Banche, per chi suona il valzer delle fusioni

Occhi puntati sul mondo delle Popolari. Per adesso di nozze tra BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa, non se ne parla. Più probabile un matrimonio della seconda con Bper. Mentre i dipendenti di Credito Valtellinese si aspettano una mossa da Crédit Agricole.

Chi sarà ad aprire le danze del risiko bancario nel 2020? È la domanda che circola nelle sale operative dove per ora i broker si accontentano di scommettere su fusioni di piccolo-medio taglio. Sotto ai riflettori sono in particolare le mosse di quel mondo Popolare che deve trovare un nuovo centro di gravità permanente magari dando vita al terzo polo del credito in Italia. Per adesso di nozze tra il BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa tese più a vedere l’effetto prodotto che ad avviare negoziati concreti, non se ne parla. Più probabile sembra, invece, un matrimonio tra Bper e Ubi con a fare da sensale la Unipol (primo azionista della Popolare emiliana) di Carlo Cimbri. In generale, ha detto l’ad del gruppo assicurativo di via Stalingrado lo scorso 8 novembre, «non potremo che favorire strutture più grandi, più solide e più performanti di quelli attuali». 

LEGGI ANCHE: Perché Mustier ha tanta fretta di vendere

ATTESA AL CREDITO VALTELLINESE

Nel frattempo, però qualcosa potrebbe muoversi anche lungo la strada tra l’Emilia-Romagna e l’alta Lombardia. Nelle filiali del Credito Valtellinese, infatti, i dipendenti sono sempre più convinti che la loro banca finirà prima poi nella rete dei francesi del Crédit Agricole che hanno già la Cariparma. E che del Creval sono già azionisti con una quota del 5% oltrechè partner bancassicurativi. Da Parigi hanno sempre smentito («potremmo salire leggermente, fino a poco meno del 10%», perché l’obiettivo è «la partnership, non il controllo», aveva detto un anno fa il Ceo dell’Agricole, Philippe Brassac) ma il vento potrebbe essere cambiato. 

MANDARINI PER BAZOLI

Per Giovanni Bazoli la Cina è più vicina. Il 12 novembre, in qualità di presidente della Fondazione culturale Cini, il banchiere bresciano ha accolto a Venezia il finanziere cinese Eric Li, fondatore e managing partner di Chengwei Capital e amministratore fiduciario del China Institute della Fudan University. Li è uno dei nuovi Amici di San Giorgio, la “creatura” della Cini che raccoglie soggetti disposti a investire nel suo funzionamento con un impegno triennale e rinnovabile, di 100 mila euro annui. Ad accompagnare Li da Bazoli è stato un amico di vecchia data di entrambi ovvero l’ex premier Romano Prodi, che con la Cina ha da sempre rapporti consolidati e che è anche presidente onorario del Taihu World Cultural Forum, il consesso internazionale legato proprio allo sviluppo dei temi culturali lanciato da qualche anno dalla Cini. Il nuovo sponsor orientale può di certo dare sostegno alla Fondazione che già può contare sui contributi di soggetti privati istituzionali, come Intesa Sanpaolo, Cariplo e Generali. Ed Eni.

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La fretta di Mustier e i pentimenti grillini

Ha destato qualche perplessità la celerità con cui il Ceo di Unicredit ha venduto la quota in Mediobanca. Anche perché la scalata di Del Vecchio avrebbe fatto aumentare il prezzo delle azioni. Mentre in casa grillina, Buffagni si mangia le mani per l'endorsement a Luicia Morselli.

La celerità con cui l’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, sta vendendo di tutto negli ultimi mesi forse sta diventando una cattiva consigliera. Il banchiere francese ha da tempo avviato una raffica di dismissioni che stanno restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, l’impianto eolico di Ocean Breeze in Germania. Oltre all’aumento di capitale da 13 miliardi definito all’inizio del 2017. Poi la gallina dalle uova d’oro Fineco e ora la storica quota posseduta in Mediobanca.

PERCHÉ ACCELERARE LA VENDITA DELLA QUOTA IN MEDIOBANCA?

