Champions League, la data di Juventus-Lione: si potrebbe giocare l’8 agosto


Secondo le indiscrezioni provenienti dalla Francia, l'Uefa starebbe pensando di far disputare Juventus-Lione, match di ritorno degli ottavi di finale di Champions League, l'8 agosto a Torino. Il tutto a condizione che le misure sanitarie lo consentano. Fondamentali le prossime settimane per capire come sarà portata a termine la stagione continentale.
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La Francia ferma il calcio e fa saltare il banco dell’Uefa: cosa succede con la Champions?


La Francia vieta i grandi eventi fino a settembre e decreta la chiusura anticipata della Ligue 1: il campionato francese non riprenderà. È il primo grande torneo europeo a fermarsi, dopo i precedenti di Belgio e Olanda. Scatta l'allarme per l'Uefa, che pianificava di portare al termine tutti i grandi campionati e successivamente le coppe. Juventus-Lione di Champions League resta in sospeso.
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Le direttive dell’Uefa: campionati da finire entro il 3 agosto con qualsiasi formula


Il Comitato Esecutivo della Uefa ha indicato le linee guida per la stagione in corso: portare a termine i campionati entro il 3 agosto e poi lasciare spazio alle coppe. Qualora fosse impossibile concludere regolarmente i tornei, per la qualificazione alle coppe e la compilazione delle classifiche saranno considerati validi i meriti sportivi della stagione 2019-2020. Stranziati anche 70 milioni di euro per i club che hanno concesso giocatori alle nazionali per le qualificazioni di Euro 2020. Il campionato europeo femminile posticipato al 2022.
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L’Uefa decide: in caso di campionati sospesi sarà valida l’ultima classifica


La Uefa detta le linee guida per determinare le classifiche dei campionati nel caso fosse impossibile concludere la stagione a causa della pandemia da covid-19. Diversi le ipotesi sul tavolo, sia per le date sia per stilare le graduatorie finali per le prossime coppe. Ecco cosa accadrebbe in Italia.
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Il nuovo calendario del calcio: Serie A fino a luglio, Champions ed Europa League ad agosto


Settimana decisiva per i piani di ripresa del calcio, italiano e internazionale. Da martedì a giovedì fissate tre riunioni a livello europeo, con la regia dell'UEFA. Pronto il nuovo calendario delle coppe: si giocherebbero ad agosto, con finali tra il 27 e il 29. Fino a quel momento, spazio per i campionati nazionali.
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Champions League: se il calcio non riparte Milan, Atletico, Tottenham tra le grandi escluse


Con le classifiche cristallizzate al momento del lockdown per Covid-19 - e in attesa di capire quando e se la stagione ripartirà - ci sarebbero top club esclusi dalla prossima Champions. In Inghilterra fuori Arsenal e Tottenham, in Francia il Lione, in Italia il Milan e in Spagna l'Atletico Madrid. Festa invece, per Rennes, Lipsia e Leicester.
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Roma-Barcellona 3-0, Juan Jesus svela il discorso di De Rossi: “Tremava tutto”


Nel 2018 la Roma eliminò il Barcellona dalla Champions rimontando all'Olimpico il risultato dell'andata, di quella gara epica Juan Jesus ricorda in particolare il discorso del capitano, Daniele De Rossi, e le sensazioni trasmesse: "Ragazzi pensateci bene. Se doveste andare in guerra, chi vorreste di fianco a urlare con voi? De Rossi. E noi lo avevamo".
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Valencia, nel weekend finisce la quarantena: intanto si indaga sulla partita di San Siro


La situazione in casa Valencia sta volgendo alla normalità: dopo il boom di 25 infettati dal covid-1, da lunedì finirà la quarantena di 14 giorni e si potrà stilare un nuovo bollettino medico. La società spagnola è stata tra le più colpite dalla pandemia e sotto accusa c'è la sfida di Champions a San Siro contro l'Atalanta dello scorso 19 febbraio.
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Coronavirus, ufficiale: rinviate le finali di Champions ed Europa League


A seguito della crisi COVID-19 in Europa la UEFA ha formalmente preso la decisione di posticipare la finale di Champions ed Europa League inizialmente previste per fine maggio. È quanto annunciato dal massimo organo calcistico continentale in una nota. "Nessuna decisione è stata ancora presa per quanto riguarda le nuove date" ha dichiarato il numero uno del calcio europeo Ceferin.
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I sorteggi degli ottavi di Champions League 2019-2020 in diretta

Juventus, Napoli e Atalanta attendo a Nyon i loro prossimi avversari. Per i bianconeri lo spauracchio è il Real, Gattuso e Gasperini sognano Lipsia o Valencia.

