chi, pur essendo gratuite, non frequenta biblioteche. Nel 2016, il 52,8% dei ragazzi italiani non aveva letto nemmeno un libro nell’anno precedente. Solo il 15% delle persone con più di 6 anni ne ha frequentata una nell’ultimo anno.

La povertà educativa, effetto ma anche causa della povertà economica e lavorativa, è figlia diretta di chi non legge e di chi, pur essendo gratuite, non frequenta biblioteche

La riflessione di Klinenberg ci sollecita a riconsiderare il ruolo fondamentale che hanno avuto e che non hanno più da 20-30 anni le biblioteche. Negli Usa come nel nostro Paese e un po’ in tutt’Europa si è addirittura disinvestito lasciando deperire la rete e le strutture bibliotecarie. E forse non è casuale che questo abbandono si sia accompagnato al crollo delle vendite di libri e giornali, di contro all’ascesa del consumo televisivo e di una programmazione sempre più commerciale. Con esito ulteriore di un ancor più drammatico ridursi della partecipazione politica e civica e del contatto, anche fisico, fra persone di età, condizione sociale e professionale diverse.

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Le biblioteche sono infrastrutture sociali allo stesso modo di numerosi altri luoghi in cui avviene questo fondamentale scambio relazionale. Come scuole e campi da gioco e sportivi. Anche le chiese e le associazioni culturali fungono da infrastruttura sociale, quando sono aperte. Allo stesso modo dei mercati e degli esercizi commerciali (caffè e bar) che però consentano alle persone di stare insieme indipendentemente da ciò che devono comperare o consumare. Sono cioè “spazi terzi”, secondo la definizione del sociologo Ray Oldenburg, che favoriscono i legami sociali, offrono spazio di interazioni, incoraggiano relazioni più durature.  Innumerevoli amicizie strette tra genitori, e poi intere famiglie, iniziano perché due bambini usano la stessa altalena… Praticare regolarmente uno sport di squadra favorisce, scrive Klinenberg, «l’amicizia fra persone con diverse preferenze politiche o diverso status etnico, religioso o di classe, esponendole a idee che probabilmente non incontrerebbero fuori dal campo».

LE LIBRERIE ITINERANTI E L’ALFABETIZZAZIONE

Tuttavia le biblioteche hanno un di più, un valore aggiunto, rispetto alle altre infrastrutture sociali. Promuovono la voglia di sapere, conoscere e dunque comprendere altri mondi, altre vite, altre storie. E questo è ciò che le rende cruciali per la formazione di cittadini consapevoli e responsabili. Sono strumenti di promozione ma anche sistemi di sicurezza.

Questi luoghi promuovono la voglia di sapere, conoscere, comprendere altri mondi, altre vite, altre storie. E questo è ciò che le rende cruciali per la formazione di cittadini consapevoli e responsabili

Eppure un gran numero di cittadini, con in testa politici e governanti, non ne ha consapevolezza. Ignari e ignoranti, ignorano che la democrazia, l’emancipazione delle classi lavoratrici, lo sviluppo dei partiti di massa hanno avuto nelle biblioteche e nelle librerie popolari itineranti uno strumento fondamentale di alfabetizzazione culturale e consapevolezza politica.

SEGUIAMO L’ESEMPIO DI HELSINKI

È quasi incredibile – ma vero – che ci sia stato un tempo, fra 800 e 900 in Inghilterra, dove capi sindacali ed educatori della working class, nel momento in cui promuovevano scuole domenicali e cattedre ambulanti, auspicavano la lettura dei classici per le masse. Ma ancor più incredibile però altrettanto vero è che ci sia oggi un città europea, Helsinki, dove è stata inaugurata l’anno scorso una biblioteca costata 98 milioni di euro. Un paradiso del libro, ma anche una “fabbrica di cittadinanza”, perché nei suoi tre piani e in un contesto di raffinato design, oltre a 100 mila libri, ci sono caffè, teatro, sale per la musica e i videogiochi, postazioni internet e stampanti 3D, laboratori e spazi per riunioni ed eventi. Un luogo come ha detto il suo direttore Tommi Laitio, rispondendo anche alle critiche sul costo eccessivo della struttura, dove «puoi essere la tua persona migliore…e costruire il tuo futuro». E questo è impagabile.

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