Al netto della girandola di retroscena sulla battaglia che si giocherà in quel che resta del salotto di Cuccia, nelle sale operative si chiedono: perché Unicredit ha fatto partire mercoledì sera l’accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali (stessa modalità, per altro, della cessione di Fineco) sull’8,4% della banca di Nagel? Dall’operazione l’istituto di piazza Gae Aulenti ha incassato 785 milioni, con un effetto neutro sul Cet1 e una plusvalenza di circa 50 milioni. Certo, la mossa è stata fatta in un particolare momento di mercato, favorevole alle quotazioni del titolo Mediobanca asceso ai massimi dal 2008 con un rialzo da inizio anno di oltre il 46%. Unicredit aveva in carico la partecipazione a 9,89 euro e ha fatto il collocamento a 10,53 euro per azione, con uno sconto del 2,3% rispetto alla chiusura di fine seduta di giovedì (10,78 euro). 

LE AZIONI SONO DESTINATE AD AUMENTARE ANCORA

Ma se Leonardo Del Vecchio, che pare aver già rastrellato un altro 2,5% arrivando a ridosso del 10% di Mediobanca, riceverà l’autorizzazione della Bce a comprare ancora fino al 20%, il valore delle azioni in Piazzetta è destinato ad aumentare ancora.

LEGGI ANCHE: Unicredit, il tramonto della zarina Louise (e di Elkette)

Non solo. I broker di Kepler Cheuvreux, in un lungo report diffuso a metà ottobre, avevano escluso la cessione del pacchetto Mediobanca prima del 22 novembre, ovvero dopo il nutrito stacco di dividendo, 36 milioni di euro «cui Unicredit  non rinuncerà. Con uno yield del 4,7%, che corrisponde a un payout del 50%, ma che Piazzetta Cuccia può alzare al 60% con il prossimo piano industriale, la cui presentazione è prevista per il 12 novembre», scriveva Kepler. Non facendo i conti con la fretta di Mustier. La stessa che l’ad di Unicredit aveva avuto nel liberarsi di Fineco.

L’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier.

Quando ha venduto l’ultimo pacchetto della ormai ex controllata, sollevando perplessità da parte degli analisti, Mustier si è giustificato dichiarando che il valore era ai massimi e che la plusvalenza incassata con la vendita del 17% della società guida da Alessandro Foti corrispondeva a 17 anni di dividendi. Ma proprio giovedì Fineco ha svelato al mercato una trimestrale con numeri ancora in crescita: +10,8%  dell’utile netto dei nove mesi a 198,1 milioni e 489 milioni di ricavi (+5,2% anno su anno).  E nell’ultimo mese il titolo in Borsa ha guadagnato quasi il 14%.

LUCIA MORSELLI E I PENTIMENTI DEL M5S

«Una manager dura, diretta, che ha eseguito con metodi discutibili il mandato che le era stato dato dalla casa madre ThyssenKrupp», ma anche «un’interlocutrice preparata e di livello», dicono di Lucia Morselli sindacalisti e dipendenti della Ast di Terni dove l’attuale ad di ArcelorMittal Italia ha ricoperto lo stesso ruolo dal luglio 2014 al marzo 2016, in concomitanza con la difficile vertenza che portò a circa 300 esuberi volontari dall’azienda. Eppure, dicono nelle stanze dei palazzi romani, il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni (in quota cinque stelle), si starebbe mangiando le mani per averla sponsorizzata.

Stefano Buffagni, viceministro M5s al Mise.

Nei mesi scorsi l’aveva addirittura spinta verso una poltrona nel consiglio di amministrazione di StMicroelectronics (carica da oltre 100 mila euro l’anno, si dice) al posto di Claudia Bugno, già nello staff dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. D’altra parte Morselli è anche «co-programme leader del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale – Business Management» della Link Campus University di Vincenzo Scotti, fucina dell’establishment grillino.  

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La fretta di Mustier e i pentimenti grillini

Ha destato qualche perplessità la celerità con cui il Ceo di Unicredit ha venduto la quota in Mediobanca. Anche perché la scalata di Del Vecchio avrebbe fatto aumentare il prezzo delle azioni. Mentre in casa grillina, Buffagni si mangia le mani per l'endorsement a Luicia Morselli.

La celerità con cui l’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, sta vendendo di tutto negli ultimi mesi forse sta diventando una cattiva consigliera. Il banchiere francese ha da tempo avviato una raffica di dismissioni che stanno restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, l’impianto eolico di Ocean Breeze in Germania. Oltre all’aumento di capitale da 13 miliardi definito all’inizio del 2017. Poi la gallina dalle uova d’oro Fineco e ora la storica quota posseduta in Mediobanca.

PERCHÉ ACCELERARE LA VENDITA DELLA QUOTA IN MEDIOBANCA?