Tra qualche brivido e molte speranze Juventus, Napoli e Atalanta attendono con trepidazione l’esito del sorteggio degli ottavi di Champions League. Appuntamento a Nyon, come da tradizione, a partire dalle ore 12. Cinque gli avversari possibili per i bianconeri, sei rispettivamente per gli uomini di Rino Gattuso e Giampiero Gasperini.

SARRI SPERA IN UN INCROCIO COL LIONE

La Juve può incrociare Real Madrid, Tottenham e Chelsea nella peggiore delle ipotesi o augurarsi, all’opposto, un ottavo decisamente più morbido col Lione. A metà strada un Borussia Dortmund mai come quest’anno sulle montagne russe.

PER NAPOLI E ATALANTA IL RISCHIO DI CONFRONTI IMPOSSIBILI

Peggio potrebbe andare per Napoli e Atalanta che partono dalla seconda fascia: entrambe possono pescare Barcellona, Paris Saint-Germain e Bayern Monaco, con i bergamaschi a rischio Liverpool e il Napoli in orbita Manchester City. Il sogno, per entrambe, sono le più semplici Valencia e Lipsia.

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Antonio Conte in Champions League non è un top manager

Lo dicono i numeri. Quattro partecipazioni da allenatore e due eliminazioni ai gironi. Un quarto di finale come miglior risultato. E una media punti di 1.46 contro i 2.28 del campionato. Storia di una maledizione.

La Champions League è una storia a parte, una competizione che ha logiche tutte sue, quasi un altro sport. Puoi essere grande, persino uno dei più grandi, quando ti giochi un campionato su 38 partite. Non mollare un centimetro e conquistare il titolo con squadre che alla vigilia non rientrerebbero nel novero delle favorite, eppure faticare da matti quando valichi il confine e ti ritrovi a giocare in Europa. Non è nemmeno una questione di valore dell’avversario che ti trovi di fronte, è proprio un problema di dinamiche e prospettive che mutano. E se non sei pronto, se non sei nato per quella cosa là, alla fine ti ci schianti.

L’Inter è apparsa simile in maniera inquietante a quella che l’anno scorso non riuscì a battere il Psv e si fermò allo stesso punto: l’ultima partita del girone

L’Inter è prima in classifica. In due mesi e mezzo Antonio Conte ha già messo da parte nove punti in più di quanti ne aveva Luciano Spalletti un anno fa di questi tempi. Ha il terzo miglior attacco del campionato e la miglior difesa e due punti di vantaggio sulla Juventus che l’anno scorso dopo 15 partite ne dava 14 di distacco ai nerazzurri. Ma il miracolo si è sciolto in una sera di Champions League in cui l’Inter è apparsa simile in maniera inquietante a quella che l’anno scorso non riuscì a battere il Psv Eindhoven e si fermò allo stesso punto: l’ultima partita del girone.

ELIMINATO DA UN BARCELLONA DI RISERVE E GIOVANISSIMI

Sì, stavolta di fronte c’era il Barcellona, ma era un Barcellona già agli ottavi e sicuro del primo posto, arrivato a Milano senza Leo Messi e Gerard Piqué, lasciati a riposo a casa, e con Suarez in panchina. Un Barcellona che ha schierato un solo titolare su 11, il difensore centrale Clément Lenglet, che ha mandato in porta Neto (all’esordio stagionale), ha schierato terzino destro della squadra B Moussa Wague (una sola presenza in Liga e un minuto in Champions prima di ieri), ha piazzato al centro della difesa Jean-Clair Todibo (77 minuti distribuiti su due partite di Liga), a centrocampo Carles Aleña (63 minuti in due partite di campionato) e in attacco Carles Pérez (457 minuti in Liga, un veterano al confronto degli altri compagni già citati). Un Barcellona che ha battuto l’Inter con un gol di Ansu Fati, un ragazzo di talento finissimo ma anche di 17 anni e 40 giorni entrato in campo un minuto prima.

