Una mostra celebra i palchi della Scala di Milano

Al museo del Teatro un'esposizione racconta le storie dei proprietari di quei piccoli salotti che hanno accolto anche la regina Elisabetta e Lady D.

«Piove, nevica fuori dalla Scala? Che importa/Tutta la buona compagnia è riunita in centottanta palchi del teatro», scrive Henri Beyle, Stendhal, in quel 1816 del suo viaggio più glorioso e felice in Italia, ricco di soste e ritorni nella città che preferiva a Parigi, e cioè Milano. Ogni sera, correva al Teatro alla Scala, il palcoscenico nel palcoscenico in cui vedeva rappresentata non solo tutta la buona società locale, ma la messa in scena quotidiana della vita della città, dei suoi amori e dei suoi affari. La storia dell’industriale Ziliani che si innamora della bella dama Gina, fedifraga patentata, è da leggere; un romanzo in nuce, se mai avrete tempo di scorrere quelle note, ma il motivo per cui ne scriviamo oggi è che questo breve aforisma inaugura, come un viatico, anche la mostra Nei palchi della Scala. Storie milanesi aperta l’8 novembre 2019 nel Ridotto della Scala curata da Pier Luigi Pizzi con l’intima grandeur che gli è propria (e non sembri un ossimoro, perché non lo è).

PREVISTO ANCHE UN DATABASE ONLINE

L’esposizione si inserisce in un lungo progetto di ricerca che ha unito il Teatro al Conservatorio G.Verdi e alla Biblioteca Braidense nella realizzazione di uno studio sui palchi e i palchettisti dal 1778, anno di apertura della sala che sostituiva il Regio bruciato poche stagioni prima fino al 1920, ultimo anno in cui quelle salette affacciate sul palcoscenico conservarono la proprietà privata (l’affitto non era uso, l’esproprio si rese necessario per dare nuovo ossigeno finanziario). Disponibili a chiunque sia interessato in un database online a partire dal 7 dicembre, i risultati della ricerca sono già ora visibili all’interno della mostra, ed è straordinario vedere come tutti, ma proprio tutti, cerchino nomi noti, documenti. E in un certo senso è come se stessimo insieme con i Trivulzio, i Litta, i Belgiojoso (straordinario il numero delle donne proprietarie di palchi: 308 su 1223 nomi finora censiti) i Visconti, le cui narrazioni personali si intrecciano con quelle dei patrioti italiani. E attenzione al palco numero 5, I ordine settore destro, più vicino al proscenio, detto appunto “il palco dei patrioti”: di proprietà di Vitaliano Bigli, uno dei tre cavalieri delegati a trattare a nome della Società dei Palchettisti con l’arciduca Ferdinando, il conte Firmian e il regio architetto Giuseppe Piermarini per la costruzione della Scala e della Cannobbiana, venne occupato dal pronipote Federico Confalonieri, patriota del partito degli “Italici puri” coinvolto nei moti del 1820-21 e fondatore del “Conciliatore” con Giovanni Berchet, Silvio Pellico e Luigi Porro Lambertenghi). 

OMAGGI A CURIEL, MONTALE, FRACCI E TOSCANINI

Una mostra costruita per suggestioni che al primo piano si apre con la doppia rappresentazione fotografica dello spettacolare (è proprio il caso di dirlo) abito da sera dedicato qualche stagione fa da Raffaella Curiel alla Prima del 7 dicembre di cui la sua famiglia veste buona parte delle ospiti dagli Anni ’50. L’esposizione avvolge poi il visitatore con le molte “quinte fotografiche” bellissime di Giovanni Hanninen, vere catapulte visive ad effetto tridimensionale nell’atmosfera del teatro, spettacolo della vita prima della sua rappresentazione. Lo scopo è proprio questo: avvolgere. Proteggere. Rafforzare il senso di sicurezza e di orgoglio di chi ne varca le porte di ispirazione neoclassica con le pigne beneauguranti sui maniglioni: «Un forte legame di identificazione culturale e civile», come lo definisce il sindaco Giuseppe Sala. In un montaggio fotografico ideale e fantastico dei quattro ordini, curatori e fotografo hanno inserito i volti di Eugenio Montale, grande baritono mancato (Indro Montanelli ha lasciato traccia della prima esibizione a cui assistette, nella redazione del Corriere della Sera), di Carla Fracci e Valentina Cortese, Wally e Arturo Toscanini, Anna Crespi, Vittoria Crespi Morbio e Nandi Ostali, il Quartetto Cetra del “vecchio palco della Scala”. E c’è anche Liliana Segre, tesoro protetto dalla città e forse non abbastanza dal Paese. Nella mattina di pioggia in cui la direttrice del Museo Teatrale alla Scala, Donatella Brunazzi, ha evocato Stendhal con il senso di protezione e di ristoro, di oasi, che il teatro milanese offre ai suoi visitatori, era seduta in prima fila e le era appena stato assegnata la scorta per proteggerla, lei sopravvissuta ad Auschwitz, dagli insulti e dalle minacce di morte della feccia che, sarà pure minoritaria come dice qualcuno ma in questa Italia, in questo momento, ha trovato l’humus per crescere e l’atmosfera per spandere il proprio olezzo di marciume. La senatrice era serena e garbata come sempre. Ma noi ci siamo sentiti immensamente grati di trovarci lì, in quella mattina di pioggia, asciutti e al sicuro, in mezzo alla compagnia dove tornava sempre anche Stendhal, in attesa che Napoleone, il suo generale che non gli piaceva più da tempo, scomparisse per sempre.