Al netto della girandola di retroscena sulla battaglia che si giocherà in quel che resta del salotto di Cuccia, nelle sale operative si chiedono: perché Unicredit ha fatto partire mercoledì sera l’accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali (stessa modalità, per altro, della cessione di Fineco) sull’8,4% della banca di Nagel? Dall’operazione l’istituto di piazza Gae Aulenti ha incassato 785 milioni, con un effetto neutro sul Cet1 e una plusvalenza di circa 50 milioni. Certo, la mossa è stata fatta in un particolare momento di mercato, favorevole alle quotazioni del titolo Mediobanca asceso ai massimi dal 2008 con un rialzo da inizio anno di oltre il 46%. Unicredit aveva in carico la partecipazione a 9,89 euro e ha fatto il collocamento a 10,53 euro per azione, con uno sconto del 2,3% rispetto alla chiusura di fine seduta di giovedì (10,78 euro). 

LE AZIONI SONO DESTINATE AD AUMENTARE ANCORA

Ma se Leonardo Del Vecchio, che pare aver già rastrellato un altro 2,5% arrivando a ridosso del 10% di Mediobanca, riceverà l’autorizzazione della Bce a comprare ancora fino al 20%, il valore delle azioni in Piazzetta è destinato ad aumentare ancora.

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Non solo. I broker di Kepler Cheuvreux, in un lungo report diffuso a metà ottobre, avevano escluso la cessione del pacchetto Mediobanca prima del 22 novembre, ovvero dopo il nutrito stacco di dividendo, 36 milioni di euro «cui Unicredit  non rinuncerà. Con uno yield del 4,7%, che corrisponde a un payout del 50%, ma che Piazzetta Cuccia può alzare al 60% con il prossimo piano industriale, la cui presentazione è prevista per il 12 novembre», scriveva Kepler. Non facendo i conti con la fretta di Mustier. La stessa che l’ad di Unicredit aveva avuto nel liberarsi di Fineco.

L’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier.

Quando ha venduto l’ultimo pacchetto della ormai ex controllata, sollevando perplessità da parte degli analisti, Mustier si è giustificato dichiarando che il valore era ai massimi e che la plusvalenza incassata con la vendita del 17% della società guida da Alessandro Foti corrispondeva a 17 anni di dividendi. Ma proprio giovedì Fineco ha svelato al mercato una trimestrale con numeri ancora in crescita: +10,8%  dell’utile netto dei nove mesi a 198,1 milioni e 489 milioni di ricavi (+5,2% anno su anno).  E nell’ultimo mese il titolo in Borsa ha guadagnato quasi il 14%.

LUCIA MORSELLI E I PENTIMENTI DEL M5S

«Una manager dura, diretta, che ha eseguito con metodi discutibili il mandato che le era stato dato dalla casa madre ThyssenKrupp», ma anche «un’interlocutrice preparata e di livello», dicono di Lucia Morselli sindacalisti e dipendenti della Ast di Terni dove l’attuale ad di ArcelorMittal Italia ha ricoperto lo stesso ruolo dal luglio 2014 al marzo 2016, in concomitanza con la difficile vertenza che portò a circa 300 esuberi volontari dall’azienda. Eppure, dicono nelle stanze dei palazzi romani, il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni (in quota cinque stelle), si starebbe mangiando le mani per averla sponsorizzata.

Stefano Buffagni, viceministro M5s al Mise.

Nei mesi scorsi l’aveva addirittura spinta verso una poltrona nel consiglio di amministrazione di StMicroelectronics (carica da oltre 100 mila euro l’anno, si dice) al posto di Claudia Bugno, già nello staff dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. D’altra parte Morselli è anche «co-programme leader del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale – Business Management» della Link Campus University di Vincenzo Scotti, fucina dell’establishment grillino.  

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La fretta di Mustier e i pentimenti grillini

Ha destato qualche perplessità la celerità con cui il Ceo di Unicredit ha venduto la quota in Mediobanca. Anche perché la scalata di Del Vecchio avrebbe fatto aumentare il prezzo delle azioni. Mentre in casa grillina, Buffagni si mangia le mani per l'endorsement a Luicia Morselli.

La celerità con cui l’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, sta vendendo di tutto negli ultimi mesi forse sta diventando una cattiva consigliera. Il banchiere francese ha da tempo avviato una raffica di dismissioni che stanno restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, l’impianto eolico di Ocean Breeze in Germania. Oltre all’aumento di capitale da 13 miliardi definito all’inizio del 2017. Poi la gallina dalle uova d’oro Fineco e ora la storica quota posseduta in Mediobanca.