Lautaro Martinez dopo un gol annullato per fuorigioco contro il Barcellona.

Alla vigilia della partita, leggendo la lista dei convocati e poi la formazione di Ernesto Valverde, in molti sogghignavano. Qualcuno persino ventilava il più classico dei biscotti, una partita farsa già acchitata per far passare il turno all’Inter. Al termine dei 90 minuti a ridere, ma di una risata ben diverse, sono rimasti solo i gufi. Di certo non ha riso Conte, che la Champions League l’ha vissuta da allenatore quattro volte, la metà delle quali terminate ai gironi e con un quarto di finale come miglior risultato in carriera. Un allenatore che ha confermato la sua allergia al contesto europeo persino in Europa League, quando nel 2013-14 si fece eliminare in semifinale dal Benfica, perdendo l’occasione di giocarsi la coppa nella finale davanti al pubblico dello Juventus Stadium.

QUELLE SIMILITUDINI TRA LE ELIMINAZIONI CON INTER E JUVE

Il confronto tra il Conte del campionato e quello della Champions League è oggettivamente impietoso. Basta vedere le medie punti nelle varie competizioni. In Serie A viaggia spedito a 2,28, in Premier scende a un 2,14 viziato dalla seconda stagione al Chelsea, in Champions a 1,46. Vince meno di una partita ogni due, non proprio statistiche da top manager. E la sconfitta del 10 dicembre assomiglia fin troppo a quella di sei anni fa a Istanbul, più per le condizioni in cui l’Inter si è costretta ad affrontare un ultimo scontro decisivo che per due partite diverse per blasone dell’avversario e condizioni ambientali. In casa del Galatasaray la neve aveva reso il campo impraticabile, a San Siro la palla viaggiava veloce, soprattutto quando veniva trasmessa dai piedi delle riserve del Barcellona, ma l’eliminazione di quella Juve fu figlia del pareggio di Copenaghen almeno quanto quella di quest’Inter lo è di quello con lo Slavia Praga.

UN’INTER FIGLIA DI CONTE, NEL BENE E NEL MALE

L’Inter non ha giocato male la sua Champions League, per nulla. A tratti ha persino dato l’impressione di essere forte, fortissima. All’andata al Camp Nou ha preso in giro il Barcellona per un tempo, al ritorno ha fatto lo stesso per i primi 45 minuti col Borussia Dortmund. In entrambi i casi, però, è stata rimontata sparendo dal campo. E l’impressione è che sia successo per limiti caratteriali prima ancora che tecnici, per una sorta di disegno calcistico più che per una condizione atletica inadeguata a reggere quei ritmi forsennati per più di un tempo. Se questa Inter è figlia di Conte, lo è nel bene e nel male. E se era possibile prevedere che in campionato avrebbe trovato risorse che nessuno pensava potesse avere, era altrettanto facile immaginare che in Champions non sarebbe durata a lungo. A prescindere da ogni discorso sulla complessità del girone in cui era stata sorteggiata.

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Perché Messi potrebbe vincere ancora il Pallone d’Oro

Secondo i rumor della stampa spagnola, il premio andrà all'argentino per la sesta volta. Sarebbe la dimostrazione che nel calcio di oggi i gol contano più dei trofei.

Il Pallone d’oro viaggia ancora verso Barcellona, per la sesta volta in 11 anni.

Il rumor secondo cui il prestigioso (sempre meno?) riconoscimento attribuito da France Football al miglior giocatore dell’anno sarebbe già stato spedito per raccomandata a Lionel Messi Cuccittini ha già generato un’ondata di polemiche.

Perché lui, proprio lui, che non ha vinto niente se non una Liga, che è uscito male dalle semifinali di Champions, che ha perso anche la semifinale di Copa America. Perché lui e non un altro? La risposta, in realtà, potrebbe essere molto semplice: se davvero Messi avesse già vinto, lo avrebbe fatto soprattutto per assenza di concorrenza.