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Perché il bacio tra Breznev e Honecker ha segnato per sempre il Muro di Berlino

Il leader socialista sovietico e quello tedesco furono immortalati il 5 ottobre del 1979 durante le celebrazioni del trentennale della Ddr. Una foto diventata prima murale nel 1990 e poi icona del Novecento. La storia.

Era il 5 ottobre del 1979 e si celebravano i 30 anni dalla nascita della Repubblica democratica tedesca. Leonid Breznev, segretario del Partito comunista sovietico, aveva appena concluso il suo discorso pubblico. Ed Erich Honecker, segretario del Partito socialista della Germania, gli si avvicinò a braccia spalancate per congratularsi con lui. Si trovarono uno di fronte all’altro. E non si opposero allo scambio di quel “bacio fraterno socialista“. Una particolare forma di saluto in voga tra i leader dei Paesi marxisti-leninisti, che serviva a dimostrare il feeling esistente tra i capi politici fedeli all’area Est, in un mondo tenuto sotto scacco dalla Guerra fredda.

FOTO STORICA DIVENTATA MURALE NEL 1990

Quando quelle due bocche maschili si appoggiarono piano l’una sull’altra, la folla di presenti se ne stava tutta intorno, a festeggiare e a testimoniare quel rito figlio della tradizione di sinistra. Tra chi osservava c’erano decine di fotografi. Ma, tra tutti, soltanto il francese Regis Bossu riuscì a immortalare lo schiocco di labbra diventato un’icona del Novecento. Quello scatto ha fatto il giro del mondo. E la sua fortuna non è finita lì. Ha raccolto nuova linfa vitale trasformandosi in un murale nel 1990, grazie al talento creativo dell’artista russo Dmitri Vrubel. Il titolo è My God, Help Me to Survive This Deadly Love (Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore letale). Ancora oggi è il più fotografato dai turisti su quel che resta oggi del Muro di Berlino.

UN RITO MOLTO… COMUNISTA

Il bacio fraterno socialista è un rituale che consiste in un abbraccio e in una serie di tre baci reciproci sulle guance o, più raramente, sulla bocca. La tradizione, che proviene dalla Chiesa ortodossa, è stato adottata dai leader politici comunisti. Per questo motivo, quando Honecker andò ad abbracciare Breznev e poi si passò alla bocca, non ci fu nulla di così eclatante. Ma ciò che porta alla fama qualcosa e qualcuno, spesso, ha una logica insondabile.

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Il muro di Berlino in 10 film

Il 9 novembre del 1989 la Germania tornava a essere un Paese unito. Per celebrare la riunificazione, ecco le pellicole che raccontano i drammi e i controsensi di un blocco di cemento che ha segnato la storia.

Il 9 novembre di 30 anni fa la Germania tornava a essere un Paese unito. Spariva l’ufficiale suddivisione tra Est e Ovest, almeno sulla carta e nelle intenzioni. Ma quella spartizione territoriale che per circa 28 anni aveva scavato un solco tra due mondi irriducibili si è affievolita solo molti anni dopo, e forse mai del tutto. È infatti sopravvissuta nei ricordi di chi ne subì le conseguenze più dure. E nelle quotidianità stravolte dei tedeschi che, da un giorno all’altro, si sentirono stranieri in un Paese che era sempre stato il loro. Ma il faccia a faccia tra Repubblica democratica e Repubblica federale si è impresso anche nelle pellicole degli artisti e dei registi, che tradussero in linguaggio cinematografico la realtà di una nazione divisa a metà dalla logica bipolare.