PERCHÉ ACCELERARE LA VENDITA DELLA QUOTA IN MEDIOBANCA?

Al netto della girandola di retroscena sulla battaglia che si giocherà in quel che resta del salotto di Cuccia, nelle sale operative si chiedono: perché Unicredit ha fatto partire mercoledì sera l’accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali (stessa modalità, per altro, della cessione di Fineco) sull’8,4% della banca di Nagel? Dall’operazione l’istituto di piazza Gae Aulenti ha incassato 785 milioni, con un effetto neutro sul Cet1 e una plusvalenza di circa 50 milioni. Certo, la mossa è stata fatta in un particolare momento di mercato, favorevole alle quotazioni del titolo Mediobanca asceso ai massimi dal 2008 con un rialzo da inizio anno di oltre il 46%. Unicredit aveva in carico la partecipazione a 9,89 euro e ha fatto il collocamento a 10,53 euro per azione, con uno sconto del 2,3% rispetto alla chiusura di fine seduta di giovedì (10,78 euro). 

LE AZIONI SONO DESTINATE AD AUMENTARE ANCORA

Ma se Leonardo Del Vecchio, che pare aver già rastrellato un altro 2,5% arrivando a ridosso del 10% di Mediobanca, riceverà l’autorizzazione della Bce a comprare ancora fino al 20%, il valore delle azioni in Piazzetta è destinato ad aumentare ancora.

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Non solo. I broker di Kepler Cheuvreux, in un lungo report diffuso a metà ottobre, avevano escluso la cessione del pacchetto Mediobanca prima del 22 novembre, ovvero dopo il nutrito stacco di dividendo, 36 milioni di euro «cui Unicredit  non rinuncerà. Con uno yield del 4,7%, che corrisponde a un payout del 50%, ma che Piazzetta Cuccia può alzare al 60% con il prossimo piano industriale, la cui presentazione è prevista per il 12 novembre», scriveva Kepler. Non facendo i conti con la fretta di Mustier. La stessa che l’ad di Unicredit aveva avuto nel liberarsi di Fineco.

L’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier.

Quando ha venduto l’ultimo pacchetto della ormai ex controllata, sollevando perplessità da parte degli analisti, Mustier si è giustificato dichiarando che il valore era ai massimi e che la plusvalenza incassata con la vendita del 17% della società guida da Alessandro Foti corrispondeva a 17 anni di dividendi. Ma proprio giovedì Fineco ha svelato al mercato una trimestrale con numeri ancora in crescita: +10,8%  dell’utile netto dei nove mesi a 198,1 milioni e 489 milioni di ricavi (+5,2% anno su anno).  E nell’ultimo mese il titolo in Borsa ha guadagnato quasi il 14%.

LUCIA MORSELLI E I PENTIMENTI DEL M5S

«Una manager dura, diretta, che ha eseguito con metodi discutibili il mandato che le era stato dato dalla casa madre ThyssenKrupp», ma anche «un’interlocutrice preparata e di livello», dicono di Lucia Morselli sindacalisti e dipendenti della Ast di Terni dove l’attuale ad di ArcelorMittal Italia ha ricoperto lo stesso ruolo dal luglio 2014 al marzo 2016, in concomitanza con la difficile vertenza che portò a circa 300 esuberi volontari dall’azienda. Eppure, dicono nelle stanze dei palazzi romani, il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni (in quota cinque stelle), si starebbe mangiando le mani per averla sponsorizzata.

Stefano Buffagni, viceministro M5s al Mise.

Nei mesi scorsi l’aveva addirittura spinta verso una poltrona nel consiglio di amministrazione di StMicroelectronics (carica da oltre 100 mila euro l’anno, si dice) al posto di Claudia Bugno, già nello staff dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. D’altra parte Morselli è anche «co-programme leader del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale – Business Management» della Link Campus University di Vincenzo Scotti, fucina dell’establishment grillino.  

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La fretta di Mustier e i pentimenti grillini

Ha destato qualche perplessità la celerità con cui il Ceo di Unicredit ha venduto la quota in Mediobanca. Anche perché la scalata di Del Vecchio avrebbe fatto aumentare il prezzo delle azioni. Mentre in casa grillina, Buffagni si mangia le mani per l'endorsement a Luicia Morselli.