IL PALLONE D’ORO SEMPRE PIÙ LEGATO AL MARKETING

Parliamoci chiaro, nell’ultima dozzina di anni il Pallone d’oro si è trasformato in una gigantesca occasione di marketing per il mondo del calcio. Sì, certo, a vincere è sempre il migliore (o uno dei migliori), ma le logiche attraverso cui il premio viene attribuito sono cambiate nel corso del tempo. Oggi sarebbe impensabile vedere premiato un Matthias Sammer o un Fabio Cannavaro. Sarebbe difficile persino che il premio finisse nelle mani di un Michael Owen. Oggi la macchina del pallone esige volti da copertina, e i follower sui social contano giusto poco meno dei trofei conquistati e dei gol segnati. I gol segnati, in particolare, sono fondamentali, forse ancora più delle coppe vinte.

Il Pallone d’oro ha vissuto da sempre nel paradosso di un premio individuale nel contesto di uno sport di squadra

Perché, se il Pallone d’oro ha vissuto da sempre nel paradosso di un premio individuale nel contesto di uno sport di squadra, ultimamente ha deciso di sciogliere questa dicotomia a favore del primo dei due aspetti. Conta più ciò che fai da solo, soprattutto se i numeri sono eclatanti. Nell’era degli attaccanti da 50 gol a stagione non c’è più spazio per i difensori, a malapena riescono a infilarcisi i centrocampisti offensivi, e solo se riescono a far coincidere l’anno sabbatico dei fenomeni con quello in cui loro compiono imprese mirabolanti come far sfiorare la vittoria della Coppa del Mondo a una nazione di poco più che 4 milioni di abitanti, come nel caso del croato Luka Modrić.

Il Pallone d’Oro (foto LaPresse-Xinhua/Zhang Fan).

Messi di gol ne ha fatti 51, in 50 partite. Nell’anno solare è a quota 39, sei in meno di quelli di Robert Lewandowski (che andando avanti di questo passo rischia seriamente di prenotare in anticipo il prossimo, di Pallone d’oro). Ha vinto la Scarpa d’oro e il titolo di capocannoniere della Champions League (per la sesta volta, entrambi). Ha vissuto una stagione contraddittoria sotto l’aspetto delle competizioni disputate. Si è fermato in semifinale di Champions, dove contro il Liverpool, futuro vincitore della coppa, è stato straordinario protagonista nel 3-0 del Camp Nou e un fantasma nello 0-4 subito ad Anfield. Eppure la sua candidatura resta la più forte.

PER CRISTIANO RONALDO UNA STAGIONE DELUDENTE

Guardiamoci intorno, vagliamo gli altri potenziali candidati al Pallone d’oro 2019, cerchiamo di capire perché, probabilmente, lo vincerà ancora Messi. Partiamo da Cristiano Ronaldo, che nell’ultimo decennio abbondante è stato il suo più grande rivale, che ne ha vinti cinque, lo stesso numero che al momento può vantare Messi. Cristiano è penalizzato da una prima stagione alla Juve che è andata meno bene del previsto, ha vinto lo Scudetto con i bianconeri e la Nations League con il Portogallo, ma è uscito ai quarti di finale della Champions League. In Serie A ha segnato 21 gol, 28 complessivi in tutte le competizioni di club, ha messo a referto due triplette decisive agli ottavi di Champions con l’Atletico Madrid e nella semifinale di Nations League con la Svizzera, ma è rimasto sotto le 40 reti per la prima volta in nove anni.

IL LIVERPOOL NON HA UN GIOCATORE CHE SPICCA SUGLI ALTRI

Allora, forse, i veri rivali di Messi andrebbero cercati tra chi la Champions l’ha vinta. Il problema del Liverpool è che è la sublimazione del calcio come gioco di squadra, un collettivo che sopravanza di molto la somma delle individualità che lo compongono. Momo Salah ha segnato meno della stagione precedente (27 gol, poco più della metà di quelli di Messi), Sadio Mané e Roberto Firmino sembrano nomi non altrettanto forti.

Quest’anno ai portieri hanno dedicato una categoria a parte: il Pallone d’Oro dei portieri

I singoli che hanno spiccato maggiormente nella squadra di Jürgen Klopp, Virgil Van Dijk e Alisson, giocano troppo lontani dalla porta avversaria. Il primo fa il difensore centrale, e il fatto che non perda praticamente mai un uno-contro-uno sembra non bastare per prendersi il premio. Il secondo fa il portiere, e in tutta la storia del Pallone d’oro solo una sola volta il trofeo è stato vinto un giocatore in questo ruolo, nel 1963 da Lev Jašin, il Ragno nero russo della Dinamo Mosca. Non a caso da quest’anno agli estremi difensori hanno dedicato una categoria a parte: il Pallone d’Oro dei portieri.