GOODBYE LENIN

È il 1989 quando Christiane, una fervente comunista che vive nella Germania dell’Est va in coma, dopo aver visto il figlio Alex picchiato e arrestato dalla polizia durante una delle sempre più frequenti manifestazioni di piazza. Mancano ormai pochi giorni alla caduta del muro di Berlino. La donna esce dal coma soltanto otto mesi dopo, quando il mondo attorno è ormai cambiato. I suoi figli, però, fanno di tutto per difendere i suoi nervi deboli. Come? Nascondendole la caduta del muro e convincendola che la realtà è rimasta identica a come lei l’aveva lasciata. La pellicola ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio César nel 2004 come miglior film dell’Unione europea e, nello stesso anno, il premio Goya come miglior film europeo. Anno di uscita: 2003. Regia di Wolfgang Becker. Principali interpreti: Daniel Brühl e Katrin Sass.

Un frame del film Goodbye Lenin
Un frame del film Goodbye Lenin

IL CIELO SOPRA BERLINO

Negli Anni Ottanta due angeli vagano per Berlino. Si mettono in ascolto dei pensieri dei passanti. In particolare, si interessano ai pensieri formulati da una donna incinta, da un pittore, da un uomo che pensa alla sua ex fidanzata. Il loro compito è preservare per sempre la realtà, memorizzare in che modo Berlino cambia e attraversa il costante flusso della storia. Presentato nel 1987 al 40esimo Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore regia. Anno di uscita: 1987. Regia di Wim Wenders. Interpreti principali: Bruno Ganz e Otto Sander.

LE VITE DEGLI ALTRI

Nel 1984 il capitano della Stasi Gerd Wiesler ha il compito di spiare Georg Dreyman, scrittore teatrale e intellettuale ritenuto un pericoloso dissidente e un potenziale traditore del governo comunista. In molti spingono Wiesler, che svolge ogni suo compito in modo impeccabile, a trovare delle prove per accusare Dreyman. L’operazione di spionaggio ha un risvolto sentimentale. È fortemente sostenuta dal ministro della cultura Bruno Hempf, che vuole Dreymann fuori dai piedi per avere la sua compagna, l’attrice Christa-Maria Sieland. La spia Wiesler entra così nella vita dello scrittore e della sua compagna. Ma il suicidio di un amico della coppia gli restituisce un’immagine nuova della Germania Est e del suo stesso ruolo. Nel 2007 la pellicola ha vinto l’Oscar come miglior film straniero. Anno di uscita: 2006. Regia di Florian Henckel von Donnersmarck. Interpreti principali: Ulrich Mühe, Martina Gedeck, Sebastian Koch e Ulrich Tukur.

SONNENALLEE

Micha e Mario sono due cari amici e vivono nella Sonnenallee, la strada del sole. Sono due giovani in attesa del diploma, che si chiedono se intraprendere la carriera universitaria o meno. La loro quotidianità è fatta dei primi amori adolescenziali, di ore passate ad ascoltare i Rolling Stones (vietati dal regime) e di lotte contro gli abusi della Ddr. Anno di uscita: 1999. Regia di Leander Haussmann. Interpreti principali: Alexander Scheer e Alexander Beyer.

Un frame del film Sonnenallee

FUNERALE A BERLINO

Harry Palmer è un agente del servizio segreto inglese che ha il compito di far attraversare il muro di Berlino a Stock, un colonnello dell’Urss che vuole abbandonare la causa comunista e passare a Ovest. Dietro il consiglio dell’esperto di fughe Kreuzmann, Palmer decide di far nascondere il colonnello nella bara di un criminale nazista, sostituendo Stock con la salma. Ma a confine attraversato, si scopre che dentro la bara giace il corpo senza vita di Kreuzmann. E a Palmer resta il compito di scoprire chi sia stato il traditore. Anno di uscita: 1966. Regia di Guy Hamilton. Interpreti principali: Michael Caine, Paul Hubschmid, Oskar Homolka ed Eva Renzi.