La celerità con cui l’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, sta vendendo di tutto negli ultimi mesi forse sta diventando una cattiva consigliera. Il banchiere francese ha da tempo avviato una raffica di dismissioni che stanno restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, l’impianto eolico di Ocean Breeze in Germania. Oltre all’aumento di capitale da 13 miliardi definito all’inizio del 2017. Poi la gallina dalle uova d’oro Fineco e ora la storica quota posseduta in Mediobanca.

PERCHÉ ACCELERARE LA VENDITA DELLA QUOTA IN MEDIOBANCA?

Al netto della girandola di retroscena sulla battaglia che si giocherà in quel che resta del salotto di Cuccia, nelle sale operative si chiedono: perché Unicredit ha fatto partire mercoledì sera l’accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali (stessa modalità, per altro, della cessione di Fineco) sull’8,4% della banca di Nagel? Dall’operazione l’istituto di piazza Gae Aulenti ha incassato 785 milioni, con un effetto neutro sul Cet1 e una plusvalenza di circa 50 milioni. Certo, la mossa è stata fatta in un particolare momento di mercato, favorevole alle quotazioni del titolo Mediobanca asceso ai massimi dal 2008 con un rialzo da inizio anno di oltre il 46%. Unicredit aveva in carico la partecipazione a 9,89 euro e ha fatto il collocamento a 10,53 euro per azione, con uno sconto del 2,3% rispetto alla chiusura di fine seduta di giovedì (10,78 euro). 

LE AZIONI SONO DESTINATE AD AUMENTARE ANCORA

Ma se Leonardo Del Vecchio, che pare aver già rastrellato un altro 2,5% arrivando a ridosso del 10% di Mediobanca, riceverà l’autorizzazione della Bce a comprare ancora fino al 20%, il valore delle azioni in Piazzetta è destinato ad aumentare ancora.

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L’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier.

Quando ha venduto l’ultimo pacchetto della ormai ex controllata, sollevando perplessità da parte degli analisti, Mustier si è giustificato dichiarando che il valore era ai massimi e che la plusvalenza incassata con la vendita del 17% della società guida da Alessandro Foti corrispondeva a 17 anni di dividendi. Ma proprio giovedì Fineco ha svelato al mercato una trimestrale con numeri ancora in crescita: +10,8%  dell’utile netto dei nove mesi a 198,1 milioni e 489 milioni di ricavi (+5,2% anno su anno).  E nell’ultimo mese il titolo in Borsa ha guadagnato quasi il 14%.

LUCIA MORSELLI E I PENTIMENTI DEL M5S

«Una manager dura, diretta, che ha eseguito con metodi discutibili il mandato che le era stato dato dalla casa madre ThyssenKrupp», ma anche «un’interlocutrice preparata e di livello», dicono di Lucia Morselli sindacalisti e dipendenti della Ast di Terni dove l’attuale ad di ArcelorMittal Italia ha ricoperto lo stesso ruolo dal luglio 2014 al marzo 2016, in concomitanza con la difficile vertenza che portò a circa 300 esuberi volontari dall’azienda. Eppure, dicono nelle stanze dei palazzi romani, il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni (in quota cinque stelle), si starebbe mangiando le mani per averla sponsorizzata.

Stefano Buffagni, viceministro M5s al Mise.

Nei mesi scorsi l’aveva addirittura spinta verso una poltrona nel consiglio di amministrazione di StMicroelectronics (carica da oltre 100 mila euro l’anno, si dice) al posto di Claudia Bugno, già nello staff dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. D’altra parte Morselli è anche «co-programme leader del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale – Business Management» della Link Campus University di Vincenzo Scotti, fucina dell’establishment grillino.  

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Ha destato qualche perplessità la celerità con cui il Ceo di Unicredit ha venduto la quota in Mediobanca. Anche perché la scalata di Del Vecchio avrebbe fatto aumentare il prezzo delle azioni. Mentre in casa grillina, Buffagni si mangia le mani per l'endorsement a Luicia Morselli.

La celerità con cui l’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, sta vendendo di tutto negli ultimi mesi forse sta diventando una cattiva consigliera. Il banchiere francese ha da tempo avviato una raffica di dismissioni che stanno restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, l’impianto eolico di Ocean Breeze in Germania. Oltre all’aumento di capitale da 13 miliardi definito all’inizio del 2017. Poi la gallina dalle uova d’oro Fineco e ora la storica quota posseduta in Mediobanca.

PERCHÉ ACCELERARE LA VENDITA DELLA QUOTA IN MEDIOBANCA?