Lionel Messi con la maglia dell’Argentina (foto LaPresse – Fabio Ferrari).

Ecco perché pare che France Football abbia mandato i suoi fotografi a Barcellona in una mattina di fine novembre. Ed ecco perché ancora una volta, a vincere, sarà Messi. Peraltro non sarà nemmeno il premio che la Pulce ha meritato meno nella sua carriera, considerando quello strappato nel 2010 ai campioni del mondo Andreas Iniesta e Xavi e a uno Wesley Sneijder reduce da triplete con l’Inter e finale mondial persa con l’Olanda. Sarà così ancora una volta, aspettando Kylian Mbappé più che Neymar. Perché chi non fa gol non può più essere considerato il migliore calciatore al mondo.

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Perché Messi potrebbe vincere ancora il Pallone d’Oro

Secondo i rumor della stampa spagnola, il premio andrà all'argentino per la sesta volta. Sarebbe la dimostrazione che nel calcio di oggi i gol contano più dei trofei.

Il Pallone d’oro viaggia ancora verso Barcellona, per la sesta volta in 11 anni.

Il rumor secondo cui il prestigioso (sempre meno?) riconoscimento attribuito da France Football al miglior giocatore dell’anno sarebbe già stato spedito per raccomandata a Lionel Messi Cuccittini ha già generato un’ondata di polemiche.

Perché lui, proprio lui, che non ha vinto niente se non una Liga, che è uscito male dalle semifinali di Champions, che ha perso anche la semifinale di Copa America. Perché lui e non un altro? La risposta, in realtà, potrebbe essere molto semplice: se davvero Messi avesse già vinto, lo avrebbe fatto soprattutto per assenza di concorrenza.

IL PALLONE D’ORO SEMPRE PIÙ LEGATO AL MARKETING

Parliamoci chiaro, nell’ultima dozzina di anni il Pallone d’oro si è trasformato in una gigantesca occasione di marketing per il mondo del calcio. Sì, certo, a vincere è sempre il migliore (o uno dei migliori), ma le logiche attraverso cui il premio viene attribuito sono cambiate nel corso del tempo. Oggi sarebbe impensabile vedere premiato un Matthias Sammer o un Fabio Cannavaro. Sarebbe difficile persino che il premio finisse nelle mani di un Michael Owen. Oggi la macchina del pallone esige volti da copertina, e i follower sui social contano giusto poco meno dei trofei conquistati e dei gol segnati. I gol segnati, in particolare, sono fondamentali, forse ancora più delle coppe vinte.

Il Pallone d’oro ha vissuto da sempre nel paradosso di un premio individuale nel contesto di uno sport di squadra

Perché, se il Pallone d’oro ha vissuto da sempre nel paradosso di un premio individuale nel contesto di uno sport di squadra, ultimamente ha deciso di sciogliere questa dicotomia a favore del primo dei due aspetti. Conta più ciò che fai da solo, soprattutto se i numeri sono eclatanti. Nell’era degli attaccanti da 50 gol a stagione non c’è più spazio per i difensori, a malapena riescono a infilarcisi i centrocampisti offensivi, e solo se riescono a far coincidere l’anno sabbatico dei fenomeni con quello in cui loro compiono imprese mirabolanti come far sfiorare la vittoria della Coppa del Mondo a una nazione di poco più che 4 milioni di abitanti, come nel caso del croato Luka Modrić.

Il Pallone d’Oro (foto LaPresse-Xinhua/Zhang Fan).

Messi di gol ne ha fatti 51, in 50 partite. Nell’anno solare è a quota 39, sei in meno di quelli di Robert Lewandowski (che andando avanti di questo passo rischia seriamente di prenotare in anticipo il prossimo, di Pallone d’oro). Ha vinto la Scarpa d’oro e il titolo di capocannoniere della Champions League (per la sesta volta, entrambi). Ha vissuto una stagione contraddittoria sotto l’aspetto delle competizioni disputate. Si è fermato in semifinale di Champions, dove contro il Liverpool, futuro vincitore della coppa, è stato straordinario protagonista nel 3-0 del Camp Nou e un fantasma nello 0-4 subito ad Anfield. Eppure la sua candidatura resta la più forte.