Una scena del film “Funerale a Berlino”

IL TUNNEL

Già finito nei guai per le sue attività eversive nella Germania dell’Est, il nuotatore professionista Harry Melchior riesce finalmente a fuggire nella repubblica federale tedesca. Ma, una volta in salvo, decide di costruire un tunnel sotterraneo per permettere anche alla sua famiglia di passare alla zona Ovest. Il progetto però incontra diverse difficoltà, tra cui il tradimento dei suoi stessi amici. Anno di uscita: 1987. Regia di Antonio Drove. Interpreti principali: Jane Seymour, Peter Weller, Manuel de Blas e Fernando Rey.

Una scena del film “Il Tunnel” di una fuga finita male

IL SILENZIO DOPO LO SPARO

La ribelle Rita è una donna che, dopo un passato da terrorista nella Raf, gruppo di estrema sinistra, fugge nella Repubblica democratica tedesca. Qui incontra Tatjana, l’amica cara che invece sogna una vita nella zona Ovest. Con la caduta del muro, i nodi vengono però al pettine: Rita deve fare i conti con la legge e con il suo passato e tutta la sua vita ne sarà stravolta. Anno di uscita: 2000. Regia di Volker Schlöndorff. Interpreti principali: Bibiana Beglau, Nadja Uhl e Martin Wuttke.

IL SIPARIO STRAPPATO

Un rinomato fisico statunitense sceglie di mettersi a collaborare con gli scienziati sovietici, dimostrando di voler sposare la causa comunista. I colleghi e la stessa fidanzata restano attoniti quando l’uomo si stabilisce nella Germania Est per continuare le sue ricerche scientifiche. C’è però chi sospetta, e forse a ragione, che la sua nuova scelta di campo non sia poi così cristallina come lo studioso vuole far credere. Anno di uscita: 1966. Regia di Alfred Hitchcock. Interpreti principali: Paul Newman, Julie Andrews e Lila Kedrova.

LA SPIA CHE VENNE DAL FREDDO

Tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carrè, la pellicola vede protagonista una spia inglese. Il suo compito è eliminare il capo dello spionaggio tedesco orientale. Per entrare nel giro si lega a una ragazza iscritta al Partito comunista britannico. Il suo sistema di valori, però, crolla quando la ragazza muore e lui comprende di essere solo una pedina in un gioco molto più grande di lui. Nel 1967 la pellicola ha vinto ai Bafta come miglior film britannico, miglior attore britannico a Richard Burton, migliore fotografia e migliore scenografia. Anno di uscita: 1965. Regia di Martin Ritt. Interprete principale: Richard Burton.

Il protagonista de “La spia che venne dal freddo”

UNO, DUE, TRE

Il protagonista di questa commedia è un direttore della filiale della Coca Cola a Berlino Ovest, col sogno di esportare la celebre bibita scura e gasata anche nei Paesi che ruotano attorno all’orbita sovietica. Ma le sue ambizioni sono messe in secondo piano da un altro e più urgente problema: il matrimonio della figlia del suo capo con un comunista nella Berlino Est. Il film ha ricevuto una nomination ai Premi Oscar 1962 (miglior fotografia) e due nomination ai Golden Globe 1962. Anno di uscita: 1961. Regia di Billy Wilder. Interprete principale: James Cagney.

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Il muro di Berlino in dieci canzoni

Il simbolo per eccellenza della Germania divisa ha ispirato artisti da tutto il mondo. Per celebrare i 30 anni dalla riunificazione tedesca avvenuta il 9 novembre del 1989, ecco le colonne sonore che raccontano il crollo del blocco di cemento.

Ce ne sono alcune che parlano di libertà, di amore, di voglia di resistere contro tutti e tutto. Altre che sono un inno al cambiamento e al bisogno di ribellarsi per non soccombere. In occasione della caduta del muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre del 1989, ecco dieci canzoni per ricordare un evento che ha segnato la storia. E ha influenzato il modo in cui oggi leggiamo il nostro stesso mondo.

SCORPIONS – WIND OF CHANGE

Il “vento del cambiamento” ha ispirato una delle più celebri canzoni degli Scorpions. Il leader della band tedesca, Klaus Meine, ha composto Wind of change nel settembre 1989, per narrare dei cambiamenti politici che stavano sconvolgendo l’ordine bipolare. Era proprio in quei mesi che Berlino si preparava alla «magia del momento in una notte gloriosa».