Al netto della girandola di retroscena sulla battaglia che si giocherà in quel che resta del salotto di Cuccia, nelle sale operative si chiedono: perché Unicredit ha fatto partire mercoledì sera l’accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali (stessa modalità, per altro, della cessione di Fineco) sull’8,4% della banca di Nagel? Dall’operazione l’istituto di piazza Gae Aulenti ha incassato 785 milioni, con un effetto neutro sul Cet1 e una plusvalenza di circa 50 milioni. Certo, la mossa è stata fatta in un particolare momento di mercato, favorevole alle quotazioni del titolo Mediobanca asceso ai massimi dal 2008 con un rialzo da inizio anno di oltre il 46%. Unicredit aveva in carico la partecipazione a 9,89 euro e ha fatto il collocamento a 10,53 euro per azione, con uno sconto del 2,3% rispetto alla chiusura di fine seduta di giovedì (10,78 euro). 

LE AZIONI SONO DESTINATE AD AUMENTARE ANCORA

Ma se Leonardo Del Vecchio, che pare aver già rastrellato un altro 2,5% arrivando a ridosso del 10% di Mediobanca, riceverà l’autorizzazione della Bce a comprare ancora fino al 20%, il valore delle azioni in Piazzetta è destinato ad aumentare ancora.

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Non solo. I broker di Kepler Cheuvreux, in un lungo report diffuso a metà ottobre, avevano escluso la cessione del pacchetto Mediobanca prima del 22 novembre, ovvero dopo il nutrito stacco di dividendo, 36 milioni di euro «cui Unicredit  non rinuncerà. Con uno yield del 4,7%, che corrisponde a un payout del 50%, ma che Piazzetta Cuccia può alzare al 60% con il prossimo piano industriale, la cui presentazione è prevista per il 12 novembre», scriveva Kepler. Non facendo i conti con la fretta di Mustier. La stessa che l’ad di Unicredit aveva avuto nel liberarsi di Fineco.

L’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier.

Quando ha venduto l’ultimo pacchetto della ormai ex controllata, sollevando perplessità da parte degli analisti, Mustier si è giustificato dichiarando che il valore era ai massimi e che la plusvalenza incassata con la vendita del 17% della società guida da Alessandro Foti corrispondeva a 17 anni di dividendi. Ma proprio giovedì Fineco ha svelato al mercato una trimestrale con numeri ancora in crescita: +10,8%  dell’utile netto dei nove mesi a 198,1 milioni e 489 milioni di ricavi (+5,2% anno su anno).  E nell’ultimo mese il titolo in Borsa ha guadagnato quasi il 14%.

LUCIA MORSELLI E I PENTIMENTI DEL M5S

«Una manager dura, diretta, che ha eseguito con metodi discutibili il mandato che le era stato dato dalla casa madre ThyssenKrupp», ma anche «un’interlocutrice preparata e di livello», dicono di Lucia Morselli sindacalisti e dipendenti della Ast di Terni dove l’attuale ad di ArcelorMittal Italia ha ricoperto lo stesso ruolo dal luglio 2014 al marzo 2016, in concomitanza con la difficile vertenza che portò a circa 300 esuberi volontari dall’azienda. Eppure, dicono nelle stanze dei palazzi romani, il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni (in quota cinque stelle), si starebbe mangiando le mani per averla sponsorizzata.

Stefano Buffagni, viceministro M5s al Mise.

Nei mesi scorsi l’aveva addirittura spinta verso una poltrona nel consiglio di amministrazione di StMicroelectronics (carica da oltre 100 mila euro l’anno, si dice) al posto di Claudia Bugno, già nello staff dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. D’altra parte Morselli è anche «co-programme leader del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale – Business Management» della Link Campus University di Vincenzo Scotti, fucina dell’establishment grillino.  

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Anche la finanza può venire travolta dal climate change

Uno studio dimostra che i cambiamenti climatici influiscono negativamente sui bilanci delle istituzioni finanziarie, a partire dalle banche. Che spesso non calcolano correttamente i rischi correlati agli investimenti che fanno.

Avete mai chiesto, e ne avreste diritto, alla vostra banca: «Ma a chi presti i miei risparmi? Dove vanno a finire i soldi che io deposito presso di te?».

Provate a farla perché se il vostro istituto di credito finanzia aziende che svolgono attività inquinanti potrebbero essere a rischio i vostri risparmi.

Lo tsunami che si sta abbattendo sul mondo della finanza è molto meno metaforico di quel che si pensa.