PER CRISTIANO RONALDO UNA STAGIONE DELUDENTE

Guardiamoci intorno, vagliamo gli altri potenziali candidati al Pallone d’oro 2019, cerchiamo di capire perché, probabilmente, lo vincerà ancora Messi. Partiamo da Cristiano Ronaldo, che nell’ultimo decennio abbondante è stato il suo più grande rivale, che ne ha vinti cinque, lo stesso numero che al momento può vantare Messi. Cristiano è penalizzato da una prima stagione alla Juve che è andata meno bene del previsto, ha vinto lo Scudetto con i bianconeri e la Nations League con il Portogallo, ma è uscito ai quarti di finale della Champions League. In Serie A ha segnato 21 gol, 28 complessivi in tutte le competizioni di club, ha messo a referto due triplette decisive agli ottavi di Champions con l’Atletico Madrid e nella semifinale di Nations League con la Svizzera, ma è rimasto sotto le 40 reti per la prima volta in nove anni.

IL LIVERPOOL NON HA UN GIOCATORE CHE SPICCA SUGLI ALTRI

Allora, forse, i veri rivali di Messi andrebbero cercati tra chi la Champions l’ha vinta. Il problema del Liverpool è che è la sublimazione del calcio come gioco di squadra, un collettivo che sopravanza di molto la somma delle individualità che lo compongono. Momo Salah ha segnato meno della stagione precedente (27 gol, poco più della metà di quelli di Messi), Sadio Mané e Roberto Firmino sembrano nomi non altrettanto forti.

Quest’anno ai portieri hanno dedicato una categoria a parte: il Pallone d’Oro dei portieri

I singoli che hanno spiccato maggiormente nella squadra di Jürgen Klopp, Virgil Van Dijk e Alisson, giocano troppo lontani dalla porta avversaria. Il primo fa il difensore centrale, e il fatto che non perda praticamente mai un uno-contro-uno sembra non bastare per prendersi il premio. Il secondo fa il portiere, e in tutta la storia del Pallone d’oro solo una sola volta il trofeo è stato vinto un giocatore in questo ruolo, nel 1963 da Lev Jašin, il Ragno nero russo della Dinamo Mosca. Non a caso da quest’anno agli estremi difensori hanno dedicato una categoria a parte: il Pallone d’Oro dei portieri.

Lionel Messi con la maglia dell’Argentina (foto LaPresse – Fabio Ferrari).

Ecco perché pare che France Football abbia mandato i suoi fotografi a Barcellona in una mattina di fine novembre. Ed ecco perché ancora una volta, a vincere, sarà Messi. Peraltro non sarà nemmeno il premio che la Pulce ha meritato meno nella sua carriera, considerando quello strappato nel 2010 ai campioni del mondo Andreas Iniesta e Xavi e a uno Wesley Sneijder reduce da triplete con l’Inter e finale mondial persa con l’Olanda. Sarà così ancora una volta, aspettando Kylian Mbappé più che Neymar. Perché chi non fa gol non può più essere considerato il migliore calciatore al mondo.

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Gli ultrà della Dinamo Zagabria hanno bloccato il traffico a Milano

Circa 3 mila persone si sono dirette a piedi verso San Siro partendo dall'Arco della Pace. Tensione nei pressi dello stadio.

Il corteo è partito dall’Arco della Pace e ha bloccato il traffico di Milano. Cori e saluti romani, richiami ustascia e fumogeni accesi. I tifosi della Dinamo Zagabria, squadra croata che nella serata del 26 novembre affronterà l’Atalanta a San Siro per il match di Champions League, si sono diretti a piedi verso lo stadio. Circa 3 mila persone hanno percorso via Pagano, poi via Giotto, via Monte Rosa, viale Pietro Tempesta e via Monreale. Le forze dell’ordine li hanno sorvegliati sia da terra, sia dal cielo. Una volta giunti a San Siro, tuttavia, ci sono stati momenti di tensione con i tifosi dell’Atalanta.

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