NEIL YOUNG – AFTER BERLIN

«Won’t you help me make my way on home, after Berlin?». Non vorrai aiutarmi a costruire la via di casa, dopo Berlino? Questa è la domanda che si pone Neil Young in After Berlin, la canzone scritta nel 1982. Quando mancavano ancora sette anni alla caduta del Muro che spezzava la Germania, la star canadese mise in note una Berlino in cui «o ti rinchiudono fuori o ti rinchiudono dentro».

LUCIO DALLA – FUTURA

Scritta da Lucio Dalla nel 1979, Futura racconta di un uomo e di una donna qualunque, il cui amore è ostacolato dal muro di Berlino. Il cantautore bolognese ha steso il testo proprio mentre si trovava nella città divisa, traendo ispirazione dalla vista dell’imponente costruzione di cemento, che sarebbe stata abbattuta solo dieci anni dopo.

ARCADE FIRE – SURF CITY EASTERN BLOC

I blocchi stradali e la paura di essere arrestato sono al centro di Surf City Eastern Bloc, la canzone del 2009 degli Arcade Fire che vede protagonista un ragazzo in fuga da Berlino Est e diretto a Berlino Ovest. Il regime e le minacce nulla possono contro la voglia di libertà che anima un giovane uomo.

DAVID HASSELHOFF – LOOKING FOR FREEDOM

È rimasta in cima alle classifiche tedesche per otto settimane, quell’estate del 1989. Looking for freedom, la hit di David Hasselhoff, (il beniamino di Baywatch e Supercar), ha conquistato il pubblico della Germania poco prima che il Muro fosse abbattuto. Merito del suo testo dedicato alla «ricerca della libertà, una ricerca che ancora va avanti, da quando ho lasciato la mia città natale».

YANN TIERSEN – GOODBYE, LENIN (SUMMER 78)

Goodbye, Lenin (Summer 78) di Yann Tiersen è il sottofondo che accompagna le immagini dell’omonimo film uscito nel 2003. Ma la scia strumentale partorita dal genio creativo del compositore francese ha finito per diventare essa stessa una delle colonne sonore che, più naturalmente, vengono collegate al muro di Berlino.

EDOARDO BENNATO – FRANZ È IL MIO NOME

Franz è il mio nome di Edoardo Bennato, datata 1976, racconta di un uomo che «vende la libertà, a chi vuol passare dall’altra parte della città». «West Berlino» diventa, nella voce del cantautore napoletano, un luogo aperto ai desideri, e ai sogni «proibiti fino a ieri». Una distinzione che con la caduta del Muro diventerà sempre più sfumata.

DAVID BOWIE – HEROES

Heroes è tra le canzoni più belle di sempre e David Bowie la compose nel 1977, proprio a Berlino, un luogo che aveva significato per lui rinascita artistica e personale. Quando un giorno fu preso dall’ispirazione e i suoi occhi si posarono su una coppia concentrata nel proprio amore, i versi che fecero la storia della musica gli uscirono di getto: «Stavamo vicino al Muro, e i fucili spararono sopra le nostre teste. E noi ci baciammo, come se niente potesse cadere, e la vergogna stava dall’altra parte. Oh, noi possiamo batterli, sempre e per sempre».

PINK FLOYD – A GREAT DAY FOR FREEDOM

«Nel giorno in cui cadde il muro, gettarono a terra i lucchetti. E coi bicchieri alzati ci fu un urlo poiché la libertà era arrivata». Con queste parole inizia la canzone dei Pink Floyd del 1994, dedicata al crollo del muro di Berlino. Il testo, scritto cinque anni dopo la caduta, sottolinea in realtà la delusione seguita alle tante speranze disattese dopo lo storico evento.

SEX PISTOLS – HOLIDAYS IN THE SUN

Composta dai Sex Pistols nel 1977, Holidays in the sun vide la genesi grazie a una vacanza sull’isola di Jersey finita male. Sbattuta fuori da lì, infatti, la band britannica ripiegò su Berlino. Una città dove i musicisti riuscirono a trovare riparo dalla difficile quotidianità di Londra, come ha ricordato il leader John Lydon, alias Johnny Rotten: «Essere a Londra in quel periodo ci faceva sentire come prigionieri in un campo di concentramento. La cosa migliore che potevamo fare era quella di cambiare campo di prigionia. Berlino e la sua decadenza furono una buona idea. La canzone nacque così. Amo Berlino. Amavo il muro e la pazzia del posto. I comunisti guardavano all’atmosfera da circo di Berlino ovest, che non dormiva mai, e quella sarebbe rimasta la loro immagine dell’occidente».

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