L’ALLARME DI NATURE CLIMATE CHANGE

Secondo uno studio pubblicato su Nature climate change da quattro ricercatori italiani che lavorano presso il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), l’Rff-Cmcc european institute on economics, la Scuola superiore sant’Anna, l’Università Bocconi e il Politecnico di Milano, il rischio climatico influisce negativamente sui bilanci delle istituzioni finanziarie e, pertanto, può essere rilevante per la stabilità finanziaria, in particolare se il mondo della finanza non calcola correttamente i rischi correlati.

I danni alle infrastrutture causati da eventi catastrofici come frane e alluvioni e il calo di produttività delle imprese potrebbero far impennare i fallimenti delle banche

In altri termini i cambiamenti climatici rischiano di minare la stabilità del sistema finanziario su scala globale. Vi starete chiedendo: ma in che modo i rischi fisici di catastrofi ambientali da economici, sociali e poi geopolitici possono diventare finanziari? Partiamo dalla base: le imprese devono ripensare il loro modo di fare business e orientare le loro azioni verso un’economia a basse emissioni di gas (in particolare il carbonio) che sono estremamente dannosi per l’intero ecosistema.

Ma ciò risulta una sfida tutt’altro che semplice perché richiede investimenti che il sistema finanziario, per la crisi strutturale che attraversa e per la cecità del proprio management, non è in grado di sostenere. Di conseguenza i danni alle infrastrutture causati da eventi catastrofici come frane e alluvioni e il calo di produttività delle imprese potrebbero far impennare i fallimenti delle banche (da +26% fino a +248%), mentre il salvataggio di quelle insolventi costerebbe ai governi circa il 5-15% del Pil all’anno, con un’esplosione del debito pubblico che potrebbe arrivare a raddoppiare nel 2100.

TRA LE BANCHE ITALIANE QUASI NESSUNO VALUTA IL RISCHIO AMBIENTALE

Ma cosa stanno facendo le banche, soprattutto del nostro Paese, per salvaguardarsi da un rischio di perdite che tra qualche decennio possono diventare non assicurabili? Quali strategie (!!!) stanno producendo per ridurre l’esposizione nei confronti delle imprese ad alta intensità di carbonio? Nulla o quasi. In base alla mia esperienza diretta sul mercato italiano, al momento nel nostro Paese una sola banca, tralaltro di piccole dimensioni (Banca popolare etica), sta investendo in tal senso concretamente e non con protocolli ed elaborazioni di mission che servono solo a garantire una reputazione di facciata.

Le visioni strategiche delle banche solo concentrate sul breve periodo, all’insegna del “vediamo di tirare avanti ancora un po’”

In questa banca, per esempio, la valutazione del rischio creditizio nei confronti delle imprese e dei privati è effettuata anche da «valutatori sociali», che verificano tralaltro l’impatto ambientale del processo produttivo o commerciale dell’impresa nonché il rischio collegato all’erogazione di un mutuo per l’acquisto di un immobile in aree vulnerabili a inondazioni, incendi o uragani. Per il resto, visioni strategiche solo concentrate sul breve periodo, all’insegna del “vediamo di tirare avanti ancora un po’” .

E i regolatori finanziari, oltre alle necessarie analisi e studi effettuati al riguardo, che ruolo stanno avendo per sollecitare, se non imporre, strategie di mitigazione di tali rischi e adattamento veloce ad un contesto davvero preoccupante? Perché non obbligare (non suggerire) le banche ad adottare sistemi di credit rating che tengano conto di una valutazione ambientale di chi richiede un finanziamento? Forse solo perché, in tal modo, la loro fine sarebbe solo anticipata.

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Sorpasso sui bond: il debito dell’Italia è più rischioso di quello della Grecia

Il rendimento dei nostri titoli di debito a dieci anni è all'1,16%. Mentre il tasso sulle obbligazioni elleniche è sceso all'1,10%.

Il sorpasso c’è, ma in retromarcia: l’Italia ha ufficialmente superato la Grecia come Paese debitore più rischioso dell”Area euro. I rendimenti dei bond di Atene sono scesi sotto quelli dell’Italia per la prima volta dal 2008. Il rendimento dei bond a 10 anni della Grecia, ha scritto il Financial Times, si è attestato all’1,10%. Il rendimento di titoli equivalenti italiani è salito all’1,16%. In realtà a spingere il sorpasso, è soprattutto la ripresa greca, come scrive il foglio della City: «I rendimenti di tutti e due i Paesi, schizzati durante la crisi del debito, restano molto bassi rispetto agli standard storici, ma la ripresa del mercato dei bond della Grecia è stata più spettacolare».

L’atrio della borsa di Atene in una foto del 21 luglio 2011. Agli albori della crisi del debito quando ancora i leader della zona euro chiedevano un “piano Marshall per la Grecia” mentre elaboravano attraverso l’Eurogruppo il piano di ristrutturazione del debito ellenico. ANSA/ SIMELA PANTZARTZI

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Unicredit ha messo in vendita tutta la quota detenuta in Mediobanca

Si tratta dell'8,4% del capitale. L'operazione ha un controvalore di circa 800 milioni di euro. La mossa va in direzione contraria rispetto alla recente crescita di Del Vecchio nell'azionariato di Piazzetta Cuccia.

Unicredit ha messo in vendita, attraverso un accelerated book building, l’intera quota dell’8,4% detenuta in Mediobanca. Agli attuali valori di mercato l’operazione ha un controvalore di circa 800 milioni di euro. L’istituto guidato da Jean Pierre Mustier ha fatto sapere che il collocamento sarà effettuato nei confronti di «alcuni investitori istituzionali», dunque il “pacchetto” verrà spezzettato. Ma la ratio che sta dietro all’iniziativa è difficile da afferrare.

IN DIREZIONE CONTRARIA RISPETTO A DEL VECCHIO

Unicredit è il primo azionista di Mediobanca e la mossa dell’amministratore delegato, che ricalca le modalità con cui è stata ceduta Fineco, è l’ultima di una serie ininterrotta di dismissioni, che comprendono la polacca Bank Pekao, l’asset manager Pioneer, le attività di elaborazione dei pagamenti con carte in Italia, Germania e Austria e la banca ucraina Ukrsotsbank. In vendita anche un pacchetto di immobili non strumentalii per un valore complessivo di 1 miliardo, mentre nel corso del 2019 sono state emesse obbligazioni per circa 10 miliardi. L’addio a Mediobanca va inoltre in direzione contraria rispetto alla recente crescita della Delfin di Leonardo Del Vecchio nell’azionariato di piazzetta Cuccia, che nel giro di un mese si è portata al 7,52%. Vincent Bolloré è invece sceso al 6,73%. Sullo sfondo la partita per le assicurazioni Generali, di cui Mediobanca possiede il 13%.

UNICREDIT «NON INTERFERIRÀ» CON IL COLLOCAMENTO

Il book building per la cessione di Mediobanca inizierà immediatamente. BofA Securities, Morgan Stanley e Unicredit Corporate & Investment Banking sono i Joint Bookrunners. Unicredit, come detto sopra, ha dato mandato di collocare le azioni presso più investitori e si è impegnata a «non interferire» con la loro assegnazione. La banca ha inoltre dichiarato che il ricavato della dismissione sarà reinvestito «nello sviluppo delle attività dei suoi clienti».

PLUSVALENZA LORDA DI 50 MILIONI EURO O POCO PIÙ

Il collocamento sta avvenendo in un range di prezzo compreso tra i 10,53 euro per azione e i 10,78 euro del prezzo di chiusura di Borsa del 6 novembre. Al prezzo minimo della forchetta ci sarebbe uno sconto del 2,3%. La quota posseduta da Unicredit è iscritta nel bilancio 2018 a 9,89 euro per azione. Dunque l’istituto, che il 7 novembre presenterà i conti dei primi nove mesi del 2019, ne uscirà con una plusvalenza lorda piuttosto esigua: 50 milioni di euro o poco più.

GLI SCENARI PER IL FUTURO

L’addio a Mediobanca può comunque aprire scenari nuovi per Unicredit. Negli ultimi due anni non sono mancate le speculazioni su una possibile virata sempre più prepotente verso l’estero. Al gruppo di piazza Gae Aulenti è stata accostata prima Societè Generale, dove lo stesso Mustier ha lavorato; poi la tedesca Commerzbank, che in primavera era alla ricerca di un partner dopo il fallimento delle trattative con Deutsche Bank. Ipotesi che Unicredit ha sempre rifiutato di commentare. D’altro canto il consolidamento del settore, anche a livello europeo, è diventata una chiara esigenza. E lo stesso Mustier ha rimarcato la necessita di avere istituti più grandi e paneuropei. Qualche schiarita potrebbe arrivare con il nuovo piano industriale, la cui presentazione è prevista fra un mese.

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